Ho amato sopra tutto i miei ideali

Walter Fillak – Fonte: Liber Liber

Nella notte del 29 gennaio 1945, accompagnati da un delatore, i soldati di un distaccamento militare del presidio tedesco di Borgofranco d’Ivrea giunsero con gli sci sulla collina innevata della Lace di Donato e attaccarono a sorpresa la sede del Comando partigiano della VII Divisione Garibaldi «Piemonte» e la cascina del Comando Partigiano della 76° Brigata «Togni». Nell’attacco persero la vita Aldo Gariazzo (Dante) e Piero Crotta (Abbondanza), mentre gli altri dodici partigiani, fra cui Walter Fillak, medaglia d’argento per la Resistenza, furono fatti prigionieri, condotti alcuni a Ivrea e alcuni a Cuorgnè e infine giustiziati. Le due baite furono incendiate.
Simona Romagnoli, La Stampa (Biella), 28 Gennaio 2020

Fonte: ANPI Milano

Nel maggio 1942 viene costituito [a Genova] un Comitato centrale di cui entrano a far parte Buranello, Walter Fillak, Giambattista Vignolo e Ottavio Galeazzo per il gruppo degli studenti, mentre tra gli operai vengono scelti Emilio Guerra, l’ex ferroviere Edgardo Pinetti per i suoi contatti con il centro della città e la val Bisagno, il falegname Cesare Bussoli per quelli con la Riviera di Levante e Raffaello Paoletti <313, in quanto responsabile del gruppo operante in val Polcevera. Scopo del Comitato è «formare un’organizzazione centralizzata che dia unità e forza al Partito nella Provincia di Genova e nelle zone contigue» <314.
[…] nell’organico del PCI genovese, di cui uomo forte è ora Raffaele Pieragostini <319. Quest’ultimo, «consapevole della singolarità delle loro posizioni e della difficoltà di controllarne politicamente l’azione» <320, decide di utilizzare Giacomo Buranello e Walter Fillak in ruoli operativi e non in «un impiego che valorizzasse le caratteristiche intellettuali o la loro collocazione universitaria» <321: “[…] non ci si fermò ad interrogarsi sulla migliore collocazione di un quadro né sul ruolo che potevano assumere militanti della caratura di un Buranello o di un Fillak. […] si decise che Fillak e Buranello sarebbero andati a lanciare bombe. Specialmente non avrebbero assunto ruoli di direzione politica che restavano riservati al partito di Ventotene” <322.
[NOTE]
313 Raffaello Paoletti, nato nel 1910, comunista. Dichiaratosi contrario all’organizzazione centralizzata pensata da Buranello, il 27 settembre 1942 fu espulso dal Comitato centrale di cui faceva parte. Malgrado l’allontanamento, anch’egli finì nell’elenco degli arrestati di ottobre, in Calegari, Comunisti e partigiani, cit., pp. 61-62.
314 Atto costitutivo dell’organizzazione, in Simonelli, Giacomo Buranello, cit., p. 109.
319 Raffaele Pieragostini (1899-1945). Aderì al PCd’I nel 1922. Fu arrestato nel 1927 e condannato a 5 anni. Scarcerato, lasciò l’Italia, in accordo con il partito, continuando a svolgere attività politica in Francia, Unione Sovietica e Spagna. Fu arrestato in Francia nel 1942 e condotto in Italia, riottenendo la libertà dal carcere di San Gimignano nell’agosto 1943. Venne chiamato a dirigere il PCI a Genova. Fu vice comandante militare del CLN della Liguria, in AA. VV., Ear, vol. IV, cit., p.587.
320 Simonelli, Giacomo Buranello, cit., p. 74.
321 Calegari, Comunisti e partigiani, cit., p. 139.
322 Ivi. Con partito di Ventotene si intende il gruppo di dirigenti e quadri di partito che, a seguito della liberazione dall’isola omonima, assunse la guida dell’organizzazione comunista in Italia.
Gabriele Aggradevole, Biografie gappiste. Riflessioni sulla narrazione e sulla legittimazione della violenza resistenziale, Tesi di laurea magistrale, Università di Pisa, 2019

Walter Fillak nasce a Torino il 10 giugno 1920. Iscritto al Liceo scientifico Gian Domenico Cassini di Genova, viene espulso per le idee antifasciste e la sua attività sovversiva, e costretto a completare gli studi privatamente.
Si iscrive alla Facoltà di Chimica Industriale dell’Università di Genova dove incontra l’altro studente antifascista genovese, Giacomo Buranello. Nel 1940-’41 fonda la cellula comunista studentesca, attraverso la quale allaccia contatti sia con i comitati universitari clandestini di altre città che con gli operai di Sampierdarena.
Insieme a Buranello, viene arrestato nel 1942, incarcerato a Genova, poi ad Apuania (comune nato nel 1938 dall’unione di Massa, Carrara e Montignoso), e infine trasferito nel penitenziario Regina Coeli di Roma.
Walter Fillak torna in libertà il 25 luglio del 1943 e subito si reca a Genova dove entra nei GAP cittadini con il nome di battaglia “Gennaio”. Diventa vice-commissario politico e comandante di un distaccamento della 3^ Brigata Garibaldi Liguria e insieme a Buranello partecipa a numerose azioni sia dentro che fuori la città.
Quando la brigata si disperde a causa di un violento attacco delle truppe tedesche, Fillak raggiunge la Valle d’Aosta dopo molte peripezie. Qui, con il nuovo pseudonimo “Martin”, è nominato commissario politico nella zona di Cogne e comandante della 76^ Brigata Garibaldi, operante prevalentemente nella zona sud della regione, con frequenti sconfinamenti nel Biellese e nel Canavesano.
Con i suoi uomini Fillak – che teorizza che “salvo imprevisti, la guerriglia può risultare vincente anche in presenza di massicci rastrellamenti, se i reparti partigiani in armi sono compatti” – partecipa con successo a molti scontri contro i tedeschi e le forze armate della RSI.
Una delazione è il tragico “imprevisto” che porta “Martin” alla morte: nella notte tra il 29 e il 30 gennaio del 1945, nei pressi di Ivrea, Fillak e l’intero comando partigiano, tranne il vice-comandante Diego Prella che si era allontanato per assolvere un incarico, sono sorpresi dalle truppe naziste. Arrestati, verranno tutti sommariamente fucilati.
Fillak, invece, viene portato a Cuorgné (TO) il 4 febbraio 1945, processato e condannato a morte dal Tribunale Militare Tedesco. Alle ore 15 del giorno seguente viene condotto lungo la strada che porta ad Alpette (TO) ed impiccato. Spezzatosi il cappio durante l’esecuzione, i tedeschi la ripetono con estrema crudeltà.
Di lui restano nella memoria le parole di addio scritte alla madre e al padre: “Mio caro papà, per disgraziate circostanze sono caduto prigioniero dei tedeschi. Quasi sicuramente sarò fucilato. Sono tranquillo e sereno perché pienamente consapevo­le d’aver fatto tutto il mio dovere d’italiano e di comunista. Ho amato sopra tutto i miei ideali, pienamente coscien­te che avrei dovuto tutto dare anche la vita; e questa mia decisa volontà fa sì che io affronti la morte con la calma dei forti. Non so altro che dire. Il mio ultimo abbraccio Walter. Il mio ultimo saluto a tutti quelli che mi vollero bene.”
Bibliografia e approfondimenti:
Franco Gimelli e Paolo Battifora (a cura di), Dizionario della Resistenza in Liguria, De Ferrari, Genova 2009;
Giorgio Gimelli, La Resistenza in Liguria. Cronache militari e documenti, 2 voll., a cura di Franco Gimelli, Carocci 2005;
scheda biografica sul sito dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia);
scheda biografica sul sito dell’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia) – Ultime lettere di condannati a morte e deportati della Resistenza italiana.
Redazione, Walter Fillak, memorieincammino.it

Fonte: ANPI Milano

La memoria non è solo una scelta, ma è anche un dovere, talché i caduti della Resistenza, che è stata innanzitutto lotta armata contro il nazifascismo, vanno non solo ricordati, ma anche onorati. Sottolineare, pertanto, la militanza comunista di Walter Fillak non è un gesto settario, ma è in primo luogo una necessità storiografica, perché significa porre al centro della ricostruzione storica della Resistenza la classe operaia e il suo partito, il PCI, senza il cui fondamentale apporto la Resistenza, a partire dagli scioperi che ebbero luogo tra il marzo e il luglio del 1943, non sarebbe nemmeno iniziata o si sarebbe svolta in modo assai differente da come si è svolta.
A questo proposito, è importante considerare che dopo l’8 settembre del 1943 le città operaie del triangolo industriale potevano contare su qualche migliaio di comunisti. Così, a Milano erano circa duemila i militanti attivi e organizzati, a Torino erano un migliaio, a Genova erano almeno 1400 per la provincia, oltre a 450 di un gruppo guidato da Gaetano Perillo, che venivano anch’essi inquadrati nell’organizzazione comunista. A partire dall’armistizio l’azione dei comunisti si sviluppò in due tempi: collegamento con le formazioni di ribelli che si erano costituite sulla montagna e organizzazione delle lotte operaie, tra ottobre e dicembre del 1943. Come è noto, le uniche avanguardie dell’antifascismo che avevano maturato, nel corso dei lunghi anni della clandestinità e nel vivo della partecipazione alla guerra di Spagna, la coscienza della necessità della lotta armata, erano quella comunista e quella azionista: così, all’origine di una banda armata si trovava sempre un quadro di partito, fosse esso un ‘civile’ oppure un ufficiale del regio esercito, che aveva compiuto la scelta dell’antifascismo. In Liguria, rispettivamente sui monti di Chiavari e nel circondario di Sassello, vi erano due gruppi: quello di Favale, nucleo generatore della famosa banda Cichero, guidato da un comunista ex garibaldino di Spagna, “Marzo” Canepa, e quello, costituito da una dozzina di uomini, che si trovava a pian Castagna.
Qui emerge un dato di grande interesse: di questi dodici nove erano prigionieri di guerra alleati evasi e chi li organizzava era uno studente comunista, torinese di origine ma genovese di adozione, quel Walter Fillak, amico di Giacomo Buranello e, come questi, studente di ingegneria e attivo nei GAP, che diverrà uno degli eroi della Resistenza. Fillak non era un partigiano prodotto dall’8 settembre: egli aveva due precedenti altamente significativi, l’espulsione dal regio liceo scientifico “Cassini” di Genova per attività antifascista nel 1938 e l’arresto per attività sovversiva nel 1938. Sennonché le circostanze testé ricordate permettono di porre in risalto la dimensione internazionale della Resistenza italiana: non solo russi, inglesi, polacchi e disertori cechi saranno tra i più intrepidi partigiani, ma accanto a questi vi saranno ufficiali italiani che in Russia, nei Balcani o in Francia, avevano dovuto fare la guerra ai partigiani e avevano così imparato le leggi della guerriglia. Per converso, non bisogna dimenticare che rilevante fu il contributo degli italiani al ‘maquis’: 5000, di cui 2000 caduti.

Lastra a Giacomo Buranello, Walter Fillak e Renato Quartini a Genova Teglia – Fonte: Pietre della Memoria

Nel contesto della lotta armata contro il nazifascismo si incontravano due figure ideal-tipiche: da un lato, il comunista legato al Partito; dall’altro, il giovane, il soldato, l’ufficiale, lo studente, che si sentiva comunista o antifascista e cercava il collegamento con il Partito. In questa fase, peraltro, l’iniziativa individuale aveva un grande peso e il capo partigiano era anche uomo d’avventura, caratterizzato dal coraggio fisico e dal carisma. Stupenda è poi l’amicizia che, fin dai banchi di scuola, legò tra loro Giacomo Buranello e Walter Fillak, e fece delle loro esistenze due mirabili “vite parallele”: l’uno comandante dei GAP di Genova, al cui fianco, nelle pericolose missioni dei GAP, vi era quasi sempre l’inseparabile amico; l’altro commissario politico di una brigata partigiana operante nella Val d’Aosta: entrambi caduti, entrambi medaglie d’oro alla memoria. A questo proposito, Ugo Pecchioli, dirigente di primo piano del Partito comunista e capo partigiano, nella commemorazione di Walter Fillak tenuta nel 1975 nella cittadina di Cuorgnè, dove Walter Fillak fu impiccato, ebbe a ricordare che in quella Val d’Aosta in cui Fillak si era recato a organizzare i garibaldini, 3000 partigiani fronteggiavano 5000 tedeschi.
Orbene, che cosa merita di essere sottolineato nella breve ma intensissima vita di Walter Fillak? La risposta è: “un ideale chiaro e potente”, come ha ben detto nel suo intervento la compagna Paola Vada, rappresentante della Sezione ANPI di Sampierdarena. «Il comunismo, grande ideale che appassiona e fa diventare migliori gli uomini, che entusiasma i giovani», come ebbe a dire in una sua testimonianza il partigiano “Nando” della 76ª Brigata Garibaldi). Del resto, ricordare Walter Fillak, la sua formazione, la sua militanza comunista e partigiana, il suo sacrificio, non avrebbe senso se ci si limitasse alla semplice commemorazione senza riflettere sugli ideali comunisti che animarono la sua come l’azione di tanti altri valorosi combattenti caduti nella Resistenza. Né sarebbe intellettualmente onesto sottacere le contraddizioni che esistevano fra le diverse (e a volte avverse) componenti del movimento partigiano, così come nel rapporto tra questo e il PCI (si pensi alla straordinaria esperienza di guerriglia urbana rappresentata dai GAP e alla taccia di estremismo settario attribuita a Buranello e allo stesso Fillak, sulla quale ritornerò nella conclusione di questo intervento): contraddizioni in cui si rispecchiava il contrasto esistente all’interno del PCI tra la linea togliattiana e quella secchiana, tra l’esigenza dell’unità delle forze antifasciste, ivi comprese quelle facenti capo alla monarchia e ad una frazione della borghesia, e la prospettiva rivoluzionaria del proletariato comunista.
In questo senso, è opportuno, per chiarire questo aspetto politico-ideologico che non fu per nulla marginale nella Resistenza, riportare la lettera indirizzata dall’ing. Ferruccio Fillak ad Agostino Novella, che ho scoperto consultando presso l’ILSREC (Istituto ligure per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea) il fascicolo contenente la documentazione su Walter Fillak.
Ing. Ferruccio Fillak
Milano 10/I/46
Via Reina 5
Caro compagno A. Novella
Circa un mese fa, trovandomi a Genova, mi capitò sott’occhio il rapporto della Federazione Genovese al Congresso Provinciale.
In seguito a tale lettura venni a cercarti due volte desiderando parlarti, ma eri occupato in seduta. Speravo di trovarti in altra occasione; senonché non capitai più a Genova, e neppure prevedo prossimo un mio viaggio in cotesta città. Perciò ti scrivo.
Mi colpì la parte (pag. 8) che riguarda il movimento nel periodo in cui funzionò il Comitato composto da Buranello, da mio figlio Walter, ecc. A parte altre considerazioni, osservo che si è voluto minimizzare l’attività di quei Giovani, non solo, ma quello che è peggio, è stata posta in una falsa luce. Sono certo che tu non hai colpa alcuna di questa deformazione della verità. Mi rivolgo a te come Segretario Federale affinché tu richiami i tuoi collaboratori ad un senso di maggiore responsabilità quando trattano argomenti che si riflettono sul patrimonio morale e spirituale del Partito. Perché, te lo assicuro, chi ha conosciuto mio Figlio è rimasto molto male leggendo la relazione. Non so se tu sai le vicende di Walter, come è morto, e certamente non sai quanti giovani si sono ispirati al Suo entusiasmo per la causa del Popolo lavoratore, non sai tutto il lavorio che Esso fece per spargere il seme comunista in seno alla massa tipicamente borghese degli studenti e altrove. In proposito potrebbero esserti più precisi, Galeazzo, Catanzaro, Codignola, Lazzaretti, ecc., per limitarmi agli studenti comunisti di Genova. Dovunque capitava diventava il centro propulsore di un’attività comunista concreta e fattiva. Infatti numerosi sono stati i giovani che si affiancarono a Lui sulla via della lotta e molti lo hanno preceduto o seguito nel supremo sacrificio. Sarà stato forse questo il suo estremismo?
Abbi pazienza, senza volerlo ho deviato.
L’azione di Buranello, Walter e Compagni è stata superiore ad ogni critica per ciò che concerne spirito, organizzazione e risultato. L’addebito di faciloneria e di estremismo nel Loro lavoro e il soffermarsi su questi lati negativi, senza peraltro precisare le circostanze, mi sembrano argomenti di pessima fattura. Non servono neppure come autocritica, ma non voglio tediarti con una dimostrazione, tanto è evidente questa mia affermazione. Servono unicamente a screditarci presso coloro i quali cominciavano a ricredersi dell’opinione, purtroppo ancora tanto diffusa causa certe nostre deficienze, che Comunismo significa soffocamento dei valori spirituali. Circa l’imprudenza, per cui nel 1942 furono arrestati, mi pare siano da deprecare anzitutto le diffidenze e i dubbi di alcuni vecchi elementi, i quali in tal modo indussero i Giovani a conservare gli incartamenti per poter dimostrare in qualunque momento la regolarità e serietà della loro amministrazione. Ci fosse stato da parte dei suddetti anziani uno spirito più aderente alla realtà e, diciamolo pure, un po’ meno di prevenzione, Buranello e Compagni forse non sarebbero stati arrestati o, comunque, il loro arresto avrebbe avuto limitate conseguenze. Del resto vorrei sapere chi mai non ha sbagliato nel corso di iniziative politiche e cospirative, e come è possibile evitare i pericoli quando si agisce. I pericoli sono in proporzione dei rischi. Solo chi non arrischia non corre pericoli.
Per abbreviare, concludo che nella relazione il lavoro di Buranello, Figuccio, Walter, ecc. doveva figurare in ben altro modo. Il prestigio del Partito ne avrebbe guadagnato.
Non ti parlo con risentimento, ma non ti posso nascondere un po’ di amarezza se penso che Essi hanno amato il loro Ideale più della vita. Ti unisco a questo proposito copie dei tre biglietti che mio Figlio scrisse prima di morire. Credeva di venire fucilato invece lo impiccarono. Fu il 5 Febbraio 1945, ore 15, a Cuorgnè (Aosta)
Saluti fraterni.

Si tratta, come risulta con estrema evidenza, di una rivendicazione, nobile non meno che implacabile, dell’onore comunista di Walter Fillak e di Giacomo Buranello – “Essi hanno amato il loro Ideale più della vita”, scrive l’ing. Ferruccio Fillak con tacitiana concisione – di fronte alle critiche di settarismo ed estremismo mosse nei loro confronti. A questo riguardo e a titolo di conclusione provvisoria, merita allora di essere riproposto, per il suo significato laicamente materialistico e per la luce che getta su quella che lo storico Claudio Pavone ha definito “moralità nella Resistenza”, quanto scrive Giovanni Pirelli nella prefazione all’antologia che raccoglie le testimonianze dei condannati a morte della Resistenza europea, testimonianze fra cui vi è quella di Walter Fillak: «Il senso della vita sta nella gioia non nel dolore e nel lutto. Se in date circostanze è giusto assumere rischi, affrontare pericoli, se può essere inevitabile ammazzare o farsi ammazzare, non parliamone mai come di cose belle, esemplari o invidiabili. Parliamone come di gravi necessità a cui l’uomo cosciente non può sottrarsi. Sacrificarsi ha senso, comunque, ad una sola condizione: che ci si sacrifichi perché venga una società umana dove il sacrificarsi non avrà più senso».
Intervento pronunciato dal prof. Eros Barone, Presidente del Circolo Culturale Proletario di Genova, in occasione della celebrazione di Walter Fillak svoltasi il 4 aprile 2016 presso l’ARCI “La Ciclistica” sito a Genova-Sampierdarena in via Walter Fillak, 98r, pubblicato in Resistenze.org

Fonte: Istoreto

On. Carlo Russo Dirigente della Democrazia Cristiana (Memoria del 13/12/2002)
Il mio primo rapporto con il Partito Comunista risale all’anno 1941 all’Università di Genova, studiavo giurisprudenza ed ero collegato con Giacomo Buranello che poi fu ucciso dai fascisti durante la Resistenza.
In quel tempo ebbi occasione di incontrare, mi pare proprio a Savona, Giancarlo Pajetta che era uscito dal carcere e stava stabilendo contatti con giovani antifascisti.
Non ero comunista ma collaborai con Buranello nella preparazione di colleghi studenti all’antifascismo.
Nello stesso tempo avevo avuto rapporti a Savona con il prof. Ennio Carando, professore di storia e filosofia al Liceo “Chiabrera”, poi fucilato con il fratello dai nazifascisti.
(a cura di) Giancarlo BerrutiGuido Malandra, Quelli del P.C.I. Savona 1945-1950, Federazione D.S. Savona, 2003

Walter Fillak “Martin”
Nato a Torino il 10 giugno 1920. Espulso dal liceo scientifico di Genova per professione di idee antifasciste e costretto a studiare privatamente alla Facoltà di chimica industriale dell’Università di Genova, fondò, nell’inverno 1940-41, una cellula comunista studentesca in collegamento con le cellule di Torino, Casale Monferrato, Livorno e Roma e stabilì primi contatti con gli operai di Sampierdarena. Nel 1942, arrestato una prima volta insieme a tutto il direttivo genovese del Partito comunista italiano, fu tradotto nelle carceri di Regina Coeli in Roma a disposizione del Tribunale speciale. Liberato dopo il 25 luglio ’43, nel mese di settembre era a Torino, dove organizzò i militari sbandati. Partigiano a Pian di Castagna (Acqui), comandante di distaccamento nei dintorni di Genova, vice commissario politico della 3a brigata Garibaldi “Liguria” sull’altipiano di Marcarolo (Genova), protagonista di numerose missioni e colpi di mano. Dopo una azione in forza di tedeschi e fascisti che dispersero la brigata, si portò ad Acqui, poi a Milano; braccato, tentò di passare in Jugoslavia, non riuscendovi passò in Svizzera, ne rientrò dopo tre mesi. Fu commissario politico nella zona di Cogne (Valle d’Aosta) e comandante della VII Divisione “Garibaldi” operante nella bassa Valle d’Aosta, nel Canavese ed episodicamente nel Biellese occidentale. Catturato la notte fra il 29 ed il 30 gennaio 1945 a Lace (Donato), con i membri del suo comando che furono tutti fucilati. Processato il 4 febbraio 1945 dal comando militare tedesco di Cuorgnè, fu impiccato alle ore 15 del 5 febbraio 1945: spezzatasi la corda, l’esecuzione venne sospesa e dopo qualche tempo ripetuta.
4 febbraio 1945
Mio caro papà,
per disgraziate circostanze sono caduto prigioniero dei tedeschi.
Quasi sicuramente sarò fucilato.
Sono tranquillo e sereno perché pienamente consapevole d’aver fatto tutto il mio dovere d’italiano e di comunista.
Ho amato soprattutto i miei ideali, pienamente cosciente che avrei dovuto tutto dare, anche la vita; e questa mia decisa volontà fa sì che io affronti la morte con la calma dei forti.
Non so altro che dire.
Il mio ultimo abbraccio
Walter
Il mio ultimo saluto a tutti quelli che mi vollero bene.
Mia cara mamma,
è la mia ultima lettera. Molto presto sarò fucilato. Ho combattuto per la liberazione del mio Paese e per affermare il diritto dei comunisti alla riconoscenza ed al rispetto di tutti gli Italiani. Muoio tranquillo perché non temo la morte.
Il mio abbraccio a te e Liliana, saluta la mia fidanzata Ines. Addio
Walter

Redazione, Walter Fillak, Isrsc Biellese, Vercellese, Val Sesia