Il comandante partigiano Pippo fu premiato con la Bronze Star

Partigiani di “Pippo” – Fonte: Carlo Onofrio Gori, art. cit. infra

La viva voce del Duce e le sue nuove indicazioni del radiodiscorso del 18 settembre eliminarono gli ostacoli e i dubbi negli animi dei suoi fedelissimi. Così, il giorno stesso riaprì la Casa Littoria di Viareggio e quella del Forte dei Marmi, mentre molti altri fascisti di provincia si adoperarono per fare lo stesso nel proprio territorio <174 e il 26 settembre 1943 ritornò nel capoluogo l’ex federale Michele Morsero per rivestire la carica di Segretario federale.
Contemporaneamente a questi avvenimenti anche il fronte antifascista si mise in moto al fine di creare le basi per la nascita di un movimento armato. Sull’Alpe delle Tre Potenze, a cavallo tra Toscana ed Emilia, si andò formando attorno all’ex militare Manrico Ducceschi, nome di battaglia “Pippo”, l’embrione della futura XI Zona Patrioti <175 mentre, sulla Pania di Corfino, trovarono base alcuni giovani capitanati dal Carlo Del Bianco (1913-1944), professore del liceo “Machiavelli” di Lucca e antifascista di lunga data <176.
[NOTE]
174 Bergamini-Bimbi, Antifascismo e Resistenza in Versilia, cit., pg. 54.
175 Pippo e l’XI zona, in http://www.isreclucca.it/luogomemoria/652-2/
176 La formazione Del Bianco ebbe vita breve in quanto non ottenne mai il via libera ad operare da parte del Cln e nel dicembre 1943 fu costretta a sciogliersi per evitare di esser catturata della GNR. Cfr. Relazione della formazione “Del Bianco”, in “Documenti e studi” n. 2, 1985, http://www.isreclucca.it/wpcontent/uploads/2016/08/Documenti-e-Studi-n.-2-Relazione-Del-Bianco.pdf
Edoardo Longo, I Neri di Mussolini. Repubblica Sociale e violenza fascista in Lucchesia, 1943-1944, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2017-2018

E’ stato uno dei combattenti più valorosi della Resistenza. Ha comandato la formazione tra le più forti tra quelle che hanno partecipato alla lotta partigiana, la XI zona Patrioti: oltre 140 caduti, 8mila prigionieri. Toscano, protagonista delle pagine più epiche delle battaglie sull’Appennino Tosco-Emiliano, gli americani gli si affidarono fino a dargli la responsabilità di controllare 40 chilometri di Linea Gotica. Carismatico, autorevole, soprattutto indipendente: Manrico Ducceschi, il comandante Pippo, non era comunista, non era socialista, non era democristiano. Era repubblicano. Soprattutto: libero. Pippo – nome di battaglia che si era dato in onore a Giuseppe Mazzini, padre dell’Italia unita – morì a 28 anni, settant’anni fa. Ma sulla sua morte la verità non è mai stata scritta. La ricostruzione ufficiale parla di suicidio mediante impiccagione, nella sua casa di Lucca. Ma non torna quasi niente. Manomissioni della scena del delitto, archivi trafugati, amori sofferti e traffici di armi: il mistero sulla morte di Manrico Ducceschi, capo partigiano in rotta con l’Anpi in onore alla sua libertà, è ancora fitto. Fu davvero suicidio, come conclusero gli inquirenti? O invece, come credettero fin da subito i compagni e la famiglia, Pippo fu ucciso? E da chi? Tre diverse inchieste hanno cercato di far luce sul caso, fino agli anni Ottanta, quando il fascicolo è stato riaperto per l’ultima volta. Dentro quel fascicolo, come uno spettro che ha allungato la sua ombra su tutta la vita della Repubblica italiana fin dalla sua nascita, è spuntato di nuovo il nome di Licio Gelli, indicato da un anonimo come il mandante dell’omicidio di Pippo. Ma non sono mai venute fuori prove sufficienti. “Gli unici che potrebbero aggiungere un pezzo al puzzle sono gli Stati Uniti – dice a ilfatto.it Laura Poggiani, nipote di Ducceschi – Sono loro che hanno fatto le prime indagini. A loro mio zio relazionava anche dopo la guerra, nel suo lavoro di intelligence”. Pippo fu premiato con la Bronze Star, che gli Stati Uniti d’America assegnano per “atti di eroismo, di merito o di servizio meritevole in zona di combattimento”. Ma non ha mai avuto un riconoscimento dall’Italia che ha contribuito a liberare dal nazismo e dal fascismo: né la medaglia d’oro al valor militare né quella al valore civile.
[…] la formazione di Pippo è già in contatto con la V Armata quando, l’8 giugno del 1944, i patrioti entrano in possesso di documenti riservatissimi sulla guerra nel Pacifico, materiale che sposta l’ago del conflitto mondiale. Li trovano su un’auto che hanno bloccato al valico dell’Abetone e su cui viaggia un contrammiraglio giapponese. Pippo li consegna agli americani, che contano sempre più su di lui e gli affidano il controllo di 40 chilometri di Linea Gotica. La sua formazione partecipa alla liberazione di Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Lodi, ed è tra le prime a entrare a Milano, il 25 aprile 1945.
Ma è da questo momento, all’apice della gloria, e a guerra finalmente finita, che per Pippo iniziano i problemi che si intrecciano con i momenti di fibrillazione che l’Italia fragile del Dopoguerra vivrà per diversi anni, anche dopo la proclamazione della Repubblica e l’entrata in vigore della Costituzione. “Ufficialmente, tornati a Pistoia, hanno consegnato le armi, ma ufficiosamente le hanno tenute – racconta la nipote Laura – perché mio zio stava facendo operazione di intelligence per conto degli Stati Uniti contro il pericolo rosso: si temeva concretamente un’invasione comunista e lui voleva essere pronto a tornare in montagna, se ce ne fosse stato bisogno. Lui aveva dato ordini ben precisi di cosa fare di queste armi: che fossero a disposizione, ma che fossero ben segrete, in un posto dove poteva, in caso di necessità, recuperarle agevolmente. Solo che alcuni, gente della formazione, avevano optato per venderle e farci un po’ di soldi. Lui se ne accorse e non gradì”.
Intrighi e tradimenti: Pippo è sempre più solo
Dopo la Liberazione, Pippo si trasferisce a Lucca, dove prende in affitto una casa nel centro storico, davanti alla Chiesa di San Michele, due minuti a piedi dall’Ufficio Stralcio in cui, per conto dell’Anpi, stabilisce chi ha combattuto nella sua zona, per fargli avere i sussidi, e chi, come i pastori, li ha aiutati, per fargli avere i rimborsi. Ma il suo lavoro non finisce qui. Il pericolo di un’invasione comunista è sentito come reale. E lui non ha liberato l’Italia da una dittatura per consegnarla a un’altra. In segreto, riferisce ai servizi americani nomi e movimenti che lo preoccupano. Qualcuno lo sa e Ducceschi si fa dei nemici. Anche tra i partigiani: il 12 maggio 1948 rompe definitivamente con l’Anpi. In una lettera durissima, Pippo elenca le “ragioni morali e politiche” per cui non può far parte dell’associazione dei partigiani. Tra queste, le pressioni che secondo lui l’ente esercita sugli iscritti perché prendano la tessera del Partito comunista. Lui non lo farà mai. Prima delle elezioni di aprile, in molti – dai repubblicani alla Dc – gli chiedono di schierarsi, ma Pippo, anche se di convinzioni repubblicane, tiene fede alla sua indipendenza.
Come se non bastasse, si ritrova a sospettare dei suoi stessi uomini. Ha scoperto che alcuni commerciano le armi della formazione. In particolare, Franco Caramelli, suo compagno durante la guerra, suo vicino di casa, segretario all’Ufficio Stralcio, ne vende di nascosto anche “agli ebrei”, come si legge nelle carte delle indagini che seguiranno alla morte del Comandante. Perché “lo Stato di Israele è appena nato e ha bisogno di armi” ricorda la nipote di Pippo.
Caramelli, da mesi, è il principale sospettato per la fuga di notizie riservate che, dal Consiglio della XI Formazione di Pippo, finiscono in mano al Partito Comunista. […]
Ilaria Lonigro, 25 aprile, il mistero irrisolto della morte del capitano Pippo: il più valoroso “troppo indipendente” rimasto senza medaglie, il Fatto Quotidiano, 25 aprile 2018

Intanto l’organizzazione era diventata più grossa e avevo preso contatto con la formazione autonoma di “Pippo” (Manrico Ducceschi) per mezzo di Deri, che rappresentava il gruppo politico antifascista che operava nella zona di Ponte a Moriano insieme a Ramacciotti ed altri. Ma anche quest’incontro non fu proficuo, perché il Ducceschi era in diretto contatto col Comando clandestino di Firenze del CTLN, agli ordini del comandante Campolmi.
V. Vanni, Memorie di un partigiano lucchese, Ed. Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 1995 in (a cura di) Giovanni Verni, «Fischia il vento, infuria la bufera». Cronologia della resistenza in Toscana, Regione Toscana – Consiglio Regionale, 2005

Per quanto riguarda il contributo delle varie forze politiche al potenziamento della guerriglia partigiana, permangono ancora deficienze e ritardi in tutti i partiti, salvo il partito comunista.
L’organizzazione delle bande di ex militari ed ex prigionieri, promossa dal Partito d’azione subito dopo l’8 settembre, ha perso mordente dopo l’evidente improbabilità di una immediata avanzata alleata. Il Partito d’azione ha una piccola banda comandata da Pippo Ducceschi nel Pistoiese, un’altra comandata da Bandini pure nel Pistoiese, gruppi nel Mugello a Vemio diretti da Toccafondi, ma non riusciranno più ad effettuare azioni offensive di rilievo.
Orazio Barbieri, Ponti sull’Arno, Editori Riuniti, 1958

[…] Manrico Ducceschi, ricordato solo fino a pochi anni prima negli ambienti dell’élite un po’ conformista e provinciale del cittadino liceo “Forteguerri”, come studente, indubbiamente intelligente, ma dispersivo e non certo brillante (1).
Ducceschi nacque a Capua l’11 settembre 1920, da Fernando, pistoiese, agronomo, e da Matilde Bonaccio, casalinga; avrà poi una sorella, Leila. Compiuti gli studi medi e superiori a Pistoia si iscrisse e frequentò, in questo caso con profitto, la Facoltà di Lettere di Firenze prendendo anche contatto con “Giustizia e Libertà”, ma nemmeno in quell’ambiente sembrò particolarmente distinguersi ed emergere.
[…] L’armistizio trova Ducceschi a Tarquinia, allievo ufficiale del V Rgt. Alpini. Manrico riesce a sottrarsi alla cattura tedesca ed a rientrare a Pistoia, dove abitava in via Bellini 3, dirigendosi subito dopo a Firenze dove riprende i contatti col Partito d’Azione. Inviato sulla Montagna pistoiese con pochi compagni, assume inizialmente il nome di battaglia di “Pontito” e mostra ben presto insospettate doti di organizzatore.
Già a metà settembre, costituisce la prima brigata “Rosselli” ed in questo primo periodo, che va dal settembre 1943 al gennaio 1944, gli sforzi sono indirizzati all’organizzazione: prende contatti col Cln di Lucca, recupera armi, costituisce una rete di supporto, inserimento e preparazione di nuovi combattenti e crea in tutta la zona nuclei di informatori e simpatizzanti sulla base di solide relazioni con parroci, pastori e con qualche comandante di stazione dei carabinieri; assorbe poi alcune formazioni minori del Pesciatino e della Lucchesia con i cui uomini intraprende le prime azioni di sabotaggio: crea insomma quell’atmosfera di entusiasmo e collaborazione che sarà la base essenziale per i successi del 1944 e del 1945.
Assunto il nome di battaglia di “Pippo”, riferendosi ad uno pseudonimo usato da Giuseppe Mazzini (come ci ha recentemente confermato Carlo Gabrielli Rosi, suo seguace di quel tempo), stabilisce poi il quartier generale alle Tre Potenze e organizza i suoi uomini in settori, gruppi e distaccamenti, giungendo via via a coprire un vasto e nevralgico settore nella zona della Linea Gotica: dalla Val di Lima all’Abetone, da parte dell’Appennino modenese alla Garfagnana ed alle valli del Pescia e della Nievole; rientra, tra l’altro, nel suo campo d’azione, la Statale 12 dell’Abetone e del Brennero, fondamentale per gli spostamenti delle truppe nazifasciste.
Il 16 marzo 1944 la formazione assumerà “dietro parere concorde di tutti i componenti” la denominazione ufficiale di “Esercito di Liberazione Nazionale – XI Zona Militare Patriotti” prendendo l’impegno, sempre gelosamente difeso dal suo comandante, di darsi “un carattere essenzialmente apolitico e … fini esclusivamente militari e patriottici” (2).
“Pippo” infatti, pur accogliendo fra le sue file antifascisti di appartenenza o di estrazione politica eterogenea (giellisti, monarchici, anarchici, comunisti, senza-partito), vedeva tuttavia nel dibattito politico e nelle divisioni partitiche un serio ostacolo ad un rapida vittoria contro il nazifascismo (3).
Vale la pena, a questo proposito, citare un brano scritto da Maria Luigia Guaita, inviata presso di lui dal CTLN [n.d.r.: Comitato di Liberazione della Toscana] per ottenerne una relazione: «Pippo … era uno dei comandanti più autorevoli e stimati di tutta la Toscana … Già a giugno [1944] aveva sotto di sé più di mille uomini, ormai equipaggiati e armati, la formazione più forte di tutto il pistoiese e dintorni… Era il migliore dei nostri comandanti. Lo ricordavo appena dieci mesi prima studente di lettere timido, serio, il più giovane fra gli amici… ora lo guardavo… comandante partigiano. Ancora più magro, più calvo, ma abbronzato e sicuro di sé incuteva soggezione e affetto … gli dissi quello che volevano conoscere al comando militare … Tornò … con … le indicazioni richieste … Allora … gli mostrai varie copie dei punti programmatici del Partito d’Azione e altri opuscoli di propaganda. Per i
politici era importante quanto il combattere che i partigiani … maturassero nelle idee … Pippo sorrideva … “Non li butterai mica via? … Ci costano tanto di ansie e di soldi!”. “E chissà quante discussioni” disse Pippo e rideva, …. ma mi accorsi che nel fondo era triste e deluso … E scuoteva la testa» (4).
Questa maturata e crescente attenzione agli aspetti militari dell’azione partigiana, piuttosto che a quelli di scelta e di equilibrio politico, porterà Ducceschi a sottrarsi sempre più all’autorità dei CLN e a privilegiare rapporti diretti soprattutto con gli Alleati, ma anche, in rari casi, con emissari “badogliani” del governo del Sud. Per questo verrà poi da più parti ingiustamente qualificato, lui sostenitore della forma repubblicana, come “monarchico” (5).
Malgrado i dissidi, tutto ciò non impedirà, tuttavia, in alcune occasioni, sia la collaborazione dell’XI Zona con i CLN locali, sia, spesso pur fra divergenti opzioni operative, con altre formazioni politicamente caratterizzate come la pistoiese “Bozzi”, organizzata dal PCI e le formazioni emiliane comandate da “Armando” (6).
Compiuta una scelta prettamente “militare”, “Pippo” dimostra appieno le sue capacità: i suoi distaccamenti attaccano i presidi nazifascisti, resistono con efficacia ai rastrellamenti ed ingaggiano vere e proprie battaglie, sovente vittoriose, contro ingenti convogli nemici nelle quali a volte usufruiscono dell’appoggio aereo alleato. “Pippo” è infatti collegato, tramite il pistoiese Giovanni La Loggia, amico di Silvano Fedi ed agente dell’Oss paracadutato ed aggregato al suo gruppo, con l’intelligence americana, impegnata nel pesciatino con le missioni “Berta” e “Carnation”, e grazie a ciò verrà rifornito con aviolanci ed allaccerà poi, “sul campo”, ottimi rapporti con le truppe brasiliane e statunitensi.
Il grande credito riscosso via via da “Pippo” presso gli Alleati è anche conseguenza di una clamorosa azione condotta l’8 giugno 1944 da alcuni suoi uomini nei pressi dell’Abetone in seguito alla quale rimane ucciso l’ammiraglio Mitsunobu, addetto militare giapponese presso la RSI e vengono rinvenuti e poi consegnati agli americani importantissimi documenti (7), alcuni dei quali, come ci ha recentemente assicurato Tiziano Palandri, vice-comandante della formazione, risultano tuttora secretati.
Dopo la liberazione di Bagni di Lucca (28 settembre ’45) e di Barga (9 ottobre ’45), raggiunti dalla V Armata, i partigiani di Ducceschi, dall’ottobre 1944 prestano servizio “come truppa di linea inquadrata in forma di reparto regolare ed organico” (8), poi denominata “Battaglione Autonomo Patrioti Italiani Pippo” e, con divise ed equipaggiamento americano, contribuiscono a “tenere” ben 40 km del fronte, dalla Garfagnana all’Appennino pistoiese opponendosi alle forze tedesche e ad alcuni contingenti delle divisioni “Italia”, “San Marco” e “Monterosa” della RSI (9).
In particolare nel momento della forte offensiva scatenata in Garfagnana nei giorni del Natale 1944 (in contemporanea con quella più ampia sviluppata nelle Ardenne) dalle truppe nazifasciste, essi al prezzo di numerosi caduti e dispersi,
ressero efficacemente nella zona di Sommocolonia e sulla parte destra del Serchio, e pur dovendo necessariamente ripiegare, diedero tuttavia il tempo necessario alle truppe alleate per potersi riorganizzare e condurre con successo la controffensiva.
La formazione di “Pippo” fu quindi la sola unità partigiana toscana (una delle poche in Italia) mantenuta in linea dagli Alleati “in piena efficienza e con tutti gli uomini accanto alle loro truppe” (10); inoltre a quanto ci risulta, con la 28a Brigata garibaldina “M. Gordini” di “Bulow” Boldrini e la Brigata “Maiella” di Ettore Troilo, che operarono nella parte adriatica del fronte. Essa fu una delle sole tre formazioni partigiane a cui fu concesso, per riconosciuta capacità militare, di avanzare insieme a loro nell’offensiva finale: anche per questo è stata poi giustamente (ma forse meno delle altre due) ricordata come “una delle più importanti … che abbiano operato … nella Resistenza italiana” (11).
Gli uomini di “Pippo”, spesso precedendo le truppe alleate, partecipano così alla liberazione di Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza (dove tra l’altro si svolse un aspro combattimento con molti feriti ed un caduto) ed entrano successivamente in Milano e questa nuova prova di valore valse l’ammirazione profonda e la definitiva stima degli Alleati tanto che fu loro ulteriormente accordato «l’onore di tenere le armi e di combattere fino ai territori tedeschi, onore che non avemmo il tempo di godere – ricordò Lindano Zanchi, nel dopoguerra attivista del PCI pistoiese – perché quando stavamo per partire la Germania capitolò; cosicché l’onore delle armi ci fu consentito per il rientro alla nostra sede. Infatti, noi rientrammo all’Abetone con tutti gli automezzi … e con le armi. Lì all’Abetone le depositammo per consegnarle» (12).
“Pippo”, decorato con la “Bronze Star” americana, nel dopoguerra si trasferisce a Lucca dove risiede in Piazza San Michele. Non è un buon momento per il Comandante: prevalgono ora fra i partiti della Resistenza quelle diatribe politiche che tanto lo avevano disgustato durante la lotta armata e che non aveva mai saputo o voluto comprendere e che ora vede di ostacolo all’urgenza di una patria nuova da ricostruire; subisce anche molti processi per le azioni e le condanne da lui decretate nei confronti di fascisti colpevoli, dai quali peraltro esce sempre assolto come uomo dalle indiscutibili qualità morali (13).
Fra il ’47 ed il ’48, nel clima della guerra fredda, riprendono i contatti fra “Pippo” e gli americani, in quanto il Comandante sembra disponibile a tornare in montagna con un gruppo selezionato di suoi collaboratori, nell’eventualità, allora molto temuta in ambito moderato, di una invasione sovietica del Paese; rifiuta comunque l’ipotesi di qualsiasi possibile contatto con ex repubblichini (14).
Nelle prime ore del pomeriggio di giovedì 26 agosto 1948, Ducceschi viene trovato impiccato nella camera della sua abitazione: suicidio, diranno le indagini, ma sulle circostanze della sua morte, che risale a due giorni prima, molti dei suoi collaboratori nutriranno sempre dubbi, avanzando ipotesi di responsabilità e scenari fra loro molto diversi ed anche contrastanti. Le successive inchieste giudiziarie, più volte riaperte, anche in tempi recenti, pur non fugando i dubbi, hanno tuttavia finora ufficialmente confermato il verdetto iniziale. I funerali del Comandante furono celebrati a Lucca “in forma particolarmente solenne” il 28 agosto ed un picchetto della “Friuli” gli rese gli onori militari (15).
[NOTE]
1) Cfr. G. Petracchi, Al tempo che Berta filava. Alleati e patrioti sulla linea gotica (1943-1945), Milano, Mursia, 1996, pp. 22-24.
2) Relazioni sull’attività militare svolta dalle formazioni patriottiche operanti alle dipendenze del Comando XI Zona dell’Esercito di Liberazione Nazionale, in: “Il Movimento di liberazione in Italia”, n. 44/45 (sett./nov. 1956).
3) Cfr. anche: C.O. Gori, “Pippo” partigiano senza parte, in: “Microstoria”, n. 40 (mar./apr. 2005).
4) M.L. Guaita, La guerra finisce, la guerra continua, Firenze, La nuova Italia, 1957, pp. 40-42.
5) E. Enriquez Agnoletti, Discussione generale [Intervento], in: “La Resistenza e gli Alleati in Toscana”, Firenze, Provincia di Firenze – Istituto storico della Resistenza in Toscana, 1964, p. 245.
6) Cfr. V. Baldi, Storia di un partigiano. Fernando Borghesi, Pistoia, Istituto storico della Resistenza, 1983, pp. 32-33, 38-39.
7) Cfr. D. Amicarella, Così morì l’ammiraglio Mitsunobu…, in: “Microstoria” n. 31 (sett./ott. 2003).
8) Relazioni sull’attività militare… cit., in: “Il Movimento di liberazione in Italia”, n. 44/45 (sett./nov. 1956).
9) Cfr. D. Amicarella, Inverno 1944-1945: cronache dal Fronte Dimenticato…, in: “Microstoria”, n. 17 (mag./giu.2001).
10) M.L. Guaita, op. cit., p. 40.
11) V. Nardi, Resistenza e Alleati in provincia di Pistoia, in: “La Resistenza e gli Alleati in Toscana…”, cit., p. 166.
12) M. L. Zanchi, Discussione generale [Intervento], in: “La Resistenza e gli Alleati …”, cit., pp. 262-263.
13) Cfr. anche: F. Giannelli, Manrico Ducceschi fra Resistenza e persecuzione, in: “Patria indipendente”, n. 8 (29 sett. 2002).
14) Cfr. G. Petracchi, Al tempo che Berta…, cit., pp. 223 e segg.
15) Suicidio a Lucca di un Comandante partigiano, in: “La Nazione” (27 ago. 1948), I funerali a Lucca del partigiano “Pippo”, ivi, (29 ago. 1948).
15) Suicidio a Lucca di un Comandante partigiano, in: “La Nazione” (27 ago. 1948), I funerali a Lucca del partigiano “Pippo”, ivi, (29 ago. 1948).
Carlo Onofrio Gori, Manrico Ducceschi: vita e morte di un partigiano, Patria indipendente, 21 maggio 2006

Manfredo Duccceschi (aka Pippo) was another exceptional Italian partisan who worked closely with Italian American OSS agents in successfully waging the fight against Italian Fascists and German occupying forces.
The Italian front was seen by the Allies to be of secondary importance to the offensives through France, an observation that was underlined by the withdrawal during the summer of 1944 of seven divisions from the Fifth Army to take part in the landings in southern France. The consequence was that the combined US and British Army strength had fallen from 249,000 to 153,000 against the German forces that not only held their positions with great tenacity, but also overran some Allied positions.
The reality was that the confl ict in Italy became the “forgotten war” during one of the worst winters in Italy’s history in that it concluded in a stalemate. The remaining Allied troops were inexperienced and spread thin—it was obvious the partisans could be a great asset. The OSS Detachment Fifth Army consisted of 25 officers and enlisted men from the Italian OG who were responsible for furnishing tactical intelligence and nurturing the partisan effort. It was against this background that the Resistance movement plagued German defenders with increased Italian partisan activity behind the front lines. Led by Pippo, his partisan brigades proved their value by striking the fl anks of German troops attempting an offensive breakthrough, and thereby holding off the German hordes on the impregnable Gothic Line.
The relationship formed between Pippo and the OSS agents Stephen Rossetti and Gerald Sabatino was nothing less than a solid and lasting relationship based on mutual trust.
These Italian American OSS agents had earned the respect of Italians for their humanity that was demonstrated in strenuous efforts to avoid unnecessary bombing and to alleviate the suffering of the people in the hard 1944–1945 winter. Although receiving little attention in the USA the warm relationship between Italian partisans and American OSS personnel continues to be remembered in Italy.
On July 31, 2005, a ceremony dedicating a monument to this relationship was held at Piana Novello, Italy. That this was unique is underscored by the fact that nowhere else in Italy has the role of Italian American OSS assistance been so indelibly recognized. <11
11. Albert R. Materazzi, Monument Dedicated to Pippo’s Brigades, online.
Salvatore J. LaGumina, The Office of Strategic Services and Italian Americans. The Untold History, Palgrave Macmillan, 2016