I partigiani di Giustizia e Libertà nella IV Zona Ligure

27 aprile 1945: Umberto Vendramin delle SAP di GL passa in rassegna con il colonnello Mario Fontana un gruppo di Resistenti (collezione Andrea Vendramin) – Fonte: Maria Cristina Mirabello, art. cit. infra

Le varie formazioni partigiane spezzine operanti sulla destra del Magra il 25 luglio del ‘44 costituiscono a Castello di Zeri la 1.ma Divisione Liguria, che avrebbe dovuto riunire sotto un unico comando le are montane di Spezia, Apuania e Parma. Non raggiungendo l’obbiettivo, assume in seguito il nome di IV Zona ligure, sempre con sede a Zeri. Al comando viene nominato il colonnello Mario Fontana “Turchi”; vice comandante Guglielmo Cacchioli “Beretta” e commissario politico Antonio Cabrelli “Salvatore”. E’ composta da quattro brigate, la Brigata d’assalto Lunigiana Giustizia e Libertà comandata dall’azionista Vero Del Carpio “il Boia” che dispone i suoi uomini dal monte Picchiara a Calice, ai Casoni a Montereggio e Mulazzo. La “Vanni” d’ispirazione comunista, comandata da “Tullio” Battistini, che prende posizione tra il Betinia e il Gordana sulle alture di Pontremoli e di Codolo fino al monte Spiaggi. Quello che rimane del “Picelli”, già guidato da Facio è ora agli ordini di Nello Quartieri “Italiano”. Si dispone lungo il Gordana, tra la Vanni e Mulazzo. La quarta brigata è la Cento Croci che opera nell’area parmense. Per un certo tempo fanno riferimento alla Divisione Liguria anche formazioni operanti sulla sinistra del Magra. In autunno alcuni gruppi legati alla Colonna Giustizia e Libertà di Del Carpio mettono in atto delle azioni sull’Aurelia, a nord della Spezia attaccando con successo dei camion tedeschi. Tra le azioni si ricorda l’assalto messo in atto da parte di una squadra del gruppo di “Tullio” il 24 luglio, durante un allarme aereo, nei magazzini della Wehrmacht a Ceparana, nel quale catturano 17 soldati e 3 ufficiali tedeschi e si impadroniscono di una ingente quantità di generi alimentari. I prigionieri vengono subito scambiati con dei civili che erano stati catturati a Bolano. Qualche giorno dopo i tedeschi colpiscono a cannonate i paesi sopra Ceparana e rastrellano una sessantina di persone.
Redazione, Venti mesi per la Libertà nella provincia di Massa Carrara, ISRA, Istituto Storico della Resistenza Apuana

Scheda Ricompart di Giovanni Pagani – Fonte: Partigiani d’Italia (www.partigianiditalia.beniculturali.it)
Scheda Ricompart (www.partigianiditalia.beniculturali.it) di Renato Mazzolani – Fonte: Partigiani d’Italia (www.partigianiditalia.beniculturali.it) 

Giovanni Pagani, nome di battaglia “Giovanni”, era il comandante della IV Compagnia della Colonna “Giustizia e Libertà”. Il grande rastrellamento nazifascista del 20 gennaio 1945 lo colse su una linea abbastanza bassa. La resistenza a Cornice di Sesta Godano e a Serò di Zignago durò tutta la giornata, impegnando i reparti garibaldini dei battaglioni “Vanni”, “Gramsci” e “Matteotti-Picelli” e la IV Compagnia di “G.L.” “Giovanni” non concordò con l’ordine del Comando della IV Zona operativa di sganciarsi verso il Gottero e Fontana Gilente, ma invitò i suoi uomini a scavare tane per nascondersi e nascondervi armi, munizioni e viveri. Questo orientamento si fondava soprattutto sul fatto che quasi tutti i patrioti giellisti erano gente del luogo, che aveva continuato ad abitare nelle proprie case. E poi sul fatto che, dopo aver combattuto tutta la giornata, la prima mattina del 21 le vie di accesso al Gottero erano ormai occupate dal nemico. “Giovanni” raggiunse Vezzola e si portò ai piedi del monte Dragnone con nove uomini, più tre civili che si erano uniti. Con lui c’erano, tra gli altri, due ufficiali di “G.L.”, Ezio Grandis “Ezio II”, e Giuseppe Da Pozzo, e il caposquadra Vittorio Brosini “Bambin”. Il rifugio era una grotta alle falde del Dragnone. Il 22 il numero dei rifugiati salì a 15, con altri tre civili. Secondo il racconto di uno dei protagonisti sopravvissuti, la staffetta Virginio Lovera “Leone”, la notte del 22 i patrioti si destarono all’improvviso e si accorsero che il civile di guardia era ferito. Cominciò la sparatoria, poi “Giovanni” impose la resa ai suoi, per salvare i civili, a costo della vita. I 9 partigiani si diedero prigionieri ed ebbero la garanzia verbale che sarebbero stati trattati come prigionieri di guerra e che i civili sarebbero stati lasciati liberi. In realtà i partigiani furono portati al XXI Reggimento di Fanteria e poi trucidati nei pressi delle loro abitazioni, perché tutti potessero vedere. Pagani e Grandis furono uccisi alla Chiappa, Da Pozzo a Monterosso, Brosini a Stagnedo di Beverino. Il loro sacrificio non fu vano: i civili furono risparmiati. Il conferimento della Medaglia d’oro per Giovanni Pagani è davvero un gesto doveroso
[…] Il Partito d’Azione nacque a Spezia da un gruppo composto da Vero Del Carpio, Mario Foce, Mario Da Pozzo, Alfredo Contri, Lorenzino Tornabuoni, Cesare Godano, Vinicio Manfrini, e sostenuto da Giulio Bertonelli, un dirigente nazionale e ligure, che era nativo di Zignago. Un gruppo caratterizzato da uno straordinario attivismo, a cui va riconosciuto il merito di aver dato vita a una formazione partigiana che ebbe, nella Resistenza spezzina, un grande ruolo: occupò una vasta area tra Magra e Vara, con una consistente forza numerica e una efficiente organizzazione, e sopportò buona parte del peso della lotta. A Spezia va anche citata l’autodenominatasi “organizzazione clandestina militare patriottica”, che si trasformerà poi in SAP (Squadra di Azione Patriottica) e aderirà a “G.L.”: fu costituita, nella dirigenza, da elementi della Marina Militare. Il capo riconosciuto era il capitano Renato Mazzolani: catturato dalle brigate nere, seviziato e torturato al fine di estorcergli notizie e confessioni, per non parlare si tagliò le vene e si impiccò in cella. Gli fu concessa la Medaglia d’oro. Per ciò che riguarda, invece, le bande ai monti, “G.L.” ebbe la primogenitura in Val di Vara, insieme ai cattolici della “Beretta”, mentre contemporaneamente, nelle colline sarzanesi e santostefanesi, nascevano i gruppi garibaldini. All’origine ci fu l’attività del “Gruppo Bottari” a Vezzano, con il colonnello Giulio Bottari e i tenenti sardi Piero Borrotzu e Franco Coni. Il gruppo si spostò poi a Torpiana di Zignago. La base principale della futura formazione la si coglie già qui: ex militari sbandati, studenti o giovani diplomati, molti contadini. Pochi impiegati e operai. Lo stretto legame tra la formazione e il territorio costituì un elemento di forza, perché favorì il rapporto e l’intesa con la popolazione e sostenne psicologicamente i combattenti. Fu l’elemento che mancò in parte ai garibaldini in Val di Vara, per la forte presenza di operai spezzini (diversa fu la composizione delle bande garibaldine della Val di Magra). A fine 1943 era già operante a Torpiana una banda di “Giustizia e Libertà” di circa 50 uomini, comandati da Vero Del Carpio “il Boia”, che diventò “Brigata d’Assalto Lunigiana” tra il febbraio e il marzo 1944: vi ritroviamo, oltre a Bottari, Borrotzu e Coni, anche lo spezzino Tonino Celle (“Tonino I”), Amelio Guerrieri (“Amelio”) di Valeriano, Ezio Grandis e Giovanni Pagani, Prospero Castelletto (“Baciccia”) di Camogli, il calicese Daniele Bucchioni (“Dany”), Ermanno Gindoli (“Ermanno”) di San Benedetto, e tanti altri che furono poi tutti protagonisti della Colonna di “G.L.” C’era chi aderiva esplicitamente al PdA, come Celle, Grandis e Castelletto, chi no: ma tutti, da Borrotzu a Coni, da Guerrieri a Bucchioni, aderivano pienamente al piano militare di una guerra di liberazione antifascista. “Amelio” e “Dany”, per esempio, erano di formazione cattolica, ma rifiutarono l’invito di don Carlo Borelli, sacerdote resistente, di lasciare “G.L.” per dar vita a un’autonoma formazione di ispirazione cattolica.
Il libro di Giulivo Ricci “La colonna Giustizia e Libertà” è la narrazione molto ben documentata di tutti gli episodi salienti della storia di “G.L.” nella IV Zona operativa Liguria: dal tragico rastrellamento dell’aprile’44, in cui morì eroicamente Borrotzu, alla riorganizzazione successiva, con la formazione, nel giugno ’44, di quattro compagnie della Brigata: la prima nel calicese comandata da “Dany”, la seconda nel madrignanese comandata da Gino Paita “Yanez”, la terza tra i Casoni e Beverone, al comando di “Amelio”, la quarta a Brugnato al comando di “Giovanni”. Poi l’altro tragico rastrellamento, quello dell’agosto ’44, in cui, scrisse il colonnello Mario Fontana, comandante della IV Zona, “solo la Brigata Cento Croci offrì nei giorni 2,3,4 una resistenza organizzata battendosi valorosamente al passo delle Cento Croci e al monte Scassella; anche un reparto della Colonna Giustizia e Libertà resistette eroicamente ai Casoni contro forti colonne avversarie”: al comando c’era “Dany”. I nazifascisti subirono il primo insuccesso nel rastrellamento dell’8 ottobre ’44, che non scompaginò il dispositivo partigiano: il peso fu sostenuto dal Battaglione “Vanni”, garibaldino, e dal Battaglione “Val di Vara” di “Giustizia e Libertà”, al comando di “Dany”. Purtroppo nel combattimento cadde Gerolamo Spezia “Piero”, che meritò la Medaglia d’oro. Nel frattempo si era costituita la Colonna, comandata da Del Carpio, mentre Godano (“Gatto”) era il commissario politico; sopra le Compagnie, diventate sei, stavano due Battaglioni: quello “Val di Vara” al comando di Orazio Montefiori (“Martini”), con “Dany” vicecomandante e Ezio Giovannoni (“Ezio I”) commissario politico; e il Battaglione “Zignago” al comando di Gindoli, con Giovanni Ceragioli (“Vas”) commissario politico. La Colonna diede vita a numerose azioni, in cui si distinse, come miglior sabotatore di ponti, e poi come protagonista della difesa di Brugnato, “Giovanni”. Anche “Dany” e “Amelio” erano due ottimi ufficiali, spesso in contrasto tra loro: “di fronte -scrive Ricci- a un temperamento più riflessivo, più fermo nelle determinazioni adottate, più incline ad attribuire importanza anche ai lati formali dell’organizzazione, quale quello di ‘Dany’, stava un ‘Amelio’ molto coraggioso, estroso, ma anche insofferente di una troppo stretta disciplina e talora incurante delle forme”. Non a caso, nel dopoguerra, “Dany” divenne generale, mentre “Amelio” fu semplicemente Amelio: entrambi grandi uomini e comandanti, ma di temperamento molto diverso. Nel rastrellamento del gennaio ’45 abbiamo già visto, scrivendo di “Giovanni”, quale fu il contributo di “G.L.”. Ma va ricordato anche il sacrificio, a Frandalini di Adelano, di dodici patrioti giellisti, quasi tutti di Vernazza. Un’intera generazione di quel paese venne cancellata: erano tutti giovanissimi, tranne uno, Renato Perini, che era il padre di due degli uccisi, fratelli gemelli. Compattezza e resistenza offrirono anche le brigate garibaldine, che nell’agosto ’44 erano crollate per prime; mentre la “Cento Croci”, che ad agosto fu decisiva nell’impedire il disastro totale, a gennaio ebbe una condotta impacciata e incerta, e i suoi dirigenti furono fatti prigionieri. I rapporti tra brigate, insomma, si erano rovesciati. Tornando a “G.L.”, nel rastrellamento di gennaio morì anche “Baciccia” (la lapide è in piazza Colombo, di fronte al mare di Camogli, che si domina dalla calata a lui dedicata): “eccezionale e singolare personaggio, camoglino dallo stupefacente coraggio, ribelle e antifascista da sempre, staffetta, informatore, guida, combattente, partigiano, intendente di brigata, camminatore infaticabile tra Genova e il Picchiara, sempre allegro, pronto a ogni fatica” (così lo descrive il Ricci). Fu catturato dai tedeschi, riuscì come altre volte a fuggire, ma cadde sul ghiaccio e gli si spezzò una gamba: l’urlo di dolore attrasse i tedeschi che lo uccisero mentre stava per sollevarsi. Dopo gennaio i partigiani erano all’attacco e colpivano in continuazione, scendendo in pianura. Durante una di queste azioni, il 12 aprile, dopo aver fatto esplodere la rupe della curva della Rocchetta mentre transitava una colonna tedesca, vennero uccisi dai tedeschi superstiti Ermanno Gindoli, comandante del Battaglione “Zignago”, Alfredo Oldoini (“Alfredo”), comandante della VI Compagnia, e Oronzo Chimenti (“Miro”), comandante di plotone. Lo scopo era stato raggiunto, ma a quale prezzo! Fu un dolore incontenibile. Anche se la vittoria di aprile era ormai vicina. Nel momento in cui la VI Compagnia si metteva in marcia per andare a liberare la città, il canto dei partigiani riferiva al nome dei caduti l’attesa della prossima definitiva avventura:
“E’ la Compagnia d’Alfredo
è d’Ermanno il Battaglion
è Miro che comanda
si va giù si va giù si va giù”
“Dany” fu incaricato di liberare Aulla. Alla liberazione di Spezia contribuì il Battaglione “Gindoli”, già “Zignago”, al comando di “Amelio”, che sconfisse i residui nazifascisti a Montalbano.
Ma la vicenda spezzina di “G.L.” si comprende pienamente solo se ne rinveniamo il filo conduttore in Cesare Godano “Gatto”: per la sua formazione culturale e politica, per il suo ruolo nel PdA e nella Colonna egli fu forse la personalità più rappresentativa del giellismo. Lo dimostra molto bene il suo bel libro “Paideia ‘44”, il racconto della sua vita da ragazzo, fino all’esperienza di commissario politico della Colonna. Cesare si formò al liceo Costa, dove lasciò un segno profondo su di lui il docente di storia e filosofia Aldo Ferrari: antifascista, si suicidò quando i fascisti vennero a prelevarlo a casa. Come Mazzolani, non voleva rischiare di tradire i compagni in seguito alle torture. All’Università Cesare fu allievo di Guido Calogero, filosofo, esponente del liberalsocialismo. Poi fu ufficiale di artiglieria in Jugoslavia. Esperienze che lo portarono alla maturazione, innanzitutto morale: “Cosa ci vuole dunque? Una rivoluzione forse, e prima una rivolta. Anzitutto nella propria interiorità… Bisognava andare a cercare il fondo delle cose, a frugare nel nucleo stesso dell’umanità, per estrarne una visione della vita totalmente opposta a quella del fascismo e del nazismo. La rottura con il passato doveva essere assolutamente radicale… Da tutto nasceva un’ansia, il bisogno di fare qualcosa, di capire sì, ma appena capito, se si credeva di aver capito, di passare all’azione”. Cioè “opporsi in ogni modo, anche con la violenza, alla guerra e al fascismo”. Aderì al PdA e scelse, nel marzo ’44, la via dei monti, a Torpiana: “C’era da inventare una nuova guerra, non un gioco da ragazzi”. Fu tra i primi a capire che alle bande occorrevano “comando, ordine, disciplina” e le regole fondamentali della guerriglia: le basi su cui, nel luglio ’44, si costituì il Comando Unico delle formazioni della IV Zona. “Gatto” divenne, dopo il rastrellamento di agosto, commissario politico della Colonna, incarico che ricoprì fino a pochi giorni prima della Liberazione, quando fu nominato segretario provinciale del PdA. Il partito non resse alle prove della democrazia, raccolse pochi voti alle elezioni e si sciolse. Gli ex partigiani giellisti votarono in buona parte Dc, Pci, Psi… Ma la Colonna, senza la quale la Resistenza spezzina sarebbe stata più debole e anche meno plurale, nacque, non va mai dimenticato, grazie al grande attivismo dei capi del PdA. Che poi portarono in altri partiti democratici la loro preziosa eredità: Godano, per esempio, divenne dirigente del Psi e vicesindaco della Spezia.
[…]
Giorgio Pagano, Siamo i ribelli della montagna, Città della Spezia, 8 febbraio 2015

Infine non si può trascurare l’importanza dei gruppi clandestini con base di reclutamento fortemente locale (di paese o di vallata) formatisi quasi spontaneamente per opera di militari tornati alle proprie case dopo l’armistizio e di renitenti alla leva della RSI.
Inizialmente questi gruppi furono impegnati in attività di resistenza passiva come la protezione di soldati sbandati meridionali o persino di ex prigionieri alleati, la protezione dei renitenti, la violazione delle norme annonarie, ma in seguito si fonderanno con i gruppi formati dai partiti antifascisti, pur mantenendo in molti casi una larga autonomia e una chiara coloritura locale.
Ad esempio il Battaglione Val di Vara della Colonna Giustizia e Libertà nacque da alcuni gruppi locali fusisi intorno al maggiore e più attivo (quello di Calice al Cornoviglio di Daniele Bucchioni) e anche la Banda “Beretta”, nata nel borgotarese (provincia di Parma) ma ben presto legata alla resistenza spezzina, nacque da un gruppo apartitico molto legato alla situazione locale.
Mentre sulle montagne stavano nascendo i primi nuclei partigiani, nell’ottobre del 1944 si formò alla Spezia il primo Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che a partire dal gennaio successivo comprese tutti i partiti antifascisti.
[…] Nel maggio-giugno 1944 le formazioni partigiane erano ormai una realtà consolidata: dalla Banda “Beretta” era nata la brigata Cento Croci, che operava sulle montagne tra il parmense e lo spezzino, mentre nel comune di Zeri (MS) si stava formando la brigata garibaldina Vanni con Primo Battistini “Tullio” come comandante. Dai nuclei azionisti si era invece formata la Brigata d’Assalto Lunigiana che, sotto il comando di Vero del Carpio “Boia”, agiva in Val di Vara e in Val di Magra avendo come base il Monte Picchiara.
Un’attivissima formazione garibaldina nata nel parmense, il battaglione Picelli comandato da Dante Castellucci “Facio”, si era poi inserita a pieno titolo nel quadro della Resistenza locale. Altri gruppi meno numerosi e organizzati, prevalentemente garibaldini e azionisti, agivano nella Lunigiana toscana e sulle colline sarzanesi.
Nell’estate del 1944, mentre progrediva l’avanzata alleata nell’Italia centrale e si riaccendevano le speranze di una prossima liberazione, le formazioni partigiane crebbero a un ritmo estremamente sostenuto, in gran parte per l’apporto di renitenti alla leva e anche di ex militari della RSI: in poco tempo gli effettivi triplicarono, creando gravi problemi di approvvigionamento, di armamento, di addestramento e di disciplina.
Dopo diversi tentativi, il 28 luglio 1944 fu ufficialmente costituita a Zeri, anche grazie agli sforzi del CLN, la I Divisione Liguria, comprendente le brigate partigiane Cento Croci, Vanni, Gramsci e la colonna Giustizia e Libertà (già brigata Lunigiana). A capo della divisione fu posto il colonnello Mario Fontana, affiancato dal commissario politico Antonio Cabrelli “Salvatore”, vecchio militante comunista.
Nei giorni immediatamente precedenti la nascita della divisione venne fucilato dopo un processo-farsa, organizzato da alcuni esponenti comunisti spezzini, il comandante del battaglione Picelli “Facio”. Le ragioni di questa esecuzione non sono mai state completamente chiarite.
La I Divisione Liguria era numericamente uno dei più temibili gruppi partigiani della Liguria, ma le brigate che la formavano erano cresciute troppo in fretta e avevano gravi problemi d’organizzazione e di disciplina, inoltre il coordinamento tra i vari comandi lasciava molto a desiderare. Tutti i nodi vennero al pettine il 3 agosto 1944, quando i tedeschi e i fascisti iniziarono un imponente rastrellamento nella zona controllata dalla I Divisione.
Le formazioni partigiane non collaborarono tra loro e il comando di divisione non fu in grado di organizzare una difesa adeguata: si diffuse il panico e solo la strenua ed efficace resistenza della brigata Cento Croci permise ai resti delle altre brigate di ripiegare, seppure con gravi perdite.
Il rastrellamento fu una pesante battuta d’arresto per la Resistenza spezzina, ma non indicò una inversione di tendenza: gradualmente le formazioni si riorganizzarono e già il 3 settembre fu riformato il comando di divisione, sempre con Mario Fontana come comandante. Pur non tentando una completa “militarizzazione” delle formazioni partigiane, Fontana cercò di uniformarne progressivamente l’organizzazione e la disciplina, dividendo anche con maggiore precisione le rispettive zone di operazioni; si cercava così di rendere più facili i rapporti tra le varie brigate e di promuovere più efficaci azioni coordinate. Si puntò molto anche sul miglioramento dei rapporti tra partigiani e popolazione, guastatisi soprattutto a causa dell’impossibilità di difendere i paesi dalle rappresaglie, ma anche per il comportamento di alcuni partigiani, troppo inclini alle requisizioni non autorizzate.
[…] Nel dicembre 1944 alla I Divisione Liguria, ribattezzata “Monte Picchiara”, si aggiunse la II Divisione Liguria “Cento Croci”, sviluppatasi dalla omonima brigata. Mario Fontana, ora affiancato come commissario politico da Tommaso Lupi, divenne comandante della IV Zona Operativa che riuniva le due divisioni (per un totale di circa 1800 partigiani).
Maurizio Fiorillo, La Resistenza nello Spezzino in Resistenza (della), viale Sesta Godano, SP, a cura di Valerio Martone, M. Cristina, Mirabello, Progetto “Le vie della Resistenza (1943-1945)”, ISR La Spezia, Il progetto “Le vie della Resistenza”, è uno “stradario” realizzato dall’I.S.R. (Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea) in collaborazione con il Comune della Spezia e con i Comuni della Provincia della Spezia, per celebrare i 70 anni della Liberazione (1945-2015)
(Il testo di Maurizio Fiorillo è apparso nel 2001, in forma diversa e più ampia, sulla rivista “Storia e Memoria” edita dall’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea)

L’esperienza del Territorio Libero del Taro si concentra nelle giornate che vanno dalla metà di giugno alla metà di luglio del 1944, e quindi poté danzare una sola estate. La vicenda ha tre momenti cruciali sul campo con le battaglie del Manubiola – il torrente che dai monti che sovrastano il Passo della Cisa getta le sue limpide acque nel fiume Taro – del 30 giugno 1944; la battaglia di Grifola dell’8 luglio, e quella di Pelosa dell’11 luglio 1944. Per un mese la ferrovia Parma-La Spezia e le strade che dalla Valle Padana conducono alla Liguria, attraverso i Passi del Bocco e del Centocroci, furono saldamente nelle mani dei ribelli. E anche quando i tedeschi rioccuperanno il fondovalle, problematico sarà l’utilizzo delle suddette vie di comunicazione, sempre soggette ad atti di sabotaggio. Tutto il quadro militare e strategico è in movimento dal momento che le formazioni partigiane, aumentati gli organici, sono all’attacco dei vari presidi nemici dislocati nelle valli del Taro e del Ceno. Esiste a riprova un promemoria per il Duce e per il comando della Guardia Nazionale Repubblicana che recita: “I banditi hanno occupato Borgotaro e Ostia Parmense. Il locale distaccamento GNR dopo la defezione di buona parte dei suoi componenti, non era in grado di sostenere la situazione cosicché – a quanto è stato assicurato – il comandante del distaccamento ha provveduto a nascondere le armi e a ritirarsi in abiti civili. La zona è in completa balia dei banditi favoriti dalla popolazione ed in particolare dal ceto benestante”.
Le diverse formazioni partigiane avevano contribuito alla liberazione di quelle vallate. E cioè le bande di Vampa, Poppy, Fradiavolo e Beretta; i gruppi Molinatico, Penna e Centocroci; le brigate Prima Julia e Dodicesima Garibaldi.
Era così sorto il Territorio Libero del Taro.
Si trattava di zona di particolare importanza strategica a ridosso della Linea Gotica, che divenne sino al settembre 1943 culla della Resistenza e il centro di coordinamento contro il nazifascismo. A ridosso dell’offensiva militare si creano le prime strutture democratiche antagonistiche allo Stato fascista. Sotto la guida di Achille Pellizzari, nominato prefetto di tutto il territorio, i comuni liberati vennero amministrati, compatibilmente con la situazione che lo stato di guerra comportava, secondo principi democratici. E siccome la democrazia si insedia nelle istituzioni ma ha bisogno di canali di comunicazione con la società civile, ecco che venne pubblicato il giornale “La nuova Italia”. In esso il Pellizzari scriveva in un fondo dal titolo Annunzio: “…Questo giornale non è fatto da retori stipendiati, i quali, per un lucro immondo, esortino i temerari e gli ingenui al rischio che essi fuggono, alle battaglie che essi temono. Questo giornale è fatto dai combattenti pei loro compagni di fede e di sacrifizio: è fatto dal popolo in armi per il popolo che nelle case, nelle officine, nei campi, attende e spera, dopo tante sofferenze, dai fratelli e dai figli il dono luminoso della pace, della giustizia e della libertà. Amici della Valle del Taro, attori e testimoni dell’epica lotta che restituisce alla Patria la sua coscienza e le ridona il diritto di cittadinanza fra i popoli civili, se la nostra passione s’invermiglia di sangue, la vostra vicenda già s’incorona d’alloro. Ringraziamo Dio, che ci permette di vivere, dopo tanta tempesta, un giorno sfolgorante di sole, che alla nostra fede e alla nostra costanza già addita imminente il certo premio della vittoria…”.
Il primo numero del giornale uscì il 13 luglio 1944 e il secondo numero vedrà la luce solo il 9 aprile 1945, quando l’alta valle del Taro sarà definitivamente liberata ad opera dell’esercito partigiano. Una valutazione deve pure essere fatta. La storiografia partigiana ha dato grande risalto alla Repubblica dell’Ossola e al Distretto di Montefiorino, mentre ha trascurato altre realtà e tra queste il Territorio Libero della Val di Taro, che invece sotto il profilo amministrativo e politico fu certamente significativo.
Per quanto riguarda l’aspetto strategico è sufficiente consultare una carta geografica dalla quale emerge come la valle fosse attraversata da vie di comunicazione stradali e ferroviarie sulle quali transitavano i convogli per il fronte della Linea Gotica. Sotto l’aspetto politico ed amministrativo si trattò di un laboratorio in cui si sperimentava la realizzazione di nuove strutture politiche e sociali, quasi una prova e un anticipo per una democrazia non più liberale, che provava ad essere insieme rivoluzionaria e popolare. Minoranze e popolo in armi non sono soltanto in armi. Le armi anzi liberano lo spazio per esperimenti di democrazia che poi si incaricano di proteggere. Anche per questo lo Stato partigiano era una spina nel fianco dello schieramento nazifascista. Il ribellismo si consolidava e si dava costumi e regolamenti propedeutici al una piena vita istituzionalmente disciplinata.
Giovanni Bianchi e Andrea Rinaldo, La Resistenza dalla foce. Quale nazione per gli italiani postmoderni, Eremo e Metropoli Edizioni, Sesto San Giovanni, aprile 2017

Nato a Siracusa il 23 aprile del 1923, residente da tanti anni nel capoluogo etneo, all’atto dell’armistizio del’8 settembre Santino Serranò era militare nella Marina in Liguria, nel presidio di La Spezia. Successivamente, dopo un breve periodo di rifugio a Vezzano Ligure, si aggregò alle formazioni partigiane operative in Liguria. Per lungo tempo fece parte della Brigata Lunigiana di “Giustizia e Libertà”, comandata da Amelio Guerrieri, nel battaglione “Antonio Cintoli” operativo nella IV^ zona.
Santino Serranò partecipò alla battaglia del Monte Gottero, uno degli episodi più rilevanti della Lotta di Liberazione nella provincia di La Spezia.
Il 20 gennaio 1945 da parte di 20.000 nazifascisti iniziò un grande rastrellamento contro le formazioni partigiane, composte da oltre 2.500 unità, che si trovavano nell’area della IV^ Zona. La battaglia e le operazioni di sganciamento durarono per molti giorni. Grandissime le difficoltà e le perdite della formazione di Giustizia e Libertà.
Serranò, dopo lunghe peripezie vissute con il suo battaglione, in una zona totalmente ricoperta dalla neve, martoriato dal freddo intenso, riuscì a salvatasi dall’accerchiamento nazifascista.
La Colonna Giustizia e Libertà fu la più numerosa tra le formazioni partigiane, diretta emanazione del Partito d’Azione, apparve a La Spezia dopo il 25 luglio 1943.
Le radici della sua storia si trovano a Val di Termini e a Torpiana di Zignago tra il dicembre 1943 e il febbraio 1944; la formazione nacque, in parte sotto la spinta di alcuni rappresentanti del Partito d’Azione, tra i quali il genovese Giulio Bertonelli, in parte con il decisivo apporto di elementi locali, quali il gruppo di uomini raccolti attorno alla figura di Vero Del Carpio (Boia); la sua “banda” accoglierà anche gli uomini del vezzanese Gruppo Bottari.
Torpiana fu anche la prima sede del Comando Militare del C.L.N.P. spezzino, già sotto il coordinamento di Mario Fontana.
La Colonna “Giustizia e Libertà” fu dislocata nelle zone di Zeri, Rossano, Sesta Godano, Rocchetta e Calice e operò, in una prima fase, col nome di Brigata d’Assalto Lunigiana (ufficialmente dal marzo ’44). Il suo comandante fu Vero del Carpio (Boia). Il Comando fu situato sul Monte Picchiara, almeno fino al rastrellamento del 3 agosto. Il Monte Picchiara fu inoltre sede del campo base ove atterravano i materiali lanciati dagli alleati.
Dopo il rastrellamento del 3 agosto ’44 la Colonna fu divisa in 6 compagnie che formano due battaglioni. Il primo, il Val di Vara, sotto il coordinamento di Daniele Bucchioni (Dany), il secondo, lo Zignago, agli ordini di Ermanno Gindoli.
Vero Del Carpio fu il comandante della Colonna fino al momento in cui, passate le linee nel novembre ’44, si recò nell’Italia liberata, a Firenze, continuando la sua opera in favore della Resistenza. Lorenzino Tornabuoni (Cino, Otello) ereditò il ruolo di Del Carpio nella formazione.
Salvatore Rondello, Santino Serranò partigiano siciliano, Circolo Giustizia e Libertà, 8 agosto 2020

[…] Torpiana, inizi della lotta armata e Brigata d’Assalto Lunigiana
Il primo nucleo organizzato dal Partito d’Azione sul territorio spezzino è ascrivibile a Torpiana di Zignago, dove, a partire dall’autunno 1943, operano azionisti genovesi con la collaborazione di quelli spezzini[3]. A tale proposito si possono citare i nomi dei genovesi Giulio Bertonelli “Balbi”, importante figura di riferimento del Partito d’Azione ligure[4], Edoardo e Gaetano Basevi, Antonio Zolesio, Pier Lorenzo Wronowski, mentre sono autoctoni i Bogo, i Ferretti, i Benelli e Livio Acerbi.
Il nucleo di Torpiana[5], che si sviluppa appunto nell’inverno 1943-1944, stringe importanti rapporti con un piccolo gruppo di militari inglesi fuggiti da un campo prigionia in provincia di Piacenza: al comando degli Inglesi è il maggiore Gordon Lett[6], la loro collocazione è nel comune di Zeri, quindi sul versante opposto, rispetto a Torpiana, del monte Picchiara. Proprio a Torpiana (o nella zona circostante), dal marzo 1944, si trasferiscono in modo organico Vero Del Carpio, Antonio Celle, Emilio Del Santo, Ezio Giovannoni, Ezio Grandis[7] con suo padre Giuseppe, Oscar Lalli, oltre al gruppo operante già a Vezzano Ligure (in quest’ultimo Piero Borrotzu e Franco Coni)[8] e ad Amelio Guerrieri (arriverà un po’ dopo Giovanni Pagani[9] che, sfollato per il momento a Brugnato con la sorella, rimane al piano per svolgere importanti compiti).
Primo comandante del nucleo è il genovese Antonio Zolesio che però, nel mese di marzo, per ordine del Partito d’Azione ligure, deve raggiungere, insieme a Wronowski, suo nipote, la Fontanabuona, dove diventeranno rispettivamente comandante e commissario della Divisione GL “Matteotti”. A questo punto, siamo alla metà di marzo 1944, a capo del nucleo di Torpiana è Vero Del Carpio.
In tale fase si può parlare di primo avvio alla “Brigata d’Assalto Lunigiana”[10], il cui territorio d’influenza è ascrivibile allo Zerasco e Zignaghese: in questo arco temporale dobbiamo ricordare le brillanti azioni di Franco Coni e Piero Borrotzu (quest’ultimo muore eroicamente a Chiusola di Sesta Godano il 5 aprile 1944), la crescita del gruppo originario ma anche la crisi a seguito dei rastrellamenti di marzo-aprile[11] e della morte di Borrotzu.
Franco Coni si porta verso il monte Penna, autonomizzandosi rispetto al nucleo originario di appartenenza, stabilendo contatti nell’area del Penna con la “Cento Croci” e quindi con il ribellismo parmense, agendo in un certo senso “in proprio”, per ritornare verso il 12 giugno 1944 in Lunigiana ( sulla via del ritorno attacca la caserma di Sesta Godano) dove aderisce nuovamente al gruppo azionista.
Nel giugno 1944 il Comando della “Brigata d’assalto Lunigiana” è a Valditermine, paese dello Zerasco nel quale affluiscono nuove leve, fra cui Ermanno Gindoli[12], così come giovani provenienti da Valeriano e altri del vecchio gruppo “Bottari” di Vezzano Ligure. Il comandante della Brigata è Vero Del Carpio ed il vice-Comandante è, secondo alcuni, Lorenzino Tornabuoni, secondo altri, Franco Coni[13]. Del Carpio rimane tale anche quando deve allontanarsi verso La Spezia e verso Genova, onde espletare incarichi politico-organizzativi. Quanto a Coni, al cui fianco ha operato ed opera assiduamente Antonio Celle, alla fine di giugno si porta in val di Taro, dai fratelli “Beretta” (per un approfondimento sui “Beretta” v. Brigata “Centocroci”) ma, dopo la battaglia della Pelosa, rientra, non più però vice-comandante della Brigata d’Assalto Lunigiana, bensì comandante di plotone. Il riassestamento delle cariche viene accettato senza risentimenti dal Coni stesso[14].
Il nucleo Calicese
Il nucleo ascrivibile al Calicese, cui afferisce una zona punteggiata da varie realtà, si sviluppa, sempre a partire dall’autunno 1943, dapprima con l’obiettivo di darsi una struttura organizzativa e, dal febbraio 1944, anche con scopo operativo.
Si formano inizialmente tre gruppi: uno in Località Borseda (con Ferdana, Garbugliaga, Beverone) comandato da Aldo Bucchioni; uno in Località Debeduse (con Lavacchio Terrugiara e Vicchieda) comandato da Amedeo Paita e Carlo Calorini; uno in Località Villagrossa comandato da Ugo Tarantola, allargatosi poi a Santa Maria (con Lino Masini), Molunghi (con Silcino Simonetti), Calice-Campi-Nasso (con Giovanni Ceragioli, futuro Commissario della Ia Divisione Liguria-Picchiara e Gino Paita), Suvero (con Silvio Romani), Veppo e Casoni (con Luisito Rebecchi), Castiglione Vara (con Eriberto Pagano).
Gli aderenti di Borseda, Debeduse e Villagrossa, partecipano al primo incontro di coordinamento, che ha luogo presso il cascinale Buscini, in località Debeduse, già il 19 ottobre 1943: promotore e coordinatore dell’incontro stesso è il Tenente Daniele Bucchioni.
Si muove anche la frazione di Madrignano con Emilio Del Santo, Abele Bertoni e Dino Batti; Piana Battolla, ove operano Carlo Sardi, Dino Canese, Primo Galasso, Giovanni Terribile, Umberto Battolla, Nino Valeriani, Follo e Pian di Follo, dove esplicano un’intensa attività il capitano Orazio Montefiori (“Martini”), Fernando Chiappini, collegatisi poi con il movimento già sorto a Vezzano Ligure[15], mentre a Valeriano troviamo Amelio Guerrieri[16].
Particolare incidenza assume in questo quadro la figura di don Carlo Borelli, parroco di Follo Alto, che diventerà poi cappellano di G.L.[17].
Sempre a Follo-Bastremoli va ricordata la figura di Agostino Bronzi, insigne militante socialista che lì risiede.
Alla data del 20 marzo 1944 il gruppo che ruota intorno a Daniele Bucchioni “Dany” riconosce comunque come riferimento il Comando di Torpiana (v. per il gruppo di Torpiana il paragrafo precedente), compie azioni assalendo la Caserma dei Carabinieri di Calice, prosegue la collaborazione con Orazio Montefiori per Follo e con il ragioniere Giuseppe Grandis (“Gisdippe”) che sta a Vezzola.
Nel maggio 1944 entra in clandestinità anche Blandino Blandini “Tigre”, appartenente ad una formazione madrignanese. Nel giugno 1944 i nuclei di Madrignano, Suvero, Follo, Piana Battolla e Veppo, con l’aggiunta di ulteriori forze provenienti da Vezzano e ancora da Follo, si trasferiscono a Ghiacciarna, in montagna, a 959 m., presso il valico dei Casoni, sulla mulattiera proveniente da Villagrossa.
Sempre nel giugno 1944, fra il 18 e il 19, Daniele Bucchioni e Gordon Lett attaccano il castello di Calice e, sebbene l’attacco non riesca, il presidio fascista rimane assediato e non può uscire, per cui il Comando Militare fascista spezzino fa ritirare successivamente il presidio stesso dalla località.
Verso la costituzione del Comando Unico e la denominazione “Colonna Giustizia e Libertà”
Mentre da fine giugno alle prime decadi di luglio 1944, fra territorio spezzino e Lunigianese, avviene un processo di formazione ed aggregazione per alcune bande, ad esempio quelle garibaldine, che risultano ancora in fase di gestazione, la Brigata d’Assalto Lunigiana, la quale tende ad abbandonare il territorio dello Zerasco per spostarsi nell’Alta Val di Vara (dove presidia il campo di lancio del Picchiara[18]), si presenta come aggregato alle cui spalle sta già un itinerario formativo ed organizzativo. E tale è quando a fine luglio 1944[19] si costituisce, grazie agli sforzi messi in campo dal C.L.N. provinciale, dai nuclei armati pre-esistenti, dal Comando Militare Unificato Ligure e, dentro di esso, dal Partito d’Azione, il Comando Unico (e quindi la Ia Divisione Liguria) sotto il Colonnello Mario Fontana[20].
La Brigata d’Assalto Lunigiana, che ha da poco assunto il nome di Colonna “Giustizia e Libertà”[21], dipende dal Comando Unico, insieme alle Brigate partigiane “Cento Croci”, “Vanni”, “Gramsci”, ma, nonostante la rilevanza quantitativa che la contraddistingue, non assume posizioni di comando dentro la neo nata struttura generale.
Dal rastrellamento del 3 agosto 1944 fino alla costituzione della IV Zona Operativa
Dopo il drammatico rastrellamento del 3 agosto 1944[22] e le successive risistemazioni, e dopo il rastrellamento dell’8 ottobre 1944[23], la Colonna G.L risulta stare a Zignago, Rocchetta V. e Calice al Cornoviglio[24] e il 26 ottobre 1944, Vero Del Carpio, comandante della colonna G.L., (che ammonta a 650 elementi), sanziona la nuova organizzazione in due Battaglioni (Zignago e Val di Vara) e nelle sei compagnie che di fatto esistono già[25].
Il Battaglione Zignago (tre compagnie) è affidato a Ermanno Gindoli (sede a Monte Lama). Il Battaglione Val di Vara (tre compagnie) è affidato a Orazio Montefiori “Martini”, vice-comandante Daniele Bucchioni, “Dany” (sede a Villagrossa di Calice)[26].
A partire dal dicembre 1944, cioè dalla costituzione della IV Zona Operativa, dal Comando Unico di tale Zona dipendono due Divisioni: la Divisione “Liguria-Picchiara” e la Divisione “Liguria Centocroci”. Della prima fanno parte la Colonna “Giustizia e Libertà” e le formazioni del Raggruppamento “Garibaldi”, trasformatosi in Brigata Garibaldi “A. Gramsci”; della seconda fanno parte le Brigate “Varese” e “Zerasco”.
Comandanti e Commissari della Colonna “Giustizia e Libertà” e avvenimenti fino alla Liberazione
I comandanti della Colonna “Giustizia e Libertà” che si avvicendano nel tempo sono: Vero Del Carpio (“Boia”)[27], Lorenzino Tornabuoni (“Cino” poi “Otello”)[28] ed infine Stefano Colombo (“Carli”).
I Commissari sono: Mario Foce (“Mario Bernardini”), Cesare Godano “Gatto”[29] ed infine Emetaldo Cozzani “Pilon”.
Alla fine di dicembre 1944, Giovanni Ceragioli “Vas”, già Commissario Politico del 2° Battaglione G.L., viene chiamato alla carica di Commissario politico della Ia Divisione “Liguria-Picchiara” e Giuseppe Grandis “Gisdippe” è proposto come Ufficiale di Zona in rappresentanza della Colonna.
Per gli avvenimenti successivi, compresi i mutamenti di organigramma della Colonna e l’importante rastrellamento del 20 gennaio 1945, v. Battaglione “Val di Vara” e Battaglione “Zignago”.
N.B. Si fa presente che la dicitura “Battaglione” diventa ufficiale per le entità di questo tipo solo dopo il rastrellamento del 20 gennaio 1945[30].
Si fa inoltre presente quanto segue: poiché alla vigilia della Liberazione la Colonna G.L. viene assimilata all’unità dell’Esercito regolare rappresentata dalla Divisione, i così detti Battaglioni assurgono al ruolo di Brigate. Solo a questo punto si può parlare per la Divisione G.L. di due Brigate (“Zignago” e “Val di Vara”). Si consideri inoltre il fatto che pochi giorni prima della Liberazione, muore eroicamente sul campo Ermanno Gindoli, comandante del battaglione “Zignago”, da cui l’ulteriore mutamento della denominazione del Battaglione “Zignago” in “Zignago-Gindoli”[31].
[NOTE]
[5] C’è in realtà una sorta di rete che, come dice Giulivo Ricci, è in qualche modo “colorata” dal partito di Azione e collega i gruppi cittadini a quelli di Brugnato, Riccò del Golfo, San Benedetto e Torpiana. A tale proposito vanno ricordati a Brugnato il farmacista Angelo Oppicini, coadiuvato dal figlio Orazio e lo spezzino Dino Patrone lì sfollato dalla Spezia
[6] Per un approfondimento su Gordon Lett, v.
[7] Approfondimento v.
[8] Per un approfondimento dell’importante gruppo le cui mosse partono da Vezzano Ligure v.: Gruppo Bottari, Pietro Borrotzu, Giulio Bottari; per una Nota biografica su Coni, comandante del Battaglione “Matteotti” e successivamente della 1° Compagnia Arditi, v.
[9] Per un approfondimento sulla figura di Giovanni Pagani v.
[10] Sulla datazione riguardo la Brigata d’Assalto Lunigiana esistono opinioni diverse: in questa Scheda seguiamo quella espressa da Giulivo Ricci nel fondamentale libro Ricci, Giulivo, La colonna “Giustizia e Libertà”, Fiap-Ass. Partigiani Mario Fontana. ISR P.M.Beghi-SP, 1995, p.112, da noi frequentemente citato. E’ comunque certo che al 20 giugno 1944, giorno a cui risale il primo documento di più antica data relativo ad essa, la Brigata d’Assalto Lunigiana disponga di un timbro e sia suddivisa in compagnie. Il documento attesta insomma che al 20 giugno la Brigata d’Assalto c’è, il che non significa che essa non sia stata costituita prima (febbraio 1944? 1 marzo 1944? Altra data?). Quanto al nome, sembra che esso sia scelto dal Comitato Militare Regionale del Partito d’Azione che lo propone d’intesa con Vero Del Carpio
[11] Muore in tale fase, primo caduto di “Giustizia e Libertà” nello Zerasco, Aristide Galantini. Ventitreenne, originario di Campiglia, già militare, sceglie coscientemente la via della montagna nonostante che, essendo in congedo illimitato, su di lui non penda alcun richiamo alle armi per la Repubblica di Salò. Andato in pattuglia con Antonio Celle e Franco Coni per cercare un medico che curi un ferito partigiano, viene colpito e, ormai a terra, brutalmente finito dai fascisti il 12 aprile 1944 a Chiesa di Rossano
[12] Per un approfondimento, v.
[13] v. Ricci, Giulivo, La colonna “Giustizia e Libertà”, Fiap-Ass. Partigiani Mario Fontana, ISR P.M.Beghi-SP, 1995, p.107 (Molto importante per l’attività di Coni risultano anche la note 57 bis a p. 96 e la nota 69, in cui è contenuto un brano della testimonianza di Celle, a p. 97 del libro qui citato)
[14] Riguardo Franco Coni v. oltre a Ricci, Giulivo, La colonna “Giustizia e Libertà”, Fiap-Ass. Partigiani Mario Fontana- ISR P.M.Beghi-SP, 1995 (seguendo nell’indice analitico il nome di Coni) e Fiorillo, Maurizio, Uomini alla macchia- Bande partigiane e guerra civile- Lunigiana 1943-45, Laterza, 2010 (sempre seguendo il nome di Coni nell’indice analitico), anche Coni, Simona, Tesi di Laurea “Franco Coni: un ufficiale sardo sulla linea gotica” (Università di Perugia a.a. 2014-2015). Dentro la Tesi v. lettera di Antonio Celle a Emilio Lussu, riprodotta nell’Appendice documentaria. Per l’andata-ritorno di Coni verso la Val di Taro in questa fase e il riassestamento delle cariche v. il citato Giulivo Ricci, p. 113 (compresi i riferimenti della nota 22 p. 121 alle testimonianze di Antonio Celle e Cesare Godano)
[15] Per il Gruppo di Vezzano Ligure v. nota 8 della presente Scheda. Va anche ricordato che, in un certo senso, anello di congiunzione fra Follo e Vezzano è anche il vecchio avvocato socialista Agostino Bronzi che in questo momento risiede nella zona di Follo-Bastremoli (per un approfondimento su di lui v.
[16] In una lettera di Daniele Bucchioni del 1982 riportata in Giulivo Ricci, “La colonna “Giustizia e Libertà”, Fiap-Ass. Partigiani Mario Fontana- ISR P.M.Beghi-SP, 1995, p. 40 vengono citati per Follo anche Vignudelli, Domenichini, Simonini, Ratti
[17] Per un approfondimento su don Carlo Borelli, v.
[18] Il primo lancio sarebbe avvenuto secondo taluni il 20 giugno 1944, secondo altri verso il 10 luglio 1944 (per un approfondimento sul campo del Picchiara e le vicende legate al monte v.)
[19] Per la data di costituzione del Comando Unico, v. Comando IV Zona Operativa (probabilmente fra 25 e 28 luglio 1944)
[20] v. Comando IV Zona Operativa
[21] Comando IV Zona Operativa
[22] v. Archivio Storico I.S.R. La Spezia (Per le ombre e luci riguardanti G.L. durante il rastrellamento v. Busta 73, foglio 1383 ma anche il puntuale capitolo “Il rastrellamento del 3 agosto 1944 e la colonna GL” in Ricci, Giulivo, La colonna “Giustizia e Libertà”, Fiap-Ass. Partigiani Mario Fontana. ISR P.M.Beghi-SP, 1995)
[23] v. Archivio I.S.R. La Spezia (Busta 73, foglio 1384), v. anche la precisa sintesi che ne dà Daniele Bucchioni che, con la sua 1° Compagnia, sopporta il peso maggiore del rastrellamento stesso, in Bucchioni, Daniele, Attività della Brigata “Val di Vara” della colonna “Giustizia e Libertà” IV Zona Operativa, dentro “Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana”, scritti e testimonianze, a cura dell’Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi” La Spezia, II edizione, 1975 e il già citato Giulivo Ricci (Nota 18 della presente Scheda) nel Capitolo “Il rastrellamento dell’ottobre 1944”
[24] Ridelimitazioni di zone, specie rispetto al Raggruppamento Brigate Garibaldi, poi Brigata Garibaldina “A. Gramsci” (ma non solo), avvengono anche in seguito. Di tali cambiamenti troviamo traccia nei documenti dell’Archivio Storico I.S.R. La Spezia
[25] Ricci, Giulivo, La colonna “Giustizia e Libertà”, Fiap-Ass. Partigiani Mario Fontana- ISR P.M.Beghi-SP, 1995), p. 205
[26] Di Daniele Bucchioni in qualità di comandante del I° Battaglione Val di Vara (essendo stato in precedenza vice-Comandante di esso) parla Ricci, Giulivo, La colonna “Giustizia e Libertà”, Fiap-Ass. Partigiani Mario Fontana, ISR P.M.Beghi-SP, 1995), p. 267, collocando, per quello che si può dedurre dal testo, tale incarico prima del rastrellamento del 20 gennaio 1945
[27] Vero Del Carpio lascia l’incarico, passa le linee per motivi di salute ai primi di novembre 1944 e va in Toscana, dove collabora con l’O.S.S. della Va Armata americana. Il 1 novembre 1944 è sostituito come comandante interinale (e poi effettivo) da Lorenzino Tornabuoni (v. Ricci, Giulivo, La colonna “Giustizia e Libertà”, Fiap-Ass.Partigiani Mario Fontana- ISR P.M.Beghi-SP, 1995, pp.223-224, 226). Per l’attività di Del Carpio presso gli Alleati, v. Archivio Storico I.S.R. La Spezia, Busta 401, in cui viene riconosciuto il servizio di Del Carpio, smobilitato il 5 maggio 1945, presso la Company D. Sulla salute di Vero Del Carpio v. Godano, Cesare, Paideia, citato nelle Fonti, p. 185-186
[28] Archivio Storico I.S.R.La Spezia v. Busta 67, foglio 1264 in cui in data 21 marzo 1945 si attesta il passaggio del comando da Lorenzino Tornabuoni a quello interinale di Giuseppe Grandis “Gisdippe”. Sulla personalità di Lorenzino Tornabuoni v. Godano, Cesare, Paideia, citato nelle Fonti, p. 186-187, 198. Al comando interinale di Grandis segue quello di Stefano Colombo “Carli”, designato nella fase finale dal Comitato regionale proprio per la sua veste chiaramente tecnica e militare, essendo stato ufficiale dell’esercito e avendo combattuto in Africa
[29] Archivio Storico I.S.R. La Spezia v. Busta 68, foglio 1271 in cui Cesare Godano risulta succedere a “Mario Bernardini”; v. anche Busta 74, foglio 1507, in cui Cesare Godano che, in data 1 marzo 1945, ha lasciato la carica di Commissario Politico della colonna G.L., essendo stato destinato, in vista della fase finale della lotta, all’organizzazione del Partito d’Azione, saluta il 9 marzo 1945 i partigiani di G.L.
[30] v. Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Matteotti-Picelli, I.S.R. La Spezia, 1978, p.182
[31] Archivio Storico I.S.R. La Spezia, in data 19 aprile 1945 il Comando Colonna G.L. comunica al 1° e 2° Battaglione della colonna stessa, al Comando IV Zona, al Comando Ia Divisione Liguria- Picchiara che il Battaglione “Zignago” prende in pari data il nome di “Zignago-Gindoli” e la VI Compagnia quello di Alfredo Oldoini, v. Busta 75, foglio 1541
(a cura di) Maria Cristina Mirabello, Colonna Giustizia e Libertà, ISR, Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea

Per mesi i “garibaldini” spezzini parteciparono alla guerra partigiana nella Val di Taro e nella Val di Ceno vivendo la breve stagione della “repubbliche partigiane” (giugno-luglio 1944) e contribuendo in maniera determinante alla creazione della brigata Cento Croci.
Solo a partire dal maggio/giugno 1944 i gruppi partigiani riusciranno a consolidarsi anche nello spezzino e a formare, nel corso dell’estate, brigate organizzate.
Il Partito d’Azione spezzino, partito nuovo senza tradizioni sul piano locale, si mosse con grande intraprendenza, anche per i proficui contatti con la sede genovese. Il primo nucleo organizzato dal Pd’A sul territorio spezzino fu quello di Torpiana, in comune di Zignago, formato dagli azionisti di Genova con la collaborazione di quelli spezzini.
Il nucleo di Torpiana si sviluppò gradualmente nell’inverno 1943-1944, stringendo rapporti con un piccolo gruppo di militari inglesi fuggiti da un campo prigionia in provincia di Piacenza e fermatisi nel comune di Zeri, situato sul versante opposto del Monte Picchiara rispetto a Torpiana, nella Lunigiana toscana.
Il maggiore Gordon Lett, comandante dei fuggitivi, formerà in seguito una piccola formazione partigiana (il “Battaglione Internazionale”) e sarà Ufficiale di Collegamento Alleato per la zona spezzina.
Fino al marzo del 1944 il nucleo di Torpiana e gli altri più piccoli nuclei più o meno strettamente legati al Partito d’Azione furono impegnati nella raccolta di armi e nella creazione di una rodata rete di collaboratori.
Oltre ai citati nuclei organizzati dai partiti, negli stessi mesi si formarono anche gruppi antifascisti formati o animati da ex militari di carriera. Ricordiamo il gruppo del colonnello Bottari e le SAP spezzine, formate in buona parte da ex membri della marina militare e utilizzate per i sabotaggi e la raccolta delle informazioni. Questi gruppi finiranno in gran parte per confluire nell’organizzazione del Partito d’Azione.
Maurizio Fiorillo, art.cit.