Le atrocità degli ustascia croati contro ebrei, comunisti e serbi ortodossi sono ben note

Incontro di Pavelic con Hitler nel 1941 al Berghof di Berchtesgaden – Fonte: Wikipedia

Quando l’11 aprile 1941, in una Zagabria occupata dai nazisti, viene proclamato lo “Stato Indipendente di Croazia”, a prenderne in mano di fatto le redini arriva Ante Pavelic, leader degli Ustascia, una formazione ultranazionalista e anti-serba alleata di Hitler e Mussolini.
Sebbene alla guida di uno stato-fantoccio, gli Ustascia non si perdono d’animo. Possono infatti, finalmente, darsi da fare per realizzare il loro sogno: una “Croazia ai croati”, ripulita dalle minoranze e, soprattutto, della odiatissima presenza serba.
Nella “Croazia Indipendente” ci sono tante fedi e si parlano, in realtà, almeno una decina di lingue diverse: quando arrivano i nazisti cittadini croati, sloveni, musulmani bosniaci, serbi, ebrei, rom, ungheresi, tedeschi – per citarne alcuni – vivono insieme da secoli, per lo più ignari di cosa voglia dire “stato nazionale”.
Ci pensano gli Ustascia.
Col soddisfatto benestare dei governi tedesco e italiano sono subito promulgate le leggi razziali, e di lì a poco iniziano i massacri e le atrocità. Come nel villaggio di Gudovac, dove l’intera comunità serba è sterminata: il primo atto di una campagna di genocidio che porterà alla morte almeno 700.000 persone.

Ma a Pavelic e ai suoi non basta. Costruiscono così un sistema di campi di concentramento in cui vengono deportati per essere eliminati gli “elementi antinazionali”, soprattutto serbi ed ebrei. Ed è qui che le loro idee assassine raggiungono forse l’apice dell’atrocità.
Per ammazzare ci vuole tempo, e nei campi le esecuzioni non sono mai abbastanza. Bisogna ammazzare di più e più in fretta. Inventano così uno speciale coltello, lo Srbosiek (letteralmente, “sgozzaserbi”): un comodo guanto di pelle, dotato di una lama fissa e rinforzata, leggermente ricurva, per facilitare e velocizzare le esecuzioni minimizzando lo sforzo ed il rischio di ferite per il tagliagole.
Il governo è entusiasta, e si trova subito un’industria, la tedesca Gebrüder Gräfrath, pronta a soddisfarne le commesse avviandone la produzione su grande scala.
A Jasenovac, il più grande dei campi di sterminio croati, le guardie organizzano delle vere e proprie gare di velocità e destrezza nelle esecuzioni: indiscusso vincitore di queste orrende e bestiali competizioni risulta essere Petar Brzica, che in una sola giornata, il 29 agosto 1942, riuscì ad uccidere tra le 670 e le 1300 persone facendosi acclamare come “Re delle gole tagliate”. In palio, quel giorno, c’erano un orologio d’oro e arrosto di maiale.

Jasenovac e gli altri campi furono liberati dai partigiani jugoslavi nel maggio del 1945. Lo Stato Indipendente di Croazia si dissolse, ma Brzica – come molti commilitoni – sopravvisse alla guerra: si rifugiò negli Stati Uniti e dal ’70 fece perdere le sue tracce. Morirà da uomo libero nel 2010.

Cannibali e Re

Miliziani ustascia in posa sui cadaveri di partigiani jugoslavi

[…] I programmi di “bonifica nazionale” del cosiddetto “fascismo di frontiera” degli anni venti e trenta trovarono attuazione già nel giugno 1940, quando il governatore della provincia dell’Istria propose d’istituire, tra Verona e Trento, campi di concentramento per gli slavi di quelle terre sospettati di sentimenti anti italiani. Il resto lo fecero, dopo l’occupazione dei territori jugoslavi nel 1941, le truppe del regio esercito comportandosi come veri e propri colonizzatori, portatori di una presunta superiore civiltà latina.
A questa civilizzazione forzata si opposero le popolazioni dei territori jugoslavi, arrivando a una rivolta che da insurrezione armata si trasformò poi in guerra di liberazione nazionale con un forte esercito partigiano. Le truppe italiane di occupazione, insieme con le altre forze dell’asse, applicarono misure da stato d’assedio giustificando distruzioni, deportazioni e fucilazioni al fatto di trovarsi di fronte a una popolazione che, non volendosi sottomettere o farsi assimilare, veniva considerata alla stregua di barbari da punire. In queste operazioni poi gli italiani si servirono anche di reparti di collaborazionisti come i fascisti croati ustascia o i cetnici nazionalisti serbi.
[…] Anche nella Dalmazia occupata divenuta provincia italiana l’italianizzazione forzata non rifuggiva dalla prospettiva di espulsioni di massa mentre grandi rastrellamenti, massacri e fucilazioni erano all’ordine del giorno. All’interno dello Stato Indipendente Croato (regno con a capo, almeno formalmente, Ajmone di Savoia) serbi ed ebrei e rom furono le vittime di una feroce pulizia etnica attuata dagli ustascia sotto gli occhi dell’alleato italiano. I nazionalisti croati furono una creatura di Mussolini fin dal 1929, protetti e allevati in Italia in funzione del dissolvimento della Jugoslavia e alle mire imperialiste sui Balcani. Il rapporto con l’alleato ustascia nello stato fantoccio del duce croato Pavelic dall’inizio della guerra era variato dopo che l’influenza tedesca era aumentata a spese di quella italiana. I fascisti da grandi sponsor di Pavelic non riuscendo più a dominare la situazione giunsero anche a servirsi dei cetnici serbi nelle azioni contro i civili e le formazioni partigiane.
Il caso degli ebrei dalmati non consegnati dagli italiani agli ustascia e ai nazisti, o alla protezione di popolazione serba contro la furia fascista croata, utilizzato anche nelle trattative di pace nel dopoguerra come punto a favore per l’Italia fu invece strumentale ai rapporti con i cetnici e i nazisti. L’obiettivo dei fascisti croati di eliminare ebrei e serbi dal proprio territorio venne utilizzato politicamente dagli italiani, come sempre mascherando scontri etnici come opportunità per il proprio disegno di dominio (e comunque anche tra gli obiettivi dei fascisti come dei nazisti c’era l’espulsione totale degli ebrei dal proprio territorio nazionale, tra deportazione e sterminio la differenza era solo temporale).
[…] di Ivan Serra – tratto da www.marxismo.net
admin, I crimini dell’Esercito italiano in Jugoslavia, 10 febbraio 1947, 8 febbraio 2013

Il 6 aprile 1941 le forze dell’Asse misero in atto la cosiddetta “Operazione castigo” contro il Regno di Iugoslavia. A loro si accodarono anche gli Ungheresi e i Bulgari. Il 17 aprile il comando militare iugoslavo si arrese e gli eserciti tedesco e italiano poterono così dedicarsi ad occupare la Grecia.
Dopo il 18 aprile il territorio fu diviso tra Germania, Italia, Bulgaria, Ungheria e Albania. La Croazia venne elevata a Stato indipendente con la corona affidata al principe di Spoleto, Aimone di Savoia, figlio del duca d’Aosta Emanuele Filiberto e nipote di Vittorio Emanuele III. Quest’ultimo, in realtà, non volle mai cingere la corona, rimanendo a Roma, per cui il potere fu sempre nelle mani di Ante Pavelic, capo degli ustascia.
Fortemente voluta da Hitler e Mussolini, la nuova compagine nazionale croata, formata grosso modo dalla Croazia e dalla Bosnia Erzegovina, contava al suo interno oltre sei milioni di abitanti, dei quali ben tre milioni e mezzo erano croati, 2.200.000 serbi, 800.000 musulmani, più altre minoranze tra cui alcune decine di migliaia ebrei.
Lo Stato Indipendente Croato (“Nezavisna Drzava Hrvatska”), governato da Ante Pavelic, perseguiva l’obiettivo dello sterminio delle minoranze non croate, adottando metodi derivati dal nazismo e dal fascismo. La violenza e il terrore furono gli strumenti utilizzati dai nazionalisti croati, gli ustascia, per la creazione di uno Stato croato etnicamente puro.
Il costante richiamo alla religione cattolica e al ruolo della Chiesa ebbe, poi, il significato di una profonda copertura ideologica, portando molti esponenti del clero locale ad appoggiare e, addirittura, a sostenere lo sterminio di serbi, musulmani ed ebrei. Pensiamo, ad esempio, al sostegno dato al regime ustascia da parte dell’arcivescovo di Zagabria, monsignor Alojzije Viktor Stepinac, dell’arcivescovo di Sarajevo, monsignor Ivan Saric, e dal vescovo di Banja Luka, monsignor Jozo Garic.
Preceduta da una politica di conversione forzata al cattolicesimo, venne messa in atto una organizzata opera di sterminio di massa, con uccisioni e reclusione in campi di concentramento e di sterminio. Migliaia di serbo-ortodossi vennero gettati, spesso vivi, nelle cavità carsiche, o uccisi nelle forme più atroci.
Come anticipato, alle violenze spesso parteciparono anche frati e preti cattolici. Alcuni francescani furono in prima fila nell’appoggiare le scorrerie ustascia. Un francescano del monastero di Siroki Brijeg, tal Berto Dragicevic, era addirittura uno dei comandanti della milizia ustascia della regione e venne anche decorato per le sue azioni.
Persino i cappellani militari dei reparti ustascia, facenti capo, secondo la gerarchia ecclesiastica, al primate croato Stepinac, partecipavano direttamente alle azioni.
Già alla fine di aprile del 1941 si registrarono le prime stragi, cui non scamparono donne e bambini. Nel distretto di Bjelovar 250 tra uomini e donne, dopo essere stati costretti a scavare una lunga trincea, vi vennero sepolti vivi. Il 30 aprile, presso Kosinj, furono massacrati 600 serbi, tra cui molte donne e bambini. L’8 maggio un’ordinanza di Eugen Kvaternik-Dido, capo della polizia di Zagabria, preparò la deportazione di massa di serbi ed ebrei che, cacciati dalla città, vennero trucidati dagli ustascia o chiusi nei campi di concentramento in via di allestimento.
Il 14 maggio vennero massacrati i 700 abitanti di origine serba di Glina. L’eccidio fu organizzato dal ministro ustascia Mirko Puk, originario del villaggio, e dal frate francescano Ermenegildo, padre guardiano del monastero di Cuntic.
Alla fine di luglio 3.000 serbi furono uccisi nei villaggi di Krnjac, Krotinje, Siroka Reka, Rakovic. Ad agosto oltre 500, tra donne e bambini, vennero catturati e buttati nei crepacci del monte Tusnica. A Celebic 80 donne e bambini furono trucidati nella scuola comunale.
Il 20 agosto dello stesso anno, presso la foresta di Koprivnica, furono violentate donne e fanciulle, mentre i bambini vennero impalati e i vecchi accecati e squartati. E si continuò così anche negli anni successivi.
A luglio, intanto, Eugen Kvaternik-Dido, capo della polizia di Zagabria, era stato ricevuto in Vaticano insieme a 100 agenti ustascia in divisa. Il mese precedente il dirigente croato aveva fatto saltare con la dinamite la cattedrale ortodossa di Bihac e fatto massacrare, fra serbi ed ebrei, circa 2.000 persone.
Insieme alla popolazione serba gli ustascia provvidero pure all’eliminazione diretta del clero serbo-otodosso con la distruzione delle loro chiese e l’appropriazione dei loro beni, molti dei quali trasferiti alle diocesi cattoliche.
Non sfuggirono neppure gli alti prelati. Vennero distrutte 299 chiese, uccisi sei vescovi e 222 religiosi. Il vescovo ortodosso di Zagabria, monsignor Antonij Dosirej, fu ucciso dopo atroci torture e il suo cadavere, privato degli organi genitali, conficcato su un palo. Il vescovo di Debar, nonostante i suoi 80 anni, fu arrestato e internato nel campo di sterminio di Jasenovac dove morì sgozzato. Anche gli altri vennero trucidati dopo atroci sofferenze.
[…] Alla fine della guerra molti colpevoli di questo orrendo genocidio sfuggirono alla giusta punizione. Si diedero infatti alla fuga, prima dell’arrivo dei partigiani di Tito, Ante Pavelic, gli esponenti del suo governo e molti gerarchi ustascia, nonché l’arcivescovo di Sarajevo, il vescovo di Banja Luka, oltre a 500 sacerdoti e religiosi collusi con il regime. Molti di essi, compreso Pavelic, grazie all’azione del Vaticano, vennero sottratti alla giustizia e si rifugiarono in Spagna e in America Latina.
Non fuggì, invece, l’arcivescovo Stepinac. L’11 ottobre 1946 il prelato, processato come collaborazionista, venne condannato a 16 anni di lavori forzati e alla perdita dei diritti civili per 5 anni. Trasferito nella prigione di Lopoglava, venne esentato dai lavori.
Dopo aver trascorso in carcere solo 5 anni fu sottoposto a domicilio coatto nella sua cittadina d’origine, a Krasic. Il 12 gennaio del 1953 fu elevato alla dignità cardinalizia da Pio XII come “esempio di zelo apostolico e di fermezza cristiana”. Morì il 10 febbraio 1960, all’età di 62 anni, e fu sepolto dietro l’altare maggiore della cattedrale di Zagabria. Il 3 ottobre 1998 il cardinale Stepinac venne beatificato da Giovanni Paolo II come perseguitato dal regime di Tito.
Bibliografia:
Adriano P. e Cingolani G., La via dei conventi. Ante Pavelic e il terrorismo ustascia dal fascismo alla guerra fredda – Milano, Mursia, 2011.
Ferrara M., Ante Pavelic il duce croato – Udine, Kappa Vu, 2008.
Paris E., Genocidio nella Croazia satellite 1941-1945 – Milano, Ediz. Club degli editori, 1976.
Rivelli M.A., L’Arcivescovo del genocidio – Milano, Kaos Ed., 1999.
Scotti G., Ustascia tra il fascio e la svastica. Storia e crimini del movimento ustascia – Udine, Incontri, 1976.
Michele Strazza, Genocidio in Croazia, Storia in Network, Numero 195, Gennaio 2013

Tratto da “Yugoslavia in the Second World War” di Ahmet Đonlagić, Žarko Atanacković, Dušan Plenča – Međunarodna štampa-Interpress, Belgrade 1967 per 10 febbraio 1947, qui cit.

[…] Da notare la linea di demarcazione delle zone d’influenza italo-tedesche nello stato fantoccio ustascia croato, che faceva così arrivare il territorio controllato dall’Italia dalla parte meridionale della Slovenia (la “Provincia italiana di Lubiana”) fino al Montenegro e all’Albania (compresi i territori serbi e macedoni abitati da albanesi), a stretto contatto con i vari collaborazionisti, Guardie Bianche slovene, Ustascia croati, Cetnici monarchici…
admin, Cartografia per principianti, 10 febbraio 1947, 10 febbraio 2012

[…] Il governo croato sigla il patto tripartito il 15 giugno 1941, ma i rapporti tra le due sponde
dell’Adriatico iniziano prima, negli anni Venti. Durante la seconda metà degli anni Venti la giovane
Jugoslavia di Alessandro Karadjordjevic è nella morsa di forti tensioni etniche e di una grave crisi
economica, di mire espansionistiche di alcuni paesi confinanti e, in particolare, è attanagliata dal
separatismo croato, alimentato in maniera moderata dal Partito Croato dei contadini, e in forma
estremista dal Partito croato del diritto, con all’interno la destra estrema guidata da Ante Pavelic. Il
re Alessandro sospende la Costituzione, scioglie il Parlamento e dichiara fuorilegge l’opposizione
con metodi repressivi. Oggetto della repressione regia sono i leader comunisti e del nazionalismo
croato. Ante Pavelic riesce a scappare, riparando prima a Vienna, poi in Ungheria e Bulgaria, per
finire in Italia, dove vivrà per dodici anni, grazie alla benevolenza del Duce. Questa “innaturale”
alleanza è dovuta alle esigenze di entrambi: Pavelić immagina uno Stato croato indipendente sotto
patronato italiano, Mussolini comprende la necessità di avvicinarsi e sovvenzionare il
separazionismo croato in funzione dell’allargamento dei confini italiani sulla penisola balcanica. Il
Duce assicura alloggio a Bologna, denaro e protezione con l’appoggio del capo della polizia segreta
Ercole Conti e del Ministro di Polizia Bocchini, oltre agli equipaggiamenti militari.
L’Italia diviene un vero e proprio quartier generale di Pavelic e degli Ustascia. E’ difficile
individuare una data precisa della nascita del movimento ustascia (insorti) per mancanza di fonti;
sappiamo che nascono come organizzazione, per poi diventare movimento nel 1933 “quando Ante
Pavelic vuole concedergli una caratterizzazione politica più larga, anche se fondamentalmente
rimane un chiaro gruppo terroristico”. 1 L’obiettivo politico è la nascita di uno Stato croato
indipendente da raggiungere a tutti i costi, mediante il terrorismo e la ferocia della lotta armata. E’
uno Stato dalla forte impronta cattolica, con una visione “superomistica” mutuata dal nazismo,
basata sulla superiorità dei croati e sulla necessità dell’epurazione delle razze inferiori, serbi in
primis, poi rom ed ebrei. Questo Stato è guidato da un caparbio condottiero, il Poglavnik, a cui
verrà dedicato un culto autoritario, come avviene con il Duce e con il Führer. Mentre Pavelic e altri
operano dall’estero, in Croazia l’ideologia ustascia viene diffusa clandestinamente
dall’organizzazione dei Krizari, degli integralisti cattolici e poi dai francescani. Il Poglavnik
rimane nel capoluogo emiliano fino al 1934, anno in cui re Alessandro Karadjordjevic viene
assassinato a Marsiglia durante l’attentato organizzato da Pavelic stesso. Questi sconta la pena del
carcere di Torino per due anni, e dopo girerà per diverse città italiane, sempre scortato e controllato.
Il Duce fa controllare l’avvocato croato per due ragioni: perché è un uomo noto e il rischio di
attentati non è così basso e, soprattutto, per tenere sotto controllo i rapporti con la Germania, che
potrebbe avere interessi verso i Balcani. Tra i vari soggiorni di Pavelic va ricordato quello a
Siena, che diventa il nuovo centro di gravità del movimento ustascia, e per la pubblicazione del
libro “Errori ed Orrori” scritto da Pavelic con lo pseudonimo Mrzlelski, in cui argomenta il
fascismo come unica dottrina e unica possibilità di salvezza dal pericolo bolscevico e dal
capitalismo dei paesi occidentali contro cui bisogna lottare. Poco prima dello scoppio della Seconda
guerra mondiale, sempre con l’avallo di Mussolini, l’attivismo ustascia è inarrestabile, a tratti
spasmodico. A Roma cominciano le pubblicazioni del periodico “Ustaša”, l’addestramento militare
viene incrementato e viene istituita la milizia “Ustaska Vojnica”. Sono gli anni in cui si infittiscono i
legami tra Pavelic e la chiesa cattolica croata, grande protagonista attiva del proselitismo in favore
degli ustascia, specialmente presso gli ambienti francescani e la facoltà di Teologia di Zagabria. Nel
frattempo il conflitto sta spargendo sangue in diverse parti e sono maturati i tempi per l’incontro
diretto tra Mussolini e Pavelic, che avviene a Roma il 29 marzo 1941. E’ necessario affrontare il
discorso dei confini: la Dalmazia rimane il tasto dolente, soprattutto per l’Italia ma, al contrario
delle aspettative, l’incontro si conclude in maniera favorevole per le mire espansionistiche fasciste.
In cambio dei vantaggi politico-economici-sociali di questa “federazione” tra Italia e Croazia, il
Poglavnik concede i territori dalmati. Inoltre il nuovo Stato croato avrà alla base una forte influenza
fascista. Mussolini ha una certa premura nel concludere l’affaire del nuovo Stato croato perché sono
sempre più evidenti gli interessi della Germania verso i Balcani e sempre meno remote le possibilità
collaborazione tra Pavelic e Hitler.
Il 1ºaprile 1941 il Poglavnik annuncia l’incombente realizzazione dell’agognata Croazia libera,
supportata dalle due potenze alleate, Italia e Germania. In quegli stessi giorni a Pistoia viene
istituito l’Esercito ustascia con circa 500 uomini pronti a tornare trionfanti in patria. Nel frattempo il
regno del principe Paolo è nel caos totale, bloccato e asfissiato nella stretta nazista, che da giorni
spinge per l’adesione della Jugoslavia all’Asse, cosa avvenuta di fatto a fine marzo dello stesso
anno. A nulla è servito il colpo di stato di Belgrado, che accelera solamente l’arrivo delle truppe
dell’Asse. Il Führer vuole la distruzione della Jugoslavia e il 6 aprile inizia l’Operazione Castigo,
senza alcuna preventiva dichiarazione di guerra. Mentre il regno dei Karadjordjevic viene ridotto in
macerie, il pomeriggio del 10 aprile 1941 l’ex colonnello dell’esercito austro-ungarico Slavko
Kvaternik proclama a Zagabria la nascita della “Nezavisna Drzava Hrvatska”, lo Stato Indipendente
Croato. Questo Stato nominalmente indipendente comprende la Croazia storica, tutta l’attuale
Bosnia-Erzegovina e parte della Dalmazia; sulla carta è una monarchia e diventa un protettorato
italiano dalla firma del Trattato di Roma del 18 maggio 1941, quando la reggenza è assegnata al
principe Aimone di Savoia-Aosta con il nome di Tomislao II, re fantoccio di uno Stato altrettanto
fantoccio, che non metterà mai piede in Croazia, dove il controllo è tutto nelle mani di Pavelic,
degli ustascia e del forte collaborazionismo con la chiesa cattolica. Il Poglavnik arriva nella capitale
a metà aprile e inizia così la storia dello Stato autoritario che si macchierà di molte efferatezze,
tanto da entrare nel novero dei maggiori crimini contro l’umanità. Lo Stato, secondo il Poglavnik,
deve essere la patria del popolo croato puro, avverso a qualsiasi incrocio razziale e alla libertà di
culto. E’ necessario liberarsi dei nemici serbi e del loro credo ortodosso, degli ebrei e dei rom. Entro
la fine di aprile i serbi dovranno indossare un bracciale blu con incisa la lettera P, iniziale di
Pravoslavni (ortodosso) mentre gli ebrei indosseranno la stella di Davide sulla manica. Nello Stato
ustascia solo i croati puri e coloro che hanno origini ariane godono di diritti politici. Ma il vero
nemico è il popolo serbo che costituisce un terzo della popolazione totale ed è la principale vittima
di quella che a tutti gli effetti è la soluzione finale che avviene per mano del fascismo croato.
Inizialmente i serbi vengono spinti a lasciare il territorio dello Stato croato secondo il motto ustascia
“Oltre la Drina oppure nella Drina”, oppure a rimanere nei confini convertendosi al cattolicesimo.
Sarà solo uno specchio per allodole iniziale perché la conditio sine qua non dello spazio vitale
croato è la distruzione biologica di questi nemici che “sporcano l’animo puro croato” con la loro
stessa esistenza. Iniziano i rastrellamenti casa dopo casa e nascono i primi luoghi di morte di massa,
prima nelle zone calcaree dei lager di Gospic e poi nel vero campo di concentramento, il campo di
Jasenovac, il più grande di tutta la Jugoslavia occupata, dove verranno uccise quasi 85.000 persone.
Le memorie scritte e orali hanno lasciato preziose testimonianze sui crimini commessi a Jasenovac,
le cui perversioni, sadismo, efferatezza superano l’immaginazione umana. I nemici della razza pura
croata vengono uccisi con armi da fuoco, martelli, impiccagioni, avvelenamenti, sfinimento fisico,
assideramento e varie torture quotidiane. Quando giungeranno i partigiani di Tito nel maggio del
1945 troveranno il campo distrutto e corpi non rimossi dagli ustascia.
1 Massimiliano Ferrara, Rivista di Studi Politici Internazionali, n. 3 (2001), pp. 465-490
(a cura di) Manuela Capece, Il separatismo croato e il legame con l’Italia, Storia e Memoria di Bologna

Le atrocità degli ustascia croati contro ebrei, comunisti e serbi ortodossi sono ben note. Un rapporto della Gestapo [!] del 17 feb. 1942 riferisce di azioni «bestiali […] soprattutto contro vecchi, donne e bambini indifesi.
Il numero di ortodossi torturati sadicamente fino alla morte dai croati si aggira sui 300 mila».
admin, Testa per dente, 10 febbraio 1947, 5 febbraio 2012