Guido Picelli

Guido Picelli – Fonte: La Resistenza tradita cit. infra

Dopo pochi mesi dalla sua costituzione, la federazione fu commissariata perché, al primo appuntamento politico rilevante del nuovo partito, le elezioni politiche del 1921, la lista comunista nel collegio elettorale fu volutamente presentata in ritardo e con incompletezza di firme di sottoscrittori e fu pertanto annullata: un caso clamoroso d’indisciplina <332. Ciò avvenne per agevolare l’elezione al parlamento di alcune «candidature di protesta» presenti nella lista dello PSI, che riguardavano organizzatori operai incarcerati, fra cui un uomo nuovo della sinistra parmense, un rivoluzionario assai vicino alle posizioni comuniste, Guido Picelli <333. Ufficiale nella prima guerra mondiale, socialista massimalista, segretario della Lega Proletaria fra mutilati, invalidi, reduci, orfani e vedove di guerra, fondatore e capo delle «guardie rosse» e poi degli «arditi del popolo» parmensi, due formazioni militari operaie che nella provincia assunsero una rilevante diffusione, incarcerato e fermato e arrestato numerose volte per attività rivoluzionarie, Picelli fu in effetti eletto nel maggio 1921; dimessosi dallo PSI alcuni mesi dopo, Picelli entrò formalmente nel PCd’I dopo le elezioni del 1924, ma in realtà, clandestinamente, nel settembre 1922, e diventò, di fatto, il leader provinciale del piccolo partito.
[NOTE]
332 Sul commissariamento, v. «l’Ordine Nuovo», 27 maggio 1921, “Partito Comunista d’Italia. Comunicati del Comitato Esecutivo”.
333 Su Guido Picelli (Parma, 1889 – Algora, Spagna, 1937) si veda la voce Guido Picelli di Tommaso Detti, in Franco Andreucci e Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, IV, Roma, Editori Riuniti, 1978, e soprattutto il saggio di Dianella Gagliani, Da Parma a Madrid. L’antifascismo di Guido Picelli, in Guido Picelli, a cura di F. Sicuri, Parma, Centro di Documentazione Remo Polizzi, 1987, pp. 7-65: superata invece, e comunque da usarsi con circospezione, la biografia Guido Picelli (1889-1937) in Pionieri dell’Italia democratica. Vita e scritti di combattenti antifascisti, a cura di Adriano Del Pont e Lino Zocchi, Roma, Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti, 1967, pp. 199-207. Letteraria e aneddotica, anch’essa superata e da tener presente con cautela critica, la ricostruzione della vita di Picelli in Mario De Micheli, Barricate a Parma, Roma, Editori Riuniti, 1960, p. 107 e segg.: il volume è ancora utile per le numerose notizie tratte da testimoni coevi. Più recente, F. Sicuri, Il guerriero della rivoluzione, cit., e, per il periodo della permanenza di Picelli in URSS, in particolare l’accurato saggio di Elena Dundovich, Gli anni di Guido Picelli in Unione Sovietica, in Storia di ieri, cit., pp. 26-33.
Fiorenzo Sicuri, Il regime fascista a Parma. 1925-1936, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Parma, 2013

È una storia da riscoprire, quella della resistenza italiana al fascismo iniziata fin dagli anni del squadrismo ad opera di protagonisti politicamente coraggiosi e tenaci. Spesso cresciuta o maturata nell’impegno pacifista durante la prima guerra mondiale, la resistenza al fascismo politicamente più efficace venne trascurata o emarginata dalla sinistra, sia socialista che comunista, ma anche dai popolari fin dal primo dopoguerra.
Certo si pensa ad uomini come il socialista unitario Giacomo Matteotti, il socioliberale Pietro Gobetti, il futuro azionista Emilio Lussu – interventista in un certo modo pentito che scriverà un libro straordinario di denuncia della Grande Guerra – il grande pensatore comunista Antonio Gramsci, e anche l’anarchico Errico Malatesta, che rompe all’inizio della guerra con Piotr Kropotkine.
In questo elenco, tra i nomi noti dobbiamo ricordare anche i fratelli Rosselli, assassinati dai sicari francesi della Cagoule, che in questi ultimi anni hanno avuto un riconoscimento anche da posizioni politiche più moderate.
Tra le figure dimenticate, troviamo invece diversi esponenti dell’antifascismo che furono protagonisti di una forma di lotta molto più radicale e anche molto coerente. Per loro il fascismo era il nemico principale ma in una lotta che però doveva inventare un mondo diverso. Erano comunisti, ma pagarono caro il loro impegno ideale e politico: prima vennero emarginati e poi perseguitati dalla terribile macchina stalinista, che condannava uno dopo l’altro i figli migliori della rivoluzione. E non solo in Unione Sovietica. Tra questi italiani ci sono ad esempio Francesco Misiano, Pietro Tresso o Guido Picelli.

È di quest’ultimo che Giancarlo Bocchi ha scelto di parlare in un film realizzato in Italia nel 2011 e giustamente intitolato Il Ribelle, un eroe scomodo.
Olivier Favier: Nel quartiere popolare dell’Oltretorrente di Parma c’è una statua di Guido Picelli che è ancora ricordato dai cittadini. Lo provano l’acceso dibattito intorno al progetto del sindaco “grillino” di spostarla o dell’ira dei cittadini dopo gli atti di vandalismo neofascista che sono stati perpetrati sul monumento. Qual è stato l’interesse della città intorno al tuo progetto? Fuori da Parma, come è stato accolto il film? Il nome di Picelli è ancora conosciuto?

Gruppo di Arditi del Popolo e di antifascisti del rione Trinità, protagonisti delle Barricate di Parma, ripresi nell’osteria di Spartaco Speculati in Borgo del Naviglio, a ridosso delle mura del carcere – Fonte: La Resistenza tradita cit. infra

Giancarlo Bocchi: Devo innanzitutto dire che il quartiere dell’Oltretorrente era un luogo unico nel panorama del “ribellismo” popolare europeo dall’800 fino alla fine degli anni ’70 del ‘900. Per quasi 200 anni in questo quartiere di Parma furono numerose le sommosse e le insurrezioni contro i governi ducali, del regno e della Repubblica.
Una parte della popolazione fu deportata in periferia negli anni del fascismo e nel dopoguerra il Partito comunista, che governò la città per 40 anni, agevolò la mutazione sociale del quartiere. Ma Guido Picelli è rimasto a Parma l’eroe popolare per eccellenza e il simbolo stesso della più grande vittoria contro il fascismo, ottenuta nel 1922 dalla popolazione dell’Oltretorrente contro 10 mila fascisti armati come un esercito. L’interesse dei cittadini di Parma per Picelli è ancora alto, ma io non ho voluto proiettare il film a Parma per protesta prima contro la giunta di destra che addirittura finanziò delle ricerche storiche per screditare la figura di Picelli e poi contro l’attuale sindaco che voleva addirittura spostare il monumento all’eroe antifascista. Il film ha riscosso un grande interesse nelle 30 località italiane dove è stato proiettato e ottimi indici d’ascolto per i passaggi televisivi sulla Rai. Grande interesse ha suscitato a Madrid dove è stato presentato alla Filmoteca Española e a Mosca dove è stato proiettato sia all’Archivio Nazionale del cinema sia alla Sala Eisenstein. Ora viene presentato a Parigi, dove Picelli svolse in due momenti la sua attività di rivoluzionario antifascista, e l’anno prossimo verrà presentato a Barcellona dove si svolsero i suoi funerali ai quali parteciparono nel 1937 100 mila persone.

Erezione delle barricate in via Bixio con i lastroni del selciato – Fonte: Il Parmense

OF: Come Misiano, che ricordavo nella presentazione, anche Picelli inizia la sua «carriera» politica col rifiuto della guerra. Per questo partecipa alla guerra come volontario nella Croce rossa italiana nel ’16. Durante la guerra, accetta però di entrare all’Accademia militare per diventare ufficiale. Inizia una vita di lotta, anche militare. Può sembrare un paradosso, ma è anche il rifletto di un carattere libero, in fondo poco dogmatico. Come si costruisce, in quelli anni di formazione, la figura militante di Guido Picelli?
GB: In un documento che ho trovato negli Archivi riservati moscoviti, Picelli spiega molto bene il suo passaggio dal “pacifismo” e dal “non interventismo” allo studio “dell’arte militare”. Ritiene che ci sia una sola guerra accettabile “quella degli oppressi contro gli oppressori”. Dopo che ha visto il proletariato massacrato nelle trincee, decide di accettare l’invito ad entrare all’Accademia militare per imparare a difenderlo. Ha meritato questo invito per i suoi atti di coraggio nelle file della Croce Rossa, che gli valgono due medaglie al valore. Nominato ufficiale torna al fronte ma non spara un solo colpo. Alla fine della guerra entra nel partito socialista e svolge un’intensa attività sindacale per riunificare le diverse organizzazioni dei lavoratori. Sviluppa in quel momento il suo pensiero politico che si può racchiudere in due parole: “Azione e unità”. Era antidogmatico e riteneva che per arrivare al cambiamento rivoluzionario e alla piena giustizia sociale la cosa più importante fosse l’unità delle forze della sinistra.
OF: La parte la più conosciuta della sua biografia inizia ai primi anni del fascismo. Picelli capisce subito la forza distruttiva del fascismo e lo combatte fin dall’inizio. Con pochi altri, non si ferma nella lotta dopo la marcia su Roma che porta Mussolini al potere, nell’ottobre 1922. Quale è l’originalità della suo impegno che rende unica, ad esempio, la resistenza di Parma alle squadracce fasciste nel 1922?

Il trincerone di Via XX settembre a Parma – Fonte: La Resistenza tradita cit. infra

GB: Picelli nel 1920 fonda le “Guardie rosse”, una formazione di autodifesa del proletariato e viene arrestato per avere bloccato un treno militare in partenza per un’avventura coloniale in Albania. Per alcuni mesi non può partecipare alle prime lotte contro gli squadristi fascisti e al Congresso di fondazione del Partito comunista d’Italia nel febbraio 1921. Ma nelle elezioni dello stesso anno viene eletto deputato per il Partito socialista e tirato fuori di galera con un plebiscito popolare.

Fonte: La Resistenza tradita cit. infra

Costituisce per primo in Italia “Gli Arditi del popolo”, una formazione armata di autodifesa dal fascismo ed è uno dei pochi politici a capire che solo con l’unità delle forze democratiche si può sconfiggere il nemico. La sua idea politica, antesignana dei Fronti popolari europei degli anni ’30, si concretizza nei fatti quando il 1 luglio del 1922 diecimila fascisti capeggiati da Italo Balbo e dai maggiori gerarchi fascisti assediano Parma, capitale dell’antifascismo, per metterla a “ferro e fuoco”. Si uniscono a Picelli gli anarchici, i socialisti, i comunisti, i repubblicani e i popolari (i cattolici). È in quel momento che Picelli mette in pratica la sua istruzione militare diventando il maestro italiano della “guerriglia urbana”. Dopo 5 giorni di battaglia i fascisti si sbandano e scappano lasciando sul campo 39 morti e 150 feriti. La Battaglia di Parma è la prima grande vittoria in Europea degli antifascisti. La seconda la otterrà sempre Picelli, il 1 gennaio del 1937 in Spagna, nella battaglia di Mirabueno, la prima vittoria repubblicana sul Fronte di Madrid. Ma tornando al 1922, nell’ ottobre, prima della marcia su Roma del fascismo, Picelli cerca in tutti i modi di convincere i partiti democratici ad unirsi al suo “Esercito rosso” per sconfiggere con le armi il fascismo, ma non viene ascoltato.

Fonte: La Resistenza tradita cit. infra

OF: Negli anni successivi, Picelli è incarcerato come tanti opponenti politici. Mentre Matteotti viene assassinato, Piero Gobetti o Giovanni Amendola muoiono in Francia in seguito alle ferite riportate da diverse aggressioni di strada. Nel 1932, Picelli riesce però a scappare prima in Francia, poi in Belgio. Anche qua, non è un fuoriuscito « normale ».
GB: Prima di essere incarcerato, Picelli svolge dal 1922 al 1926 una intensa attività clandestina per la costituzione di una struttura insurrezionale comunista. In pratica è il responsabile militare del Partito comunista. È vittima di numerose aggressioni e di due tentativi di sopprimerlo. I fascisti gli tengono diversi agguati. In uno di questi viene ferito da un colpo di pistola alla tempia, ma non riescono a fermarlo. Un mese prima dell’assassinio di Matteotti, ha il coraggio di ridicolizzare il regime fascista innalzando, il primo maggio del 1924, una grande bandiera rossa sul palazzo del Parlamento.

Picelli (primo a sinistra) durante il confino a Lipari – Fonte: Il Parmense

Dopo 5 anni di confino e di carcere, nel 1932 Picelli beffa la polizia fascista e riesce ad espatriare in Francia dove si ricongiunge con il fratello, vicino alle posizioni di Carlo Rosselli, e ai suoi Arditi del popolo. In Francia ci sono almeno 2000 fuoriusciti politici ed emigrati di Parma. La sua attività politica antifascista è interrotta dalla polizia francese che lo arresta e lo espelle in Belgio. Per aver partecipato alla lotta dei minatori del Borinage Picelli viene espulso anche dal Belgio. Dopo un periodo in Germania riesce ad arrivare in Russia dove gli hanno proposto di entrare all’Accademia militare dell’Armata Rossa.
OF: Fino all’uscita del tuo film, gli anni di Picelli in Unione Sovietica erano praticamente sconosciuti. Come hai scoperto che inizia per lui la parte più scomoda del suo percorso? So che hai fatto delle ricerche sui rapporti di Picelli con Palmiro Togliatti che era uno tra i più importanti esponenti del Comintern, mentre il regime stalinista affondava nel momento più buio della sua storia. Come sei riuscito ad accedere agli enormi archivi dell’Unione Sovietica?
GB: A Mosca tutte le promesse che Togliatti e i comunisti italiani avevano fatto a Picelli vengono disilluse. Invece che all’Accademia militare Picelli viene relegato in una fabbrica come semplice operaio. Picelli non sopporta la pavidità, l’opportunismo, il cinismo di Togliatti e dei suoi. Viene perseguitato. Gli vengono tolti alcuni incarichi politici, ma riesce fortunosamente a salvarsi e a partire per partecipare alla guerra di Spagna. Le difficoltà per trovare i documenti inediti che ho mostrato nel film non sono state poche. Ma alla fine dopo tre anni di ricerche sono riuscito a scoprire tutto quello che mi serviva. Credo che ci sono ancora molte verità sepolte negli archivi di Mosca che attendono solo di essere svelate. Di recente ho anche trovato tutti i documenti legati alla complessa ed avventurosa vita di Francesco Misiano, l’inventore del cinema sovietico. Come quella di Picelli è la storia di un comunista antidogmatico che venne perseguitato perché credeva nell’uomo e nella sua capacità di riscatto.

Foto trovata negli archivi di Mosca. È una delle due immagini esisitenti di Guido Picelli in Spagna. Si tratta di una riunione del battaglione Garibaldi alla caserma del Pardo a Madrid nel dicembre 1936. Sul muro tra le due finestre a destra sono appoggiati Guido Picelli (con berretto nero) e il parmense Amedeo Azzi (con berretto a punta), commissario politico del battaglione. Nella foto si riconoscono André Marty (Commissario delle Brigate internazionali) che sta scrivendo appoggiato al davanzale della prima finestra e Randolfo Pacciardi (comandante del Garibaldi) vicino al tavolo al centro della stanza – Fonte: La Resistenza tradita cit. infra

OF: L’ultimo anno di vita di Picelli, che lo porta nuovamente in Francia e poi nella Spagna della Guerra civile, conclude un percorso epico. Nelle azioni militari in Spagna, mostra nuovamente le sue eccezionali capacità militari, che già aveva fatto vedere nella sua difesa di Parma, 15 anni prima. Muore colpito da una pallottola alla schiena il 5 gennaio 1937. La sua morte fa pensare agli assassinii di tanti militanti anarchici, socialisti o i cosiddetti «trotskisti» perpetrati dagli agenti di Stalin, o alla morte di Pietro Tresso nel ’44, ucciso dai compagni partigiani francesi insieme ad altri dissidenti. Che si sa adesso degli ultimi mesi di Picelli?
GB: Non conosco bene la vicenda di Pietro Tresso e su questo non posso dire nulla. In Spagna ci sono stati molto episodi oscuri sui quali non è stata ancora fatta piena luce. Il maggiore responsabile degli omicidi dei comunisti antistalinisti del POUM, degli anarchici e degli altri dissidenti fu il generale Alexander Orlov dell’ NKVD. Purtroppo gli archivi del NKVD (poi diventato KGB) sono ancora chiusi. È anche chiuso l’archivio dei dispacci dell’OMS, il servizio segreto del Comintern che lavorava in stretto contatto con l’NKVD di Orlov. Devo premettere che è sbagliato pensare che gli organismi sovietici fossero un’entità monolitica. È possibile che l’NKVD non mettesse al corrente dei fatti più segreti l’Armata Rossa e viceversa. Durante le ricerche ho avuto però la fortuna di parlare con tre Garibaldini di Spagna. Due di loro, Antonio Eletto e Vincenzo Tonelli, anche se non videro chi colpì alle spalle Picelli, quel giorno erano sul posto. Ho anche avuto la possibilità di farmi spiegare da una persona, che lavorò in Spagna come traduttrice per l’NKVD le tecniche, veramente sorprendenti, che usavano per dissimulare la verità. Dopo aver scoperto vari documenti a Mosca, in Italia e in Spagna posso dire che la versione ufficiale della morte di Picelli è falsa. La mia è stata una indagine indiziaria. Come nei processi nei tribunali qualche indizio non conta nulla, ma dieci o venti indizi sono una prova. Ma non voglio togliere agli spettatori del film il piacere di scoprire da soli cosa accadde a Picelli.
OF: Il tuo primo film risale al 1982. Hai lavorato in Kosovo, in Afghanistan, in Somalia, in Palestina, sempre sui temi contemporanei e fuori dall’Italia. Questo è il tuo primo documentario storico, realizzato solo con immagini d’archivio. Come ti è venuta l’idea di raccontare questo sorprendente e antico “Ribelle”?

I funerali di Guido Picelli a Barcellona, cui parteciparono migliaia di persone – Fonte: La Resistenza tradita cit. infra

GB: In tutti i miei documentari su vicende contemporanee ho sempre cercato di dare voce a chi non ce l’aveva e di cercare la verità su fatti scomodi e dimenticati. Anche se sono originario dell’Oltretorrente di Parma, anche se vengo da una famiglia che ha sempre combattuto per la libertà e la giustizia sociale, anche se i miei nonni conoscevano bene Guido Picelli, non ho fatto questa lunga ricerca per questioni affettive cittadine. Ho cercato di dare voce a Picelli per far conoscere le sue idee e le sue azioni che mi sembrano molto attuali in questo momento. Gramsci diceva “la Storia insegna ma non ha scolari”. In questi anni è in atto un tentativo di annullare tutte le conquiste sociali ottenute in 200 anni di lotte. Sta avanzando un nuovo fascismo che si mimetizza negli apparati dei governi e delle istituzioni finanziarie internazionali. Questo mostro non si può combattere con le chiacchiere dei partiti tradizionali della sinistra, che almeno in Italia hanno ereditato i mali del “togliattismo”: opportunismo, pavidità, cinismo.
Se Picelli fosse in vita sarebbe con “gli indignados” o con i cittadini che protestano in Grecia o con chi si oppone nel mondo all’ingiustizia sociale e alla sopraffazione politica. E darebbe a tutti un semplice insegnamento: “Unità e azione”.
Dal sito http://dormirajamais.org
Redazione, Guido Picelli, ribelle scomodo, La Resistenza tradita, 31 maggio 2015

Al momento del ritorno nelle retrovie, da 600 uomini inviati al fronte il Battaglione Garibaldi, non ne contava che 350. <319 Tra i numerosi feriti vi erano Roasio e lo stesso Longo. A rimpinguarne le file giunsero da Albacete altri 500 volontari italiani al comando di Guido Picelli, militante ed ex deputato comunista, che nell’autunno del 1922, allora nelle file del Partito socialista, guidò la resistenza armata di Parma contro l’assalto delle squadre fasciste di Italo Balbo.
Guido Picelli, dopo anni di carcere e confino, era stato costretto a emigrare in Francia con la moglie, Paolina Ribecchi; espulso nel 1932, si rifugiò a Mosca dove si occupò della filodrammatica nella Sezione italiana del Club degli emigrati. Nella capitale sovietica tenne contatti con i compagni attivi dell’emigrazione, privilegiando i bordighisti, e incontrò, tra gli altri Dante Corneli, l’esule che, accusato di trotskismo, verrà internato nel campo di Vorkuta, oltre il circolo polare artico. Rientrato in Italia, Corneli sarà il più importante testimone italiano delle persecuzioni e delle repressioni staliniane durante gli anni del terrore.320
Nel 1936, con l’esplosione del conflitto spagnolo, Picelli ottenne l’autorizzazione di partire con la moglie per la Spagna; sostò per un breve periodo a Parigi dove prese contatti con Julian Gorkin, che lo invitò a prendere il comando di un battaglione del POUM. Giunto a Barcellona, e avvicinato dal compagno Ottavio Pastore, acconsentì di recarsi ad Albacete e ad assumere invece il comando di un consistente nucleo di volontari inglobato nel Battaglione Garibaldi.
Il 1° gennaio 1937 Picelli conquistò il villaggio di Mirabueno ma, alcuni giorni dopo, la morte lo raggiunse, e si ritiene su mandato stalinista, durante l’attacco del 5 gennaio alle alture di Aragosa sul fronte di Guadalajara.
Alla scomparsa del parmense – personaggio scomodo e poco ligio ai dettami del partito – “L’Unità” si premurò di porre in grande risalto la sua figura di combattente, con la pubblicazione dell’ultima lettera che egli aveva spedito alla compagna e la convocazione di un comizio promosso in suo onore. <321
Intorno alla sua morte, Gianni Furlotti sostiene che vi siano fondati motivi per presupporre «che Guido Picelli sia morto in terra di Spagna raggiunto dalla vendetta stalinista: risulterebbe infatti, in primo luogo, che la pallottola che l’ha colpito alla testa stroncandone l’esistenza [sia] stata esplosa alle sue spalle e non già, quindi, dal nemico fascista che aveva di fronte». <322
Nell’estate del 1945, Paolina Robecchi, dopo il suo rientro in Italia, avvalorò l’ipotesi dell’assassinio durante un colloquio avuto a Parma con Guido Torricelli, compagno del marito. La modalità della fine riservata a Picelli «non doveva essere una novità» e, prosegue Furlotti, la conferma della moglie «servì a riaprire il caso fra i compagni. Robecchi rimase a Parma per qualche giorno, quindi fu invitata a lasciare la città in modo sbrigativo. Si parlò allora di un intervento della polizia.
«Nel tempo si persero notizie sicure su di lei; fu fagocitata dall’apparato del PCI, e inviata lontano da Parma. Finì le sue traversie come impiegata alla CGIL di Palermo.» <323
L’ex partigiano comunista Giovanni Pesce, nel descrivere quel particolare momento della battaglia, addebita invece ogni responsabilità allo stesso Picelli e al suo comportamento troppo indipendente: «La marcia di avvicinamento fra boschi, burroni e avvallamenti – afferma infatti – procedette spedita grazie proprio al terreno accidentato. Picelli era in testa con l’arma puntata e sparò subito contro una pattuglia fascista emersa all’improvviso. Picelli era sempre in testa. Pacciardi e Roasio l’avevano richiamato più volte: “Devi comandare, non rischiare la tua vita ad ogni passo”. Raggiunse l’altura, sistemò la mitragliatrice, s’alzò di scatto, fucile nel pugno e cadde senza vita». <324
Anche Vidali, per suffragare la tesi dell’uccisione in battaglia, riporta, in un suo scritto, il rimprovero di Pacciardi per la rischiosa abitudine di Picelli di marciare «sempre alla testa delle truppe», mentre un comandante di compagnia non doveva andare «di pattuglia», mettendo a repentaglio la propria vita.325
In merito alla fine degli oppositori di Stalin, e Picelli era tra questi, lo scrittore Pino Cacucci parla di «morti oscure e sparizioni inspiegabili», e aggiunge che «la maggioranza degli antistalinisti uccisi da “pallottole vaganti”, o trascinati nelle camere di tortura clandestine della GPU, figurerà nel mucchio dei caduti senza nome, quello dei “dispersi” in azione». <326
Allora, anche “Il milite rosso”, che si ritiene corrisponda al nome di Pietro Nenni, pur senza formulare precise ipotesi accennò sul “Nuovo Avanti” a pallottole «perdute», colpevoli della morte di Picelli. <327
[NOTE]
319 Cfr. P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, cit., p. 135.
320 Cfr. D. Corneli, Il redivivo tiburtino: 24 anni di deportazione in Urss, Milano, La Pietra, 1977.
321 Cfr. L’omaggio del Fronte popolare di Madrid al comandante Guido Picelli, “L’Unità”, n. 2, 1937.
322 G. Furlotti, Parma libertaria, Pisa, BFS edizioni, 2001, p. 204
323 Ibidem, p. 205
324 G. Pesce, Senza tregua. La guerra dei Gap, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 49.
325 Cfr. Testimonianza di Pacciardi, rip. in: V. Vidali, Spagna lunga battaglia, cit., p. 281.
326 P. Cacucci, op. cit., p. 154. Su Guido Picelli cfr. inoltre un altro romanzo storico di P. Cacucci, Oltretorrente, Milano, Feltrinelli, 2003.
327 Il milite rosso, Il battaglione Garibaldi sul fronte della libertà, “Nuovo Avanti”, 30. gennaio 1937.
Mirella Mingardo, Il Partito Comunista Italiano e la guerra civile spagnola tra processi staliniani e disagio popolare. La stampa clandestina (1936-1939), Giornalismo e Storia

Guido Picelli – Fonte: Giornalemio.it cit. infra

[…] In seguito all’inasprirsi delle violenze fasciste contro le organizzazioni e le sedi del movimento operaio e democratico, l’Alleanza del Lavoro (costituitasi sotto la pressione delle masse) proclamò lo sciopero generale il 31 luglio 1922. Alle prime minacce di rappresaglia dei fascisti, venne fatto cessare ovunque… ma non a Parma.
All’alba del 2 agosto affluiscono nella città ducale circa 10 mila squadristi. Il Comando degli Arditi appena ebbe notizia del loro arrivo convocò d’urgenza i capi squadra e capi gruppo e dette loro disposizioni per la costruzione immediata di sbarramenti, trincee, reticolati, con l’impiego di tutto il materiale disponibile. La popolazione operaia scese per le strade, impetuosa con picconi, badili, spranghe ed ogni sorta di arnesi, per divellere pietre, selciato, rotaie del tram, scavare fossati, erigere barricate con carri, banchi, travi, lastre di ferro e tutto quanto era a portata di mano. Dopo tre giorni di combattimenti, le truppe guidate da Balbo devono battere in ritirata lasciando sul campo trentanove morti e centocinquanta feriti. Cinque sono i caduti tra i valorosi difensori di Parma.
L’idea del “fronte unico” che unisce per la prima volta anarchici, comunisti, socialisti e repubblicani, si rivela trionfale ma viene ugualmente avversata dai leader delle sinistre. Dalle pagine del suo giornale “L’Ardito del Popolo”, il primo ottobre del ‘22 Guido Picelli lancia un appassionato appello per la costituzione dell’Esercito rosso in grado di insorgere e di combattere per la libertà.
Un appello che non verrà raccolto, la grande occasione mancata dell’antifascismo italiano.
Lo stesso Lenin criticherà Amedeo Bordiga, chiuso nel suo settarismo alle istanze di Picelli e degli Arditi del popolo.
La marcia su Roma e la successiva nomina di Mussolini presidente del Consiglio non fermano l’azione di Picelli che nello stesso anno scioglie gli Arditi e costituisce un’organizzazione clandestina chiamata “Gruppi segreti d’azione”. Le autorità di polizia stendono allarmanti rapporti sulla sua attività, è costantemente pedinato e spiato. Nell’aprile del 1924 si svolgono le elezioni politiche, i fascisti ottengono lamaggioranza in un clima di violenze e abusi. Picelli viene rieletto con i soli voti dei compagni dell’Oltretorrente nella lista di Unità Proletaria formata dagli aderenti alla Terza Internazionale e dai comunisti. Si ribella al decreto di Mussolini che abolisce la Festa dei lavoratori e il 1° maggio entra in Parlamento con una grande bandiera rossa che inalbera sul pennone di Montecitorio. Come deputato viaggia per il Paese per incontrare segretamente i compagni e organizzare la struttura insurrezionale clandestina, neanche le imboscate delle camicie nere riescono in alcun modo a placarlo.
Dopo il fallito attentato al duce, vengono sciolti tutti i partiti politici e dichiarati decaduti i deputati, è così sopresso l’ultimo residuo di democrazia in Italia. L’8 novembre 1926 Guido Picelli viene arrestato insieme a tanti altri leader antifascisti, dopo dieci giorni (senza indagini e senza processo) una commissione di gerarchi lo condanna a 5 anni di confino.
Viene inizialmente confinato a Lampedusa, ma nel marzo del’27 è trasferito a Lipari: un inferno nel quale i confinati patiscono la fame e le continue violenze dei carcerieri e dei militi fascisti.
La compagna Paolina, conosciuta durante un viaggio in Svizzera, ottiene dalle autorità il permesso di sposarlo e lo raggiunge sull’isola dove il 10 marzo ha luogo il matrimonio. Alla fine del 1927 Picelli viene deferito al Tribunale speciale per ricostituzione del Partito Comunista, rimarrà imprigionato nel carcere di Siracusa per nove mesi in attesa di giudizio. Prosciolto dalle accuse viene ricondotto a Lipari.
Per poco non riesce ad attuare la fuga; l’evasione riesce a Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti nel luglio del 1929, una beffa al regime che ha un’eco internazionale. Sempre con l’accusa di ricostituzione del Partito Comunista, nel 1930 è incarcerato a Milazzo per 70 giorni. Viene prosciolto e di nuovo confinato a Lipari.
Il 9 novembre 1931 Picelli viene rilasciato. Ha il permesso si raggiungere a Milano la moglie Paolina, lì ha modo di vedere la tremenda crisi economica che costringe i proletari a mendicare la minestra e il pane presso caserme e monasteri.
Nel febbraio del 1932 riesce a fuggire da Milano con l’aiuto di Soccorso rosso e attraverso la Svizzera raggiunge Parigi. Per incarico del Partito Comunista, gira la Francia svolgendo un intenso lavoro di propaganda; tiene conferenze e comizi a Lione, Marsiglia, Tolone e in altre città dove la sua forza di agitatore provoca animate discussioni. La sua attività politica non sfugge alla polizia francese, viene arrestato ed espulso dal paese. Inseguito dalla pressante attenzione dell’Ovra, raggiunge il Belgio. Nella provincia del Borinage continua il suo lavoro di agitazione politica tra i minatori impegnati da tempo in una dura lotta. Arrestato, viene espulso anche dal Belgio.
Con Paolina (attraverso il Lussemburgo) raggiunge Berlino dove è atteso nella sede del Comintern per l’Europa occidentale.
Il 21 agosto 1932, Picelli lascia un paese sull’orlo del baratro, che ricorda l’Italia di dieci anni prima, e si imbarca ad Amburgo assieme alla moglie sulla motonave russa Sibir. Arrivano a Mosca esattamente cinque giorni dopo, il Partito alloggia la coppia italiana non nell’hotel dei dirigenti, il Lux, ma nella stanza n°8 del modesto albergo Majak. Guido Picelli, due volte deputato e importante dirigente politico durante la segreteria di Gramsci, viene mandato a lavorare nella fabbrica Cuscinetti a sfera – Kaganovic come apprendista nel reparto limature.
Accetta in maniera disciplinata l’incarico anche se vorrebbe seguire i corsi dell’Accademia militare dell’Armata Rossa “Michail Frunze”, come gli era stato promesso dal Partito, che invece continua a tenerlo in fabbrica. Il salario è basso, il lavoro pesante e vive con la moglie in una stanza minuscola. Paolina si arrangia dando lezioni private di italiano. Nel maggio del 1933, Picelli decide di scrivere a Ercoli (Palmiro Togliatti) chiedendo ancora una volta di entrare all’Accademia militare. La lettera non ha risposta. Ma Gallo (Luigi Longo) si muove di sua iniziativa per fargli ottenere un incarico, seppur saltuario, alla Scuola leninista internazionale.
Al Club degli internazionali Picelli torna ad occuparsi di teatro, mettendo in scena un suo testo sulle Barricate di Parma, spettacolo che viene replicato con successo nelle fabbriche. Scrive e rappresenta altri due lavori, “Gramsci in carcere” e “La Spagna in fiamme” sulla rivolta delle Asturie dove interpreta il ruolo profetico del combattente indomito che cade colpito dal nemico.
Nell’autunno del 1934, inaspettatamente, Picelli viene licenziato dalla Scuola leninista e viene cancellato il corso di tattica e strategia militare che teneva. Il 1° dicembre dello stesso anno, in circostante mai chiarite, viene assassinato a Leningrado Sergej Kirov, un dirigente neo-eletto nel Comitato Centrale che godeva di una grande popolarità. E’ il pretesto, da parte di Stalin, per scatenare una dura repressione solo l’inizio.
Nei primi mesi del 1936 viene accusato di aver organizzato nella sua abitazione di Mosca una riunione “frazionista”, il Comitato politico di fabbrica lo accusa di essere stato un ufficiale monarchico durante la Grande Guerra, lo definiranno un “frazionista e servo della borghesia”.
Guido Picelli reagisce con coraggio all’imminente processo politico, anticamera della deportazione, con una lettera durissima indirizzata al Comitato di fabbrica: “Si è detto che io non sono un operaio, ma un ufficiale di chissà quale origine sociale. No, io sono un operaio e figlio di operai. Chiedete di me alle masse lavoratrici di tutta l’Emilia, del proletariato di Roma e di gran parte dell’Italia.
Sfogliate qualche giornale del lungo periodo di lotte che va dal 1919 al 1926; quando dal Parlamento, dalla piazza, dalle barricate, io mi battevo contro la guerra, contro il fascismo, per il pane, per la libertà della classe operaia e per la difesa dell’URSS”.
Nel luglio del 1936 il Fronte Popolare spagnolo, vincitore delle elezioni, viene minacciato da un colpo di Stato del generale Francisco Franco e molti rifugiati vogliono partire per la Spagna. Al Comintern, Palmiro Togliatti e Antonio Roasio decidono chi tra gli italiani potrà lasciare l’Unione Sovietica. Alcuni riescono a partire, altri vengono deportati in terre lontane, nell’est.
Il 14 ottobre 1936, Picelli riesce a lasciare l’Urss come capogruppo di altri compagni che partono per la Spagna. Arrivato a Parigi incontra Michele Donati, che insieme ad altri dissidenti gli fa conoscere Jùlian Gorkin del POUM (Partit Obrer d’Unificaciò Marxista). Raggiungerà assieme a loro Barcellona dove nella sede del Partito, all’Hotel Falcon, conoscerà il leader Andreu Nin, già segretario di Trotsky, il quale gli offre il comando di un battaglione. Il vecchio compagno e amico Ottavio Pastore, viene mandato in missione a Barcellona per convincere Picelli ad aderire alle Brigate Internazionali. Pur consapevole dei rischi che ormai corre dopo i suoi contatti con il POUM accetta l’offerta di comandare una formazione italiana dove si sono arruolati molti dei suoi Arditi del popolo di Parma.
Gli verrà affidato il comando del 9° Battaglione delle Brigate Internazionali, 500 uomini. In seguito verrà inglobato dai commissari politici stalinisti nel “Garibaldi”, verrà accolto con grande entusiasmo.
La prima vittoria repubblicana sul fronte della difesa di Madrid è opera di Picelli che con un’azione fulminea sfonda le linee nemiche conquistando Mirabueno e catturando decine di franchisti. Ma a battaglia conclusa la vittoria è funestata dal fuoco amico dei caccia russi che provocano sei morti mitragliando inspiegabilmente i garibaldini, i commissari politici fanno circolare la voce (del tutto infondata) che Picelli sia il responsabile dell’errore dei piloti russi. In quei giorni sono in molti ad esser preoccupati del suo destino, come testimonieranno sia il comandante Gustav Regler che Randolfo Pacciardi nelle loro memorie. Il 5 gennaio 1937, alla testa di due compagnie del Garibaldi, Guido Picelli attacca la collina El Matoral, nei pressi di Algora, cogliendo di sorpresa i franchisti. Molti vengono catturati mentre altri fuggono verso lo sperone scosceso e fortificato del San Cristòbal che Picelli subito decide di attaccare. Pochi istanti dopo, ai piedi del San Cristòbal è colpito alle spalle, all’altezza del cuore. Non viene soccorso. Il corpo abbandonato sul campo, viene ritrovato solo il giorno dopo dall’amico e ufficiale del Battaglione Garibaldi, Giorgio Braccialarghe. In quelle giornate, l’elenco della Compagnia di Picelli finirà “inspiegabilmente” nelle mani dei servizi segreti franchisti. Gli verranno tributati ben tre funerali di Stato. A Madrid l’orazione funebre è tenuta da Giuseppe Di Vittorio, l’amico che nel 1922 era stato Ardito del popolo a Bari. A Valencia intervengono alle esequie alti esponenti del governo repubblicano. Al funerale di Barcellona partecipano decine di migliaia di persone, i giornali parlano di oltre 100 mila persone; in testa al corteo c’è il generale sovietico Vladimir Antonov-Ovseenko, il bolscevico che nel 1917 guidò l’attacco al Palazzo d’Inverno.
Verrà richiamato in patria, arrestato e giustiziato. Ad un anno dalla sua morte, alti ufficiali delle Brigate Internazionali proposero di conferirgli l’Ordine di Lenin, la più alta onorificenza sovietica. Ma Antonio Roasio, dell’Ufficio quadri del Comintern e commissario politico del Battaglione Garibaldi, si premurò di stilare un rapporto destinato a screditare la memoria di Picelli. Un rapporto basato unicamente su fonti indirette. Non sarà nemmeno questo ultimo tradimento a scalfire la figura limpida del grande rivoluzionario che Guido Picelli fu.
Una vita dedicata alla difesa ed al rilancio del proletariato internazionale, negli anni più tragici.
Chiudo con un suo aforisma “… vi è una legge umana naturale e di giustizia, che spinge tutti i popoli oppressi ad unirsi, affratellarsi, al di sopra dei confini, delle barriere! Non vi sono… reazione o fascismo, che possano imporre le barriere alle idee di libertà e d’uguaglianza… malgrado le proibizioni, passano i confini, vanno aldilà dei monti e degli oceani, conquistano gli stati, le città, i villaggi, e come la luce e l’aria penetrano ovunque e nessuna forza può contenerle!”
Roger Savadogo, Guido Picelli, un eroe rivoluzionario, La Voce delle Lotte, 1° luglio 2017

Fonte: Giornalemio.it cit. infra

Nati da una costola di sinistra del arditismo che voleva opporsi allo squadrismo, gli Arditi del Popolo si costituirono nel luglio del ’21 a Roma. <99 La nuova formazione, con il suo comandante Argo Secondari, lanciò da subito un appello ad usare le medesime tecniche di lotta dello squadrismo per difendersi dalle violenze. <100 Dopo la prima apparizione in pubblico, il 9 luglio in occasione di una manifestazione romana contro isoprusi fascisti, cominciarono a sorgere rapidamente ovunque dei Comitati di Difesa Proletaria al cui interno si andarono organizzando nuove squadre di Arditi. <101 La straordinaria rapidità con cui quell’esperienza si diffuse non può che indurre a riflettere su quanto fosse sentita necessaria una qualsiasi manifestazione di opposizione organizzata allo squadrismo: nel giro di pochissime settimane l’organizzazione raggiunse capillarmente buona parte del Paese, in particolare le zone maggiormente colpite dalle violenze fasciste.
[…] Negli Arditi del Popolo confluirono militanti o simpatizzanti di buona parte delle forze attaccate dal fascismo: dai comunisti ai repubblicani, dai socialisti ai popolari, e molti, moltissimi, anarchici. <103 Ha sottolineato anche Francescangeli come sia solo possibile ipotizzare la forza numerica complessiva del fenomeno: si parla, per l’estate del ’21, di circa 20.000 membri. <104
Questa esperienza fu il tentativo più importante di rompere, usando le sue stesse armi, lo schema di violenza portato avanti dallo squadrismo. <105 Uno dei primi avvenimenti che vide protagonisti gli Arditi del Popolo fu la difesa della città di Viterbo dall’attacco di alcuni fascisti perugini; ma l’azione che li propose sulla ribalta nazionale furono i così detti “Fatti di Sarzana” (21 luglio). <106
L’arditismo di sinistra non ebbe vita facile: perseguito con fermezza dagli organi di polizia ed inadeguatamente sostenuto da socialisti e comunisti, la creatura di Argo Secondari sarebbe ben presto entrata in crisi. <107 «L’unica componente sovversiva», ha scritto Francescangeli, «rimasta a sostenere apertamente l’arditismo popolare è, dall’autunno del ’21 in poi, quella libertaria». <108 Nell’estate del ’22 si registrarono le ultime isolate azioni, culminate con la difesa di Parma durante i primi giorni d’agosto: alcune squadre, guidate del deputato socialista Guido Picelli e sostenute da buona parte della popolazione, furono in grado di respingere l’assalto di circa 15.000 squadristi comandati dal ras di Ferrara Italo Balbo. <109 «Dopo la sconfitta proletaria dell’agosto 1922 quasi ovunque i pochi nuclei residui di arditi del popolo si dissolvono progressivamente». <110 Paolo Spriano avrebbe brillantemente definito quest’arditismo popolare come una «meteora nel cielo incandescente della guerra civile». <111
Quello che interessa nell’economia del nostro lavoro è la sicura partecipazione a quella esperienza di almeno venti futuri volontari; un dato tutt’altro che irrilevante se si considera che tra i due momenti sarebbero passati ben quindici anni. <112
[…] «Ai primi di dicembre», avrebbe ricordato Giuseppe Bifolchi, «la colonna entrò in crisi. Molti dei volontari erano abbagliati dalle notizie ch’essi leggevano sugli avvenimenti delle Brigate Internazionali ed in particolare del loro “Battaglione Garibaldi”, che aveva avuto il battesimo del fuoco in Madrid. Alcuni di loro avrebbero voluto andarsene lì; e subivano inoltre pressioni a farlo. Alcuni, approfittando del passaggio da Barcellona dell’avvocato comunista Guido Picelli, si recarono a lui per con lui marciare ed incorporarsi alle Brigate. Tra di essi li professore Jachia. Il fatto che il battaglione “Garibaldi” fosse comandato da Pacciardi – del Partito Repubblicano Italiano – pareva
fugare qualsiasi sospetto che potesse trattarsi di una unità controllata dai comunisti».
[…] Sul numero successivo del periodico giellista apparve, come editoriale, un lungo appello dello stesso fondatore di GL intitolato Per l’unità dell’antifascismo italiano. Sembrava che Rosselli avesse fatto finalmente propri i precedenti appelli di Lussu: “[…] A migliaia sono andati laggiù, gli antifascisti italiani. Sacrifizio non di disperati, ma di rivoluzionari realisti che dalla piccola cronaca si inoltrano nella storia. Uomini per lo più giovanissimi, ma che talvolta hanno i capelli grigi o bianchi come Picelli o Jacchia; uomini che hanno lasciato mestiere, professione, famiglia, situazioni spesso ottime, per rispondere presente: presente alla rivoluzione che arriva in Occidente. L’Italia ideale di Amendola, Matteotti, Gobetti, ha trovato finalmente il suo braccio, l’azione. Grande fatto, antifascisti. I profeti non sono più disarmati. E i discendenti dei profeti, col fucile in mano, hanno acquistato una coscienza nuova. Al di sopra delle divisioni, eleviamoci all’altezza dell’evento che consacra l’affermarsi di un nuovo stile e di una nuova élite, e assieme seppelliamo le rivalità antiche e recenti”. […]
99 «Essendo gli intervenuti troppo numerosi, i tavoli vengono portati fuori dalla sede, sulla piazza dei Quiriti e, a lume di candela, vennero compilati i ruolini delle compagnie: numerosi operai di ogni categoria vi entrarono a far parte, insieme a ex combattenti, arditi, legionari fiumani. Alla fine, dopo che il primo battaglione ebbe sfilato in ordine militare, Secondari parlò alla folla e chiese gli arditi di giurare». (Francescangeli, op. cit., p. 55). Per la vicenda degli Arditi del Popolo oltre al testo appena citato di Francescangeli si veda anche: Ivan Fruschini. Gli Arditi del Popolo, Longo Editore, Ravenna 1994, Ferdinando Cordova. Arditi e Legionari Dannunziani, Marsilio, Padova 1969 e Marco Rossi. Arditi, non gendarmi! Dall’arditismo di guerra agli Arditi del popolo (1917-1922), BFS, Pisa 1997.
100 «Il fatto di rispondere alla violenza organizzata e scientifica delle squadre fasciste, scendendo sullo stesso terreno, viene letto dalle classi lavoratrici più come una necessità che come una teorizzazione di principio. Le masse proletarie, stanche dei crimini fascisti, vedono concretizzarsi nella nuova organizzazione che dichiara di opporsi militarmente alle formazioni agrario-padronali, quella volontà di riscossa che trae origine dal semplice istinto di sopravvivenza». (Francescangeli, op. cit., p. 59).
101 «Da Trento a Palermo, da Genova a Taranto, gli Arditi del Popolo – in tempi e modi differenti – fanno la loro comparsa. […] L’espansione della milizia antifascista avviene soprattutto lungo le direttrici strategiche, che seguendo le linee stradali e ferroviarie, da Roma conducono ad Ancona e Genova. Ma anche in molti altri comprensori al di fuori di queste sue vie di comunicazione gli Arditi del Popolo riescono a costituirsi in gruppi numericamente ampi. Lungo il primo asse di sviluppo, oltre che a Roma e ai Castelli, gli Arditi del Popolo costituiscono nuclei davvero consistenti e combattivi ad Orte (dove i ferrovieri organizzano centinaia di giovani), Terni (diretti da Carlo Farini), Foligno, Gualdo Tadino, Ubrino, Ancona (organizzati da anarchici e comunisti). Mentre lungo la litoranea tirrenica si contano sezioni dell’associazione di Civitavecchia (nell’ottobre la sezione più numerosa del Lazio), a Orbetello, Grosseto, Piombino (più di seicento), Livorno, Pisa (circa quattrocento nella sola città), Sarzana, La Spezia e Genova (con tre centurie e varie centinaia di giovani militanti operai). Sezioni importanti si costituiscono anche – come è ovvio – nelle regioni maggiormente colpite dalle violenze squadristiche (in Emilia Romagna, in Lombardia, in Piemonte e in Puglia) e nelle principali città italiane. Di una certa consistenza sono, a riguardo, quelle di Parma (guidate da Picelli), Piacenza, Brescia, Bergamo (qui sono inquadrati anche i lavoratori delle organizzazioni cattoliche), del Pavese, di Vercelli (organizzata da Francesco Leone), Alessandria, Torino, Firenze, Catania, Taranto e di molti altri centri pugliesi. […] Le proporzioni dell’exploit del movimento sono percepibili vagliando il livello di capillarità raggiunto: anche piccoli o piccolissimi centri hanno la loro sezione degli Arditi del Popolo. Per dare un’idea basti dire che nel Pesarese-Urbinate sono presenti a Fano, Urbino, Cagli, Fossombrone, Sant’Angelo di Vado e Fremignano. Il borgo operaio di Papigno, vicino Terni, conta più iscritti della città.
Nell’allora provincia di Pisa vengono fondate sezioni (oltre che nel capoluogo e a Piombino) a Cascina, Pontedera, Ripabella e Campiglia Marittima e gli esempi potrebbero continuare». (Ivi, pp. 62-64).
102 Maniera, op. cit., p. 18.
103 Per il caso di Ancona, Maniera riferì: «Gli arditi del popolo erano abbastanza numerosi. Ne facevano parte i comunisti, i giovani comunisti, parecchi anarchici anche se molti di questi ne rimasero fuori per la loro avversione a qualsiasi tipo di organizzazione, specialmente militare, qualche socialista ed un numero considerevole di senza partito». (Ivi, p. 19).
104 Francescangeli, op. cit., p. 64.
105 Emblematico, in questo senso, un episodio raccontato ancora da Aristodemo Maniera: «Un giorno giunse notizia agli arditi del popolo che a Falconara alcuni fascisti avevano schiaffeggiato una ragazza per il semplice motivo che indossava un costume da bagno rosso. Un centinaio di arditi del popolo si imbarcarono ad Ancona su tre grosse paranze da pesca e bordeggiando puntarono verso la spiaggia di Falconara Marittima. Gli improvvisati navigatori presero terra al canto dei loro inni rivoluzionari tra gli applausi fragorosi della folla dei bagnanti. Gli arditi del popolo, al comando del socialista Pietro Contuzzi (più tardi membro del PCI) percorsero la spiaggia e si portarono al centro di Falconara: furono puniti alcuni fascisti e fu imposta la chiusura del negozio di un noto fascista. Il comando di polizia di Falconara non poté che limitarsi a chiedere rinforzi alla Questura di Ancona che in tutta fretta inviò camion carichi di poliziotti. Prima che questi giungessero, gli arditi del popolo ripresero il mare e non fu difficile trarre in inganno le forze di polizia che speravano di sorprenderli al momento dello sbarco». (Maniera, op. cit., pp. 20-21).
106 Francescangeli, op. cit., pp. 73-77.
107 «L’iniziativa degli Arditi del popolo, che si diffuse spontaneamente e con rapidità in diverse parti d’Italia, in un intreccio di neocombattentismo antifascista e di avanguardia armata proletaria nel corso dell’estate del 1921, fu costretto praticamente alla dissoluzione dal fatto di essergli mancato l’appoggio dei partiti operai e in particolare del partito comunista, non disposto ad assicurare la collaborazione dei suoi militanti ad un movimento che non fosse sua diretta emanazione e che non fosse da esso direttamente controllato». (Collotti, op. cit., p. 98).
108 Francescangeli, op. cit., p. 109. Secondo Francescangeli la figura chiave nella repressione degli Arditi del Popolo fu quella dell’allora presidente del consiglio Ivanoe Bonomi.
109 Ivi, pp. 131-139.
110 Ivi, p. 140.
111 Paolo Spriano. Storia del Partito Comunista Italiano. Volume I – Da Bordiga a Gramsci, Einaudi, Torino 1967, p. 139.
112 Questo l’elenco: Libero Bodini, Giuseppe Burgio, Emilio Canzi, Silvio Casella, Antonio Cieri, Italo del Proposto, Luigi Fascicoda, Virgilio Gozzoli, Ilario Margarita, Umberto Marzocchi, Adelino Paini, Adolfo Pintucci, Vindice Rabitti, Giuseppe Raffaelli, Paolo Roncali, Ludovico Rossi, Marcello Santini, Anacleto Sartori, Egisto Serni e Gelindo Zanasi.
Enrico Acciai, Viaggio attraverso l’antifascismo. Volontariato internazionale e guerra civile spagnola: la Sezione Italiana della Colonna Ascaso, Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia, 2010

Fonte: Giornalemio.it cit. infra

[…] Il 5 gennaio 1937, sulle alture spagnole di El Maroral, una pallottola vigliacca colpiva alle spalle e uccideva Guido Picelli, comandante del Battaglione Garibaldi composto da volontari delle Brigate Internazionali. Fu a Barcellona in una giornata di primavera del 1994, che mi venne raccontata per la prima volta la storia di uno degli oppositori antifascisti più importanti e ingiustamente anche più misconosciuti della storia della Resistenza Italiana. Josè un vecchio miliziano anarchico che mi era stato presentato da un mia cara amica catalana, mi aveva invitato a casa sua, perchè ci teneva a farmi vedere una fotografia dove c’è «quel comunista italiano, Picelli, il più grande comandante militare delle Brigate Internazionali». Josè Carlos mi accoglie con la solita cordialità, ed è subito ansioso di mostrarmi quella fotografia scattata se non ricordo male nei primi mesi di guerra del 1936, dove vicino al leggendario capo dell’anarchismo spagnolo Buenaventura Durruti e ad Andrès Nin segretario politico del POUM , c è un uomo alto che ha un portamento elegante e fiero che incute rispetto. Mi colpiscono gli occhi intensi, luminosi, e magnetici, che hanno solo quelli che sono disposti a sacrificare la propria vita per l’ideale in cui credono;e infatti a me sembrò di vedere lo stesso sguardo intenso che ha il “Che” nella famosissima fotografia di Alberto Korda. Il vecchio anarchico osserva in silenzio, compiaciuto, il mio stupore e la mia emozione, poi in un italiano stentato ma comprensibile mi disse che «con i comunisti stalinisti negli ultimi mesi della Guerra Civile arrivammo allo scontro armato come e anzi peggio che con i fascisti, ma ai funerali di Picelli , qui a Barcellona noi miliziani della Colonna Durruti c’eravamo tutti per rendere onore a quell’eroe purissimo.» Ma chi era quest’uomo coraggioso, altruista, nobile, libertario e beffardo? Madre portinaia, padre cocchiere, Picelli nasce a Parma il 9 ottobre 1899, cresce nei borghi dell’Oltretorrente, covo di un popolo ribelle. Fa le medie poi va a lavorare come orologiaio. La sua passione è il teatro. Ha 17 anni quando dice alla madre «Metti giu’ il riso che torno». Rimase invece via sei o sette anni, percorrendo tutta l’Italia come attore girovago. Ritornò all’inizio del 1912 e, affacciandosi alla porta di casa, domandò come niente fosse: «Mamma, è cotto il riso?»
Tutta la vita di Guido Picelli fu improntata a questa sua libera visione della vita. Al Partito socialista aderi giovanissimo; decisamente contrario all’intervento dell’Italia nella prima Guerra Mondiale, quando fu chiamato alle armi ed inviato al fronte si comportò tuttavia valorosamente . Fu congedato nel 1919: dalla guerra ereditò una medaglia, il grado di tenente ed una ferita alla gamba che l’obbligava a zoppicare; aveva inoltre acquisite alcune nozioni di tecnica militare che gli sarebbero servite alcuni anni dopo. Riapri il suo negozietto di orologiaio, ma la sua mente stava ormai orientandosi in modo deciso verso l’attività politica. Uno dei problemi sociali più gravi era allora quello dell’assistenza morale e materiale alle vittime della guerra. Guido divenne dirigente provinciale della Lega proletaria mutilati invalidi e vedove di guerra. Ma sulla scena politica italiana era apparso il Fascismo. Picelli ebbe subito l’intuizione sicura della natura di classe del fascismo, nonostante la demagogia, le mistificazioni pseudo – sindacali che esso impiegava , specialmente in provincia di Parma, per allargare la sua base di massa. Allo stesso modo egli non aveva alcun dubbio circa la necessità di mantenere l’unità della classe operaia, particolarmente nell’organizzazione sindacale, se si voleva fronteggiare il nuovo pericoloso nemico. Fu all’epoca dell’occupazione delle fabbriche , nel settembre 1920, che Guido fondò a Parma la «Guardia rossa autonoma», un’organizzazione operaia a carattere militare da contrapporre alle violenze fasciste. I membri di questo corpo erano tutti giovani socialisti, ma agivano in modo del tutto autonomo dalla Direzione del Partito Socialista, la quale ne vedeva anzi con sospetto l’attività. Nonostante le profonde divergenze interne, la «Guardia rossa autonoma» seppe condurre alcune azioni di una certa efficacia, come quella che portò, nell’autunno del 1920, all’occupazione della stazione ferroviaria di Parma per impedire la partenza di convogli militari per l’Albania. In quell’occasione Picelli venne arrestato e rimase in carcere fino alla sua elezione a deputato ( col PSI) , avvenuta l’anno successivo. Durante la detenzione di Picelli, la «Guardia rossa autonoma» si era sciolta, ma nel 21′ a Parma e in varie altre città emiliane si formano, in modo spontaneo, gli Arditi del popolo; chiunque poteva farne parte ad un’unica condizione: la volontà di lottare con ogni mezzo contro il fascismo. Picelli intuisce l’importanza degli Arditi del popolo che avrebbero potuto costituire un baluardo valido contro il fascismo, per cui da subito è in prima fila. Nel 1922 il terrore fascista dilaga. La risposta è debole, le sinistre sono divise quasi ovunque, ma Parma non cede. Il primo Maggio 1922, Guido scriveva sul foglio “Idea Comunista”:« In tutta la Valle Padana, Parma è l’unica zona che non sia caduta in mano al fascismo oppressore. La nostra città, compresa una buona parte della provincia, è rimasta una fortezza inespugnabile, malgrado i tentativi fatti da parte dell’avversario. Il proletariato parmense non ha piegato e non intende piegare..»
In questo senso Picelli sarà sempre ricordato per la BATTAGLIA DI PARMA del 1922, quando sconfisse con 400 Arditi del popolo i 10 mila squadristi fascisti guidati da Italo Balbo. Fu una vittoria unica, un capolavoro tattico che i due partiti della sinistra marxista socialista e comunista, e le altre forze politiche democratiche nazionali non vollero trasformare in strategia. Cosi tra errori, settarismi e divisioni, misero il Paese in mano ai fascisti. La strategia politica di Picelli era racchiusa in due parole: «unità e azione». Con il suo Fronte Unico, composto da anarchici, comunisti, socialisti, cattolici e repubblicani nel 1922 sbaragliò i fascisti. Per primo aveva indicato una via, che sarà percorsa molti anni dopo e con grave ritardo dai partiti antifascisti con la costituzione del CNL ( Comitato di Liberazione Nazionale). Nel 1924, Picelli , che nel frattempo era passato al Partito Comunista, venne rieletto deputato nella lista di “Unità popolare” formata dai terzinternazionalisti e dai comunisti.
[…] In dicembre l’atteso ordine di raggiungere Madrid e quindi il fronte, Guido è comandante di compagnia. Fin dai primi scontri riconferma le sue straordinarie doti militari e assume il comando del Battaglione Garibaldi, quello che i suoi volontari vollero poi chiamare affettuosamente « il Battaglione Picelli. » Capodanno 1937: i garibaldini di Picelli sconfiggono i fascisti a Mirabueno e catturano sessanta prigionieri. Guido conduce i suoi uomini all’attacco senza che nulla sfugga al suo sguardo. Si rivela abile, coraggioso, deciso. Il giorno 5 gennaio si ricomincia. Questa volta l’obbiettivo è il monte San Cristobal. Il battaglione polacco « Dombrowsky » deve sostenere il peso maggiore dell’azione, mentre i garibaldini sono impegnati nella conquista di alcune alture che proteggono il settore sinistro dello schieramento repubblicano. Incomincia la marcia verso gli obbiettivi; si procede faticosamente attraverso un terreno impervio; difficile è il trasporto delle armi pesanti e delle munizioni. Dopo un’ora e mezza i garibaldini giungono ai piedi di El Matoral. Non sia sa se in cima vi siano i fascisti. Ad un tratto, dalla sommità del colle si apre la sparatoria: i proiettili sibilano intorno, schegge di pietre volano da ogni parte, ma i garibaldini, con il loro comandante Picelli sempre in testa, superano la resistenza dei fascisti ed occupano la cima. Bisogna subito sistemare la difesa, piazzare le mitragliatrici… Guido dà gli ordini, incita a far presto, aiuta. Ma proprio in quel momento, mentre si rialza dall’aver sistemato un’arma automatica, da una mitragliatrice nascosta su un costone di fronte, a circa 500 metri, parte una raffica prolungata. Il comandante Picelli è colpito in pieno e cade di schianto: la morte è istantanea. I fascisti continuano a battere l’altura e solo a notte sarà possibile recuperare il corpo, che viene riportato a Mirabueno. I funerali, imponenti, si svolgono a Barcellona, in quella città dove era giunto appena due mesi prima, ansioso di combattere. Sulla lapide soltanto un nome, due date e poi: “ DEPUTATO ITALIANO ANTIFASCISTA MORTO PER LA LIBERTA’ DELLA SPAGNA” Il tempo è trascorso velocemente quel pomeriggio del 1994, devo rientrare in albergo prima che sia notte, ma il vecchio Josè Carlos mentre mi accompagna alla porta, dun tratto afferra il mio braccio destro e mi dice fissandomi dritto negli occhi : «negli anni 20′ e 30′ Picelli fu una vera leggenda per il proletariato internazionale! Devi raccontare la sua storia quando torni in Italia!» Mi auguro finalmente a più di 20 anni di distanza da quella mia visita indimenticabile, di esserci adesso riuscito. Per esaltare la grandezza di Guido, basta leggere le sue parole: “ COME LA LUCE E L’ARIA LE IDEE DI LIBERTA’ E UGUAGLIANZA PENETRANO OVUNQUE E NESSUNA FORZA PUO’ CONTENERLE. LA STORIA NON SI FERMA, ESSA SI COMPIE MALGRADO TUTTO; CIO’ CHE DEVE CADERE CADA, CIO’ CHE DEVE NASCERE NASCA. SBARRATE IL CORSO DI UN FIUME E AVRETE UN’INONDAZIONE. SBARRATE L’AVVENIRE E AVRETE LA RIVOLUZIONE”. ( F Calculli )
Franco Martina, Prima del “Che”… Picelli in Spagna combattente per la libertà, Giornalemio.it, 25 aprile 2020

[…] Corai partecipa alla guerra di Spagna fra i primi, accorrendo ad Albacete già col primo gruppo organizzato da Guido Picelli, il leggendario comandante degli Arditi del Popolo che impedirono ai fascisti la conquista di Parma nell’agosto 1922. Partecipa a tutte le battaglie, fino a quella dell’Ebro nel 1938.
[…] Sedran parte dalla città belga di Anderlecht, dove si era trasferito, il 6 marzo 1930; altre fonti lo daranno invece in partenza dal Belgio qualche mese dopo. Nei mesi successivi viene segnalata la sua presenza nei grandi cantieri per la deviazione del Reno nell’area a cavallo fra la Francia e la città svizzera di Basilea. Nella primavera 1932 è segnalato come clandestino a Parigi. Nel 1936 si arruola nelle Brigate Internazionali in Spagna: il fascicolo al Cpc non ci fornisce notizie al proposito (se non quella della morte). Puppini ne ricostruisce il percorso, iniziato nel novembre 1936 ad Albacete con il reparto guidato da Picelli: Sedran è nel Battaglione, e poi nella Brigata “Garibaldi”, di cui viene nominato tenente. Muore durante l’attacco garibaldino a Huesca, il 16 giugno 1937.
[…] Tonelli fa parte della prima compagnia del Battaglione “Garibaldi”, costituitasi attorno a Guido Picelli, e poi della XII Brigata, prendendo parte nel 1936-1938 alle battaglie di Madrid, in Estremadura e dell’Ebro. Il 10 marzo 1937 partecipa alla battaglia di Guadalajara ed è ferito, rimanendo in ospedale per un mese. Dalla Spagna Tonelli scrive alcune lettere ai congiunti, che viaggiano attraverso le lunghe tappe delle relazioni parentali in Francia ed Italia (l’ultimo anello è la sorella Lucia che lavora a Napoli).
[…] Nel dicembre 1936 Mario Zaros parte per la Spagna per arruolarsi nelle milizie repubblicane. Arruolatosi nel Battaglione Garibaldi, è segnalato ad Albacete nella prima formazione guidata da Picelli, ma successivamente risulta disperso in data e luogo imprecisato: la notizia circola comunque fin dalla primavera del 1937. A prestar fede ad un sito internet, che propone per la sua morte la data del 1° gennaio 1937 – lo stesso giorno in cui cadono altri combattenti del Battaglione Garibaldi – si potrebbe pensare alla Battaglia di Mirabueno, dove nei giorni successivi verrà ucciso anche Guido Picelli. <402
402 1936-1939 Elenco caduti Italiani in Spagna o nella resistenza; su Mirabueno: Puppini, pp. 276-277.
(a cura di) Gian Luigi Bettoli, La Guerra di Spagna attraverso gli articoli e le lettere degli antifascisti e dei garibaldini del Pordenonese, Associazione Casa del Popolo di Torre, Pordenone, 2008