Il 1955 è un anno importante per tutte le strutture della Dc in Puglia

La Democrazia Cristiana che in Puglia dovrà guidare la nuova fase di interventi statali, è un partito profondamente rinnovato, reduce da una lunga e amara stagione di rovesci elettorali e scossoni organizzativi.
Tra il 1951 e il 1953, lo scudo crociato perde il controllo di tutti e cinque i capoluoghi di provincia, numerosi grossi centri e incassa alle politiche una flessione assai pesante in termini percentuali. La Dc infatti, dopo essere stata sconfitta nel ’51 dai blocchi del popolo a Brindisi e Taranto e dalle destre missine e monarchiche a Lecce, è nuovamente battuta a Bari e Foggia nel ’52, sempre da queste ultime e in generale registra pesanti débacle in centri di rilievo come Paricena, Lucera, Cerignola, Barletta, Bitonto. Ma la battuta d’arresto più pesante è quella registrata alle politiche del 1953.
Nella circoscrizione Lecce-Brindisi-Taranto alla Camera la Dc passa dal 49,38% (329.508 voti) del 1948 al 40% (278.569 voti) del 1953. Ma significativa è soprattutto la flessione nella circoscrizione Bari-Foggia: si passa dal 49,38 % (433.685 voti) al 37,23 (347.583).
Risultati simili al Senato: nel 1948 in tutta la regione, la Dc incassa il 45,27% dei consensi (604.653) mentre nel ’53 il 37,74% (546.696 voti).
Si tratta di una crisi in gran parte legata all’inadeguatezza dei vertici locali, composti da vecchi esponenti provenienti dal Partito Popolare e incapaci di leggere le grandi trasformazioni socio economiche che stanno in quegli anni cambiando il volto della Regione. In particolare sembrano difettare di energie e progettualità in grado di rilanciare l’immagine e l’azione del partito, di comprendere e rispondere ai problemi e bisogni delle classi popolari e allo stesso tempo di intercettare il consenso dei ceti medi, della piccola borghesia intellettualizzata.
La nuova classe dirigente che emergerà anche in Puglia a partire dal congresso di Napoli, legata alla segreteria Fanfani, lavorerà per mettere in piedi una struttura organizzativa più salda e allo stesso tempo dinamica in grado di lasciarsi alle spalle vecchie politiche di intervento per lo più legate a già collaudati e logori disegni di riforma agraria e a puntare invece sulla città come motore di sviluppo.
Questo partito, così rinnovato, potrà contare sul sostegno convinto di associazioni di industriali, artigiani e Camere di commercio e tenterà di leggere al meglio le aspirazioni dei ceti medi, la loro volontà di inserirsi nel grande processo di progresso economico che sta coinvolgendo il paese in quegli anni. Non sarà un percorso lineare e si assisterà all’emergere all’interno della stessa Dc di visioni e disegni differenti, soprattutto tra chi chiederà una svolta industriale, ritenuta l’unico orizzonte strategico in grado realmente di avviare una radicale trasformazione dell’economia e della società pugliese e chi sosterrà come via maestra da seguire la soluzione agraria e quella dello sviluppo di una piccola impresa privata legata al settore agroalimentare e soltanto affiancata dallo Stato.
Dopo il 1954, questa seconda pista fino a quel momento preponderante diventerà minoritaria, anche se continuerà a godere dell’apporto di dirigenti di partito di primo piano. Sulla crisi di consensi e organizzativa del partito <119 incide anche la scelta e la natura dell’intervento statale fin lì portato avanti e sarà poi sottoposta a drastica revisione più avanti. La cosiddetta legge stralcio del 21 ottobre 1950 prevede espropri e assegnazioni di terre ai contadini e in Puglia interessa quasi 841 comuni. Un provvedimento che crea profondi malumori e verrà bersagliato da destra come da sinistra. I primi accusano la legge di aver infranto il patto anticomunista siglato dalla Dc con i suoi elettori nel 1948, violando il diritto alla proprietà privata, i secondi giudicheranno la riforma come eccessivamente cauta e del tutto incapace di incidere realmente a favore delle grandi masse di indigenti <120.
Il grande e articolato processo di riorganizzazione del partito nell’Italia meridionale, avviato da Fanfani, tiene conto proprio delle contraddizioni generate all’interno delle comunità politiche locali, all’indomani della legge del 1950.
A incarnare al meglio il nuovo corso Dc saranno due giovani leve del partito destinate a diventarne le figure simbolo di quegli anni: Vito Lattanzio a Bari e Raffaele Leone a Taranto. Questo come vedremo meglio più avanti, già abile dirigente dell’Azione Cattolica, viene eletto rappresentate regionale per la Puglia nel Consiglio nazionale del partito e rappresenterà la Regione al congresso di Napoli <121. Sarà un evento questo, la cui portata innovativa viene subito percepita come uno spartiacque per la storia del partito pugliese. Così commenta i lavori «La Gazzetta del Mezzogiorno»:
“l’on. Fanfani ha deciso di fare largo posto, nel gruppo di «Iniziativa Democratica» ad uomini nuovi della periferia e in particolare degli ambienti giovanili; è in questo aspetto che «Iniziativa Democratica», intende qualificarsi come forza di confluenza e raccordo fra la generazione di De Gasperi e le espressioni politiche maturate nel dopoguerra. Fra queste esperienze è appunto una più incisiva e moderna impostazione della questione meridionale di cui i giovani sono stati gli antesignani all’interno della Democrazia Cristiana e possono essere validi collaboratori per quell’azione meridionalistica che è uno degli impegni programmatici della nuova direzione che dovrà uscire dal congresso” <122.
Un nuovo impegno per il Mezzogiorno, diretto sul territorio da uomini nuovi, giovani, capaci pronti a riorganizzare il partito su basi diverse rispetto al passato pur rifacendosi agli ideali tradizionali di riferimento. Si tratterebbe di esprimere “pur entro le tradizionali linee programmatiche della Dc, più dinamiche e moderne impostazioni di attività quali scaturirono dal congresso nazionale di Napoli” <123. Si tratta di un vero e proprio “nuovo corso” affidato a “nuove e sane energie” impegnate ad assicurare che la futura azione del partito sia “più aderente alle esigenze ed alle aspirazioni avvertite dal Paese” <124. Le parole nette e decise con le quali la direzione provinciale della Dc saluta l’elezione della nuova segreteria della provincia di Bari nell’ottobre del ’54 ratificano una svolta che è già avvenuta.
Dopo un anno di commissariamento la Dc barese ha infatti eletto segretario Vito Lattanzio, che già nell’anno prima ha diretto il partito in qualità di sub-commissario. 28 anni, medico, vicinissimo ad Aldo Moro, Lattanzio, diventa sin da subito braccio operativo della Dc di Fanfani in Puglia. È proprio quest’ultimo ad aprire il congresso e a dirsi certo che la Dc barese riuscirà a evitare di “abbandonarsi alle polemiche” riuscendo a “riorganizzarsi” <125.
Lattanzio si richiama ai principi cristiani e sociali del partito ma annuncia una “volontà innovatrice”, quella di puntare sì, all’unità di tutti i democristiani ma anche alla collaborazione con le organizzazioni vicine al partito. Servono, chiosa il neo segretario, nuovi interventi a favore del Meridione, più efficaci e più incisivi. Non è un caso che nel suo discorso congressuale vengano chiesti aumenti di salario per gli addetti al settore industriale ritenuti spesso penalizzati rispetto a quello agricolo. L’obbiettivo è quello di un’apertura diretta a più ampi settori della società tentando di allargare il perimetro di azione del partito, aumentando gli attori sociali coi quali relazionarsi politicamente. È una progettualità che il nuovo blocco dirigente porterà avanti con grande decisione fino ai primi anni sessanta e che viene chiarita un anno dopo nel corso del II convegno regionale di Puglia dei dirigenti e parlamentari della Dc tenutosi a Bari il 23-24 aprile 1955 <126. Nella riunione presieduta da Raffaele Leone, da più parti si fa presente la necessità di organizzare meglio il tesseramento, di rafforzare la posizione interclassista del partito, di puntare convintamente su giovani e varie categorie di lavoratori <127. Ma è Lattanzio ad esplicitare le tappe attraverso cui dovrebbe passare la tanto agognata riorganizzazione del partito regionale:
“potenziati dovrebbero essere anche i gruppi di azienda e categoria che permettono al partito di penetrare e conquistare alcuni ambienti che ben difficilmente potrebbero essere influenzati dallo esterno. Solo in tal modo il Partito potrà concretamente svolgere la sua azione mediatrice tra Governo e Parlamento da una parte e corpo elettorale dall’altra” <128.
È una concezione politica che vede il partito impegnarsi concretamente in un’azione mediatrice tra governo e parlamento da una parte e corpo elettorale dall’altra e che dovrebbe esprimersi in un’azione radicata ed efficiente, in grado di avviare un contatto “diretto e quotidiano” con la base e farsi così interprete dei bisogni dell’elettorato. Si tratta di penetrare nel maggior numero di categorie economiche e professionali possibili rafforzando i rapporti tra partito e associazioni collaterali. si tratta di uno sforzo che deve riguardare tutte le strutture del partito e che richiede la collaborazione anche del clero. A questo proposito Lattanzio rileva come:
“in taluni centri si riscontra una carenza di sensibilità e di comprensione da parte del Clero (alle volte il Partito viene configurato come un covo di clientele) per gli sforzi che il Partito va quotidianamente sostenendo per consolidare le sue posizioni. Sarebbe pertanto auspicabile che il Commissario Regionale prenda contatto con i Vescovi della Regione per chiarire alcune posizioni e chiedere il pieno appoggio per una più valida collaborazione tra le organizzazioni cattoliche in tutti i centri” <129.
Emerge una linea programmatica nuova che non manca di sollevare, dubbi e perplessità. Cerca di fugarle con la massima decisione il futuro presidente dell’Iri, in quel momento presidente dell’Inam e rappresentante in quella sede della Direzione centrale del partito, Giuseppe Petrilli:
“da alcune parti giungono critiche alla supervalutazione che la direzione del Partito va dando ai problemi organizzativi, ma per noi che siamo aderenti alle esigenze dei tempi moderni tali critiche costituiscono titolo di merito in quanto riteniamo che ai nostri giorni non è possibile concepire la vita politica senza una solida base organizzativa” <130.
Ma spiega l’esponente democristiano è uno sforzo necessario per allargare gli orizzonti e la base di consensi del partito e meglio articolare la sua proposta politica:
“la Dc pur non essendo un partito classista, appartiene al mondo del lavoro perché essa è costituita da lavoratori e la sua azione tende quindi a migliorare le condizioni di vita di tutte le forze che contribuiscono ad accrescere la ricchezza nazionale. La politica del Partito è orientata anche verso quelle categorie autonome costituite da liberi professionisti che possono trovare nella concezione democratica della Dc la forza capace di rispondere in pieno alle loro esigenze morali e sociali” <131.
Sarà l’industrializzazione portata avanti con decisione per iniziativa dello Stato, l’elemento centrale del nuovo disegno della Dc pugliese, nel solco del corso Fanfani e fungerà da coagulante delle nuove forze sociali che il partito cercherà di mobilitare: impiegati, commercianti, artigiani, piccoli-medi imprenditori, insegnanti. Una struttura di consensi che poggerà principalmente sulla città, nuovo centro propulsore della società pugliese.
E non è un caso che è proprio qui che gli sforzi del partito si spostino gradualmente, ma con sempre maggiore decisione dalle campagne. Proprio Lattanzio avanza la richiesta ai vertici del partito di portare avanti un duplice articolato sforzo. Una battaglia per l’industrializzazione della provincia di Bari e un’altra parallela per l’ingrandimento del porto cittadino con l’istituzione di un punto franco che dovrebbe essere capace di rianimare i traffici favorendo il commercio cittadino <132. Nuovi provvedimenti per lo sviluppo della città di Bari e in particolare dell’artigianato, vengono garantiti dal deputato democristiano Armando Sabatini allora sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro che in consiglio comunale rivendica il provvedimento, appena passato alla Camera, sull’apprendistato giovanile garantendo nuovi e più incisivi provvedimenti per l’artigianato cittadino <133.
Ma è lo sviluppo dell’industria correlato a quello del commercio a essere al centro delle attenzioni democristiane. A testimoniarlo sarà il grande appuntamento organizzativo del dicembre del 1955, quello della II assemblea delle rappresentanze popolari che la segreteria nazionale, come già visto deciderà di svolgere proprio a Bari.
Il 1955 è un anno importante per tutte le strutture locali della Dc: le competizioni amministrative del ’56 si avvicinano e il partito anche sotto la spinta del nuovo impegno del governo nell’impostare un’efficace programmazione economica, cerca di riorganizzarsi rivendicando i successi nazionali. Particolarmente attiva è la sezione barese. Qui vengono tenute una fitta serie di manifestazioni cittadine che in pochi mesi risollevano il numero degli iscritti. È una situazione analoga a quella che, come vedremo meglio a breve, si verificherà a Taranto <134.
La “battaglia delle tessere” ha una rilevanza strategica nel processo di rafforzamento delle strutture organizzative del partito e tra il ’55 e il ’56 la Dc pugliese conduce con grande decisione una campagna di iscrizioni particolarmente intensa. La sezione del partito, spiega Lattanzio in un affollato comizio tenutosi a Minervino Murge nel giugno del ’55, non rappresenta solo una comunità politica che si riunisce attorno a degli ideali di cambiamento, “libertà” e “dignità umana”, ma rivela soprattutto uno sforzo di piena “educazione democratica delle varie categorie sociali del luogo”. E sono anche più profondi i significati del tesseramento:
“il partito non promette a nessuno dei suoi iscritti una vita facile e soprattutto comoda, ma proprio per questo, abbiamo nel 1955 spiegato chiaramente il significato ed il valore della tessera, in quanto questa, non rappresenta oggi, soltanto l’impegno ad essere fedele ad un programma, ma comporta altresì il proponimento di battere con coraggio e con umiltà la strada che noi stessi ci siamo scelta […] la necessità di un inserimento completo e costante delle masse lavoratrici nella vita dello Stato propone in tutta la sua novità e fondamentale importanza il problema che il partito si ponga all’avanguardia delle forze promotrici e disposte ad agevolare tale inserimento. Infatti solo un partito che si senta capace di accompagnare e sorreggere il movimento di rinnovamento, che scaturisce dalla base sappia interpretare ed organizzare le esigenze di sviluppo sociale che si vanno avvertendo nella corretta realtà del paese” <135.
È una svolta organizzativa destinata a misurarsi con numerosi ostacoli interni. Tra il 1955 e il 1956 si apre infatti, un vivace confronto tra i vertici della Dc pugliese. La discriminante tra nuova e vecchia “generazione” è rappresentata essenzialmente dalla differente concezione delle future linee di sviluppo economico che la regione dovrebbe imboccare. Lo scontro è tra sostenitori della soluzione industriale e quelli che vogliono un potenziamento dell’agricoltura soltanto supportato dalla crescita della piccola e media imprenditoria privata.
Quest’ultima posizione è quella preponderante in Puglia sino al 1954 e sostiene principalmente come fosse possibile potenziare l’attività produttiva meridionale soltanto razionalizzando il settore agricolo. Quindi: migliore utilizzazione della terra, maggiore produzione delle qualità selezionate, dimora stabile dei contadini in campagna al fine di non affollare le città. Una posizione, questa, che trova il suo punto di riferimento in Nicola Tridente economista, meridionalista, imprenditore, influentissimo presidente della Fiera del Levante, molto vicino alla Dc locale. Tridente incarna:
“una linea di sviluppo della regione capace di secondare le grandi tradizioni mercantili della parte più dinamica della borghesia locale e le sue consolidate vocazioni produttive storicamente realizzatesi nell’agricoltura e nella trasformazione industriale delle sue produzioni e geloso tutore «dell’iniziativa privata» ne sollecitava «forme di stimolo»e sostegno finanziario, fiscale e creditizio da parte dello Stato giammai sostitutive della libera attività dell’operatore economico privato” <136.
Tridente chiede esplicitamente un potenziamento della Cassa e in particolare un maggiore sforzo per ciò che concerne opere di bonifica e trasformazione delle terre.
Queste dovrebbero essere favorite dalla messa a disposizione di capitali pubblici da parte dello Stato e dalla concessione di generosi mutui. La rinascita della Puglia, parte quindi dalle sue terre, ma anche dalla capacità di incrementare la quota di risparmi e di tradurla in consumi. La ricetta proposta del presidente della Fiera del Levante è quella di limitare i consumi e allo stesso tempo diminuire la pressione tributaria. Il risparmio dovrebbe realizzarsi essenzialmente sulle spese voluttuarie perché, spiega Tridente nel discorso di inaugurazione della Fiera nel ’55, vengono spese per queste somme rilevanti, pari a 1.639 miliardi di lire. Un maldestro e insano uso delle risorse:
“ciò dimostra che, dopo una guerra perduta, ci siamo disorientati, mentre avremmo dovuto contenere di più il nostro tenore di vita, come si fa in una famiglia ordinata, colpita da una sciagura…ci sono categorie di consumi che non solo portano via risparmio attuale, ma risparmio futuro, ossia ci mangiamo oggi quello che guadagneremo domani. Ciò è nocivo, prima perché siamo un popolo a reddito basso, poi perché non abbiamo l’apparato creditizio adatto, come nei grandi paesi anglosassoni. In altri termini, nell’interesse dei produttori stessi, preferiamo vedere incrementare il risparmio a scopi produttivi, secondo lo schema Vanoni anziché constatare che nei portafogli delle nostre banche ci sono delle montagne di cambiali provenienti dalle vendite a rate di alcuni beni voluttuari” <137.
Tridente è un sostenitore di una industrializzazione dai tempi lunghi incentrata sull’imprenditoria privata, collegata alla trasformazione della produzione agricola e sostenuta da capitali stranieri. In questo quadro, lo Stato avrebbe un ruolo defilato, la funzione di favorire crediti e investimenti senza intervenire direttamente. Una linea strategica che verrà esposta chiaramente nel corso di vari incontri tenutosi con la stampa e l’imprenditoria internazionale tra il 1954 e il 1956. L’imprenditore spiega come un settore agricolo razionalizzato e modernizzato possa impiegare sino a 100.000 unità lavorative. Un numero non sufficiente ad assorbire le grandi masse disoccupate della regione ma importante anche come punto di partenza per un futuro processo industriale. Un processo, chiosa Tridente, destinato a partire dalle campagne, grazie alla lavorazione dei prodotti agricoli e il rafforzamento di una imprenditoria locale finanziata da capitali stranieri <138. Nella sua visione politico-economica grande peso ricopre l’apertura di nuovi spazi commerciali sovranazionali in grado di intensificare gli scambi economici dell’intero Mediterraneo. Si tratterebbe di nuovi grandi aree economiche, di zone franche finalizzate a potenziare l’interscambio tra macro regioni economiche.
Sono teorie economiche molto articolate, contenenti anche tratti al loro interno particolarmente originali ma di certo di difficilissima realizzazione e comunque richiedenti lunghissimi tempi di attuazione. È una progettualità legata alla grande rendita fondiaria e che può contare sul sostegno della vecchia guardia della Dc pugliese, come il presidente della provincia di Bari Angelini De Miccolis in testa e da autorevoli esponenti del mondo della vecchia borghesia locale a iniziare da Salvatore Tramonte presidente della camera di Commercio barese.
È proprio Tramonte in un suo editoriale apparso sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» nel novembre del 1955 <139 a sottolineare le linee guida che un processo di industrializzazione dovrebbe seguire per realizzarsi compiutamente:
“i meridionali sapranno essi stessi industrializzare il Mezzogiorno allorquando, oltre alle favorevoli condizioni ambientali, alle quali si sta provvedendo con le grandi opere della Cassa per il Mezzogiorno, essi potranno disporre dei necessari capitali liberamente apportati con azioni al portatore, per poter dotare le nuove aziende di capitale sociale rispondente ai bisogni delle grandi imprese”. Tramonte, propone un ben preciso indirizzo di coordinamento del capitale col lavoro nella produzione agricola e di puntare sull’espansione dei prodotti agricoli sui mercati europei per quanto riguarda la futura produzione industriale. A questo fine viene proposta l’istituzione di “centrali dei prodotti agricoli e zootecnici” che dovrebbero configurarsi come centri di raccolta e allo stesso tempo di trasformazione dei prodotti, con funzioni di monopolio commerciale. Tre le funzioni alle quali dovrebbero assolvere i suddetti centri: reperimento prodotti agricoli, lavorazione industriale, vendita in un vasto mercato. È una posizione ancora decisamente legata al mondo dell’agricoltura e osteggiata con forza dalla nuova generazione di dirigenti democristiani che propone una piattaforma programmatica incentrata su un immediato e vigoroso processo industriale in grado di innescare meccanismi di crescita autopropulsivi e di recidere il secolare cordone ombelicale che lega l’economia meridionale a quella settentrionale sulla scia di logiche assistenziali e paternalistiche.
Lo spiega bene, sulla rivista barese «Tempi nuovi» Giuseppe Giacovazzo <140, giovane giornalista messosi subito in evidenza come uno dei più promettenti esponenti della nuova leva locale di dirigenti democristiani. Sarebbe urgente, spiega Giacovazzo, intervenire puntando convintamente sul settore industriale:
“il ritmo di trasformazione delle condizioni ambientali e della capacità produttiva del Sud rispetto al Nord non è aspetto marginale della questione del Mezzogiorno… questo dislivello tra Nord e Sud non si è minimamente accorciato e non si accorcerà mai sulla via di un esclusivo potenziamento agricolo del Sud, perché esso in realtà si risolve in aumento di domanda di prodotti per le industrie del Nord a vantaggio delle quali rifluisce anche l’espansione dei consumi in conseguenza dei miglioramenti agrari”.
Quindi, spiega ancora Giacovazzo:
“ora tutti i tecnici sono concordi nell’ammettere […] che se si potessero trasformare, bonificare, migliorare i rimanenti due o tre milioni di ettari, in aggiunta a quel milione su cui sta lavorando la Casmez, non potrebbero trovare stabile occupazione più di trecento mila nuove unità. Ed ancora, i più apprezzati studiosi delle aree sottosviluppate concordano altresì nel ritenere che neppure con un forte sviluppo industriale limitato alla trasformazione di prodotti agricoli sarà mai possibile assorbire l’eccesso di popolazione improduttiva delle regioni meridionali. Di qui la necessità di postulare un’industria pesante, in virtù della quale l’economia del Mezzogiorno diventi autopropulsiva” <141.
Non solo dunque, viene prospettata una strada diversa, quella industriale, da imboccare per tirare fuori il Meridione dalla palude tossica dell’immobilismo economico ma anche ruoli e doveri dello Stato sono chiariti con una certa nettezza nel solco del disegno politico della segreteria Fanfani di “rendere più autonomo il partito dal fronte confindustriale e di radicarlo invece con una sua progettualità economico sociale nello Stato e nel sistema delle imprese pubbliche” <142.
Sempre su «Tempi Nuovi», l’ingegnere Vitantonio Lozupone, futuro presidente della provincia di Bari <143 ad intervenire sulla questione dei monopoli:
“I monopoli – e fra essi anche quelli industriali – sono un risultato della costruzione del capitalismo dominato dal principio del lucro e dal principio del razionalismo economico. Un aspetto negativo saliente di tali abnormi strutture economiche è la volontà e la possibilità di modificare artificialmente le condizioni di mercato ed ancora la dittatura economica che spesso tenta di asservire ai propri fini il pubblico potere. Per tali caratteristiche i monopoli industriali e non (vedi quelli finanziari e creditizi) sono da ritenersi negativi, soprattutto nel loro aspetto politico-sociale, mentre sotto il profilo meramente economico presentano anche dei alti positivi come la migliore razionalizzazione dei processi produttivi. È evidente quindi che in tale campo debba intervenire lo Stato, non a sopprimere ma a limitare e regolare […] è l’economia regolata la nuova economia da auspicarsi in uno Stato a reggimento democratico. Tale economia regolata porta a controlli statali su industrie di interesse generale o che operino su beni di carattere nazionale; a nazionalizzazioni di industrie che producano beni di tale preponderanza economica che non si possano lasciare in mano ai privati cittadini senza pericolo del bene comune […] Indubbiamente anche un’economia disciplinata e controllata dallo Stato non è immune da fondate critiche e difetti, ma in genere, questi più che al sistema sono da attribuirsi agli uomini non sempre ben destri e preparati” <144.
È questa linea, favorevole a un rapido processo di industrializzazione guidato dall’alto che riuscirà a imporsi.
Uno dei momenti chiave di questo processo è rappresentato dal congresso della Dc barese, tenutosi il 12 e 13 novembre del 1955.
[NOTE]
119 Per un’analisi dettagliata dello Stato di crisi del partito, si veda F. Pirro, Il laboratorio di Aldo Moro, cit., pp. 67-89.
120 Sulla riforma agraria particolarmente interessanti sono i lavori di Emanuele Bernardi. Su tutti: La riforma agraria in Italia e gli Stati Uniti. Guerra fredda, Piano Marshall e interventi per il Mezzogiorno durante il centrismo degasperiano, Il Mulino-Svimez, Bologna, 2006.
121 «La Gazzetta del Mezzogiorno», 30 giugno 1954, p. 2.
122 «La Gazzetta del Mezzogiorno», 25 giugno 1955, p. 1.
123 Comunicato stampa della Direzione provinciale della Dc in seguito a chiusura XI congresso provinciale Dc di Terra di Bari, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 24 ottobre 1954, p. 4.
124 Ibid.
125 «La Gazzetta del Mezzogiorno», 24 ottobre 1954, p. 4.
126 Ils, Asdc, Regioni, Puglia, Verbale II convegno regionale di Puglia dei dirigenti e parlamentari della Dc, Bari il 23-24 aprile 1955.
127 Su questo punto insiste in particolare Francalacci della federazione di Brindisi, ibid, p. 4.
128 Ibid.
132 Mozione finale convegno di studio dei problemi politici-organizzativi di Terra di Bari in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 31 gennaio 1955.
133 «La Gazzetta del Mezzogiorno», 7 marzo 1955, p. 7.
134 Relazione di Lattanzio al Comitato provinciale Dc, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 8 maggio 1955, p. 4.
135 Il Discorso di Lattanzio a Minervino Murge in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 22 giugno 1955, p. 6.
136 F. Pirro, Il laboratorio di Aldo Moro, cit., p. 121.
137 «La Gazzetta del Mezzogiorno», 10 settembre 1955.
138 «La Gazzetta del Mezzogiorno», 28 marzo 1956, p. 1.
139 S. Tramonte, I fattori economici nello sviluppo delle attività produttive, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 16 novembre 1955, p. 5. È una data significativa in quanto il giorno prima, il 15 novembre, Vito Lattanzio è stato rieletto segretario provinciale della Dc barese con una mozione finale in cui si chiede un processo industriale celere ed incisivo condotto dallo Stato. Una proposta all’opposto di quella di Tramonte a al quale il suo editoriale vuole probabilmente rispondere.
140 Giuseppe Giacovazzo (Locorotondo 6 settembre 1925 – Acquaviva delle Fonti 29 ottobre 2012), giornalista, scrittore, conduttore del Tg1 della Rai e direttore de «La Gazzetta del Mezzogiorno», vicino ad Aldo Moro, è stato uomo di punta della Dc pugliese. Eletto in Parlamento nel 1987 e poi riconfermato nelle due successive legislature, è stato per due volte senatore e una deputato. Tra le esperienze di governo si segnalano quella come sottosegretario di Stato per gli Affari esteri nel primo governo di Giuliano Amato e nel governo di Carlo Azeglio Ciampi. Ha fatto parte delle commissioni parlamentari Bilancio, Industria, Turismo e commercio, Lavori pubblici e comunicazioni, Esteri, Vigilanza dei servizi radio televisivi. Per un profilo di Giacovazzo: «La Gazzetta del Mezzogiorno», 30 ottobre 2012, p. 1 e http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/puglia/morto-giacovazzo-ex-direttoredella-gazzetta-no564382/
141 G. Giacovazzo, Snellire il credito prima che sia tardi, in «Tempi nostri», a. I, n. 17, 23 ottobre 1955, p. 5, in F. Pirro, Il laboratorio di Aldo Moro, cit., p. 123.
142 Ibid, p. 124.
143 Vitantonio Lozupone (1912-1990). Sindaco di Giovinazzo nel 1946 e poi presidente della Provincia dal 1956 al 1962 e sindaco di Bari nel 1963-1964, Lozupone è stato uno dei grandi protagonisti della nuova stagione politica della Dc pugliese a partire dalla seconda metà degli anni ’50. convinto sostenitore dell’industrializzazione della regione è stato uno dei più stretti amici e collaboratori di Aldo Moro. Su Lozupone si veda: F. Altamura, Vitantonio Lozupone – Il governo democratico di una periferia del mezzogiorno, Adda, Bari, 2014.
144 La grave piaga del monopolio privato e le posizioni programmatiche dei partiti politici in “Tempi nostri”, a. I, n.9, 12 giugno 1955, p. 5 in Pirro 1983, p. 124.
Onofrio Bellifemine, Una nuova politica per il Meridione: la nascita del quarto centro siderurgico (1955-1960), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Parma, 2016