Una formazione partigiana internazionale nelle Langhe

Bonvicino (CN). Fonte: Idea Tourism

La colonna SS scende in Alta Langa dal passo della Bossola verso Dogliani, alle spalle un rosario di cascine date alle fiamme: in testa è l’auto nera degli ufficiali, al comando il tenente Buker noto massacratore, poi un camion stipato di uomini in piedi, una cinquantina di civili presi come ostaggi e destinati alla fucilazione o alla deportazione, a seguire i soldati armati, parte in bici sequestrate per far posto agli ostaggi, parte nel camion di coda. È il 6 settembre 1944, un mese prima dei “23 giorni della città di Alba” di cui tra le polemiche scriverà Beppe Fenoglio.
Lungo il percorso delle SS, all’altezza del piccolo comune di Bonvicino, in una frazione in collina sono acquartierati i partigiani garibaldini dell’Islafran. Il nome è l’acronimo di italiani, slavi, francesi. La comanda Eugenio Stipcević detto “Genio”, rastrellato in Dalmazia due anni prima, fuggito dal carcere di Fossano in un’evasione di massa dopo l’8 settembre ’43, rifugiato in Langa dove il parroco di Murazzano don Giovanni Dadone lo ha messo in contatto con Daniel Fauquier, maquis comunista francese del Luberon anche lui evaso: sarà il suo vice quando di lì a tre mesi, dopo aver militato con i partigiani badogliani della brigata Mauri, se ne staccheranno e insieme a jugoslavi, una ventina di italiani, una dozzina di russi e altri da Svizzera, Cecoslovacchia, Olanda, Belgio, Spagna, daranno vita all’Islafran, dapprima distaccamento della 48° brigata Garibaldi, poi Gruppo Arditi, infine 212° Brigata Maruffi. Quel 6 settembre, quando senza avvisaglie compare in lontananza sulla strada la colonna SS tedesca, il terreno è perfetto per un’imboscata. Ma bisogna decidere al volo, questione di minuti. Come fermarla? Dispongono di un mortaio, ma l’hanno recuperato da poco, neppure l’hanno ancora provato, e se il colpo finisse un metro più in là del dovuto ucciderebbe gli ostaggi. Tirano. Mira impeccabile o fortuna o entrambe, il proiettile centra il cofano del primo camion, in un baleno tutti gli ostaggi si dileguano, le SS vengono falciate dai mitra o fuggono, gli ufficiali eliminati, presa una borsa di documenti che forniranno al Comando di Brigata informazioni tattiche di rilievo e prove di crimini commessi da Buker e i suoi. Il mattino seguente, recuperate dai contadini della zona le biciclette e la benzina rimasta nei serbatoi, rovesciati dai partigiani i camion in una scarpata, dell’agguato non c’è più traccia […]
«Unica brigata internazionale della Resistenza italiana con un comandante non italiano, sul modello di quelle della guerra civile spagnola», spiega Zubbini, «l’Islafran arriverà a contare 120 combattenti, parteciperà alla difesa di Alba nella fase finale dei “23 giorni”, condurrà incursioni con le tattiche della guerriglia e combattimenti lunghi un giorno intero, farà saltare vari ponti con esplosivo al plastico, assalterà il presidio tedesco di Dogliani, resisterà ai rastrellamenti condotti con duemila uomini e mezzi corazzati da tedeschi e truppe di Salò, combatterà fino alla liberazione di Torino il 27 aprile del ’45. Eppure, con l’eccezione di qualche pagina nel volume di trent’anni fa di Mario Giovana Guerriglia e mondo contadino, i garibaldini nelle Langhe 1943-1945, e brevi cenni in Langa partigiana di Diana Carminati Masera, di tutte le storie della Resistenza che ho consultato in nessuna si fa menzione dell’Islafran se non in una frase, un rigo appena». Roberto Di Caro, Islafran, l’incredibile storia della Resistenza censurata, L’Espresso, 23 aprile 2018

Pochi sanno che anche qui, sulle colline delle Langhe, ha combattuto una brigata partigiana internazionale, chiamata ISLAFRAN, in cui si sono uniti, per combattere contro la barbarie nazifascista, uomini di nazionalità diverse. I=Italiani, SLA=Slavi, FRAN= Francesi: questi i tre gruppi più consistenti, ma assieme a loro anche molti russi e altri di diverse nazionalità.
LA STORIA
Il punto di partenza per la nascita di questa formazione è, nell’estate del ’43, la presenza nel carcere Santa Caterina di Fossano di numerosi prigionieri politici stranieri. L’8 settembre si trovano lì rinchiusi una ottantina di slavi e altrettanti francesi, catturati dai soldati delle armate fasciste nelle zone di occupazione italiana. L’11 settembre, mentre stanno scendendo in Piemonte le prime SS tedesche, a Fossano avviene un fatto clamoroso: l’evasione in massa dei detenuti. Otto dei francesi evasi – tra cui i combattenti del maquis del Vercors: Louis Chabas, Claude Levy e Simon Samuel – si rifugiano nelle Langhe, a Belvedere. Lì vicino arrivano altri due evasi da Fossano: Daniel Fauquier, maquisard del Lubéron, e lo slavo Eugenio Stipcević, già partigiano in Dalmazia fin dall’estate del ’41.
All’inizio del ’44 comincia la loro avventura partigiana in Italia. Entrano in contatto con la formazione partigiana autonoma del maggiore Enrico Martini “Mauri”, già costituitasi nell’area monregalese, e la seguono prima a Frabosa e poi in val Casotto, partecipando qui alla drammatica battaglia. Ma già nel marzo ’44 Stipcević e Fauquier si separano da Mauri. L’ideologia militarista e nazionalista, monarchica e conservatrice, del badogliano maggiore Mauri non risulta compatibile con la concezione comunista e internazionalista e la prassi guerrigliera dello slavo e del francese. Genio e Daniel tornano nelle Langhe e si sistemano alla Lovera, una frazione di Bonvicino. Riuniscono attorno a sé una squadra di una ventina di uomini, tutti italiani, e la denominano ISLAFRAN: formazione di Italiani-Slavi-Francesi. “Genio” è il comandante, “Daniel” il suo vice. Diffusasi la notizia arrivano subito altri slavi – tutti fuggiti dal carcere di Fossano -, qualche russo – che inserito a forza nelle armate tedesche aveva disertato per unirsi ai partigiani -, e numerosi italiani. Nella vallata accanto Simon Samuel, il sarto comunista del maquis Vercors, organizza una squadra di combattimento con il suo piccolo gruppo di francesi e alcuni giovani italiani. Si sistema a Piangarombo, una frazione di Belvedere.
Quando a metà maggio ’44 scendono nelle Langhe i garibaldini, i due gruppi, di Stipcevic e di Simon, decidono senza esitazione di integrarsi nelle loro formazioni. Costituiranno i distaccamenti italo-slavo e italo-francese della 16^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Generale Perotti” e successivamente della 48^ Brigata Garibaldi “Dante Di Nanni”.
Nel mese di settembre ’44, le fila dell’ISLAFRAN di Stipcević si ingrossano con l’ingresso di altri slavi e qualche russo. Importante è l’opera della partigiana combattente “Ljubica” (Semencić Milica), la quale aggancia un consistente gruppo di serbi in una trattoria di Bene Vagienna, mentre la colonna tedesca in cui sono stati forzatamente arruolati è in sosta, e li persuade a fuggire e a unirsi ai partigiani slavi dell’ISLAFRAN.
A dicembre ’44 si ha la fusione del gruppo italo-slavo di Genio con quello francese di Simon. Da quel momento, fino alla liberazione, l’ISLAFRAN sarà veramente un’organica formazione di italiani, slavi e francesi. La crescita di questa formazione continua nei primi mesi del ’45, diventando G.A.D. (Gruppo Arditi Divisionale), gruppo di pronto intervento, impiegato nelle situazioni più impegnative di combattimento e articolato in 4 distaccamenti. Tra questi spicca il distaccamento “Katiuscia”, la squadra formata tutta da slavi e russi, un formidabile gruppo di guerriglia partigiana. Infine il 27 marzo ’45 l’Islafran – sempre sotto il comando di Eugenio Stipcević – assume lo status di una vera brigata: la 212^ brigata Garibaldi “Maruffi”. Alla Liberazione la brigata internazionale conta 120 uomini combattenti, più 20 allievi, giovani ancora in via di addestramento.
LE IMPRESE E LA TECNICA GUERRIGLIERA
Intensa e importante è l’attività militare dell’ISLAFRAN. Condotta sempre con le tecniche della guerriglia: si sceglie il terreno dello scontro, si compiono imboscate, agguati, sabotaggi, colpi di mano per poi sganciarsi rapidamente disperdendosi, sottraendosi così al contrattacco nemico e a possibili accerchiamenti, per riorganizzarsi in altro luogo. Ma l’ISLAFRAN sa sostenere anche combattimenti lunghi un giorno intero, fa saltare numerosi ponti con l’esplosivo al plastico, assalta i presidi fascisti a Dogliani, partecipa alla difesa di Alba, resiste senza sbandarsi durante il rastrellamento del novembre ’44, condotto con duemila uomini e con mezzi corazzati dalle truppe tedesche e fasciste, e combatte incessantemente fino alla liberazione di Torino.
In particolare va segnalata un’impresa straordinaria dell’ISLAFRAN, avvenuta a Bonvicino: l’attacco a una colonna tedesca che da San Benedetto trasportava verso Dogliani una cinquantina di contadini, presi in ostaggio dopo aver bruciato le loro cascine. Ostaggi destinati alla fucilazione o alla deportazione. L’attacco viene diretto in modo magistrale da Stipcević e condotto con estremo coraggio e abilità da una ventina di uomini guidati da Trbović e Fauquier, i due più audaci guerriglieri dell’Islafran. Al termine dell’attacco tutti gli ostaggi sono liberati, messi in fuga e dispersi i militi tedeschi, eliminata l’auto con gli ufficiali nazisti che guidava la colonna e presa la borsa dei documenti del comandante. Una impresa eccezionale nella storia della Resistenza delle Langhe e che, per i risultati ottenuti, ha un’eguale solo nell’assalto al carcere di Fossano, la notte del 4-5 luglio ’44, con la liberazione di tutti i prigionieri, condotto dal gruppo francese di Simon assieme al distaccamento garibaldino di Prut.
LA BRIGATA SCOMPARSA
Eppure di tutta questa storia, dopo la Liberazione non si saprà pressoché nulla fino a quando, settant’anni dopo, nel 2015, comparirà un libro: “Ezio Zubbini, ISLAFRAN, Storia di una formazione partigiana internazionale nelle Langhe”, in cui per un insieme di circostanze fortunose e sotto la spinta determinante della passione per la ricerca della verità storica, sono state trovate le informazioni necessarie per ricostruire questa importante vicenda partigiana. Informazioni che non si limitano alla raccolta delle testimonianze, pur importanti, ma che si fondano su una ampia e dettagliatissima documentazione, relativa all’intera vita della brigata; una documentazione che alla Liberazione Stipcević aveva consegnato probabilmente al CLN torinese e poi, depositata all’Istituto Storico della Resistenza di Torino, non era mai stata aperta né studiata da nessuno. Migliaia di messaggi, bollettini, elenchi e documenti, che analizzati, verificati, incrociati tra loro e con le diverse testimonianze, usati con precisa metodologia storica, hanno permesso di costruire non un semplice racconto partigiano ma un saggio storico, rigorosamente documentato, che ha risposto alla richiesta di verità e giustizia che la storia di questa brigata internazionale, censurata e volutamente oscurata, imponeva.
UNA STORIA CENSURATA
Perché proprio di censura bisogna parlare. Infatti tra le carte della brigata depositate all’ISTORETO sarà trovato un documento, datato 30 marzo 1948, firmato dai massimi rappresentanti della XIV divisione Garibaldi, nel quale è fatta scomparire l’esistenza della 212^ Brigata Garibaldi “Maruffi”. Poi, in un altro documento, i nomi di alcuni partigiani di questa brigata vengono inseriti, senza ruoli di comando, in due brigate, la 48^ e la 180^, della stessa XIV Divisione. E così, in tutta la documentazione successiva non compare più nessuna traccia della 212ª Brigata “Maruffi”, la brigata internazionale comandata da Eugenio Stipcević, lo slavo. Quale può essere stato il motivo di questa censura?
Una spiegazione plausibile è che, nel clima politico italiano di quel momento, segnato profondamente dalla crociata anticomunista e dall’antislavismo, legato alla questione dei confini orientali e alla disputa tra italiani e iugoslavi per il possesso di Trieste, gli stessi dirigenti del PCI abbiano voluto “ripulire”, per motivi politici e “patriottici”, le loro formazioni garibaldine da una presenza – quella di una brigata partigiana comandata da uno slavo – che destava ostilità nella popolazione. Un’ostilità ben evidente fin dalla fine della lotta armata, al punto che lo stesso Stipcević, che si era soffermato nelle Langhe per festeggiare coi suoi compagni dalmati la Liberazione, era stato denunciato da un abitante di Dogliani, arrestato dalla Questura di Cuneo su mandato inglese, ed espulso dall’Italia. E nei confronti dell’intero gruppo dei partigiani stranieri dell’ISLAFRAN era stata fatta un’operazione di rimozione e oscuramento culturale.
ISLAFRAN E IL MONDO CONTADINO DELLE LANGHE
E’ questo il riflesso culturale e politico di un difficile rapporto tra questa formazione internazionale e il mondo contadino in cui ha operato. Per questo mondo l’ISLAFRAN ha rappresentato soprattutto una fonte di preoccupazione: la sua presenza sul territorio e la sua combattività non è stata considerata una protezione nei confronti della violenza di fascisti e tedeschi ma piuttosto una minaccia per la proprietà contadina e il fattore che provocava inevitabilmente le ritorsioni nazifasciste. I rastrellamenti, gli incendi, le fucilazioni, le deportazioni tedesche e le rappresaglie fasciste non sarebbero avvenute – così pensava la maggioranza della popolazione contadina delle Langhe – se non fossero state provocate dagli attacchi partigiani. Un fatto come la liberazione di molti ostaggi civili, nel vittorioso agguato dell’ISLAFRAN a Bonvicino, non sarà celebrato con gratitudine dal mondo contadino che lo giudicherà solamente uno scampato pericolo e lo dimenticherà. Guardati con diffidenza e timore saranno in particolare i combattenti venuti dall’est, gli slavi e i russi, i pericolosi comunisti stalinisti. […]
Redazione, Islafran: una formazione partigiana internazionale nelle Langhe, CityStrike, 26 aprile 2020

La nipote indica il nome di Luis Chabas tra i caduti partigiani – Fonte: Gazzetta d’Alba

Nella primavera del 1944, nella porzione di territorio compresa tra Dogliani, Somano, Bossolasco, Bonvicino e Lovera, si formarono bande di partigiani, composte in gran parte da stranieri, quasi tutti provenienti dalle zone occupate dall’esercito italiano, imprigionati ed evasi dal carcere di Fossano. L’undici settembre 1943, infatti, dal carcere “Santa Caterina” erano evasi diverse decine di maquis francesi e di partigiani slavi. La maggior parte di loro proveniva dalle zone di occupazione italiana in Jugoslavia ed in Francia, dove erano stati arrestati dai militari italiani come ribelli. Processati e condannati, erano arrivati per diverse vie e in tempi diversi a Fossano e, dopo l’evasione, un buon numero di loro si era fermato a combattere in Langa. Tra i francesi vi era Luis Chabas (il leggendario “Lulù”) [o Loulou], tornitore meccanico originario di Lione già appartenente ai maquis del Vercors, che doveva scontare una condanna inflittagli dal Tribunale Militare della IV Armata per partecipazione a banda ribelle. Tra gli slavi vi era invece Eugenio Stipcevic, che divenne famoso con il nome di “Genio lo Slavo”. Nato a Zara nel 1908 era stato comandante partigiano in Slovenia, catturato dagli italiani nel settembre 1942 e rinchiuso nel carcere di Fossano nel maggio successivo. Dopo l’evasione, molti di questi stranieri entrarono a far parte delle formazioni partigiane in fase di organizzazione nella provincia di Cuneo. Nella primavera del 1944 nella zona di Sommano, Bonvicino e Lovera (nei dintorni di Dogliani) si costituì un gruppo di francesi capeggiati dal sarto Simon Samuel e uno di slavi capeggiati da Eugenio Stipcevic. Poco tempo dopo, questi ed altri gruppi dall’Alta Langa si riunirono in un’unica formazione e costituirono la 16ª Brigata d’assalto Garibaldi “Generale Perotti” che ebbe sede nella frazione Lunetta di San Benedetto Belbo, e che coordinava tre distaccamenti lungo le direttrici Somano-Monforte-Barolo-La Morra, Monforte-Dogliani e Bossolasco-Serralunga-Roddi. La forte presenza di stranieri all’interno della Brigata portò alla costituzione di un distaccamento plurinazionale, il cosiddetto “Islafran” (dalle iniziali delle tre nazioni da cui provenivano: italiani, slavi, francesi), comandato da Eugenio Stipcevic, e dal vicecomandante Daniel Fauquier. Nel corso del tempo questo distaccamento crebbe di dimensioni e, nel luglio 1944, dopo la liberazione dal carcere di Fossano di molti prigionieri stranieri ad opera di squadre partigiane, vi entrarono anche numerosi russi, austriaci e cechi. Tra la fine del 1944 e il gennaio 1945 i garibaldini si riorganizzarono e l’”Islafran” divenne un distaccamento del GAD (Gruppo Arditi Divisionale) comandato dallo stesso Stipcevic. Si trattò dunque di una vera e propria formazione internazionale che nella lotta comune contro la dittatura diede corpo al sogno di un’Europa libera e democratica. A loro, poi, si unirono altri due reparti: uno della Banda Monte Bram e uno della Banda Monterosso della brigata GL Valle Grana. Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo

Slavi e russi dell’ISLAFRAN (dist. Katiuscia) – Fonte: L’Espresso

Islafran. Storia di una formazione partigiana internazionale nelle Langhe è la dimostrazione che molto vi è ancora da scrivere e ricercare per completare la storia della lotta di liberazione. Per andare, a settant’anni di distanza, oltre alle celebrazioni – la retorica male ha fatto alla memoria della Resistenza – e sulla base dei documenti dell’epoca.
È grazie all’abbondanza di questi ultimi all’Istituto storico della Resistenza di Torino che Zubbini ricostruisce [Ezio Zubbini, Islafran. Storia di una formazione partigiana internazionale nelle Langhe] la vita dell’Islafran dall’autunno del 1943 alla Liberazione. Un percorso fino ad ora appena sfiorato dalla storiografia. Secondo Zubbini il silenzio su quella che sarà una delle unità di punta delle formazioni garibaldine delle Langhe è, eccezioni a parte, «un riflesso culturale di un rapporto difficile tra questa formazione e il mondo contadino in cui ha operato». Gli slavi sono visti come «pericolosi rappresentanti del comunismo stalinista». Nonostante, stando ai documenti, gli ordini dei comandi dei “rossi” fossero fin dall’inizio di «tutelare nel modo più rigoroso la proprietà dei contadini».
La storia del distaccamento della 48ª brigata Dante Di Nanni, poi gruppo Arditi della XIV divisione Garibaldi e infine 212ª brigata Maruffi, per un totale di circa 120 partigiani, inizia all’indomani dell’armistizio con l’evasione dal carcere di Fossano di patrioti francesi e slavi catturati dalle armate italiane d’occupazione in Francia e Jugoslavia. Alcuni di questi erano nelle file della Resistenza dal 1941. A loro si uniscono gli italiani non liberati dopo il 25 luglio ’43 perché condannati per spionaggio e sabotaggio. Nel corso della guerra si uniranno all’Islafran una decina di russi, disertori dalle cosiddette osttruppen.
È da notare come tra i francesi evasi vi fosse Luis Chabas, in seguito diventato una figura leggendaria con il nome di Lulù.
Nessuna fama, invece, per Eugenio Stipcevic, fondatore e comandante della formazione, già condannato a 15 anni di reclusione dal Tribunale speciale della Dalmazia. O per Daniel Fauquier, il vicecomandante della brigata internazionale. Quest’ultimo nel 2002 pubblicò in Francia il diario della sua storia di partigiano, poi tradotto nel 2006 grazie alla traduzione fattane dagli studenti del liceo classico di Alba coordinati da Giuseppe Farinetti e diventato Itinerario di un partigiano francese, numero 69 del Presente e la storia, semestrale dell’Istituto storico di Cuneo.
Eppure l’azione dell’Islafran sul piano militare, come emerge dalle pagine di Zubbini, è incisiva nello scontro di Bonvicino dell’estate ’44, nella battaglia per l’impossibile difesa di Alba, a novembre. Negli scontri di Dogliani nel febbraio 1945.
Il libro si sofferma e analizza, per precisare particolari o per confutare, sulla base di documenti d’archivio o di testimonianze, quella che è diventata la versione corrente. È il caso della strage di Narzole, che il 26 aprile 1945 costerà la vita, per mano della 34ª divisione tedesca, a 12 civili e a sei partigiani. Gazzetta d’Alba, 6 novembre 2015