Il Comando del Gruppo Friuli impartì l’ordine per impedire al nemico di sganciarsi

Il fiume Senio nei pressi di Ponte del Castello (RA). Fonte: mapio.net

Negli stessi giorni in cui la missione del CLN Alta Italia si trovava a Roma, per le strade della capitale sfilarono le rappresentanze dei Gruppi «Cremona» e «Friuli», che andavano al Nord per l’impiego al fronte. Erano le prime grandi unità del risorto esercito italiano, nate dal potenziamento del Corpo di liberazione e dalla sua trasformazione in sei Gruppi di combattimento forti ciascuno di circa diecimila uomini. Quel giorno i romani applaudirono un esercito nuovo, nuovo dagli elmetti alle divise, bene addestrato e pronto a combattere.
Si poteva rimpiangere il vecchio grigioverde ma la vista di quei mezzi e di quelle armi moderne faceva tacere certe nostalgie.
[…] Dal gennaio del ’45, davanti alle paludi di Comacchio, la Brigata «Mario Gordini» operò in linea a fianco dei soldati dell’VIII Armata, meritando il riconoscimento degli Alleati.
Il 4 febbraio, sulla piazza di Ravenna, Arrigo Boldrini, detto «Bulow», che comandava quella Brigata, ricevette la medaglia d’oro dalle mani stesse del nuovo comandante d’Armata, generale Mac Creery.
Tre settimane avanti era entrata in linea, nello stesso settore, la prima unità regolare italiana, il Gruppo di combattimento «Cremona» al comando del generale Primieri. Clark lo andò a ispezionare a fine gennaio, quando il Gruppo, che aveva dato il cambio a una Divisione canadese, era già stato impiegato in alcune riuscite azioni.
Il «Cremona» teneva un tratto del fronte sul basso Reno, davanti alle valli di Comacchio, a fianco della Brigata partigiana «Gordini».
Il secondo Gruppo di combattimento, chiamato a far parte dell’VIII Armata, fu il «Friuli». Il generale Keightly del V Corpo britannico, lo passò in rivista ai primi di febbraio a Forlì, accompagnato dal comandante generale Scattini. In quei giorni il «Friuli» doveva sostituire al fronte la Divisione polacca «Kressowa», precedendo altri due gruppi, il «Folgore» e il «Legnano» che entreranno in linea nel mese successivo. Sull’impiego di queste unità il generale Arturo Scattini, comandante del Gruppo «Friuli» ha detto: «Dopo che i comandanti alleati avevano potuto constatare come fossero ben preparati questi Gruppi di combattimento, anche dal punto di vista spirituale, decisero di portarli in linea, e fu una decisione molto saggia, accolta da tutti i nostri combattenti italiani con molto entusiasmo. Tanto entusiasmo che effettivamente nessuno pensò più ad allontanarsi come era qualche volta successo durante il lungo periodo della preparazione. Per tutti i tre mesi, quattro mesi che rimanemmo in linea, durante le giornate dei duri combattimenti, io e i miei colleghi degli altri Gruppi di combattimento non avemmo nemmeno un disertore».
Bibliografia:
Manlio Cancogni in AA.VV – Dal 25 luglio alla Repubblica – ERI 1966
Redazione, Partigiani e Gruppi di combattimento in azione, ANPI Lissone, 22 marzo 2012

Fronte del Senio
Il settore assegnato al Gruppo Friuli si trovava a sud della via Emilia sulla strada fra Faenza e Brisighella, nella valle del Lamone, asse delle comunicazioni per tutti i reparti che occupavano quella parte del fronte.
La notte dell’11 aprile 1945 nostre pattuglie portarono la notizia del ripiegamento del nemico e l’abbandono, da parte sua, della linea del Senio. Il Comando del Gruppo Friuli impartì l’ordine per impedire al nemico di sganciarsi.
Vengono liberate Guarè e Riolo dei Bagni. La linea del Senio non esisteva più. Iniziava una nuova fase della battaglia.
A nord e a sud del Senio, nelle case e negli abitati che costituivano i caposaldi della linea, si era dato lo spet­tacolo, invero singolare, di borghesi, uomini e donne, che convivevano con soldati, sottoposti alle stesse azioni di fuoco delle artiglierie. Civili, per lo più, alimentati con lo stesso rancio delle truppe (almeno nel settore a sud del Senio) e costretti a vivere quasi sempre nei ricoveri costruiti nelle cantine delle case.
Viene occupato Castel Bolognese, nella notte del 12 aprile, da parte dei fucilieri della Divisione Polacca. Dopo aver superato il Senio e il Santerno, il settore è ulteriormente suddiviso tra la div. polacca, l’87° e l’88° Rgt. fanteria del Friuli e i paracadutisti del Gruppo Folgore.
Questo volume è stato compilato a cura del Comando “Friuli” in occasione del primo anniversario (20 settembre 1945) della costituzione del gruppo di combattimento.
Collaboratori:
Ten. Col. Guido Vedovato
Ten. Mario Attilio Levi (già nel Fronte Militare Clandestino Aeronautica – Roma)
S. Ten. Attilio Vassallo (per la documentazione fotografica)
Editore: Istituto Italiano di Arti Grafiche – Bergamo
Redazione, Gruppo di combattimento FRIULI, ANCFARGL Roma Capitale MOVM “Salvo D’Acquisto – Gastone Giacomini”, 24 febbraio 2022

L’ultima battaglia del Senio è ancora nella memoria di tanti che vissero e soffrirono in quei mesi dell’inverno 1944-45. Su queste acque si consumò l’ultima disperata e feroce difesa delle truppe germaniche dall’offensiva anglo-americana. Ancora una volta il nostro fiume rappresentava un confine: la linea gotica, che i tedeschi cercavano di difendere per impedire agli avversari la conquista della Valle padana e il successivo accerchiamento della Germania. Dopo il crollo della “Linea Gustav” che attraversava l’Italia presso Montecassino, e la conquista da parte degli Anglo-americani di Roma e dell’Italia Centrale, qui v’era riposta l’ultima speranza dell’esercito tedesco. La battaglia infuriò dal dicembre 1944 all’aprile 1945 lasciando nei nostri paesi segni indelebili del suo passaggio. Casola Valsenio, Cotignola, Alfonsine furono quasi completamente rasi al suolo; Castel Bolognese subì danni ingentissimi così come pure Riolo Terme e Solarolo. Ingenti le perdite di vite umane fra i civili.
Redazione, Il Senio, piccolo ma storico fiume, Castel Bolognese

Oltre alla lettera inviata, il Generale Mc. Creery volle manifestare la sua soddisfazione per l’eroismo e l’efficienza dimostrata dalle truppe italiane nei seri combattimenti di q. 92, recandosi personalmente, il giorno 19 marzo 1945, a visitare il Gruppo “Friuli“, per rinnovare di presenza le sue felicitazioni al Comandante e a tutto il Gruppo.
L’occupazione di q. 92 e tutta l’attività operativa nostra e del nemico che si sviluppò attorno a tale posizione non avevano le caratteristiche di un episodio isolato e sporadico, ma rientravano nel complesso operativo deciso dal Comandante del Gruppo per realizzare il suo intendimento, di controllare completamente, sino all’ultima casa e sino all’ultimo guado, la riva meridionale del fiume Senio, allo scopo di potere liberamente, e con sicurezza, preparare le successive operazioni di carattere offensivo che era facile intuire nelle intenzioni dei superiori comandi. Attorno il 20 del mese di marzo, ben consolidata la posizione di q. 92, il Comando del Gruppo di Combattimento, decise di spostare subito, sfruttando il successo ottenuto a q. 92, la linea dei caposaldi avanzati della posizione di resistenza tenendo la direzione nord, sino a raggiungere ovunque il corso del fiume.
L’operazione in preparazione, che rappresentava il corollario dei combattimenti di q. 92, ebbe il nome convenzionale di operazione Ischia e l’obbiettivo fissato a tale operazione fu la conquista di una serie di fabbricati, in parte abbandonati da ambedue gli avversari, in parte quasi costantemente tenuti dar nemico. Le località che formavano gli obbiettivi erano: Gualdo di Sopra, Bosche di Sotto, q. 112, Salvarelle, Chiesuola, Casone, Cardello, q. 106, Villa Margherita e e q. 107: cioè tutto il complesso di posizioni che era circostante alla base tedesca di Stabilimento Idroterapico, il vero antemurale dell’abitato di Riolo dei Bagni. La preparazione della artiglieria fu iniziata nel pomeriggio del 24 marzo, facendo entrare per la prima volta in azione i cannoni antiaerei del 350 artiglieria, impiegati per tiro su obbiettivi terrestri, cioè particolarmente sui nidi di mitragliatrici, con arresto automatico, situati nella zona circostante a Riolo dei Bagni e su gruppi nemici in movimento segnalati dai posti di osservazione terrestre e aerea dell’artiglieria stessa. Tale impiego di pezzi antiaerei si dimostrò assai efficace e il nemico, individuate le postazioni delle armi a causa dei proiettili traccianti, effettuò ben presto un nutrito fuoco di contro-batteria. Intanto lo schieramento divisionale era stato rafforzato; anziché tre, quattro battaglioni (due per ciascun reggimento di fanteria) furono portati in primo scaglione. L’attacco si iniziò nella notte sul 25 marzo, con tre colonne, costituite da reparti di ambedue i reggimenti di fanteria del Gruppo, preceduti da pattuglie di pionieri e di informatori. Il movimento delle pattuglie avvenne con estrema lentezza, a causa della grande quantità di mine che insidiavano il terreno quasi ovunque, e anche a causa della grande oscurità. Il nemico, che era evidentemente stato messo in allarme dall’intensa preparazione di artiglieria, cominciata la mattina del 24, aveva già cercato, mandando una infruttuosa pattuglia di combattimento all’attacco della posizione di Mongurdina, di disturbare il dispositivo offensivo che era stato preparato. Nella notte il nemico aveva provveduto a mandare nelle zone avanzate verso le nostre linee un numero di pattuglie assai superiore a quello dell’abituale servizio notturno: il pattugliamento del nemico provocava scontri che si concludevano sempre a nostro favore, ma che però servivano ad informarlo dei movimenti dei nostri reparti. Le mine nemiche, disseminate ovunque, fecero anche qualche vittima e il brillamento degli esplosivi contribuì ad eliminare la possibilità della sorpresa.
L’avanzata notturna si poté effettuare regolarmente e, sgominate le pattuglie nemiche di copertura, nel cuore della notte tutti gli obbiettivi assegnati dal Comando di Divisione vennero occupati, all’infuori del gruppo di case coloniche situate sulla q. 106, immediatamente a sud dello Stabilimento Idroterapico di Riolo dei Bagni. In questo gruppo di case il nemico si era sistemato a caposaldo, per coprire efficacemente lo Stabilimento Idroterapico e soprattutto a protezione del passaggio del Senio, dinanzi a Riolo dei Bagni. Nelle prime due case del gruppo dei fabbricati il nemico aveva posto unicamente pattuglie di occupazione temporanea, le quali combatterono violentemente, ma, sopraffatte dal tiro delle nostre armi e dal lancio di bombe a mano, furono obbligate a ritirarsi sulla terza casa, la quale era sistemata come un vero e proprio fortino. Varie feritoie erano state praticate nelle mura della casa e postazioni angolari per mitragliatrici erano state costruite con forte protezione blindata.
Resosi conto della situazione, il comandante del reparto attaccante riordinò rapidamente i suoi uomini e scattò per l’attacco: ma il nemico che godeva, fra l’altro, del vantaggio della visibilità, grazie ai bagliori di un incendio sviluppatosi in un vicino fienile, ebbe buon gioco, stroncando l’attacco con il fuoco continuo e falciante delle sue mitragliatrici. L’attacco fu ripetuto tre volte, con elevato numero di vittime da parte nostra, ma il sacrificio risultò inutile, in quanto il caposaldo non riuscì ad essere raggiunto: quasi tutti gli ufficiali erano morti o feriti, e il numero degli uomini attaccanti si riduceva a una quindicina, piccolo manipolo di valorosi che decisero di ritirarsi solo quando ricevettero un preciso ordine superiore. Desistettero dall’impresa, ma sollecitarono l’onore di essere i primi a partecipare all’immancabile rivincita. Un contrattacco tentato dal nemico venne nettamente stroncato dall’intervento della nostra artiglieria.
Dopo questa azione, gli ordini superiori che il Comando del Gruppo “Friuli” riceveva dal Comando del X Corpo di Armata, alle cui dipendenze era frattanto passato, consigliavano la preparazione intensa di operazioni offensive ormai ritenute imminenti. Il Gruppo “Friuli “malgrado la sua ormai lunga permanenza in linea, considerava, per sentimento unanime di capi e di gregari, essenziale per il prestigio del rinascente Esercito la partecipazione alla grande offensiva che si preparava sul fronte italiano. Il compito poteva ben facilmente essere previsto difficile e sanguinoso, dato che il nemico, scaltro, fanatico e ancora molto bene armato, dalle sue munitissime posizioni, in tutte le prove e in tutti gli scontri si era sempre dimostrato deciso a far pagare carissimo qualsiasi nostro vantaggio. Tuttavia, nella coscienza generale, sicuramente interpretata dal Comandante del Gruppo, si sentiva sempre assai viva la necessità di un contributo attivo all’offensiva totale che le Nazioni Unite stavano preparando su1 fronte italiano. Tutti si era convinti che una onorevole e generosa partecipazione di nostre truppe a operazioni di grande respiro, aventi obbiettivi d’importanza essenziale, sarebbe stata un grande vantaggio per l’avvenire stesso del nostro Paese.
I soldati del Gruppo “Friuli “ avevano attraversato quasi tutta l’Italia. Avevano visto lo spettacolo spesso straziante di un paese duramente provato dalla guerra, ridotto alla miseria, disseminato di rovine talvolta totali, avevano visto popolazioni che non erano soltanto impoverite, affamate, spogliate di ogni bene, ma avevano sentito la demoralizzazione di un popolo sconfitto, che aveva subito non soltanto gli orrori della guerra ma anche le deportazioni, le rapine, le violenze e gli insulti di un crudele invasore. I soldati del “Friuli” avevano capito che poche e tenui erano ormai le speranze che animavano la massa del popolo Italiano, ma avevano letto molte cose negli occhi della popolazione di Roma, alloro passaggio per le vie dell’Urbe, il 24 novembre; e molte cose avevano intese dagli uomini e dalle donne di tanti altri paesi d’Italia, attraverso i quali erano passati o nei quali avevano sostato. C’era, ovunque, l’espressione commossa e quasi un pò diffidente di chi temeva di illudersi di chi avrebbe voluto credere e aveva paura di andare incontro ad un crudele disappunto. Più o meno confusamente, quasi tutti capivano che se le Nazioni Unite accettavano il contributo militare insistentemente offerto loro dall’Italia, e se, anzi, avevano persino collaborato alla realizzazione di questa offerta sul terreno pratico, il comportamento delle truppe italiane nelle azioni in cui sarebbero state chiamate a partecipare avrebbe significato molto per l‘avvenire e per lo stesso prestigio del Paese nel mondo. Quindi, forse mai accadde che reparti combattenti, dai Comandi sino all’ultimo uomo, sentissero con tanta commossa e seria coscienza la responsabilità storica e morale che pesava su loro.
Gli ordini per l’impiego del Gruppo “Friuli” nell’offensiva non tardarono a venire. Il X Corpo d’Armata il giorno 29 marzo assegnava al Gruppo “Friuli” il compito di costituire una testa di ponte oltre il torrente Senio, nel settore compreso fra Riolo dei Bagni e Cuffiano. Tale testa di ponte doveva essere mantenuta per almeno 24 ore, per consentire il deflusso di altre grandi unità alleate che avrebbero continuata l’azione intesa a scardinare le posizioni nemiche sin oltre la linea del Senio.
Negli intendimenti operativi del Comandante del Gruppo “Friuli” l’azione, che prese il nome convenzionale ”Pasqua“, sarebbe stata effettuata da due battaglioni, preceduta o accompagnata da altre azioni di dettaglio, avènti carattere di colpi di mano, intese a disorientare il nemico sui nostri veri intendimenti operativi e a richiamare riserve e rincalzi nemici in zone diverse da quelle costituenti gli obbiettivi principali. Il Gruppo doveva essere pronto ad effettuare l’operazione con un preavviso di 48 ore a partire dall’alba del 7 aprile.
Il Generale Mc. Creery, Comandante l’VIII Armata, in un ordine del giorno distribuito a tutte le truppe dipendenti dall’Armata (che viene riprodotto a parte nell’originale del suo testo italiano) rivolgeva un particolare saluto alle nostre truppe con queste parole: “sono particolarmente lieto che truppe italiane sono affiancate all’armata dell’impero per dare il colpo di grazia alla potenza tedesca in Italia e per cooperare con gl’intrepidi partigiani alla difesa della Patria. Insieme procederemo sino alla vittoria finale”.
Il Comandante del Gruppo Combattimento Friuli diramava, frattanto, il seguente messaggio alle sue truppe:
< Ufficiali, sottufficiali e soldati del mio Gruppo di Combattimento “Friuli”
Dopo due mesi di ansiosa attesa, durante i quali avete assolto brillantemente il compito affidatovi di difendere un importante settore dell’VIII Armata inglese, è giunto il momento di dare al nemico il colpo di grazia. Questo nemico, in questo ininterrotto periodo di linea, ha già avuto modo di conoscere il valore, lo slancio e la fede del nuovo soldato italiano. I migliori soldati ancora rimasti all’agonizzante esercito tedesco, venuti di fronte al “Friuli “ con intenzioni spiccatamente aggressive, non hanno mai potuto fare un passo avanti. Sono stati anzi costretti a cedere la maggior parte dei loro importanti caposaldi ancora esistenti a sud del Senio. Questo nemico, oggi più che mai, può essere facilmente travolto, come lo fu già 27 anni or sono, ad opera dei vostri padri, sulla linea del Grappa e del Piave. Tutto il fronte Alleato sarà in movimento. Tutta la potenza dell‘aviazione, dell‘artiglieria, dei carri armati e dei fanti del 15° Gruppo di Armate ALLEATE sarà gettata in questa battaglia finale per la completa liberazione della nostra amatissima Patria. Anche il “Friuli“, per le prove di fiducia sinora date, potrà scattare dalle sue attuali posizioni per attaccare finalmente, con armi maneggiate da saldi cuori italiani, l’odiato nemico.
Ufficiali, sottufficiali, soldati del Gruppo Combattimento” Friuli “! Sono sicuro che sentirete l’onore e l’onere dell’importante compito affidatovi.
Tutta l’Italia guarda a voi in questo momento. E la prova decisiva.
Attaccate il nemico con tutto il vostro slancio. La Patria vi sarà riconoscente per questo nuovo sforzo che voi fate per il suo onore e per la sua libertà.
Viva l’Italia! Il vostro Comandante
F.to Generale ARTURO SCATTINI >
Lo stesso Maresciallo Alexander, accompagnato dal Generale Mc. Creery, comandante l’VIII Armata e dal Generale Hawkesworth, comandante il Corpo d’Armata, onorò il Gruppo di una sua visita il 7 aprile. Il Comandante di tutto il teatro di operazioni del Mediterraneo si disse sicuro che le truppe del “Friuli” avrebbero superato brillantemente la difficile prova, anche se di fronte si aveva la 4a Divisione paracadutisti, la più attrezzata ed efficiente unità tedesca.
Un’intensa attività fu disposta nei giorni precedenti l’attacco, per riconoscere le località immediatamente a nord del Senio, davanti alle linee nemiche, mentre, nelle retrovie, i due battaglioni destinati all’attacco venivano intensamente addestrati al passaggio di corsi d’acqua con passerelle, zattere, battelli d’assalto. Per queste esercitazioni erano state scelte zone della valle del torrente Lamone che presentavano le stesse caratteristiche del terreno di attacco a nord del Senio. I reparti che si trovavano in linea, oltre all’attività esplorativa di pattuglie, stavano preparando, con il concorso dei pionieri e del genio, il maggior numero possibile di passaggi sicuri attraverso i campi minati a sud dèl fiume ed organizzavano e preparavano le pattuglie di collegamento destinate a guidare i reparti attaccanti. Dal canto suo, l’artiglieria del Gruppo stava preparando e attuando lo schieramento offensivo, concretando i piani di fuoco per l’azione e, nello stesso tempo, continuando ad assicurare in ogni momento il necessario fuoco di disturbo e di difesa e assolvendo pure il compito di costringere il nemico ad abbandonare il caposaldo di q. 106 che era stato oggetto dei precedenti sanguinosi comb attimenti.
I quattro gruppi da 25 libbre del 35° Reggimento Artiglieria si erano già spostati dalla valle deI torrente Lamone nella valle del torrente Sintria, movimenti che venivano effettuati a scaglioni, nel corso della notte. Quanto entusiasmo in questi artiglieri che finalmente vedevano attuato il loro vivo desiderio di essere molto più vicini ai fanti e di formare con essi un potente blocco offensivo!
L’ordine di attacco giunse il giorno 8 aprile. Ora “H”, le quattro e trenta del giorno 10, con una preparazione di artiglieria di 45’. I battaglioni comandati per l’azione di attacco, vengono portati in posizione di attesa nella notte sul 9. La vera azione offensiva doveva essere preceduta da un attacco secondario per occupare le località di Isola, C. Serotina e q. 106 e attrarre da quella parte le riserve di settore del nemico. La preparazione di artiglieria per la diversione tattica durò 30’, poi i reparti mossero all’attacco e q. 106 venne raggiunta e occupata. Un contrattacco nemico nella direzione di Gualdo di Sotto venne immediatamente bloccato. Alle ore 3,45 si iniziò la preparazione di fuoco dell’artiglieria per il vero e proprio attacco, che doveva avere come obbiettivi immediati, oltre alla q. 69, Abbazia, Villa Mongardi, Ferlotta e Cuffiano.
Durante la preparazione dell’artiglieria vengono gettate le passerelle di passaggio sul Senio e i reparti attaccanti si portano sulla base di partenza. Alla sinistra doveva operare un battaglione dell’88° Fanteria con due compagnie avanzate che avevano per obiettivi Abbazia, Villa Mongardi e Palazza; alla destra un battaglione dell’87° Fanteria anch’esso con due compagnie avanzate, che avevano come obbiettivi immediati Casa Punta e Fonte, sulla rotabile Castel Bolognese-Riolo dei Bagni, ad ovest di Cuffiano.
Sulla destra del nostro dispositivo un reparto della Brigata Ebraica doveva minacciare contemporaneamente Cuffiano procedendo alla occupazione del Molino Fantaguzzi. Compiuta la preparazione di artiglieria le compagnie avanzate, all’ora fissata, scattano per l‘attacco e attraversano rapidamente il Senio. Il nemico subì la sorpresa iniziale, ma non tardò a reagire con tutta l’efficacia del suo potenziale, sottoponendo le truppe attaccanti a un fuoco infernale di armi automatiche e di mortai. Si ebbero immediatamente perdite assai gravi, proporzionalmente molto sensibili fra gli ufficiali; ciò nonostante gli obbiettivi di Abbazia e di Casa Punta furono presto raggiunti. Più tardi però l’ala sinistra delle forze attaccanti costretta a ripiegare da Abbazia; invece la destra, malgrado l’insidia del terreno fortemente minato che aumentava le nostre perdite, riuscì a raggiungere e a mantenere le posizioni di Fonte, benché il nemico insistesse rabbiosamente nel sottoporre il reparto ad azioni di fuoco e a contrattacchi sempre rinnovati. Il successo raggiunto, benché non totale, rianimò ed incitò i combattenti: d’altra parte i Comandi avevano avuto la conferma di quanto era già noto attraverso il servizio informativo, cioè che, a nord del fiume, in direzione di Casa Peschiera e a sud di Punta, si trovava il principale caposaldo della linea nemica, cioè la grossa casa colonica fortificata di Guarè.
La casa di Guarè era tutta circondata da postazioni d’arma, coperte e in parte blindate, rafforzate in calcestruzzo, con i principali punti di resistenza situati sui fianchi e dietro i fabbricati, tutti serviti da camminamenti che permettevano il rifornimento delle postazioni qualunque fosse l’azione di fuoco del nemico.
Guarè era inoltre collegata da due strade, di cui una rotabile, con il guado del Senio antistante a casa Peschiera; nelle case del Molino di q. 61, nelle altre case antistanti il guado stesso e sulle stesse rive del fiume, erano state predisposte buche per postazioni d’arma che potevano permettere di dominare assai bene tutta la zona. L’edificio di Guarè, sistemato a ricovero, poteva anche ospitare un discreto numero di uomini.
Esso divenne non soltanto il centro della resistenza nemica, ma anche la base del principale contrattacco tedesco, il quale però, ostacolato dai concentramenti a massa dell’artiglieria, venne respinto dalle fanterie. Per tutta la mattinata la fanteria ebbe la continua collaborazione dei gruppi di artiglieria che sparavano ininterrottamente sulle postazioni di mortai e sui nidi di armi automatiche nemiche; principalmente Guarè veniva continuamente martellata e gli osservatori nemici venivano annebbiati con cortine fumogene.
Riordinati i reparti attaccanti, alle 14,15, dopo una nuova breve ma intensa preparazione di artiglieria, venne sferrato un altro attacco partendo dalle posizioni raggiunte ed avendo come obbiettivo principale il caposaldo di Guarè. Fra la polvere, il fumo e il frastuono infernale della battaglia combattuta in pieno giorno, i mortai e le armi automatiche nemiche approfittavano di ogni istante di sosta dei nostri tiri di interdizione per opporre una rabbiosa reazione all’avanzata dei reparti attaccanti. Malgrado l’enorme difficoltà, la testa di ponte venne ulteriormente ampliata, ma il caposaldo di Guarè restò ancora in mano nemica, senza peraltro impedire che i nostri reparti, lavorando sul terreno sotto il continuo fuoco nemico e sostenendo e respingendo ancora diversi contrattacchi, riuscissero brillantemente a consolidare le posizioni al di là del Senio e a dare sicura protezione ai passaggi stabiliti sui guadi del fiume.
Durante la notte sull’11 aprile forti pattuglie di combattimento che avevano l’ordine di spingersi sulla rotabile che conduce a Riolo dei Bagni, e anche oltre, portarono la notizia d’avere constatato il ripiegamento del nemico e l’abbandono da parte sua della linea del Senio. Il Comando del Gruppo di Combattimento impartì immediatamente l’ordine di movimento per impedire al nemico di sganciarsi, mantenere il contatto e procedere all’inseguimento. Alle ore 3,15 dell’ 11 aprile fu occupata GUARÈ; qualche ora dopo le nostre truppe liberarono RIOLO DEI BAGNI. La linea del Senio non esisteva più e si iniziava una nuova fase della battaglia.
Intanto i nostri soldati imparavano a conoscere l’emozione della liberazione portata a fratelli italiani che da mesi stavano soffrendo, contemporaneamente, pur essendo civili, gli orrori della guerra e le barbare durezze dell’occupazione tedesca. Il fronte si era fermato nella zona del Senio, contrariamente ad ogni previsione all’inizio dell’inverno del 1944, nei mese di dicembre. Gran parte delle popolazioni civili, sperando che le truppe operanti non si fermassero molto in quella zona, avevano creduto di poter fare a meno di abbandonare le loro case e i loro averi.
Dalle due parti del fronte, a nord e a sud del Senio, nelle case e negli abitati che costituivano i caposaldi della linea, si era dato lo spettacolo, invero singolare, di borghesi, uomini e donne, che convivevano con soldati,sottoposti alle stesse azioni di fuoco delle opposte artiglierie e degli opposti mortai, per lo più alimentati con lo stesso rancio delle truppe (almeno nel settore a sud del Senio) e, sempre nel nostro settore, costretti a vivere quasi sempre nei ricoveri costruiti nelle cantine delle case.
Se poco lieta era la condizione dei borghesi che vivevano insieme alle nostre truppe e ne dividevano molte privazioni e taluni pericoli, assai più dura era la situazione di quegli altri che si erano trovati a Riolo di Bagni, a Cuffiano, nelle case situate lungo la rotabile. Ciò non era dovuto certamente al fatto che le nostre azioni di fuoco di artiglierie e di mortaio erano molto più intense, sotto ogni aspetto, di quanto non fossero quelle dei tedeschi. lui realtà, il Comandante del Gruppo “Friuli”, pur potendo disporre di un assai grande volume di fuoco, ne avevi deliberatamente delimitata l’azione distruttiva, poiché teneva conto che a nord del Senio, e in specie negli abitati di Riolo e di Cuffiano,vivevano e soffrivano altri italiani, le cui vite e i cui beni sarebbero stati distrutti dai nostri tiri.
Infatti non soltanto i tedeschi pretendevano di consumare lo riserve alimentari e tutto quanto di commestibile potevano trovare nelle se e nei paesi, ma obbligavano, con la loro consueta brutalità, gli uomini, e talvolta anche le donne, a lavorare per loro sul terreno sempre esposto all’offesa del nostre fuoco. Talvolta giungevano nelle nostre linee uomini, donne e bambini che avevano attraversato il Senio rischiando le insidie delle mine, e talvolta lasciando vittime.
Passando nell’acqua ghiaccia col rischio di essere fatti segno alle raffiche della mitragliatrice, giungevano a noi smunti, laceri, affranti.
Non soltanto in questo consisteva il tormento delle popolazioni che dovevano vivere in mezzo alle linee tedesche. In una notte di marzo gli uomini di una pattuglia nostra, che era in agguato ad un guado del Senio, udirono, dall’altra riva, dalle case fra Punta e Palazza, ripetersi per tre volte uno spaventoso grido di voce femminile, che esprimeva orrore e angoscia. Dopo un mese, al momento dell’avanzata, in una di quelle case, a Villa Mongardi venne trovato il corpo ignudo di una giovane donna violentata e strozzata, che risultò essere stata rapita da paracadutisti tedeschi a Cuffiano in giorno ed ora perfettamente corrispondenti allo strano, doloroso grido segnalato da quella pattuglia.
Gli episodi di questo genere bastano per far capire quale fosse la gioia degli abitanti della zona che venivano liberati, e che vedevano nei liberatori i loro fratelli italiani.
I battaglioni che avevano combattuto per costituire la testa di ponte vengono ritirati per riordinarsi, e per colmare i numerosi vuoti causati dalle perdite; subentrano altri battaglioni che iniziano l’inseguimento Verso la valle del torrente Santerno.
La sostituzione del Gruppo “Friuli” con altra divisione alleata, che avrebbe dovuto scavalcano appena costituita la testa di ponte, come era stato preannunciato prima dell’offensiva, non avvenne. Toccò ancora, quindi, agli uomini del “Friuli” il compito dell’avanzata e dell’inseguimento, con tutte le difficoltà e tutti i problemi che ne derivano per le fanterie, che devono superare i nuclei e i caposaldi sistemati dal nemico per ritardare l’inseguimento; per le artiglierie, che spostandosi continuamente e rapidamente, non debbono mai lasciare mancare il loro prezioso appoggio; per il genio, che deve aprire varchi e strade attraverso campi minati e notevoli e frequenti interruzioni; per i Comandi che si trovano in difficoltà per mantenere il collegamento con i reparti avanzati; per organizzare la sicurezza sui fianchi e il collegamento con le unità che stanno operando sulla destra e sulla sinistra dello schieramento del “Friuli”. Tutto assieme,il movimento in direzione ovest e nord-ovest fu anche rallentato dalla configurazione del terreno e dalla mancanza di comunicazioni in senso longitudinale.
Operando sempre a sud della Via Emilia si tagliano le valli che vanno in senso trasversale alla direttrice di marcia: questo obbliga i reparti a lunghe e faticose marce con alternative di continue salite e discese, su terreno collinare e campestre, per strade spesso sapientemente interrotte e su un terreno metodicamente e abbondantemente minato dal nemico, talvolta, anche per economia di materiale, con false mine costituite da scatole metalliche vuote, che raggiungono però ugualmente lo scopo di far perdere tempo alle truppe avanzanti e di suscitare confusioni talvolta fatali.
Occupato Castel Bolognese, nella notte sui 12 aprile, da parte dei fucilieri carpatici della Divisione Polacca che operava sulla destra, per poter alimentare in profondità l’azione, dopo aver passato il fiume Santerno e dopo aver superato di balzo i corsi d’acqua fra il Senio e il Santerno stesso, il settore del Gruppo venne suddiviso in due sottosettori reggimentali: sulla destra, a contatto con la divisione Carpatica polacca, agiva l’87° Reggimento fanteria; a sinistra, a contatto con il Gruppo Italiano di Combattimento “Folgore”, agiva 1‘88° Fanteria. Ognuno dei due reggimenti operava con un battaglione in primo scaglione e gli altri due, a conveniente distanza, in secondo e terzo scaglione. Superata la difesa nemica sul Santerno, dopochè i polacchi liberarono Imola con il concorso dei reparti di estrema destra del “Friuli“, sempre operando sulla direttrice della Via Emilia (strada statale n. 9), continuò l’inseguimento, contrastato da azioni ritardatrici del nemico al passaggio dei vari fiumi e particolarmente al torrente Sallustra, al torrente Sabbioso e al Sillaro, ove la resistenza, nell‘abitato di Castel San Pietro dell’Emilia, si fece piuttosto dura. Dopo oltre 36 ore di lotta il nemico si ritirava notte tempo e reparti italiani e polacchi entravano contemporaneamente nella cittadina duramente provata, mentre l’intero Gruppo proseguiva l’avanzata, particolarmente difficile per le artiglierie, alle quali era arduo compito il mantenere il contatto balistico con i reparti avanzati, dato il gravoso lavoro rappresentato talvolta dal passaggio di corsi d’acqua.
Dopo la resistenza sui Sillaro e a Castel San Pietro dell’Emilia, una nuova e ben più forte resistenza viene compiuta dal nemico al torrente Gaiana ove le nostre fanterie si attestavano verso la sera del 17 aprile. La mattina deI 18 elementi avanzati dei due reggimenti di fanteria tentarono il passaggio del torrente, ma si trovarono di fronte a violenta reazione e a un notevole schieramento difensivo. Per tutto il giorno 18 i mortai e l’artiglieria batterono i caposaldi nemici, fra i quali i due più forti centri di resistenza e di sostegno erano il palazzo Coccapane, poco a sud della Via Emilia e l’abitato di Casalecchio dei Conti e di casa Grizzano, veri perni di tutta la fortemente organizzata linea nemica, che i tedeschi dovevano assolutamente tenere per consentire il ripiegamento dei loro reparti impegnati dalla V Armata Americana nel settore montano appenninico. L’azione dell’artiglieria veniva appoggiata dal tiro preciso ed estremamente efficace degli apparecchi della “Desert Air Force “, che distruggevano completamente il caposaldo di palazzo Coccapane.
Per le prime ore del 19 aprile veniva deciso dal Comandante del Gruppo” Friuli “e dal Comandante del Gruppo ”Folgore“ un attacco che doveva essere effettuato da un battaglione dell’88° Rgt. Fanteria e da un battaglione del reggimento “Nembo”.
Per tutta la notte precedente veniva effettuato intenso tiro di disturbo sui centri di resistenza nemica: alle 5,30 si compivano i concentramenti di artiglierie in preparazione dell’attacco.
Gli obbiettivi dei due battaglioni erano distinti, ma convergevano su un unico obbiettivo comune, Varignana, nella valle del torrente Quaderna.
Il percorso per il battaglione dell’88° Fanteria aveva come tappe luogo, la chiesa di q. 168 di Casalecchio dei Conti e l’abitato di questo stesso paese. I reparti della “Folgore avevano invece come tappa intermedia la località di Grizzano, sulla sinistra.
Varignana avrebbe dovuto essere raggiunta in convergenza da queste due posizioni intermedie. Il giorno 19 aprile, alle ore 5,45, il battaglione del reggimento “Nembo” e il battaglione granatieri dell’88° Rgt. Fanteria, scelti per l’operazione, scattavano contemporaneamente per l’attacco. Mentre gli uomini del battaglione “Nembo” raggiungevano le prime case di Grizzano, superando con grande slancio la violenta reazione nemica, i plotoni avanzati dell’88° Fanteria raggiungevano Luogo, la Chiesa di q. 168 e la Fratta. Mentre i paracadutisti, catturati alcuni prigionieri, impegnavano una decisa lotta corpo a corpo per sloggiare il nemico asserragliato ancora in altre case di Grizzano e dalle quali reagiva con intenso fuoco di mitragliatrici e con furiosi contrattacchi, anche i granatieri dell’88°, pur tentando ininterrottamente, con i loro plotoni, di spingersi nel dispositivo nemico, rimanevano per tutto il giorno abbarbicati alle posizioni raggiunte dato il terreno difficile e la difesa nemica che si valeva del villaggio di Casalecchio dei Conti come di munitissimo caposaldo, rafforzato da postazioni in caverne. Sia a Grizzano che davanti a Gasalecchio i due battaglioni italiani erano impegnati in un duro e sanguinoso duello con i reparti tedeschi e fatti segno a fuoco preciso e micidiale dei tiratori scelti nemici. L’artiglieria del 35° Reggimento interviene con largo impiego di fuoco sia in sostegno dei paracadutisti del “Folgore“, sia in sostegno dei granatieri dell’88° e stronca diversi contrattacchi nemici. Per tutto il giorno la posizione rimane invariata, con notevoli perdite. Un altro battaglione dell’88°, verso sera sviluppava una manovra aggirante che il nemico riusciva ad evitare: soltanto nottetempo il nemico, duramente provato dai nostri contrattacchi, sgombera Casalecchio dei Conti consentendo ai nostri reparti di riprendere l’avanzata e di occupare Varignana, ostacolati soltanto dai tiratori scelti delle retroguardie nemiche.
La battaglia del Gaiana è l’ultimo scontro di grandi proporzioni che le truppe del “Friuli“, affratellate con i brillanti battaglioni del “Folgore “, devono affrontare sulla via di Bologna. Doveva però toccare al reparto operante più a nord, nella pianura della Via Emilia, e cioè all’87° Fanteria, l’onore di una operazione di vera importanza strategica, che la stessa radiotrasmissione quotidiana dell’ VIII Armata, e altri documenti altrettanto ufficiali, dovevano definire “decisiva” per la liberazione di Bologna: cioè la costituzione della testa di ponte sull’Idice.
L’87° Fanteria era fermo nella pianura, in attesa della fine dei combattimenti e della ripresa dell’avanzata da parte dell’88° Fanteria e del “Folgore”, che si trovavano sulla sua sinistra. Il giorno 20 si rimetteva in movimento insieme ai polacchi della Divisione Carpatica. Per una strana sensibilità quasi subcosciente, mentre la ragione faceva pensare alla probabilità di resistenze tedesche sull’Idice, sul Savena, sul San Lazzaro (come del resto annunciavano tutti i prigionieri tedeschi che venivano rastrellati in quella giornata) qualcosa faceva intuire che si era alla vigilia di grandi avvenimenti.
Le nostre truppe avanzavano in mezzo alla campagna a sud della Via Emilia, districandosi abbastanza rapidamente nel terreno insidiato dalle mine, per disagevoli e polverose strade campestri, nelle quali tutti i ponti erano stati fatti saltare. I soldati erano stanchi, la giornata era già calda, e gli uomini che non potevano avere automezzi al seguito dato il tipo di percorso che dovevano fare, erano costretti a portare sulle spalle un sacco abbastanza pesante, ma tuttavia non mostrarono di sentire il peso e la stanchezza. Proseguivano raggianti, con una grande luce negli occhi, impazienti di arrivare alla agognata meta. Sulla loro destra, sulla Via Emilia, la fanteria polacca avanzava in condizioni migliori, perché seguita da tutta la colonna dei suoi autocarri.
In mezzo alla polvere della strada frequentemente interrotta, accanto alle fanterie che marciavano in fila indiana silenziose, affaticate, procedeva una “cantina mobile “ del N.A.A.F.I. autocarrata.
Il lontano rombo dei mezzi cingolati avanzati, delle artiglierie sempre impegnate, i frequenti scoppi di mortai e, di tanto in tanto, il crepitio rabbioso di qualche mitragliatrice, erano quasi sovrastati dagli enormi altoparlanti della cantina mobile, che diffondevano per la Via Emilia e per le campagne circostanti, a tono altissimo dischi di jazz e allegre canzonette americane a ritmò sincopato. Le note di musica sembravano quasi portare, fra i combattenti polacchi e italiani, la promessa di una pace vicina, il ritorno di una vita più facile, nella quale fosse nuovamente permesso indulgere alle danze e ascoltare qualche musica senza doversi di tanto in tanto gettare a terra per lo sgradito arrivo di una bomba di mortaio.
I reparti più avanzati erano attestati a poche decine di metri dal corso dell’Idice. Negli avamposti e davanti agli avamposti, il silenzio e il deserto delle estreme posizioni della linea. Già erano passati i tedeschi, disseminando le tracce del loro passaggio: oggetti vari di equipaggiamento, perduti o gettati dalle truppe retrocedenti, e, ovunque, traccie di demolizione; ma non era già più la demolizione metodica, spietatamente efficace e distruttiva, che si era riscontrata sino a pochi giorni prima. La ritirata del nemico stava diventando una rotta, e non c era neppure più il tempo di misurare l’efficacia delle cariche esplosive, di seppellire le mine, di ricorrere ai consueti mezzi per rendere difficile la vita alle truppe vittoriose lanciate all’inseguimento. La macchina di guerra tedesca cominciava a funzionare malissimo, e lo si vedeva persino dall’assoluta inefficienza della consueta propaganda; i manifestini disseminati a piene mani sulle direttrici dell’avanzata degli italiani e dei polacchi, erano tutti scritti nelle varie lingue dell’India.
Molto di rado, qualche scarica di mitragliatrice tedesca annunciava vicinissima la presenza di qualche nucleo nemico di resistenza: ma nel silenzio di quella atmosfera, attonita per il passaggio della guerra, si sentiva l’attesa e la speranza della vittoria. Dagli osservatori avanzati già si profilavano in distanza le torri di Bologna: come la meta di un lungo viaggio la città attesa e desiderata prometteva alle truppe avanzanti il premio più ambito. Da mesi e mesi tutti sapevano che Bologna era la chiave e il perno della resistenza tedesca in Italia.
Ora, Bologna era vicina: gli italiani del Gruppo di Combattimento “Legnano”, del Gruppo “Folgore” “, del Gruppo “Friuli“, della brigata volontaria “Maiella“, incorporata quest’ultima nella divisione polacca carpatica e posta in primissimo scaglione, l’avevano già, si potrebbe dire, a portata di mano: forse il confuso rombo che anche dagli avamposti si udiva nell’aria, il caratteristico rumore della guerra moderna, copriva, ma non nascondeva completamente il fruscio dell’ala della vittoria che volava dinnanzi alle prime schiere.
La sera del 20 aprile il Comando dell ‘87° Regg. Fanteria ricevette l’ordine di procedere, nella notte sul 21 aprile, alla costituzione di una testa di ponte sull’ Idice. Affidata l’operazione al battaglione avanzato di questo reggimento, la testa di ponte venne costituita immediatamente a sud della Via Emilia, con pochissime perdite da parte nostra. Era il colpo finale: la sorte di Bologna era ormai decisa. Alle prime luci dell’alba due compagnie, una per settore, vengono avviate al torrente Savena con compito di ricognizione e di rastrellamento. Il nemico, nella lotta, aveva sgomberato non solo la linea del Savena ma anche Bologna. Nelle primissime ore del mattino un battaglione dell’87° Fanteria, affiancando i reparti polacchi, entrava in Bologna accolto dalla popolazione nella maniera più commovente.
Bologna aveva vissuto giorni e giorni di ansia e di terrore, mentre l’ora della liberazione dai tedeschi si stava avvicinando. Si era temuta la distruzione della città, si erano temute inaudite rappresaglie da parte dei tedeschi e dei neo-fascisti.
Quando, dopo una notte in cui era stato più severamente che mai applicato l’ordine del coprifuoco, e dopo alcune ore di totale, misterioso silenzio, sul far del giorno si era risentito per le strade il passo delle truppe, i curiosi affacciandosi sulle vie non avevano tardato a riconoscere le uniforme dei liberatori. Tutta la popolazione si riversò tosto per le strade, si avvicino ai soldati sopraggiunti, e tentò timidamente di interrogarli, non sapendo quale lingua si sarebbe dovuto parlare: l’entusiasmo della liberazione si accrebbe e divenne incontenibile, quando dalla bocca dei soldati udirono fiorire parlate italiane, e qualche volta la stessa e cordiale piacevolezza del dialetto bolognese. Le scene che si videro allora, si prolungarono per tutta la giornata con gli Italiani, con gli Inglesi, con gli Americani, con i Polacchi: ogni macchina che arrivava in città, ogni reparto di truppa che vi transitava, ogni soldato isolato riceveva il suo tributo di fiori e di abbracci, e cento mani si protendevano per offrire un bicchier di vino, una. sigaretta, una cartolina. Fino all’ora del coprifuoco del giorno 21, e per tutto il giorno successivo, Bologna visse in allegra frenesia, in mezzo a manifestazioni di gioia incontenibili per i pericoli scampati, per la liberazione ottenuta, per la riconoscenza sincera ed aperta per i suoi liberatori.
Il ciclo operativo del “Friuli “, dalla valle del Lamone a Bologna, era concluso ed era seminato di sacrifici, di eroismi, di vittime e di fatiche, ma poteva ben dirsi che si era concluso con onore e con gloria. Un buon colpo era stato assestato al nemico, un contributo sostanziale era stato dato allo scardinamento del sistema e del dispositivo militare per l’occupazione nazista dell’Italia settentrionale.
La notizia della conclusione dell’armistizio fra il Comandante del 15° Gruppo di Armate e il Comandante tedesco del coprifuoco del giorno 21, e per tutto il giorno successivo, Bologna visse in allegra frenesia, in mezzo a manifestazioni di gioia incontenibili per i pericoli scampati, per la liberazione ottenuta, per la riconoscenza sincera ed aperta per i suoi liberatori.
Il ciclo operativo del “Friuli “, dalla valle del Lamone a Bologna, era concluso ed era seminato di sacrifici, di eroismi, di vittime e di fatiche, ma poteva ben dirsi che si era concluso con onore e con gloria. Un buon colpo era stato assestato al nemico, un contributo sostanziale era stato dato allo scardinamento del sistema e del dispositivo militare per l’occupazione nazista dell’Italia settentrionale.
La notizia della conclusione dell’armistizio fra il Comandante del 15° Gruppo di Armate e il Comandante tedesco del sud raggiungeva il Gruppo “Friuli “ mentre si trovava, in fase di riordinamento e di riposo, nelle colline a sud di Imola: gli uomini che avevano combattuto, in quella sera, mentre tutta la pianura padana si punteggiava di razzi multicolori e di proiettili traccianti tirati verso il cielo in segno di gioia, forse, prima ancora che alle famiglie lontane, rivolsero un pensiero alla distesa di bianche croci del cimitero di Zattaglia e a quanti avevano ricevuto la notizia in una corsia di ospedale, doloranti, spesso soli in mezzo a stranieri di cui non capivano la lingua.
Questo volume è stato compilato a cura del Comando “Friuli” in occasione del primo anniversario (20 settembre 1945) della costituzione del gruppo di combattimento.
Collaboratori:
Ten. Col. Guido Vedovato
Ten. Mario Attilio Levi (già nel Fronte Militare Clandestino Aeronautica – Roma)
S. Ten. Attilio Vassallo (per la documentazione fotografica)
Editore: Istituto Italiano di Arti Grafiche – Bergamo
Redazione, Gruppo di combattimento FRIULI, ANCFARGL Roma Capitale MOVM “Salvo D’Acquisto – Gastone Giacomini”, 24 febbraio 2022