Il campo di concentramento di Tonezza del Cimone

Fonte: Istrevi

La Colonia Alpina Umberto I di Tonezza del Cimone, operante dal 1899 come luogo di vacanza e cura per bambini e adolescenti, fu requisita il 10 dicembre 1943 dal prefetto di Vicenza per concentrarvi gli ebrei della provincia. Il grande edificio, con una capienza di oltre 200 posti letto, garantiva ampi spazi per l’alloggiamento degli internati. Il campo diventò ufficialmente operativo il 20 dicembre. La gestione era affidata a personale di polizia italiano sotto la responsabilità del Ministero dell’Interno della Repubblica Sociale Italiana. Direttore ne fu il funzionario di Pubblica Sicurezza, Maggiore Silvio Toniolo.
Prima dell’8 settembre 1943 erano presenti in zona, oltre agli ebrei italiani, numerosi profughi ebrei in regime di confino coatto. Si spiega così la scelta di un luogo di detenzione così grande.
La maggior parte dei ricercati tuttavia fu capace di sottrarsi all’arresto, spesso con l’aiuto attivo della popolazione locale. Il gruppo di 45 prigionieri, quasi tutti anziani e bambini, accompagnati da 5 carabinieri, che giunsero al campo il 23 dicembre 1943, fu il primo e l’unico a soggiornarvi. Di conseguenza il campo rimase sempre sottoutilizzato, cosa non mancò di suscitare ripetute rimostranze da parte del Ministero. Alla fine fu deciso il suo smantellamento nel gennaio 1944. Bella Ciao, Milano!

La storia della Provincia di Vicenza durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale si intreccia inevitabilmente con gli avvenimenti nazionali e internazionali, anche per quel che concerne la creazione di campi di concentramento.
In particolar modo, l’internamento coatto nei comuni vicentini di un alto numero di ebrei tra la seconda metà del 1941 e l’8 settembre del 1943 e la creazione del campo di concentramento provinciale di Tonezza del Cimone (dicembre 1943) inseriscono la Provincia di Vicenza in quel processo che ebbe i propri gangli vitali in Germania, ma che vide la partecipazione attiva ed autonoma del governo fascista italiano, prima attraverso la discriminazione e la persecuzione dei diritti, poi con la decisione di internare e deportare gli ebrei, decretando il terribile destino di milioni di vite sperse e annientate dalla macchina della morte nazi-fascista nel cuore dell’Europa moderna.
La Provincia di Vicenza è legata alla Shoah proprio attraverso le storie di chi, raggiunta l’Italia nella speranza di poter trovare un rifugio dalla condanna senz’appello dichiarata dai fascismi agli ebrei, si rese conto che l’apparato discriminatorio e razzista dell’Italia sarebbe passato dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite. Fu così che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, nell’Italia settentrionale furono creati nuovi campi di concentramento per internare quegli ebrei che finirono piombati sui treni diretti in Polonia. Tra quei campi, c’era la Colonia Umberto I di Tonezza del Cimone dove furono tenute prigioniere 45 persone dal destino segnato: 42 di loro, caricate sul convoglio n° 6 del 30 gennaio 1944, furono portate ad Auschwitz senza fare più ritorno.
Il processo va analizzato a fondo, richiamando le tappe fondamentali che portarono alla creazione del campo provinciale di Tonezza.
Dopo aver promosso una forte propaganda antisemita e aver approvato le leggi razziali del 1938, col passare del tempo e con l’avvicinarsi dell’ingresso dell’Italia in guerra, la politica di Benito Mussolini e del suo governo nei confronti degli ebrei si andò delineando con sempre maggiore chiarezza. Emblematico a questo proposito il telegramma del 26 maggio del 1940 che Guido Buffarini Guidi, sottosegretario di stato al Ministero dell’Interno, inviò al capo della polizia Arturo Bocchini. Si trattò di un primo essenziale passo verso un ulteriore restringimento dei diritti degli ebrei: Il Duce desidera che si preparino dei campi di concentramento anche per gli ebrei, in caso di guerra .Ti prego di riferire direttamente[1]
In realtà, i problemi maggiori nacquero a seguito della conquista della Jugoslavia, aggredita con un attacco congiunto italo-tedesco il 6 aprile 1941. L’Italia occupò la striscia costiera croata, con alcune isole a sud-est di Fiume, la metà meridionale della Slovenia e gran parte della costa dalmata e delle isole di fronte ad essa. La situazione per il governo italiano si fece difficile, dovendo esso controllare imponenti flussi di ebrei in fuga dalle zone assoggettate al comando militare tedesco. Così, l’11 agosto 1941, con circolare telegrafica n° 60662/442, il Ministero dell’Interno invitò gli Ispettorati Generali di Pubblica Sicurezza ad attivarsi nella ricerca di luoghi da adibire a campi di concentramento per internati della Dalmazia.
L’8 settembre 1941 giunse la risposta della Prefettura di Vicenza, tramite una raccomandata urgente in cui venivano individuati dei luoghi idonei a tale scopo. Si trattava in particolare di stabili presenti nei Comuni di Dueville, Lugo e Lonigo.
Per il primo comune veniva indicata “la villa Perazzolo, costituita da un corpo centrale e due laterali; il primo è formato da un gran salone delle dimensioni di m. 13 x 18 con due camere a lato per parte, della grandezza di m. 5 x 6. – Ha un piano soprastante composto di quattro ambienti di m. 5 x 6 ciascuno. I due corpi laterali sono formati da due piani aventi complessivamente otto vani delle dimensioni di m. 6 x 6 ciascuno. Esistono acqua, luce e gabinetti di decenza e bagno. La cucina è unica e trovasi al pianoterra. – Ha una capienza di 200 persone. Trattasi, però, di una villa signorile, in buone condizioni, dichiarata monumento nazionale, essendo opera del Palladio.”

[1] ACS, MI, M4, b. 100. Il documento è riprodotto in R. Bonavita, G. Gabrieli, R. Ropa (a cura di), L’offesa della razza. Razzismo e antisemitismo dell’Italia fascista, Patron Editore, Bologna 2005, pag. 136.
[2] ACS, MI, M4, b. 149, Vicenza, ins. 73
[3] ACS, MI, M4, b. 111.

Dal Rifugio all’Inganno

Il 20 dicembre 1943 l’edificio che ospitava la Colonia Alpina Umberto I° di Tonezza del Cimone (oggi sede di un istituto scolastico), fu adibito a campo di concentramento provinciale per persone di razza ebraica. Tre giorni dopo, il 23 dicembre di quell’anno, in questa particolare struttura, furono condotti 35 ebrei di nazionalità straniera arrestati nel Vicentino in ottemperanza all’ordine generale di arresto impartito il 30 novembre di quell’anno contro tutti gli ebrei presenti nel territorio italiano allora sotto il controllo nazi-fascista. Gli ebrei detenuti nel campo di Tonezza erano internati civili di guerra, già costretti alla residenza coatta in provincia di Vicenza tra il 1941 e il 1943. La più giovane detenuta condotta al campo fu Marina Eskenazi di 2 anni e mezzo, mentre il più anziano fu Ivan Zaduk, nato nel 1871 a Berlino. ISTREVI

La svolta che vide la Provincia di Vicenza tra le province italiane ad annoverare la presenza di un campo di concentramento si ebbe soltanto dopo l’armistizio e la nascita della Repubblica Sociale Italiana. In questo caso la destinazione d’uso fu decisamente diversa, dato che si trattava di internare gli ebrei con lo scopo preciso di deportarli in un secondo momento.
L’armistizio con gli Alleati, annunciato l’8 settembre 1943, ebbe per l’Italia gravi conseguenze politiche e militari e per gli ebrei stranieri presenti sul territorio fu il segno di un tragico cambiamento. A quella data, infatti, ben 10.000 ebrei stranieri si trovavano sotto l’occupazione tedesca, ossia quasi un quarto di tutti gli ebrei e delle persone di origine ebraica colpite dalla politica razziale che si trovavano in Italia. Per quanto riguarda in modo più specifico gli ebrei internati nei comuni, nella sola Italia settentrionale se ne contavano tra i 2500 e i 2600 al cospetto di una cifra oscillante tra i 1000 e i 1100 nell’Italia centrale.
Il repentino mutamento della situazione internazionale ebbe una ripercussione incommensurabile sugli ebrei internati in Provincia di Vicenza, che, consci delle conseguenze della supremazia tedesca, non appena ne ebbero l’opportunità, tentarono la fuga.
In effetti, come in tutti i paesi occupati dalla Wermacht, anche in Italia venne creato un apparato di polizia che riceveva ordini direttamente dall’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich. L’organo burocratico direttamente responsabile della politica antiebraica era l’Ufficio IV (AMT IV) del RSHA, diretto a Berli­no dal Gruppenfuhrer Heinrich Muller. In questo Ufficio IV agivano vari sottouffici, fra i quali il B4 che si occupava della ricerca degli ebrei, della loro cattura e deportazione. Ne era capo Adolf Eichmann.
Per quanto riguarda l’Italia, a Karl Wolff, Comandante supremo delle SS e della polizia fu sottoposto, come Capo della Polizia di Sicurezza, Wilhelm Harster che si mosse subito dopo l’annuncio dell’armistizio, predisponendo una rete di Comandi Regionali (Kom­mandeure Sipo-SD), da cui dipendevano i Comandi Avanzati (Aussenkommandos), una sorta di commissariati, ai quali, a loro volta, rispondevano i Posti Avanzati (Aussenposten), ossia dei piccoli comandi periferici. Il Posto avanzato di Vicenza era direttamente sottoposto al Comando Regionale di Verona. [4]
Il 23 settembre del 1943 nasceva il nuovo governo fascista che, tra i suoi primi atti, emanò alcuni provvedimenti tesi all’inasprimento dell’azione antiebraica. Determinante fu la decisione, presa in piena autonomia, di inserire tra i 18 articoli del documento programmatico della “Carta di Verona” (14 novembre), il punto 7 in cui si diceva chiaramente che “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”.
Due settimane più tardi, il 30 no­vembre, il Ministro degli Interni dispose – con l’ordinanza di polizia n. 5 – l’arresto e l’internamento degli ebrei, nonché il sequestro dei loro beni:
1) Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili e immobili devo­no essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’inte­resse della RSI, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.
2) Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione del­ le leggi razziali vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, deb­bono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia.
3) Siano pertanto concentrati gli ebrei in campo di concentramento provin­ciale, in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali apposita­mente attrezzati». [5]
A partire dal 1° dicembre 1943, dunque, ogni ebreo che si trovasse sul territorio della Repubblica Sociale poteva essere arrestato da parte delle autorità italiane per poi venire internato in campi di concentramento provinciali. Anche la Provincia di Vicenza dovette rispondere all’ordine, cercando e preparando dei luoghi idonei a concentrare gli ebrei in attesa di ulteriori disposizioni sul loro destino.
La maggior parte dei campi presenti nell’Italia del Centro-nord ebbe una vita brevissima (al massimo dal dicembre del 1943 alla metà di agosto del 1944), dato che quasi tutti gli internati furono utilizzati per formare il convoglio partito da Milano il 30 gennaio 1944 alla volta di Auschwitz.
In Veneto si ha notizia di diversi campi di concentramento provinciali:per le Province di Padova e Rovigo venne istituito un campo, a partire dal 3 dicembre, a Villa Contarini-Venier nel comune di Vò Vecchio in una casa estiva delle suore elisabettiane. Fu chiuso il 17 luglio successivo e i prigionieri furono trasferiti a San Sabba; in Provincia di Venezia, gli ebrei furono sistemati nella locale Casa di Riposo Israelitica, dalla prima settimana di dicembre fino al 31 dicembre 1943; in Provincia di Verona, in un edificio di via Pallone; in Provincia di Vicenza, nella Colonia Umberto I di Tonezza, aperta dal 20 dicembre del 1943 al 30 gennaio del 1944, quando tutti gli ebrei furono deportati.
Di norma, le persone che venivano arrestate erano portate prima nelle camere di sicurezza delle questure per gli accertamenti di rito. In questura potevano rimanere anche qualche giorno se i campi provinciali non erano pronti. A Vicenza, per questi motivi, fu usato il Teatro Olimpico.

[4] Per avere un quadro completo delle strutture di occupazione tedesche in Italia si veda Picciotto Liliana, Il libro della Memoria, Milano, Mursia 2002 (seconda edizione), pagg. 858-866.
[5] MI, DGDR (Direzione Generale della Demografia e della Razza), affari relativi agli ebrei, b. 18. Si tratta dell’Agenzia Stefani n° 8 delle ore 23 del 30 novembre 1943.

Dal Rifugio all’Inganno

A cercare rifugio in Italia erano stati in gran parte tutti quelli che credevano che l’Italia potesse diventare il loro salvavita, non i più poveri o i più ricchi, ma chi era riuscito a racimolare, individualmente o con l’aiuto della comunità ebraica, quanto più denaro possibile, nell’illusione di ritrovare una speranza che nell’Europa dell’est era già andata perduta. Alcuni cittadini locali li consideravano “ospiti indesiderati”, altri erano più tolleranti, altri ancora cercavano per quanto possibile di aiutarli. Il Giornale di Vicenza, 26 gennaio 2010

Fonte: Dal Rifugio all’Inganno

[…] Con la nascita della RSI, la Colonia si trovò al centro di una serie di decisioni che avrebbero cambiato per sempre la sua storia: il 10 dicembre di quell’anno il Prefetto comunicò al presidente Roi che i locali della Colonia sarebbero stati requisiti temporaneamente per concentrarvi degli ebrei. Quello stesso giorno, i prime ebrei vennero arrestati dalle forze dell’ordine italiane. Roi si rivolse con due lettere, il 16 e il 22 dicembre, pregando di recedere dalla decisione in maniera che lo stabile potesse continuare a mantenere le sue funzioni. Purtroppo, come riportano i verbali, “l’interessamento del Presidente non riuscì a conseguire il desiderato effetto e la sede della Colonia Alpina venne occupata per il concentramento degli ebrei.”[8]
Il campo venne aperto ufficialmente il 20 dicembre. Tre giorni dopo arrivarono da Arsiero col camion di Gniola (Giuseppe Fontana fu Domenico)[9] 45 ebrei accompagnati da 5 carabinieri.
Dai documenti conservati presso il Comune di Tonezza si ricavano importanti conferme. Il 23 dicembre il direttore del campo, Maggiore Silvio Toniolo, prese in consegna la Colonia con tutto il “materiale destinato al funzionamento del Campo di Concentramento”. Sappiamo che la gestione dei campi di concentramento spettava al Ministero dell’Interno che la delegava alle Prefetture; queste amministra­vano i fondi accreditati dalla Ragioneria Centrale del Ministero dell’Inter­no su ordine dello stesso ministro. Alla direzione dei rispettivi campi veni­vano preposti dei funzionari di Pubblica Sicurezza oppure i Podestà dei comuni di appartenenza o, ancora, degli incaricati ad hoc, proposti dalle prefetture al Ministero. Nel caso di Tonezza la direzione venne affidata, appunto, ad un funzionario di Pubblica Sicurezza.
Appena giunti alla Colonia, gli internati furono visitati dal dott. Alessandro Magaraggia che, in data 25 dicembre 1943, approntò la “posta ammalati bisognosi di supplementi”. La situazione apparve subito non facile, dato che la maggior parte degli arrestati era rappresentata da anziani e bambini che presentavano quadri medici molto variegati e delicati. Il medico chiese espressamente dei supplementi alimentari (burro, riso, latte e zucchero), tenuto conto dello stato di salute di ciascuno di loro[10].
Quello appena citato è uno dei due documenti esistenti, oltre all’elenco degli ebrei di Tonezza deportati ad Auschwitz, che può confermare i nomi di alcuni degli ebrei internati.
Si tratta di Giannina Benvenisti, Ludovico Braum, Renata Geltner, Walter Dannenbaum, Jakob Schatz, Menasse Stabholz, Bernardo Cszopp, Enrica Rubinfeld, Marina Eskenasi, Rita Baruch. Il documento riporta anche i nomi di due donne, Editta ed Elena Lindner, che allo stato attuale della ricerca, non risultano né tra gli internati della Provincia di Vicenza né nell’elenco dei deportati.

[8] La sintesi della storia della Colonia fin qui presentata fa riferimento alle prime 50 pagine del libro di Ranzolin Antonio (a cura di), Un’azione umanitaria: la Colonia alpina Umberto I di Vicenza, Vicenza 2000 (Sandrigo – Grafiche Urbani). Pubblicato in occasione del centesimo anniversario della fondazione dell’istituzione. Le notizie riguardanti in particolare la requisizione della Colonia affinché fosse destinata a campo di concentramento sono presenti a pagina 45.
[9] Archivio Comunale di Tonezza, Rendiconto della gestione del campo concentramento ebrei Tonezza, pag. 3, fattura del 31 gennaio 1944 a nome di Fontana Giuseppe, Trasporto ebrei a Tonezza.
Il nome dell’autista e il numero degli ebrei e dei carabinieri si trovano anche in Marcazzan Giuseppe, Tonezza mia, 1999, pag. 143. Sul frontespizio del libro: Supplemento a Tonezza, dicembre 1999.
[10] Così come da comunicato del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste del 16 luglio del 1943, oggetto: trattamento alimentare internati civili (rastrellati), in ACS, MI, M4, b. 106, f. 16, s.f. 1, ins. 24/7.

Dal Rifugio all’Inganno

Mittente: Repubblica sociale italiana. Questura di Vicenza. Destinatario: Ministero dell’Interno. Direzione della Pubblica Sicurezza. Divisione Affari Generali. Roma – Contenuto: Invio dell’elenco di ebrei internati nella Colonia Umberto I (Tonezza del Cimone) prelevati da militari nazisti il 30 gennaio 1944. Il documento contiene anche un elenco di 8 ebrei italiani e stranieri internati nel Teatro di Vicenza. Luoghi citati: Tonezza del Cimone – Colonia Alpina Umberto I – Campo di concentramento provinciale RSI Vicenza – Teatro Eretenio – Luogo da verificare – Fonte

Gli ebrei internati nei Comuni del vicentino erano una piccola comunità, ma costituivamo un “problema” per una società attraversata non solo da pulsioni mussoliniane, ma spesso anche da quelle filo naziste, che anno dopo anno avrebbero eroso le basi sociali del regime mussoliniano. A Malo erano circa una cinquantina, un gruppo compatto, ma non omogeneo, esposto alla crescente ostilità dell’ambiente circostante. Molti di loro appresero in fretta l’italiano, che li separava ulteriormente dal paese nel quale erano nati, ma che solo in rare circostanze li avvicinava alla popolazione locale. Questi Ebrei arrivati a Malo si portavano appresso le loro tradizioni: avevano lasciato in patria comportamenti che variavano dalla più stretta osservanza religiosa alla frequentazione della sinagoga nei soli giorni di festa solenne, matrimoni avvenuti nella quasi totalità all’interno del rispettivo gruppo di appartenenza religioso e in genere tra persone che avevano lo stesso status sociale. La kasheruth (L’insieme delle leggi alimentari ebraiche è chiamato Kasheruth che letteralmente significa “adatto, giusto, appropriato” e sono contenute nella Torah, il più sacro testo ebraico, corrispondente a quello che per i Cattolici è l’Antico Testamento), un tempo non remoto largamente rispettata in patria, era all’epoca solo una chimera e guai a far notare comportamenti diversi da quelli della popolazione locale. Religione, riti, feste erano state accantonate per dar spazio a una forzata e finta assimilazione. L’estraneazione dalla vita pubblica del paese era la regola, la più elementare delle precauzioni. Per molti di loro erano iniziati la fine di un sogno, il preludio di nuove tragedie e sofferenze. Nessuno di loro sapeva di essere controllato, erano convinti di essere “internati liberi”, di fatto, lettere, parole, risparmi, spostamenti, qualsiasi cosa era debitamente controllata (spesso confiscata.) A Malo, come di prassi, le condizioni di vita degli ebrei internati, sebbene ben diverse da quelle dei campi di concentramento nazisti, erano comunque difficili: privati della libertà e di molti beni personali, soggetti spesso sottoposti alle angherie della burocrazia fascista, costretti a vivere in alloggi di fortuna, godevano di un sussidio che, soprattutto verso al fine del periodo di internamento, non bastava a coprire le più elementari esigenze e costringeva, pertanto, a intercedere presso benefattori privati, o organizzazioni assistenziali ebraiche come la Delasem. La caduta del Fascismo, l’inizio dell’occupazione tedesca e l’istituzione, da parte della Repubblica Sociale Italiana, dei campi di concentramento provinciali e nazionali (Ordinanza di polizia n. 5 del 30.11.1943), segnarono uno svolta cruciale nella storia di questi profughi dall’est, accomunandoli nel destino agli Ebrei italiani. Molti, grazie ai documenti di copertura, alle informazioni e ai mezzi messi a disposizione da sacerdoti e, talora, dalle stesse autorità locali, riuscirono a fuggire in Svizzera, come successe appunto agli Ebrei di Malo. Pochi, grazie al coraggio di famiglie del posto, rimasero nei paesi di internamento fino alla liberazione, come successe a David Levy, nascosto dai Dal Toso di Sossano. Quarantatrè (accertati) subirono la deportazione: alcuni finirono nel campo di Tonezza del Cimone, istituito nell’ex colonia alpina Umberto I, e da qui confluirono nel convoglio n. 6, formato a Milano e Verona il 30 gennaio 1944 e diretto ad Auschwitz; altri, dopo una permanenza nelle carceri di Vicenza, furono trasferiti al campo nazionale di Fossoli di Carpi e confluirono nel convoglio n. 8, partito il 22 febbraio 1944 e giunto ad Auschwitz il 26 successivo. Il Giornale di Vicenza, 26 gennaio 2010