I libri alla facoltà di Lettere

Emanuele Artom, nato il 23 giugno 1915 ad Aosta, crebbe in un ambiente familiare colto e agiato. Il padre, Emilio, era insegnante di matematica; il fratello minore, Ennio (detto Ninìn), giovane dall’intelligenza vivace (da tutti riconosciuta, e in particolare dallo stesso Emanuele nei suoi Diari), poliglotta, laureato in lettere a soli 20 anni, morì precocemente nel 1940 in un incidente di montagna; la madre, Amalia Segre, laureata in matematica, sopravvisse al marito e ai figli e fu a lungo preside della scuola media ebraica di Torino intitolata al figlio Emanuele, del quale curò gli scritti mantenendone vivo il ricordo; lo zio, Elia Samuele, era stato un cultore instancabile di studi biblici e di storia ebraica antica. Ennio collaborò con Emanuele dal punto di vista culturale e formativo. Come responsabili, con l’amico Giorgio Segre, della biblioteca della Comunità ebraica, organizzarono conferenze e serate di studio da cui nascevano occasioni di dibattito e di approfondimento, piccola isola di libertà e di cultura in un’Italia sempre più totalitaria e massificata.
Emanuele Artom frequentò il liceo D’Azeglio dove ebbe come insegnante Augusto Monti (1881 – 1966), che lo iniziò alla filosofia crociana e allo studio della cultura classica. Dal D’Azeglio erano usciti anni prima Leone Ginzburg, Vittorio Foa e Carlo Levi, tra i massimi dirigenti della sezione torinese di Giustizia e Libertà, il movimento antifascista di Carlo Rosselli che fu il principio ispiratore della lotta partigiana di Artom. Entrò alla facoltà torinese di Lettere nell’autunno del 1933, l’anno stesso dell’ascesa al potere di Hitler. Durante il periodo universitario Emanuele fu allievo di Santorre Debenedetti (filologia romanza), Giorgio Falco (storia medievale e paleografia) e Augusto Rostagni (letteratura latina), docenti dei quali era noto il distaccato atteggiamento nei confronti del regime. Sia con Debenedetti sia con Falco Emanuele continuò, a diversi anni di distanza, a intrattenere rapporti amichevoli; in particolare, da Debenedetti ricevette in lettura i manoscritti di una scrittrice debuttante, Alessandra Tornimparte, pseudonimo di Natalia Levi Ginzburg, e fu probabilmente Falco a guidarlo nell’esercitazione di paleografia che si tradusse nell’edizione di uno dei suoi primi lavori, Una carta di franchigia nel sec. XIV a favore degli uomini di Arnaz. Rostagni, infine, presentò nell’aprile del 1936 all’Accademia delle Scienze un altro suo articolo, Su Alessandra, la regina dei Farisei. Il suo percorso di studi terminò nel 1937 con la discussione a Milano (il passaggio all’ateneo milanese fu compiuto per seguire il professor Mario Attilio Levi) di una tesi in storia antica, Il tramonto degli Asmonei, lavoro agevolmente collocabile in quell’ambiente universitario torinese che fin dagli anni Venti aveva visto fiorire altre giovani promesse della storiografia italiana, quali Piero Treves e Arnaldo Momigliano.
Le aspirazioni e gli interessi di Artom si erano rivolti, fin dal periodo universitario, verso una futura attività di insegnamento. Tuttavia, a nemmeno un anno dalla laurea si abbatterono sull’ebraismo italiano le leggi razziali che, tra le altre privazioni, impedivano agli ebrei ogni attività al pubblico di tipo intellettuale. Gli studi di Artom si svolsero allora su due strade parallele: da una parte quelli di antichistica, dall’altra quelli di storia ebraica. Nell’ambito dei primi prestò il proprio contributo al Grande dizionario enciclopedico UTET e iniziò la collaborazione con la casa editrice Einaudi, per la quale intraprese nell’ottobre del 1941 la traduzione di Polibio, mai giunta a compimento. Per la collana “Universale” einaudiana tradusse, su incarico di Pavese, il secondo libro delle Storie di Erodoto, che uscì postumo dopo la Liberazione preceduto da una breve prefazione del traduttore. Altri brevi saggi e recensioni erano già stati pubblicati tra il 1935 e il 1937 sul “Bollettino storico-bibliografico subalpino”. Relativamente alla storia ebraica, dopo la tesi Artom scrisse un libretto per le scuole elementari, Principi di storia e cultura ebraica. Si dedicò quindi allo studio della storia degli ebrei d’Italia (pubblicati sulla rivista “Rassegna mensile di Israel”) e in particolare di un suo significativo esponente: il patriota e letterato mazziniano socialista sansimoniano David Levi di Chieri. Le Memorie del Levi, nelle loro diverse redazioni manoscritte inedite, erano conservate al Museo del Risorgimento di Torino. Dopo il 1938 Artom iniziò a interessarsi a quell’ingente materiale; potè consultarlo, schedarlo, trattarlo criticamente. Avrebbe probabilmente desiderato comporlo in un testo unitario in cui ampi stralci bibliografici del Levi fossero alternati a osservazioni e annotazioni del curatore. All’anno scolastico 1941-42 risalgono le lezioni tenute al liceo ebraico di Torino, raccolte nel dattiloscritto postumo del 1960 Lezioni di storia e cultura ebraica.
Laura Hess

Pompeo Colaianni, Barbato

[…] La scelta partigiana di Emanuele Artom dopo l’Armistizio è immediata, ma non per questo improvvisata o estemporanea. È preparata da un percorso di maturazione e di consapevolezza che lo conduce ad abbracciare pienamente e convintamente l’antifascismo, orientamento politico che al momento opportuno si tradurrà nella decisione di salire in montagna ed entrare in Banda.
L’8 settembre coglie Emanuele a Moriondo, vicino a Chieri, dove si era trasferito con la famiglia per sfuggire ai continui bombardamenti degli Alleati su Torino e al clima fortemente antisemita diffusosi in città. Proprio al periodo di Moriondo, tra la caduta del fascismo e la notizia dell’Armistizio, risale il suo avvicinamento al movimento antifascista di Giustizia e Libertà, di cui Emanuele condivide pienamente gli ideali: il progetto di un cambiamento radicale della società italiana, la rottura con il fascismo ma anche con l’Italia prefascista lo convincono all’adesione, tradottasi poi nell’iscrizione al Partito d’Azione, di cui Giustizia e Libertà rappresenta dal 1942 uno degli elementi costitutivi.
Emanuele è solo uno dei circa 1000 ebrei italiani clandestini entrati nella Resistenza come partigiani. Tra loro figurano i nomi di Eugenio Curiel, Vittorio Foa, Primo Levi, Pino Levi Cavaglione, Liana Millu, Enzo ed Emilio Sereni, Elio Toaff, Umberto Terracini e Leo Valiani. Gli ebrei italiani furono tra i primi ad arruolarsi nelle bande partigiane, spinti anche dall’ostilità nei confronti del regime fascista che li aveva discriminati e perseguitati con le leggi sulla razza del 1938.
L’antisemitismo nazifascista non fu però l’unico motivo dell’adesione degli ebrei alla Resistenza. Per loro, come per gli altri partigiani, ci furono ragioni più ampie di carattere politico-ideologico, e in particolare il desiderio di abbattere un regime totalitario che negava ogni libertà di pensiero, di parola e di azione.
Partigiani ebrei erano presenti in formazioni di tutti gli orientamenti politici, dalle squadre di Giustizia e Libertà a quelle Garibaldine, alle Autonome. Nelle valli tra il saluzzese e il torinese, in particolare, operavano le bande Giustizia e libertà e le brigate Garibaldi, nate immediatamente dopo l’Armistizio dell’8 settembre ‘43 per iniziativa del comandante Nicola Barbato, al secolo Pompeo Colajanni.
Per prendere parte alla lotta di Liberazione molti ebrei fecero ritorno dai luoghi dove erano emigrati o dove avevano trovato rifugio.
La partecipazione della comunità ebraica italiana alla Resistenza ha avuto un costo notevole in termini di vite umane: sono circa 100 gli ebrei caduti in combattimento, arrestati e uccisi nella penisola o in seguito alla deportazione nei lager nazisti.
Ma la comunità ebraica italiana ha contribuito alla liberazione dal nazifascismo non solo con la partecipazione diretta alla Resistenza: anche alcune iniziative di aiuto e solidarietà, come il Comitato Assistenza Ebraica nato nell’estate del 1944 su iniziativa di Bruno Segre e di alcuni partigiani ebrei che operavano nel cuneese, hanno dato il loro contributo prestando soccorso ai detenuti in carcere, provvedendo all’aiuto economico e morale dei bisognosi, procurando documenti d’identità falsi, raccogliendo e diffondendo notizie sulla sorte dei deportati.
Tra l’11 e il 12 settembre 1943 Emanuele Artom lascia Moriondo per salire in Val d’Angrogna. Nei primi giorni di novembre è in Val Pellice, dove entra nelle bande di Italia Libera col nome di copertura di Eugenio Ansaldi.
Distintosi per la prontezza di spirito e per l’intelligenza acuta, viene immediatamente inviato a Barge come delegato del Partito d’Azione presso il distaccamento garibaldino del comandante Barbato (nome di battaglia di Pompeo Colaianni).
[…] Coglie fin da subito l’attrito tra partigiani comunisti e non comunisti, problema su cui torna più volte nei suoi diari. A proposito dei militanti comunisti nelle file partigiane scrive:
«I Comunisti sono come i Cristiani; conoscono la folla da cui provengono, sono fanatici, talvolta urtanti e ridicoli, ma degni di ogni rispetto; per loro le esigenze della società sono reali e sofferte non astrattamente conosciute.
È difficile ragionare con loro perché sono intolleranti, ma quando parlano hanno una grande forza di convinzione, un grande calore, rafforzato dall’esempio» 7
Nei primi giorni del dicembre ‘43, si trasferisce in Val Pellice dove viene nominato commissario politico dei gruppi di Giustizia e Libertà.
Spostatosi poco dopo in Val Germanasca, continua a svolgervi il suo incarico oltre a ricoprire incarichi organizzativi e politici: si occupa della riorganizzazione delle istituzioni, in particolare della scuola, nei vari centri della Valle, nel frattempo liberata dai fascisti.
Nel marzo del ’44 partecipa alla battaglia di Perosa Argentina, cui seguirà il grande rastrellamento messo in atto dai nazifascisti nelle valli Germanasca e Pellice; Emanuele e i suoi si ritirano sui monti senza opporre resistenza, data la disparità delle forze: con Ruggero Levi, Gustavo Malan e Giorgio Segre risalgono la valle per raggiungere il Colle Giulian. Disarmati e portando con sé un prigioniero arrivano in prossimità del colle, dove si trovano improvvisamente ad affrontare un gruppo di SS italiane armate. Non resta che tentare la fuga: Malan per una via e Segre per un’altra riescono a dileguarsi, mentre Emanuele, prostrato da tre notti insonni, crolla e non riesce proseguire. Ruggero Levi, cui è legato da un’amicizia profondissima, si rifiuta di abbandonarlo e viene arrestato con lui.
Rinchiuso dapprima nel municipio di Bobbio, Emanuele viene tradotto in caserma a Luserna insieme ad altri partigiani catturati nel corso del rastrellamento.
Durante il trasporto ha ancora il tempo di disfarsi di alcuni documenti che ha con sé, ma giunto in carcere viene riconosciuto da un suo ex prigioniero che rivela il suo vero nome. In quanto ebreo, viene sottoposto a torture terribili, che lo spingono a tentare il suicidio.
Trovatolo in possesso di un pezzo di vetro, i tedeschi intuiscono le sue intenzioni e minacciano di uccidere i suoi compagni qualora persista nel suo intento. Emanuele rinuncia allora ai suoi propositi per non pregiudicare le vite dei suoi amici, e dopo qualche giorno viene trasferito con altri prigionieri nelle Carceri Nuove di Torino, dove viene segregato in una cella singola. Lì, la mattina del 7 aprile gli aguzzini trovano il suo corpo esanime, straziato dalle torture e dalle percosse; quattro partigiani prigionieri sono costretti a seppellirlo in un bosco nei pressi di Stupinigi sulle rive del Sangone.
Il luogo esatto della sepoltura non è mai stato individuato. […]
7 E. ARTOM, Diari di un partigiano ebreo, Bollati Boringhieri, Torino 2008, pag. 79.
Artom partigiano, a cura di Rebecca Dao, Mara Decostanzi, Giorgia Frandino, Giorgia Mussetto, Simona Rotani, Giorgia Trucco, in Emanuele Artom, I giovani: i custodi della memoria. Storie di Resistenza e persecuzione a Barge. Questo progetto fa parte del Programma Operativo Nazionale (PON) del Ministero dell’Istruzione e ha come oggetto la Resistenza nel cuneese, in particolare a Barge, con un occhio di riguardo alla presenza ebraica. Esso è stato portato avanti dagli studenti e dalle studentesse della classe 3^B del liceo linguistico e 5^A del liceo delle scienze umane “Soleri-Bertoni” di Saluzzo (a.s. 2018-2019) in collaborazione con l’Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Cuneo.

Emanuele Artom

Era un giovane di talento, Emanuele Artom. Nato ad Aosta il 23 giugno 1915 in una famiglia benestante e colta di religione ebraica, aveva studiato dapprima a Torino e poi a Milano, dove si era laureato in Lettere con una tesi su Il tramonto degli Asmonei. Aveva davanti a sé una luminosa carriera di storico, che però gli fu preclusa dal rifiuto di aderire al fascismo e dalle odiose leggi razziali promulgate pochi mesi dopo la sua laurea.
I suoi ideali lo spinsero, durante la guerra, a restare in Italia anziché trovare rifugio in Svizzera. Dal 1940 al 1943 fu tra i protagonisti della vita culturale di Torino. I suoi diari sono una fonte preziosa di informazioni su questo periodo difficile eppure vivace, in cui Artom collaborò con Utet ed Einaudi. In contatto con Cesare Pavese, si occupò di storia antica e di storia ebraica. Maturò una netta avversione ad ogni forma di nazionalismo, sognando un mondo basato sui principi federalisti e non sulla prevaricazione di alcune nazioni sulle altre. Costretto dal regime, nel 1942, al lavoro manuale obbligatorio, visse quest’esperienza con grande ironia. Sotto le bombe alleate, descrisse il comportamento della città, sgomenta e terrorizzata.
Il giorno successivo all’armistizio, s’iscrisse al Partito d’Azione e aderì alla Resistenza: non tanto come strumento di lotta armata, quanto piuttosto come tentativo di rifondare la società, improntata a una nuova etica e moralità. Lasciata Moriondo, presso Chieri, la località dov’era sfollato, si mise in viaggio verso la Val d’Angrogna, dove – con il nome di Eugenio Ansaldi – entrò nelle bande partigiane di Italia Libera. Fu delegato del Partito d’Azione presso i garibaldini di Barbato, a Barge. I suoi solidi valori antifascisti non gli impedirono di vedere limiti ed errori della lotta partigiana: «Gli uomini sono uomini», scrisse sui suoi diari nell’autunno 1943.
Alla fine dell’anno fu commissario politico presso i gruppi di Giustizia e Libertà della Val Pellice e operò tra la Sea, gli Ivert e il Bagnòou. Poi si trasferì in Val Germanasca.
Dopo aspri combattimenti, cercò rifugio in quota insieme a Gustavo Malan, Giorgio Segre e Ruggero Levi. Dalle parti del colle Giulian, che separa la Val Germanasca dalla Val Pellice, il gruppo fu intercettato dalle SS italiane. Malan e Segre riuscirono a darsi alla fuga, Artom e Levi furono catturati.
Recluso nel Municipio di Bobbio, poi nella caserma di Luserna San Giovanni, dove condivise la prigionia con Jacopo Lombardini, venne riconosciuto come ebreo e torturato con ferocia. Non parlò. Trasportato alle Carceri Nuove di Torino, morì il 7 aprile per le conseguenze delle sevizie. Venne sepolto in un luogo imprecisato, lungo il Sangone, nei paraggi di Stupinigi.
Fonti: www.museotorino.it, Emanuele Artom, Diari di un partigiano ebreo, a cura di Guri Schwarz, Bollati Boringhieri, 2008.
Redazione, 7 aprile 1944: Artom, il giovane ebreo che lottò in valle per una nuova società, La Domenica de L’Ora, 6 aprile 2019