Il comando della Nannetti ordinò la dispersione in squadre di pochi partigiani attraverso la pianura

La foresta del Cansiglio – Fonte: Wikipedia

Durante le battaglie di Guia e del monte Pecol, persero la vita ad opera dei Tedeschi due persone residenti a Guia: il contadino Giuseppe Buso, nato il 30 giugno 1891, ed il malgaro Pietro Antonio Spada, nato il 7 luglio 1882. Il primo fu ucciso in paese il 31 agosto 1944 alle ore 16,30, mentre scappava dalla propria abitazione per rifugiarsi in un’altra; il secondo perì il giorno successivo, 1° settembre, alle ore 9 sul monte Pecol perché sospettato di collaborare con i partigiani <104.
Nel tentare di rallentare l’avanzata dei Tedeschi, provenienti da Valdobbiadene [n.d.r.: in provincia di Treviso] e da Pieve di Soligo, i partigiani bloccarono la strada che da Santo Stefano, passando per il bosco del Madean, conduce a Miane ed, inoltre, la zona dei Cavalòt, tra Col San Martino e Combai, abbattendo molti alberi ed abbandonandoli sul posto.
La pesante battuta d’arresto dei giorni precedenti, unita a quest’ennesimo intralcio, indusse i Tedeschi a sfogare la loro rabbia sui civili. Per intervento dei parroci ed in virtù degli ottimi rapporti con Toni Adami, fu possibile un accordo per impedire una sanguinosa rappresaglia: furono bruciate case, fienili, stalle, edifici pubblici, ma non venne ucciso nessuno. Confermano questa tesi la breve biografia di Toni Adami, scritta dal fratello Riccardo, ed i documenti parrocchiali:
“Il 31 agosto 1944 in Guia accadde uno scontro tra partigiani e tedeschi. Il giorno dopo il Parroco di Guia, don Giovanni Romìo, ricevette a mezzogiorno un avviso in cui veniva invitato dal Comando Tedesco di Covolo a trovarsi nella località ‘Arnere’ poco distante dal centro di Guia alle ore due pomeridiane. Si incontrarono e il Comandante tedesco, rivolgendosi al Parroco, disse: “Questa sera alle ore 6 passeranno per Guia truppe tedesche con l’ordine di uccidere le persone che incontreranno e di bruciare le case lungo la strada. Per Toni, che ho conosciuto a mezzo di un abboccamento e per lei, Pastore, darò ordine alle truppe di incendiare parecchie stalle e lei, Pastore, [si] procuri di avvertire i partigiani che non abbiano a sparare e [di] avvisare la popolazione che non si trovi sulla strada”. E così fu fatto. Furono bruciate una decina di stalle e solo una casa disabitata <105. Verso le due e trenta del pomeriggio si scatena un violento combattimento tra nazifascisti e partigiani. Sette tedeschi vi lasciano la vita e 11 vengono feriti. Purtroppo un galantuomo del paese viene assassinato. Nella rappresaglia che segue due giorni dopo, mentre secondo gli ordini di Kesselring avrebbe dovuto essere bruciato tutto il paese (esclusa chiesa e canonica) e impiccate o fucilate trentacinque persone, per intervento del Parroco, non si hanno che alcuni locali bruciati” <106.
Nella relazione inviata al Vescovo di Padova, don Giovanni Romìo precisa:
“Il 31 agosto 1944 ci fu un combattimento di parecchie ore tra tedeschi e Brigate Nere da una parte e partigiani dall’altra. Risultato: un morto e due feriti tra la popolazione civile; sette morti e undici feriti fra i tedeschi; parecchie case danneggiate; poi per rappresaglia, il 2 settembre altri 32 stabili vennero incendiati. Alcune persone prese in ostaggio vennero quasi subito rilasciate” <107.
Dopo aver duramente colpito il paese di Guia, lo stesso giorno (2 settembre 1944) i nazifascisti avevano intenzione di proseguire il rastrellamento alla volta del Passo San Boldo – che collega i due versanti delle Prealpi Bellunesi centrali, ovvero la Valmareno (TV) e la Valbelluna (BL) – e della città di Vittorio Veneto, ma, giunti nel bosco del Madean, trovarono la strada interrotta da grossi alberi di castagno fino ad oltre la “curva del Cristo” di Combai; identica situazione nella zona dei Cavalòt. A quel punto il Comandante tedesco si recò da don Giacomo Raccanelli, parroco di Combai, e gli ordinò di far liberare immediatamente il passaggio, altrimenti le truppe occupanti avrebbero bruciato il paese e rastrellato tutti gli uomini dai 15 ai 65 anni <108.
L’ordine venne prontamente eseguito, così i tedeschi poterono proseguire la rappresaglia nel centro di Miane, dove furono dati alle fiamme l’ex casa del Fascio (sede per circa un mese del Comando della Mazzini), le scuole comunali ed il Municipio. Relativamente a quest’ultimo, andarono completamente distrutti, l’archivio comunale e, cosa più importante, la documentazione relativa all’Anagrafe ed allo Stato Civile, ripristinati con costi elevatissimi nell’immediato post liberazione <109.
Nei giorni successivi i tedeschi si accanirono con le stesse modalità sui Comuni limitrofi di Follina, Cison di Valmarino, Revine Lago e Vittorio Veneto <110, per poi dare inizio ad un grande rastrellamento nell’altipiano del Cansiglio, situato tra le province di Belluno, Pordenone e Treviso; dove, in quei giorni, si concentrarono tutte le formazioni della Divisione “Nino Nannetti”, insieme a centinaia di civili.
Il grande rastrellamento del Cansiglio (31 Agosto-15 Settembre 1944)
Di fronte all’impossibilità di resistere ai Tedeschi, su ordine del Comando della Divisione Nannetti la Brigata Mazzini il 1° settembre 1944 si ritirò da Salvedella in direzione del bosco del Cansiglio.
A marce forzate percorse il passo di Praderadego (che unisce i Comuni di Mel e di Follina), si incontrò con la Brigata Tollot presso l’altipiano di Pian de le Femene, a cavallo tra i Comuni di Revine Lago e Limana, e tra il 3 e il 4 settembre 1944, passando attraverso il Col Visentin ed il passo del Fadalto, giunse nella Piana del Cansiglio presso la località di Campon di Tambre.
A quel punto, i vertici della Nannetti assunsero il comando unico di tutte le formazioni dipendenti.
Poiché la Mazzini e la Tollot erano le Brigate che avevano subìto l’attacco più pesante e che avevano tentato di rallentare l’avanzata tedesca per consentire la ritirata delle altre formazioni, inizialmente, vennero loro concessi cinque giorni di riposo, al fine di garantire una loro efficiente riorganizzazione. Tuttavia, in seguito al primo attacco tedesco contro il Battaglione “Fratelli Bandiera” (afferente al Gruppo Brigate Vittorio Veneto) presso la località di Pian Canaie, nel Comune di Tambre d’Alpago, dovettero rispettivamente schierarsi in seconda linea tra “Le Prese” e la “Palantina” (accesso nord al bosco del Cansiglio) ed in posizione di riserva.
Nel corso di quei giorni, il Comando della Nannetti si trovò ad affrontare quattro principali difficoltà: un’evidente inferiorità numerica (2.500-3.000 partigiani contro più di 10.000 nazifascisti) e di mezzi (scadenti e sufficienti per mezza giornata di fuoco continuo), aspetto che determinò l’impossibilità di sostenere uno scontro frontale; il mancato sostegno degli Alleati, con i lanci promessi, attesi per tre notti, mai arrivati; l’afflusso ingente di civili, fuggiti per paura di rappresaglie, problema aggiuntivo; molte formazioni partigiane si erano esageratamente “ingrossate” nel corso di quell’estate, puntando troppo sulla quantità e ben poco sulla qualità delle reclute.
Tutti questi fattori indussero il Comando della Divisione Nino Nannetti a scegliere la strada di una ritirata ordinata e d’insieme, adottando la tattica militare dello sganciamento.
Nel corso della tarda serata del 7 settembre 1944 venne dato l’ordine del rapido trasferimento verso la zona di Piancavallo (PN), con l’obiettivo di riorganizzarsi nella zona di operazione della friulana Divisione Osoppo Montagna.
Due episodi inattesi cambiarono radicalmente le “carte in tavola” nel giro di poche ore: in primis, per impedire qualsiasi via di scampo ai partigiani, i Tedeschi cominciarono a colpire sempre più in forze i paesi ai margini del bosco del Cansiglio; in secundis, il Comando della Osoppo informò quello della Nannetti che Piancavallo era già caduta in mano nemica.
Non avendo alternative, prima di abbandonare il Cansiglio, il Comando della Nannetti, alle ore 2 del 9 settembre 1944, prese l’unica e logica decisione per sfuggire indenne all’accerchiamento nazifascista: ordinò a tutte le formazioni dipendenti la dispersione in squadre di pochi uomini attraverso la pianura (pianurizzazione), con l’obiettivo di continuare la lotta armata nelle nuove destinazioni, per poi ritornare in montagna appena la condizioni lo avessero permesso.
Si trattò di una strategia militare molto efficace: non solo la Divisione Nannetti ebbe perdite molto ridotte e ne inflisse molte ad un nemico che arrivò in Cansiglio solamente nella serata del 10 settembre, quando lo sganciamento era ormai concluso, ma, soprattutto, la Divisione trevigiana fu ricostituita già ai primi di ottobre del 1944, proprio a partire da quella dura lezione.
La decisione di creare le zone libere era stato un grave errore perché le formazioni partigiane non erano pronte ad amministrare i territori e, così facendo, si resero vulnerabili; in secondo luogo, non puntare sull’esperienza militare delle nuove reclute aveva finito per determinare lo sfascio di intere formazioni alla loro prima vera “prova del nove”.
Per le seguenti ragioni, il rastrellamento del Cansiglio non può essere considerato la Caporetto della Resistenza bellunese e trevigiana, ma, al contrario, un’importante dimostrazione di maturità e di esperienza da parte dei vertici della Nannetti. Insomma, un momento di crisi ben diverso dalla carneficina avvenuta sul monte Grappa <111 tra il 20 e il 26 settembre 1944: determinata dalla decisione dei quadri di Comando di resistere frontalmente, sottovalutando il nemico e sopravvalutando sé stessi e le proprie potenzialità.
L’esito fu disastroso: 171 impiccati, 603 fucilati o caduti in combattimento, circa un migliaio di deportati.
Nella settimana tra 10 il 15 settembre 1944 i nazifascisti, infuriati per il fallimento di questo decisivo rastrellamento, fecero terra bruciata di tutta la zona circostante il bosco del Cansiglio: la rappresaglia colpì, in particolare, i Comuni di Pieve d’Alpago e di Tambre, insieme alle località di Campon, Pian Canaie e Pian Osteria <112.
[NOTE]
104 Archivio della Parrocchia di Guia San Giacomo, Registro dei morti (anni 1923-1954), anno 1944; AISRVV, II sez., b. 64, f. 3, sf. 1 Pratiche per pensioni di guerra, doc. 101 fascicolo personale pensione di Spada Pietro e sf. 4 Pratiche per pensioni di guerra. Civili uccisi dai nazi-fascisti, doc. 3 Fascicolo personale pensione di Spada Pietro; testimonianza di Sante Guizzo (Saetta) in BIZZI, La Resistenza nel Trevigiano, vol. II, cit., pp. 68-70; testimonianze della figlia e della nipote di Giuseppe Buso, in data 13 gennaio e 24 marzo 2015.
105 AISRVV, II sez., b. 64, f. 1, sf. 3 Partigiani caduti e dispersi contiene la biografia di Toni Adami, scritta dal fratello Riccardo (senza data).
106 Archivio della Parrocchia di Guia San Giacomo, Cronistoria parrocchiale, Relazione di don Giovanni Romìo in data 31 agosto 1944.
107 ASDPd, b. Guerra 1940-1945: Relazioni parrocchiali, f. Vicariato di Valdobbiadene, sf. Parrocchia di Guia San Giacomo, Relazione di don Giovanni Romìo in data 2 Agosto 1945.
N.B. Dati numerici che trovano conferme nelle relazioni del Comando della Brigata Mazzini e nelle testimonianze dei partigiani del luogo (Sante e Virgilio Guizzo).
108 Testimonianze di A. B., G. B. e M. P.
109 Archivio storico del Comune di Miane (d’ora in avanti ASCM), b. Registro Deliberazioni della Giunta (1944-1952), f. Danni di guerra, sf. Ricostruzione edifici distrutti e ripristino registri Anagrafe e Stato civile; BIZZI, Il cammino di un popolo, vol. II, cit., pp. 136-139.
110 Archivio della Parrocchia di San Vito di Valdobbiadene, Cronistoria parrocchiale, relazione di Don Giovanni Turra; BIZZI, Il cammino di un popolo, vol. II, cit., pp. 146-147.
111 BRUNETTA, Dal consenso all’opposizione, cit., pp. 116-117; Istituto Storico Bellunese della Resistenza (Isbrec), 1943-1945: Occupazione e Resistenza in provincia di Belluno. I documenti, Tipografia Trabella, Lentiai 1988, p. 93. N.B. Per una riflessione più approfondita sul grande rastrellamento del Grappa si vedano: Lorenzo CAPOVILLA, Federico MAISTRELLO, Assalto al Monte Grappa (settembre 1944). Il rastrellamento nazifascista del Grappa nei documenti italiani, inglesi e tedeschi, Istresco, Treviso 2011 oppure Livio MORELLO, Enrico OPOCHER, Gigi TOALDO, Il rastrellamento del Grappa (20-26 settembre 1944), Marsilio Editori, Padova 1986.
112 Per poter ricostruire sinteticamente le fasi del grande rastrellamento nazifascista del Cansiglio ho utilizzato le seguenti fonti: ACASREC, b. 57, Archivio CRV, f. Documenti vari schedati, sf. Relazione sull’attività militare svolta dalle Brigate della Divisione “N. Nannetti” dal mese di dicembre 1943 al mese di maggio 1945; AISRVV, II sez., b. 64, f. 2, sf. 2 Attività militari. Particolari delle azioni militari, doc. 1 Azioni dal 31 maggio 1944 al 10 settembre 1944; Atti del convegno su I grandi rastrellamenti dell’Estate 1944 e la Divisione Nannetti, a cura della segreteria del Comitato antifascista di Vittorio Veneto, 23 ottobre 1966, alle pp. 17-35 l’intervento di Francesco Pesce (Milo), allora Vicecomandante della Divisione Nannetti, e alle pp. 52-60 la relazione di Attilio Tonon (Bianco), Commissario del Gruppo Brigate Vittorio Veneto; BIZZI, Il cammino di un popolo, vol. II, cit., pp. 144-151, p. 155 e pp. 158-172; BRESCACIN, Il sangue che abbiamo dimenticato, vol. I, cit., pp. 115-116; BRUNETTA, Dal consenso all’opposizione, cit., pp. 112-113; DALLA COSTA, Pietro Dal Pozzo, cit., pp. 103-107; Istituto Storico Bellunese della Resistenza (Isbrec), 1943-1945: Occupazione e Resistenza in provincia di Belluno, cit., alle pp. 88-92 contiene la relazione del Comando della Divisione Nannetti sul rastrellamento del Cansiglio; MASIN, La lotta di liberazione nel Quartier del Piave, cit., pp. 116-123; MELANCO, Annarosa non muore, cit., pp. 77-91; testimonianza del partigiano Virgilio Guizzo (Generale), 2 marzo 2015.
Luca Nardi, Storie di guerra: Valdobbiadene e dintorni dal gennaio 1944 all’eccidio del maggio 1945, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2016