I partigiani della zona libera di Posina nel Vicentino

Fonte: Marchetto, Op. cit. infra
Posina – Fonte: Comune di Posina cit. infra

La Seconda Guerra Mondiale coinvolge la vallata e l’Altopiano di Tonezza indirettamente, col prelievo di giovani da spedire nei vari fronti, e direttamente durante la lotta di Resistenza che fu, in questo settore, decisamente accanita. Il contenzioso infatti è quello di sempre: occupare le vie di collegamento col Nord.
I tedeschi, dopo l’8 settembre e I’invasione dell’Italia, per i loro rifornimenti di mezzi e di uomini, avevano l’assoluta necessità di mantenere sicure la Val d’Astico, la Val Leogra e le zone intermedie.
L’efficiente rete stradale della Grande Guerra snelliva i transiti. I partigiani ne erano ben consci.
Zona di alto interesse strategico, dunque. Non per nulla Kesserling aveva posto a Recoaro il suo quartier generale. Inoltre Tonezza, Valdagno, Montecchio Maggiore ed ancora Recoaro risultavano sedi di ministeri e di organismi militari repubblichini.
Agivano in Val Posina e monti circostanti i garibaldini del Gruppo Divisioni «Garemi». Guerra per bande la loro. Colpi di mano, attacchi improvvisi e violenti; quindi la dispersione. Era una tattica che si fondava sul movimento.
Di tal natura sono gli scontri che a metà luglio del ’44 si verificarono sulla vetta del Pasubio e, a fine luglio, a Tonezza, dove i partigiani assaltano la scuola allievi ufficiali della Guardia Nazionale Repubblicana. L’offensiva partigiana, da metà luglio a circa metà agosto del ’44, dà vita in Val Posina ad una vera e propria zona liberata, un’isola dove si cominciò ad abbozzare un’amministrazione democratica.
Ma la valle non aveva (come le più celebri «repubbliche partigiane») un retroterra svizzero o comunque un’area di disimpegno, bensì il Trentino e le vitali arterie per la Germania. La Val Posina diventava perciò per i tedeschi un mortale focolaio di resistenza.
Bisognava intervenire.
Ecco quindi il terribile rastrellamento del 10-14 agosto 1944.
I partigiani si ritirano dalle contrade, anche per non dare ai nazifascisti pretesti per ritorsioni, ma i paesi bruciano ugualmente. In Val di Campoluzzo, una pattuglia del battaglione «Pasubio» viene catturata dopo un furioso combattimento con i tedeschi. I componenti sono tutti fucilati. Passeranno alla storia come «gli eroi di Malga Zonta».
In paese molti valligiani vengono presi, spinti a parlare, minacciati di morte, ma tutti tacciono. Ci saranno state incomprensioni, momenti di tensione fra popolazione e partigiani (i prelievi di animali o di derrate alimentari erano dolorosi per entrambe le parti), ma è altrettanto vero che senza l’appoggio concreto degli abitanti non si poteva condurre una guerra partigiana su questi monti. […]
Redazione, La Resistenza e il dopoguerra – statistiche abitanti, Comune di Posina, Provincia di Vicenza – Regione Veneto

Fonte: Marchetto, Op. cit. infra

Nella storia delle Brigate d’assalto GAREMI vi fu un breve periodo – all’incirca un mese e mezzo – durante il quale nell’estate del 1944 una «zona» all’interno della vasta area GAREMI poté considerarsi «libera» da presìdi tedeschi e fascisti e disponibile alla circolazione dei partigiani.
L’epicentro fu l’alta Val Posina ma geograficamente la «zona libera» comprendeva: la Val Posina dalla Strenta in su e la Val dei Laghi, ambedue con i relativi valloni secondari, il massiccio del Novegno, le dorsali del monte Alba, il massiccio del Pasubio, le giogaie del monte Maggio e del Toraro e l’altopiano dei Campiluzzi e di Tonezza, oltre al territorio che si estende al di là della Borcola in Val Terragnolo.
L’intera zona presenta molti aspetti favorevoli alla guerriglia: numerosi boschi a vegetazione fitta durante l’estate, luoghi aspri e scoscesi percorribili solo da montanari, continui frazionamenti del terreno con dorsali e canaloni petrosi a sotto bosco, un gran numero di piccole contrade sparse con case parzialmente disabitate, casoni e baite, varie malghe per il rifornimento di latticini, una popolazione ospitale e tendenzialmente antifascista a causa della povertà e della emigrazione endemica.
Da un punto di vista strategico-militare l’intera zona, proprio per la sua conformazione geografica, nel caso di un rastrellamento anche massiccio da parte dei Tedeschi non offriva la possibilità di un «accerchiamento a morsa» in quanto isolatamente o a piccoli gruppi i partigiani potevano traboccare nelle valli viciniori attraverso le maglie dei rastrellatori, sia pure con pericoli e spaventi. Di questo sono conferma le «osservazioni» descritte nei racconti partigiani sul grande rastrellamento di Posina, nella quale chiude appunto al 12 agosto 1944 il periodo della «zona libera».
Questa ebbe inizio verso i primi di luglio dopo che i rastrellamenti del 30 aprile in Val Leogra, dall’Ascensione (18 maggio) e di Vallortigara (17 giugno), inframezzata da perlustrazioni e puntate tedesche e fasciste, avevano reso piuttosto caldo l’ambiente della Val Leogra. Nacque così l’idea di una migrazione di buona parte delle pattuglie e dei distaccamenti nell’area della futura «zona libera» e, dopo unaricognizione locale, partì il «Turco» con 20-25 uomini, i quali, tanto per cominciare a far piazza pulita, entrarono in azione ad Arsiero all’imbocco della Val Posina. «Giulio », già comandante del Battaglione «Apolloni» dopo il trasferimento a Padova di «Roméro», iniziò un progressivo passaggio di pattuglie e distaccamenti in Val Posina e sulle dorsali dei monti soprastanti, mentre il «Marco», pur facendo la spola con Posina, si orientò verso gli altipiani di Tonezza e dei Campiluzzi che anche in seguito, e in pratica fino alla Liberazione, diventarono e restarono la sua zona preferita.
Uno studio completo sulla «zona libera» di Posina nei suoi vari aspetti (composizione delle formazioni, organizzazione militare e logistica, condizioni di vita, comandi e gerarchie esistenti, rapporti con il comando della Brigata GAREMI, infiltrazione di spie, rapporti con la popolazione, azioni partigiane di sabotaggio e di attacco, rete dei rifornimenti e delle staffette, armamento esistente e vari altri, potrà concludersi solo dopo una lunga serie di ricerche.
In questo Quaderno ho ritenuto di approfondire alcuni argomenti particolarmente significativi per la storia locale e nazionale, come appunto l’attacco alla caserma delle «Fiamme Bianche» di Tonezza (15 luglio), l’interruzione della Vallarsa (7 agosto), la Battaglia della Strenta (9 agosto). Della Battaglia sul Pasubio (31 luglio-1° agosto) si è già scritto in altro Quaderno.
Sul rastrellamento di Posina, che conclude la «zona libera», ha già riferito «Giulio» (cfr. Brigate d’assalto GAREMI, cit., pgg. 84-89) e in questo Quaderno sono stati raccolti solamente alcuni racconti partigiani, con la riserva di completare l’argomento in un prossimo Quaderno mediante una ricerca sulla dislocazione delle formazioni, sui Caduti, su Malga Zonta, facendo anche seguire un commento generale.
Va sottolineato infine che, proprio due giorni prima del rastrellamento di Posina, la Brigata GAREMI, costituitasi a Malga Campetto sopra Recoaro il 17 maggio, diventò il Gruppo Brigate GAREMI (Alberto comandante, Lisy commissario) e ne è documento una lettera-circolare del 10 agosto 1944.
[…]
Ma, prima di concludere questa breve introduzione, è utile inquadrare brevemente la «zona libera» di Posina nel panorama più generale e nazionale delle forze partigiane garibaldine dell’alta Italia. Secondo P. Spriano (Storia del P.C.I., cit., Vol V, pg. 377) il 20 luglio 1944 Longo inviava a Dimitrov il seguente messaggio­relazione:
«Già costituite oltre 60 efficienti Brigate d’assalto Garibaldi, varie divisioni con relativi comandi militari. Ogni Brigata comprende almeno 5-6 distaccamenti di 30-40-50 uomini, ciascuno già provato nella lotta, cioè un complesso di almeno 250-300 uomini. Contiamo ora nelle Brigate Garibaldine un 25-30.000 armati e oltre 5-10.000 disarmati. Vi sono 7-10.000 partigiani influenzati dagli altri partiti del C.L.N., soprattutto Partito d’Azione».
Per quanto riguarda poi le «zone libere», P. Spriano (pg. 362 e segg.) scrive:
“La prospettiva insurrezionale, tra il giugno e l’agosto del 1944 diventa una cosa molto concreta, anche se non si realizzerà. (. . .). Il fenomeno più massiccio, in giugno, è l’occupazione delle vallate alpine appenniniche, e la tendenza alla costituzione di «zone libere» dall’Emilia alla Liguria, dal Piemonte al Veneto. Sono numerose le vallate liberate nella prima fase estiva (. . .). Il Veneto non è da meno del Piemonte, della Lombardia, della Liguria, dell’Emilia nella crescita di un esercito partigiano e anche nel processo di unificazione delle varie sue componenti. Si tende, nel Bellunese e nella provincia di Treviso, a fare delle varie formazioni qualcosa di omogeneo, anche politicamente (sic), da parte dei dirigenti comunisti (Gaddi, De Luca, Piero Dal Pezzo, Clocchiatti, Elisio Dal Pont) (. . .). Anche dove si è forti non si riesce sempre a tenere, neppure in giugno-luglio, tutte le zone liberate, le perdite partigiane sono molto alte, di migliaia e migliaia di morti, e non meno gravi i sacrifici delle popolazioni civili; non c’è vallata senza eccidi di contadini, di giovani, di famiglie intere, massacri e incendi, dalla Val Seria al Friuli, dall’Oltrepò pavese all’Appennino tosco­emiliano, da Fossoli a Fondo Toce».
In questa visione nazionale della Resistenza garibaldina nei mesi di giugno-luglio-agosto 1944, la storia della Brigata d’assalto GAREMI, dislocata nell’Alto Vicentino-Trentino, si inquadra perfettamente: a) costituzione di una «zona libera» con epicentro a Posina, b) processo di depurazione politica da parte di «Alberto», quasi sicuramente su direttive regionali.
È pertanto in questa dimensione, non localmente ristretta ma nazionale, che vanno letti e valutati gli avvenimenti della «zona libera» di Posina […]
Emilio Trivellato, Posina “zona libera”, QUADERNI DELLA RESISTENZA, Volume VIII, Edizioni “GRUPPO CINQUE” Schio – Luglio 1979 – Grafiche BM di Bruno Marcolin – S.Vito Leg.

“Turco” – Fonte: Marchetto, Op. cit. infra

Parlare de “Il Turco”, al secolo Germano Baron, vuol dire affrontare la storia della Resistenza in tutta la sua problematica, analizzarne le implicazioni, seguirne lo sviluppo, dipanare intricate matasse di rapporti personali fatti di piccoli misteri e di grandi tragedie. Tutte cose che eviterò di fare con cura perché, per mia fortuna, non rientra nelle finalità della presente guida. Ritengo invece utile tracciare le linee della sua biografia al fine di rendere il vostro prossimo percorso più ricco ed interessante.
Dispiace che, a differenza di Glori e di Teppa, il Turco non ci abbia lasciato nessun memoriale; non ne ha avuto il tempo. Del resto, anche l’avesse avuto, non credo fosse nei suoi desideri impiegarlo in questo esercizio di memoria; il Turco privilegiava sempre e comunque l’azione.
In mancanza delle sue parole ricorrerò pertanto a quelle di coloro che l’hanno conosciuto. Prime fra tutte quelle dell’amata sorella gemella che per lui non conoscerà sacrifici, che lo seguirà ovunque e che lo difenderà per tutta la vita da calunnie e quant’altro: l’Elviretta.
[…] Nella zona di Schio, nel solo mese di aprile, avvengono tre importanti lanci. Il primo, a metà aprile, andrà a destinazione e tutto il materiale, se pur faticosamente, sarà recuperato senza alcun incidente… a parte una nottata in bianco.
Non così per il secondo. Comincia male fin dall’inizio; la conferma stessa del lancio arriva all’ultimo momento. E prosegue peggio. Il “Turco”, venuto a conoscenza dell’imminenza del lancio, cerca immediatamente di organizzare il recupero. Sale di corsa al baito sopra S. Caterina dove si trova una pattuglia di 15-20 partigiani, nel bel mezzo di una cena.
Non c’è tempo da perdere, gran trambusto, gran parlare sul da farsi e… la tavole del solaio non reggono. L’intera compagnia precipita al pianoterra, adibito a deposito per le armi e gli esplosivi. La buona stella partigiana eviterà un’esplosione coi fiocchi; qualche ferita, qualche contusione, niente più.
Così rabberciati, cominciano le ricerche. Nel frattempo il pilota, non avvistando i segnali convenzionali e dovendo disfarsi del carico, lo sgancerà nella zona di S. Ulderico; troppo vicino a Schio.
“Turco”, “Marte” e gli altri tentano comunque di appropriarsene, ma arrivano tardi e quello che incontrano sono solo fascisti e tedeschi in assetto di guerra. Sarà una battaglia violenta che durerà un’ora e mezza e, alla fine, la pattuglia partigiana dovrà ripiegare perdendo tutto il materiale lanciato. E non sarà l’unica perdita.
A scopo intimidatorio verrà preso, torturato e fucilato in piazza a Santorso un civile, Marco Santacaterina, assolutamente estraneo ai fatti: “[…] lo picchiarono e gli spararono ai piedi. Lo caricarono quindi su un camion e nel tragitto lo pugnalarono più volte al petto e alla schiena… Giunti alla piazza di Santorso fecero uscire i bambini dalle scuole e lo fucilarono sotto i loro sguardi terrorizzati”. <98
Marco Santacaterina non era né un partigiano, né aveva aiutato la Resistenza.
Il terzo lancio pare sia avvenuto senza essere stato preannunciato, trovando impreparati i partigiani per il suo recupero. Si farà ricorso, con discorsi più o meno persuasivi <99, all’aiuto della popolazione civile riuscendo a nascondere, prima dell’alba, tutto il materiale lanciato. Leggiamo dai ricordi dell’allora quattordicenne Pio Rossi: “Il lavoro di recupero, questa volta, sarà lungo e laborioso. Il materiale è disseminato su di un’area che dai Gonzati va fino ai Corobolli, per circa dieci chilometri quadrati […] Al mattino, dopo sei ore di lavoro, quasi tutto è raccolto”. <100
Questi tre episodi relativi ai lanci denotano certamente una precarietà nella organizzazione delle formazioni partigiane; sono oggettivi problemi di comunicazione tra un gruppo e l’altro, difficoltà nella ricezione e destinazione dei radiomessaggi, esiguità delle forze per lanci spesso consistenti
e che coprono vaste aree.
[…] È l’inizio di una recrudescenza dell’offensiva nazifascista, le cui motivazioni sono da ricercare nella particolarità del momento; siamo alla vigilia dell’ultima, improrogabile scadenza del “bando di chiamata”. Un’imponente,
massiccia dimostrazione di forza rappresenta, nelle intenzioni del Comando tedesco, la più efficace forma di persuasione nei confronti di una incertezza che si avverte generale. Quello che si teme è una diserzione in massa. L’offensiva culminerà nel rastrellamento dell’Ascensione: il 18 maggio 1944, una settimana prima della scadenza del bando.
Del resto, già nei giorni precedenti, si erano verificati diversi scontri che preludevano ad un inasprimento del conflitto.
[…] Gli Alleati dimostreranno sempre una certa «allergia ai guerriglieri troppo organizzati ed armati» <108, preferendo azioni di sabotaggio alla guerriglia vera e propria. Il domani, da un punto vista politico, è tutto da costruire, e formazioni partigiane troppo armate potrebbero dimostrare una “autonomia” non auspicabile; possibilità questa da evitare e prevenire con cura.
Sarà così che il mese di giugno registra azioni di sabotaggio quasi giornaliere. E poiché le armi sono sempre poche, nella lista del mese bisognerà aggiungere diverse azioni di disarmo ai danni dei presidi militari.
Il “Turco” sembra preferire queste ultime e, a metà giugno, ancora zoppicante, disarma e incendia, con la sua pattuglia, il presidio del cantiere della TODT di colle Xomo <109.
La reazione tedesca non si fa attendere, e il 17-18 giugno tutta la vallata del Leogra viene investita da un pesante rastrellamento, il cui esito sarà ben diverso dai precedenti; un tragico bilancio di morti, e l’incendio dell’intera contrada di Vallortigara.
Igino Piva, “Romero”, comandante del battaglione Apolloni operante nella zona, scrive nella sua relazione al Comando di brigata: «Il battaglione a nuclei, dato che non è stato preavvisato del rastrellamento, si è nascosto nella parte più inaccessibile del bosco» <110.
Da uno di questi ripari, soprastante la valle, il “Turco”, assieme a “Treno” e a “Giulio” (futuro comandante di brigata), osserva, muto e impotente, le colonne di fumo salire. È Giulio a ricordare: “Prima increduli, poi costernati, vediamo levarsi di là del passo di Pralungo una colonna di fumo; a differenza delle fumate di nebbia che salgono da ogni valle, il suo colore è grigio azzurrognolo e sale a volute veloci e continue. “brucia Contrà Vallortigara” dico e il Turco annuisce. “Ci sarà stato sicuramente uno scontro con i nostri” soggiungo e Turco annuisce e brontola”. <111
Gesti minimi, eloquenti come grida assordanti… La sera del giorno dopo giungerà nella contrada Alberto Sartori, “Carlo”, per soccorrere due partigiani feriti. Queste le sue parole: “Dopo una marcia forzata sotto la pioggia, giungemmo a Vallortigara in fiamme. La pioggia aveva spento gli incendi soltanto in superficie poiché, di tanto in tanto, qualche pezzo di fienile si staccava sollevando immensi fuochi d’artificio verso il cielo. Era una scena orrenda, dantesca”.
E ancora: “Nella contrada c’erano gli uomini della pattuglia di “Cavour” affranti e prostrati nel fisico e nel morale. Fummo accompagnati verso un porcile, al limite della contrada, dove c’erano due partigiani feriti: “Crinto” e “Lancia. Il loro stato era molto serio e mi resi subito conto che le probabilità di salvarli erano poche, specie per uno il cui petto era un colabrodo di fori attraverso i quali “respirava” sollevando il sangue raggrumato. L’altro aveva un’orribile ferita da pallottola esplosiva in una coscia e varie ferite nel basso ventre. Medicai quest’ultimo e gli feci due iniezioni. Avevo deciso di risparmiare le fiale per qualche altro ferito, trascurando quello colpito al petto e limitandomi a pulire un po’ le ferite. Un vecchietto, in ginocchio vicino a lui, mi disse: “E… me fiòlo, comandante, gnénte punture?”. Stavo per dirgli che era inutile, ma non ebbi il coraggio. Sacrificai così le due fiale di scorta”. <112
E fu un bene. Il giorno dopo è soccorso, neanche a dirlo, dal papà del “Turco” e, successivamente, mani più esperte lo medicano; riprenderà il suo posto in montagna poche settimane più tardi. Sarà la sola nota positiva; poco per consolare il dolore delle scene strazianti viste in quei giorni.
Solo alcune: Renzo Ghisi “Scapaccino”, ex-carabiniere da poco passato nelle fila partigiane, è catturato, picchiato selvaggiamente, legato ad un carretto e trascinato per un tratto di strada fino alla chiesa di S. Sebastiano dove, in fin di vita, le carni orrendamente dilaniate, viene fucilato.
Bruno Brandellero “Ciccio”, comandante di pattuglia, si consegna spontaneamente ai tedeschi per evitare la fucilazione degli abitanti della contrada. Torturato per giorni, viene fucilato il 26 di giugno.
Enrico Zambon “Scimmia”, Mario Piazza “Nostrano”, Guido Vigoni “Il Mantovan” sono i nomi degli altri partigiani caduti. Da aggiungere a questi altri quattro innocenti civili: Mario Cicchellero, Angelo Lovato, Guido Cortiana e Giovanni Cervo.
Duri colpi al movimento partigiano che avverte ora l’esigenza di una nuova organizzazione. L’afflusso sempre più rilevante dei renitenti determina un notevole rafforzamento delle formazioni, e con ciò stesso una loro maggiore vulnerabilità. Si impongono spazi più ampi, territori più vasti. La zona prescelta sarà la Val Posina, ideale, per le sue caratteristiche naturali, alla guerra partigiana («E così iniziò la migrazione verso la fine di giugno 1944» <113).
Il “Turco”, amante degli spazi liberi, decide di spostarsi nella parte più alta, nelle malghe dei Campiluzi; non prima però di levarsi qualche voglia («In conformità al suo carattere, decide che lo spostamento delle pattuglie non si limiti ad una semplice marcia di trasferimento» <114).
Nel tragitto passa per Arsiero, ed attacca e disarma la caserma dei carabinieri locale. Poi si sposta al Colle di San Rocco, dove fa saltare in aria i magazzini di dinamite della TODT. Niente male per un giorno di cammino.
Un paio di settimane, il tempo di acclimatarsi, e lo troviamo ad una riunione a Montepiano in Valdastico con “Carlo”, “Braccio” e “Ivan”. Ordine del giorno: l’attacco alla caserma delle “Fiamme Bianche” (un reparto della G.N.R.) di Tonezza <115.
L’operazione, come abbiamo già avuto modo di dire nell’introduzione, fu un vero disastro dal punto di vista militare. Dirà “Giulio”: «Sul piano operativo l’operazione sarà un mezzo fiasco: l’attacco verrà respinto, cinque partigiani cadranno e tutte le munizioni in fumo» <116.
Tuttavia, politicamente, risulterà avere delle insperate e del tutto positive conseguenze. Il Comando del Battaglione “Fiamme Bianche” riterrà non più difendibile il presidio, e dopo una settimana dall’attacco gli allievi ufficiali sgombrano la caserma. È un duro colpo per il prestigio del tanto decantato esercito della R.S.I., e rappresenta – cronologicamente – l’inizio della zona libera della Val Posina.
Una zona libera che, come abbiamo già detto in precedenza, il Comando tedesco riterrà pregiudizievole alla propria strategia militare. Passeranno poche settimane per la preparazione di un rastrellamento di proporzioni assolutamente imprevedibili e inedite.
Inizierà il 12 agosto del 1944, e continuerà ininterrottamente per tre giorni.
98 G. BILLE, Santorso nella Resistenza, Schio, Odeonlibri-ISMOS (“Quaderni Garemi” n. 1, a cura di E.M. SIMINI), 1990, p. 8.
99 Cfr. QRS, p. 140, e E. D’ORIGANO, Diari della Resistenza, voll. 6, Schio, Edizioni Menin, 1995, p. 48.
100 ROSSI, cit., p. 72.
108 QRS, p. 168.
109 L’intero racconto in: D’ORIGANO, cit., pp. 120-123.
110 Relazione di Igino Piva, in Archivio dell’Istituto Veneto per la storia della Resistenza, Padova, busta b2.
111 CAROTI, cit., p.50.
112 QRS, p. 195.
113 CAROTI, cit., p. 55.
114 D’ORIGANO, cit., p. 167.
115 Ci sono pareri discordanti sulla presenza del Turco a quella riunione, ma la cosa certa è che il Turco non rinunciò alla sua azione anche se, senza dubbio, a conoscenza del parere diverso degli altri comandanti.
116 CAROTI, cit., p. 56.
Giorgio Havis Marchetto, Seguendo Teppa, Glori e il Turco, Centro Studi Ettore Luccini, Padova, 2005

Da ANPI Malo Vicenza riportiamo (brani).
Giovannino Marostegan “Gimmi” nasce a Vicenza il 29 maggio 1916, terzo di sei tra fratelli e sorelle. La madre casalinga; il padre (antifascista, capocellula della zona della Polveriera), muratore presso una coperativa, più volte bastonato e “purgato”. (Muore nell’estate del 1943). A 18 anni Gimmi viene chiamato alle armi, all’8° Bersaglieri di Verona, in una compagnia motociclisti […]
Col cognato svaligiò la polveriera vicino a casa e nascose casse di armi e munizioni sotto a un campo nei paraggi dell’aeroporto. Si mise subito i contatto coi cugini, i comunisti Carlo, Bruno e Giordano Campagnolo, e con tutti i compagni che in quei giorni stavano organizzando i primi GAP a Vicenza. Cominciò l’incetta di armi, il sabotaggio di aerei al suolo, gli attentati alle linee ferroviarie ed elettriche. Raggiunto il distaccamento garibaldino sull’Altipiano di Asiago dopo vicende e arresto avventuroso ne divenne il comandante alla partenza di Romano Marchi Mirro e Leone Franchini Franco. In seguito venne chiamato in Val d’Astico per organizzare, con Alberto SartoriCarlo” e Germano Baron “Turco”, il btg. Marzarotto. Il rastrellamento, lanciato da un’intera divisione nemica, cominciato all’alba del 12 agosto 1944 che puntò per primo su Malga Zonta, lo colse con un distaccamento nella vicina Malga Melegna. Frazionatisi a piccoli gruppi, “Gimmi” e compagni riuscirono a mimetizzarsi per tre giorni, senza cibo nè acqua, e a uscire indenni dalla tenaglia […]
Redazione, Il partigiano “Gimmi”, frontedeserto, Diari di guerra

Lo “spirito di parte” emerge invece a piene lettere nei contributi di Antonio Orfeo Vangelista, già vice commissario della “Garemi”, del 1969 <54 e di Italo Mantiero, comandante del battaglione “Loris” della “Monte Ortigara”, del 1984 <55; entrambi vorrebbero porsi come “ricostruzioni” in qualche modo con valenza storiografica, mentre invece si muovono pienamente nell’ambito della memoria, in qualche modo “apologetica”, certamente “polemica” nei confronti di una differente “visione” dei fatti; in tal senso operano anche i partigiani della “M. Ortigara”, che “rispondono” nel 1971 al volume di Vangelista <56.
[NOTE]
54 ARAMIN [A.O.VANGELISTA], Rapporto Garemi, Milano 1969.
55 I.MANTIERO, Con la Brigata Loris. Vicende di guerra 1943-1945, Vicenza 1984.
56 I partigiani della divisione alpina M. Ortigara in risposta al rapporto Garemi di “Aramin”, Vicenza 1971.
Gianni A. Cisotto, La Resistenza nel Vicentino. Tra storia e storiografia in Tempi uomini ed eventi di storia veneta. Studi in onore di Federico Seneca, a cura di S. Perini, Rovigo, Minelliana, 2003, pp. 537-556; ID., La Resistenza vicentina. Bibliografia 1945-2004, Sommacampagna (Verona), Cierre, 2004