Gli scioperi del marzo 1944 a La Spezia

Volantino del Comitato di Liberazione Nazionale che esorta il popolo Spezzino ad unirsi nella lotta contro l’invasore tedesco e i fascisti traditori – Fonte per immagine e didascalia Amanda Antonini, Op. cit. infra

Una delle tipografie più attive della resistenza italiana fu quella che venne installata alla Rocchetta di Lerici, in provincia della Spezia, dal Partito Comunista. Questo nucleo operativo stampò migliaia di volantini e giornaletti che andarono ad alimentare la lotta di liberazione, arrivando spesso a coprire l’intera regione ligure […] La copiosa produzione della tipografia della Rocchetta, che coincise con la fase preparatoria del grande sciopero del marzo 1944, costituì certamente una delle testimonianze più chiare della capacità di direzione unitaria delle forze politiche raccolte nel C.L.N.P.
Verranno riportati alcuni esempi di volantini della distribuzione clandestina della stampa; preziosa documentazione della penetrante attività dei vari organismi in cui si articolò il Comitato di Liberazione Nazionale della provincia spezzina, conservata nell’Archivio di Stato della Spezia. Ma anche alcuni testi degli ultimatum che, il commissario del fascismo repubblichino lunense Augusto Bertozzi ed il capo fascista della provincia Franz Turchi, rivolsero agli scioperanti.
Le strutture portanti della vita economica spezzina erano le industrie direttamente legate alla produzione bellica: l’Arsenale Militare Marittimo; il cantiere navale del Muggiano, che produceva sommergibili e motonavi; gli stabilimenti OTO Melara realizzavano artiglierie, armi diverse ed esplosivi; la Termomeccanica Italiana creava pompe e macchinari ausiliari di bordo; i cantieri Motosi si occupavano di riparazioni e costruzioni navali; lo stabilimento Bargiacchi produceva catapulte per lanciare gli areoplani dalle navi da guerra; la fonderia di piombo Pertusola; lo Jutificio Montecatini, la Refrattari Verzocchi; i numerosi piccoli e medi stabilimenti e cantieri legati alle produzioni delle fabbriche maggiori. <78
La classe operaia in una fabbrica era una forza inesauribile: sapeva creare attraverso la propria esperienza, la sua organizzazione e diventava, per questa sua organica capacità, un fronte; la fabbrica diventava sempre più punto di orientamento politico, di fiducia, elemento di unificazione politica ed ideale e quindi forza determinante per lo sviluppo futuro di tutta la lotta contro il nazifascismo.
Le sconfitte dei nazifascisti e lo sbarco degli Angloamericani, contribuirono a creare una situazione diversa e nuove condizioni di lotta. <79
Le condizioni di vita peggiorarono di giorno in giorno nelle fabbriche e fuori: il problema del pane e dei generi alimentari nel loro insieme era presente e grave in quasi tutte le famiglie. Le conseguenze della guerra si fecero sentire in modo drammatico, per cui la lotta si estese e si allargò alla popolazione tutta.
Una funzione importantissima all’interno degli stabilimenti venne svolta da una grande diffusione della stampa clandestina: l’Unità in formato ridottissimo, opuscoli, volantini e, la maggior parte del materiale, venne stampato nella tipografia clandestina della Rocchetta. Il materiale, prodotto in tipografia, veniva portato nei centri di raccolta e da qui la distribuzione veniva effettuata da attivisti nelle fabbriche della Spezia, della Valle del Magra e nei comuni più importanti della provincia.
Tutti i mezzi erano buoni quando si doveva escogitare la forma per collocare i volantini; era molto rischioso e l’indicazione fu di avvolgere i volantini alle gambe, fissandoli con apposite legature e coprendoli con le calze, nella speranza che in caso di perquisizione ciò potesse aiutare. <80 Il rischio più grosso lo correvano quando c’erano da mettere i volantini nelle cinghie, perché ciò avveniva sotto gli occhi delle spie che poi erano i guardiani della fabbrica stessa. Quando la mattina veniva data la corrente, sembrava un volo di farfalle: tutto quel materiale di propaganda saltava in aria.
La stampa clandestina dei partiti antifascisti veniva letta con passione e rapidità, per essere poi passata ad altri e questi passaggi controllati erano utili, in quanto, oltre alle informazioni di politica interna ed internazionale, facevano circolare direttive di lavoro dei singoli partiti, e quasi sempre comunicati, appelli, decisioni, direttive di lavoro del C.L.N.A.I. <81
Il Comitato di agitazione, al quale venne affidato il compito della preparazione dello sciopero, fissò la data del 1° Marzo 1944. Lo sciopero aveva un contenuto politico particolare: poneva il problema della difesa del pane e della dignità dei lavoratori unitamente alla indipendenza e alla libertà nazionale.
Di qui l’impegno e la necessità di una grande e vasta mobilitazione, che non poteva essere compito di un solo partito o di una parte sola del fronte antifascista, ma di tutto il popolo, di tutta la nazione.
Fissata la data, tutta l’organizzazione clandestina nella fabbrica e fuori fu mobilitata per la preparazione, non certo facile ne sicura, della manifestazione.
La proclamazione dello sciopero fu un segreto relativo, perché conosciuto da tutti e quindi anche dai nazifascisti, in quanto era stato presentato e preparato con la distribuzione di manifestini del Comitato Segreto di agitazione, dal C.L.N. della Spezia il 19 febbraio 1944.
Inoltre si doveva considerare il fatto che la radio clandestina non era ascoltata solo dagli antifascisti; ragione per cui, cosa volevano fare e quando, e lo stesso motivo dello sciopero, erano conosciuti anche dai nemici. Soltanto il tessuto, la struttura clandestina dell’organizzazione e il suo funzionamento, i collegamenti non erano a conoscenza dei nazifascisti.
Tutte le iniziative vennero studiate, si fecero grandi sforzi per difendere l’organizzazione, per renderla più efficiente, allo scopo di fare arrivare direttive, materiale di propaganda a giusta e puntuale destinazione ed avere notizie ed informazioni sullo stato di preparazione dello sciopero.
Ai primi del febbraio 1944 venne dato l’ordine alla tipografia lericina di stampare un appello a firma del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista; questo, rivolto ai lavoratori italiani, annunciava che il comitato di agitazione per il Piemonte, la Lombardia e la Liguria chiamava i lavoratori a preparare lo sciopero generale rivendicativo.
Dopo vari appelli la tipografia stampò volantini in data 28 febbraio 1944 con disposizioni per lo sciopero generale del 1° marzo; volantini che, attraverso l’organizzazione clandestina, vennero distribuiti nelle fabbriche della provincia.
Uscirono volantini di solidarietà con gli operai in lotta e contro i tedeschi e i fascisti; il Fronte della Gioventù, per mezzo di studenti e ragazze, diffuse materiale di propaganda e svolse una attività di collegamento di eccezionale importanza. Era tutto un fronte di lotta e di solidarietà con i lavoratori, comprendeva categorie sociali che fino a quel momento erano rimaste a guardare.
Arrivarono le prime notizie dal Muggiano: nel cantiere non si sentiva battere un chiodo, tutto era fermo (fu la prima notizia); il commissario repubblichino Bertozzi e l’ispettore dei sindacati, che volevano parlare agli operai, non vi riuscirono.
All’OTO Melara lo sciopero fu tale che anche qui il federale fascista non riuscì a parlare e venne sommerso dai fischi. <82
Le notizie continuarono ad arrivare e furono entusiasmanti. Pertusola ferma, spenti i forni; ferme Termomeccanica, Jutificio Montecatini, Bargiacchi, Verzocchi.
Oltre ai militanti comunisti, davano il loro prezioso contributo al movimento e alla lotta, socialisti, anarchici, cattolici, uomini senza partito, disposti a combattere per abbattere il fascismo e far finire la sua guerra criminale.
Lo sciopero del 1 Marzo 1944 doveva avere il carattere di Sciopero Generale insurrezionale, cioè di aperta dichiarazione di guerra da parte della classe lavoratrice al nazifascismo. Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia aveva lanciato questa parola d’ordine, che i lavoratori accolsero con piena e decisa volontà di attuazione.
Diversamente dagli scioperi precedenti, voluti e proclamati autonomamente all’interno delle fabbriche, questo nuovo sciopero impegnò politicamente tutta la classe lavoratrice spezzina.
Fu sommamente importante lavorare con cautela, in profondità e fare in modo che nessuno venisse scoperto ed arrestato anzitempo, per non influire psicologicamente in modo negativo sui lavoratori, il che, tatticamente, avrebbe favorito il nemico.
Le riunioni vennero fatte nei modi più impensati, al tavolo della mensa, per i viali interni dello stabilimento passeggiando durante l’ora di riposo, in casa dei compagni, intorno ad un banco di lavoro. I comitati interni di agitazione erano così riusciti a fare decine e decine di piccole riunioni in ogni reparto ed ufficio, facendo in tal modo conoscere pressoché a tutti, operai e impiegati, le direttive dello sciopero.
La preparazione dello sciopero proseguì generalmente in modo positivo; nonostante le autorità nazifasciste sapessero della proclamazione dello sciopero generale, non riuscirono ad individuare, nello stabilimento, il nucleo ispirativo dello sciopero stesso. <83 Quel giorno man mano che gli operai arrivarono in fabbrica, misero la tuta, raggiunsero il posto di lavoro e lì rimasero con le braccia incrociate.
La direzione dello stabilimento non trovò altro da fare che mandare in giro i propri capi per chiedere timidamente le ragioni dello sciopero. La risposta fu pressoché unanime: “Questo sciopero serve per far tornare la pace al più presto”. Non posero alcuna rivendicazione economica; lo sciopero era uno sciopero politico, di insurrezione nazionale, un atto chiaramente rivoluzionario popolare.
Lo sciopero fu un grande successo: la partecipazione dei lavoratori fu totale con grande soddisfazione degli organizzatori, tanto da destare viva preoccupazione e rabbia fra i nazifascisti.
La Federazione Fascista Repubblicana Lunense di La Spezia reagì subito con la pubblicazione di un manifesto intimidatorio e di minaccia agli scioperanti, a firma del commissario federale Augusto Bertozzi, con il quale diceva tra l’altro che “il tentativo di sciopero, provocato da alcuni sconsigliati al soldo del nemico; sarà decisamente stroncato dal fascismo repubblicano Lunense, che lavora in silenzio alla ricostruzione della nostra travagliata Patria.” <84
Il 2 marzo il Prefetto Turchi inviò una lettera al Ministero di Salò, informando dello sciopero e assicurando il Ministro che avrebbe assunto decisi e gravi provvedimenti se i lavoratori non avessero ripreso subito il lavoro, come ad esempio: la chiusura delle fabbriche, il ritiro delle tessere annonarie preferenziali e l’invio degli elementi sediziosi in campi di concentramento.
Inoltre il Prefetto Turchi fece affiggere un manifesto all’interno di tutte le fabbriche, nel quale diceva ai lavoratori che “malgrado i provvedimenti adottati a loro favore per quanto riguarda l’alimentazione, e malgrado le sue esortazioni per un lavoro disciplinato e sereno, essi obbedendo alle sollecitazioni di pochi mestatori venduti al nemico avevano incrociato le braccia presentandosi in tal modo ad un nuovo tradimento verso la Patria”.
Il manifesto così proseguiva: “se entro oggi (2 Marzo) non sarà ripreso il lavoro, da domani venerdì 3 corrente, verranno chiusi gli stabilimenti ed abolite tutte le tessere preferenziali. Saranno altresì sorteggiati per ciascun Stabilimento, degli operai per essere invitati in Campi italiani di concentramento.”
La lotta continuò, il meccanismo organizzativo funzionò perfettamente senza un minimo accenno di defezione nonostante gli arresti avvenuti e quelli che potevano ancora verificarsi. La minaccia del rastrellamento indiscriminato e il ricatto della chiusura dello stabilimento con il ritiro del permesso tedesco, portò poi, dopo un lungo esame, alla determinazione della fine dello sciopero per autonoma volontà, alle 14:30 del 3 marzo 1944. A quell’ora esatta le macchine si misero in moto, simultaneamente. In quel modo, anche la ripresa del lavoro fu un atto di forza dei lavoratori e la dimostrazione della loro compattezza, della loro disciplina e della loro fede nella rivoluzione che la classe operaia aveva iniziato nel clima della guerra di liberazione. <85
La città uscì trasformata dagli scioperi di marzo. Attivamente o passivamente, erano stati coinvolti tutti gli spezzini occupati, operai, impiegati, tecnici. Il riflesso di quelle giornate di tensione venne portato nelle famiglie, tra la gente che non viveva la dura realtà della fabbrica. Il ricordo di quel lungo rischio calcolato, della reazione personale di fronte alle armi spianate, diventava elemento di riflessione.
La distribuzione clandestina della stampa, le discussioni con i lavoratori e con i giovani che erano chiamati per fare la guerra, erano compiti duri, pericolosi, ma contemporaneamente entusiasmanti, poiché vi era la certezza di una prospettiva politica che non poteva lasciare dubbi circa la natura e la fine del fascismo e del nazismo. <86

Un appello ai lavoratori e agli “Italiani tutti”, che induce a ribellarsi e non lasciarsi piegare né dalle lusinghe né dalle minacce del nemico – Fonte per immagine e didascalia Amanda Antonini, Op. cit. infra

[NOTE]
78 A. Petacco, La Spezia in guerra 1940-45 cinque anni della nostra vita, La Nazione editore, Bologna 1984, p.36-37
79 A. Giacchè, A. Bianchi, Tommaso Lupi partigiano, artefice della stampa clandestina antifascista, Edizioni Giacchè La Spezia, 2012 p. 91-98
80 D. Alfonso, Ci chiamavano libertà. Partigiane e resistenti in Liguria 1943-1945, De Ferrari, Genova, 2012, p.57-61
81 M. Farina, La Spezia marzo 1944. Classe operaia e resistenza, Istituto storico della resistenza P.M. Beghi La Spezia 1976, p. 92-93
82 A. Petacco, La Spezia in guerra 1940-45 cinque anni della nostra vita, La Nazione editore, Bologna 1984, p. 323-327
83 M. Farina, La Spezia marzo 1944. Classe operaia e resistenza, Istituto storico della resistenza P.M. Beghi La Spezia 1976, p. 67-69
84 M. Farina, La Spezia marzo 1944. Classe operaia e resistenza, Istituto storico della resistenza P.M. Beghi La Spezia 1976, p. 82
85 M. Farina, La Spezia marzo 1944. Classe operaia e resistenza, Istituto storico della resistenza P.M. Beghi La Spezia 1976, p.72-74
86 A. Petacco, La Spezia in guerra 1940-45 cinque anni della nostra vita, La Nazione editore, Bologna 1984, p. 333-335

Fonte: Amanda Antonini, Op. cit. infra

Amanda Antonini, Il potere della comunicazione tra regime e resistenza, Tesi di laurea, Università di Pisa, 2018

Il prefetto repubblichino della Spezia, Turchi, minacciava la deportazione nei campi e licenziamenti per gli scioperanti, definiti “elementi sediziosi e nemici della patria” – Fonte per immagine e didascalia Amanda Antonini, Op. cit.

Il prefetto Romualdi fu poi collocato a disposizione e sostituito il 10 dicembre 1943, da Facduelle, perché non ritenuto “fascista intransigente” e considerato “tiepido” nei confronti della R.S.I. Il Romualdi, finita la guerra, sarebbe entrato nelle file del M.S.I.. Non fu l’unico Prefetto fascista a scegliere la strada della politica. Solo per fare un esempio, si ricorda Francesco Turchi ex Prefetto di La Spezia, che, in un libro, edito nell’immediato dopoguerra, descrisse, da una diversa angolazione, l’attività svolta come Capo Provincia. Franz Turchi, Prefetto con Mussolini, Latinità, Roma, 1950. La pubblicazione mi è stata segnalata da Enrico Gustapane che ringrazio.
Alberto Cifelli, L’Istituto prefettizio dalla caduta del Fascismo all’Assemblea Costituente. I Prefetti della Liberazione, Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, Roma, 2008

Manifesto della federazione del Partito fascista Repubblicano contro gli scioperi del marzo 1944 – Fonte per immagine e didascalia Amanda Antonini, Op. cit.

Se prendiamo come esempio anche il resoconto della prefettura del mese di gennaio, dove si evince che la popolazione mantenne la calma e buoni rapporti con le autorità <119 e quello del mese di marzo dove venne dichiarato, sempre dal Prefetto e dalle autorità, che nonostante gli scioperi che colpirono tutta l’Italia e i tedeschi che di loro iniziativa provvidero allo smembramento del reparto H dell’Oto Melara, i rapporti tra il regime e gli operai erano ottimi e predisposti alle politiche socializzatrici.
Da queste dichiarazioni e da questi resoconti, possiamo evidenziare più costanti. La prima è che nelle loro comunicazioni le alte cariche cercavano di “coprire” e di nascondere gli episodi di violenza, elevandosi a mantenitori dell’ordine pubblico e a portatori della pace <120. La seconda è quella che le relazioni della prefettura sono spesso idealizzate e troppo ottimistiche, sopratutto quando si parla dei successi delle politiche socializzatrici che non furono mai accettate dagli operai. L’ultima, come si può evincere dallo smantellamento del Reparto H dell’Oto Melara, era che le decisioni venivano prese direttamente dai tedeschi.
Con l’avanzata alleata, che avrebbe portato alla rottura della linea Gustav a fine primavera, il 18 aprile fu emanato dal governo della RSI un documento di amnistia a favore degli sbandati che prevedeva che se si fossero consegnati entro le ore 24 del 25 di maggio, non sarebbero stati sottoposti a processo e sarebbero stati reintegrati nei reparti, viceversa chi non si presentava era considerato fuorilegge e passato per le armi mediante fucilazione alla schiena. <121
[NOTE]
119 Archivio di Stato di La Spezia, Gabinetto Prefettura, lettera di Bertozzi al Capo provincia del 22 gennaio 1944, Busta 441, fasc. 12.
120 Arrigo Petacco, op. cit.
121 Riccardo Borrini, Il Tricolore insanguinato. Documenti sulla guerra civile in provincia della Spezia negli anni 1920-22/1943-45, Grafica Ma.Ro, Roma, 2005
Marco Bardi, La Repubblica Sociale Italiana alla Spezia tra pratiche repressive e punizione dei crimini, Tesi di laurea magistrale, Università di Pisa, 2019

Il volantino del “Comitato segreto d’agitazione”, stampato clandestinamente nella tipografia della Rocchetta e diffuso fra i lavoratori, esalta il successo dello sciopero del 1° marzo e fa appello a continuare la lotta, rivendicando anche la liberazione degli arrestati – Fonte per immagine e didascalia Amanda Antonini, Op. cit.

Perché siamo giunte allo sciopero del 1° marzo 1944? Intanto perché il fascismo ci aveva portato ad una guerra ingiusta e sconsiderata, senza contare che da oltre 20 anni il Paese subiva il peso della dittatura con la repressione di ogni libertà. E proprio per difendere la libertà, da tempo, gli antifascisti operavano in clandestinità nei piccoli centri, nei quartieri, nelle città. Naturalmente, con l’avvento della guerra, anche nella fabbrica si sentiva che qualche cosa andava cambiando. Parlo della Jutificio Montecatini.
Noi operaie eravamo giovani, inesperte politicamente; comunque la situazione di sfruttamento ci portava già allora ad affrontare azioni di lotta contro l’aumento del macchinario, contro i bassi salari, in generale per una profonda modifica della condizione dei lavoratori.
In quel clima le nostre coscienze andavano via via maturando, grazie soprattutto alla tenacia, volontà e capacità di quei modesti lavoratori che ci indirizzavano alla lotta attraverso letture di opuscoli e volantini che ci facevano pervenire. Venne il 25 luglio, la caduta del fascismo. Ricordiamo quale fermento c’era nella fabbrica quel giorno; ci trovavamo di fronte elementi fanatici e sciocchi che si esprimevano con il più velenoso linguaggio che il fascismo aveva insegnato, osando fare affermazioni poco raccomandabili in quel momento.
A questo punto voglio ricordare un episodio particolare, anche se ve ne sono altri che per brevità di tempo tralascio. Ci fu una donna fascista che disse testualmente queste parole: «Preferirei vedere Mussolini tornare al potere anziché mio figlio al mondo». Aveva perduto un figlio in tenera età. A quell’affermazione naturalmente ci fu una reazione decisa e spontanea da parte di tutte e nel giro di mezz’ora le macchine furono ferme in segno di protesta. Fu chiesta l’espulsione dalla fabbrica di tale elemento, dicendo chiaramente: «fuori lei o fuori noi». Dovettero allontanarla dalla fabbrica Questo conferma che la cospirazione qualcosa aveva dato anche a noi, poco preparate alla politica.
[…] Vi erano spie da ogni parte e anche loro erano dei clandestini, in un certo senso. Malgrado ciò eravamo organizzate e vigilanti, cosicché il nostro lavoro andava avanti. Tutti i mezzi erano buoni, quando ognuno di noi doveva escogitare la forma per collocare i volantini nelle cinghie di trasmissione, nei sacchi del filato, ovunque fosse possibile. II rischio più grosso lo correvamo quando c’erano da mettere i volantini nelle cinghie, perché ciò avveniva sotto gli occhi delle spie che poi erano i guardiani della fabbrica stessa. Quando la mattina veniva data la corrente, sembrava un volo di farfalle: tutto quel materiale di propaganda saltava in aria, ed era meglio, per gli operi, di una buona colazione.
I risultati si videro quando venne lo sciopero del marzo 1944.
Lo sciopero fu compatto fin dal primo giorno; ognuno ne aveva piena consapevolezza. Evidentemente la compattezza e la durata della sciopero avevano messo i dirigenti di fronte a un fatto più grosso di loro; l’ultimo giorno i fascisti della fabbrica non seppero fare di meglio che far intervenire la X Mas. Quest’ultimi entrarono nei reparti, direttore in testa; tentarono di obbligare le operaie a mandare le macchine credendo di spaventarci. Nessuna cedette; per nulla intimorite tenemmo duro; le macchine le mandammo sì, ma solo quando lo sciopero terminò.
Non abbiamo vacillato nella lotta neppure quando, rientrate in fabbrica, il giorno dopo lo sciopero, mancavano all’appello 9 operaie. Le avevano arrestate per rappresaglia; erano in maggior numero parte di quel gruppo che più attivamente aveva dato il maggior contributo alla riuscita dello sciopero e di tutte le altre azioni. Le operaie erano: Elvira Fidolfi, arrestata, deportata in Germania, caduta nei campi di concentramento, e la sorella Dora Fidolfi, deportata in Germania e, per fortuna, ritornata. Inoltre sono rimaste in carcere per 12 giorni le altre 7 che sono rispettivamente: Giorgia Ducati, Rita Piccinini, Nella Musetti, Maria Gianardi, Norma Bartolomei, Giovanna Viaria, Giuseppina Russo Perpigli.
Questo episodio ha fatto sì che le operaie rimaste in fabbrica meglio comprendessero quale fosse il fine degli sgherri fascisti, per il fatto stesso che avessero arrestato nove operaie per colpirne solo due. Tutto ciò non solo non valse a rallentare l’unità e la forza delle lavoratrici dello Jutificio, ma anzi aumentò le capacità di lotta per cui l’attività clandestina fu portata avanti dalla totalità dei lavoratori, uomini e donne.
Uniti tenemmo testa a quei fascistelli rimasti in fabbrica; dico fascistelli poiché i caporioni, come il direttore, del resto, se l’erano filata con le loro colpe e le loro responsabilità.
Dallo sciopero di marzo in poi, all’interno della fabbrica e fuori, più massicce sono state le nostre azioni entrando nel vivo della resistenza al nazifascismo. Abbiamo dato ognuno il meglio di noi fino ai giorni dell’insurrezione popolare.
Da Patria indipendente n. 4-5 del 13 marzo 1994
Delfina Betti, “Così ci fermammo allo jutificio Montecatini”, Patria Indipendente, 8 marzo 2017

Fonte: Wikipedia

Nella primavera avvengono gli importanti scioperi delle fabbriche nel marzo 1944 [8], si rafforza l’organizzazione e si registrano le prime gravi repressioni: basti pensare alle deportazioni seguite agli scioperi e ai fatti di Valmozzola dove sono fucilati giovani provenienti nella massima parte dal territorio Spezzino
[8] Gli scioperi del marzo 1944, avvenuti nell’Italia occupata dai nazifascisti, hanno avuto alla Spezia significativa rilevanza, interessando le grandi fabbriche e facendo affiorare alla luce un’opposizione non più solo economica (rivendicazione migliori condizioni di vita e lavoro) ma propriamente politica. Per un approfondimento v. (a cura di Mario Farina), I.S.R. La Spezia, La Spezia 1944, Classe operaia e Resistenza, Atti della Conferenza Gli scioperi del marzo 1944, Sala del Consiglio Provinciale, 1 marzo 1974. V. anche nell’Organigramma di partenza la Scheda sui Gruppi Difesa della Donna e quella sulle S.A.P.
(a cura di) Maria Cristina Mirabello, Comitato Liberazione Nazionale Provinciale – La Spezia,
I.S.R. Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea