Il Contributo di Rom e Sinti alla Resistenza

I Leoni di Breda Solini – Fonte: SocialismoItaliano1892

Metà dei rom e sinti che risiedono in Italia sono di nazionalità italiana. Alcuni di loro hanno preso parte alla Resistenza contro il nazifascismo. Persone che da secoli non sono più nomadi e che conducono una vita stanziale. Ma nel discorso pubblico la questione rom è coniugata solo in termini securitari. Parlare di rom equivale a parlare di devianza. E soprattutto di campi.
[…] Per quanto possa essere attuale, l’antizinganismo non è un fenomeno nuovo. L’Olocausto è stato il suo punto culminante. In Italia, a Lanciano (Chieti), esiste il primo – e unico – monumento, secondo in Europa solo dopo quello di Berlino, dedicato alla memoria degli oltre 500.000 rom e sinti perseguitati per motivi razziali che furono deportati, internati e sterminati nei campi di concentramento durante gli anni della seconda guerra mondiale. La Capitale li commemora con una targa nella centrale via degli Zingari.
[…] La storia dei gruppi rom e sinti presenti in Italia è profondamente connessa con quella dei luoghi in cui si sono radicati. Così radicati che esiste una versione sinta di Bella ciao. Il partigiano sinto più noto è stato Amilcare Debar, detto il Corsaro, compagno d’armi di Sandro Pertini, dalle cui mani ricevette il diploma di partigiano. Nel mantovano si formò anche un battaglione composto unicamente da sinti italiani, “i Leoni di Breda Solini”, fuggiti dal campo di concentramento di Prignano sul Secchia (Modena), dove erano stati rinchiusi nel settembre 1940. […]
Mariangela Di Marco, insegnante, Rom e sinti, il popolo sconosciuto, Patria Indipendente, 13 giugno 2019

Amilcare Debar – Fonte: Patria Indipendente

In Italia, dopo l’8 Settembre del 1943, sinti e rom fuggirono dai campi di concentramento dove erano rinchiusi dal Settembre 1940. Molti vennero rastrellati dai fascisti e dai nazisti ed inviati nei campi di sterminio, ma alcuni riuscirono a nascondersi e a partecipare alla lotta partigiana anche a costo della propria vita. Altri aiutarono da patrioti le formazioni partigiane.
Oggi la ricerca è ancora lontana dall’offrire un quadro completo sul ruolo svolto dalle persone appartenenti alla minoranza per la sconfitta del fascismo e del nazismo. In questi anni per conto dell’Istituto di cultura sinta ho pubblicato un elenco delle persone che parteciparono alla Resistenza, aggiornandolo con i dati raccolti da storici e ricercatori. Luca Bravi ha svolto un lavoro importante all’interno del progetto Memors con la raccolta delle fonti orali dei sopravvissuti al Porrajmos. Mentre Irene Rui ed Erasma Vincenzina Pevarello hanno ricostruito l’estremo sacrificio dei Martiri di Vicenza.
Straordinaria è la storia di Amilcare “Taro” Debar, forse l’unica persona appartenente alla minoranza che ricevette un riconoscimento ufficiale per aver partecipato alla lotta di Liberazione dal nazi-fascismo.
Nato a Frossasco (Torino), il 16 Giugno 1927, rimane orfano a tre anni e insieme alla sorella Elvira viene accolto prima in un istituto di suore e successivamente nell’orfanotrofio di Racconigi nel Cuneese. Nell’orfanotrofio frequenta la scuola di avviamento professionale e successivamente viene accolto dalla una famiglia Bergia che gli offre un lavoro nella propria cascina. A diciassette anni, nei primi mesi del 1944, diventa staffetta partigiana nelle Formazioni Garibaldi portando ordini nelle valli cuneesi. Sfugge alla fucilazione e divenne Partigiano combattente con il nome di “Corsaro” nella 48° Bgt. Garibaldi “Dante Di Nanni”, partecipando alla Liberazione di Torino.
Finita la guerra viene impiegato presso il comando di polizia di Racconigi dove aveva vissuto gli anni in orfanotrofio. Durante il servizio da poliziotto incontra per caso un fratello, decide di lasciare la divisa e di riunirsi a tutta la sua famiglia con cui ha vissuto fino alla sua scomparsa ottantatreenne il 12 Dicembre 2010. Finita la guerra di Liberazione Taro non ricevette il Certificato al Patriota (Brevetto Alexander ) rilasciato dagli Alleati né altro riconoscimento per il suo impegno durante la Resistenza. Dovette aspettare che un partigiano, Sandro Pertini, diventasse Presidente della Repubblica per ricevere il riconoscimento ufficiale, il Diploma d’Onore attestante la Qualifica di Combattente per la Libertà d’Italia 1943-1945.
L’Istituto piemontese per la Storia della Resistenza conserva una scheda sull’operato di Taro in cui si legge: «Figura molto valida. Un uomo naturalmente capo. Notevole la sua capacità di risolvere i problemi, da quelli quotidiani della sopravvivenza alimentare, alle decisioni operative di guerra».
Il mancato riconoscimento di tanti partigiani appartenenti alla minoranza che combatterono e morirono per la libertà, aiuta a comprendere le difficoltà di oggi nel costruire politiche scevre da discriminazioni nei confronti delle persone povere che vivono nei cosiddetti “campi nomadi”. Stessa sorte l’hanno subita i sopravvissuti dai campi di concentramento italiani, ad oggi nessuna di queste persone ha ricevuto ne risarcimenti ne riconoscimenti dalla Repubblica Italiana, al contrario di quanto successo in Germania.
Di seguito l’ultimo elenco che ho stilato delle persone appartenenti alla minoranza che parteciparono alla Liberazione del loro Paese, l’Italia.
Giuseppe “Tarzan” Catter (1a)
Partigiano combattente
Nato in Provincia di Cuneo nel 1923, Giuseppe di mestiere faceva l’orologiaio. Si unì ai partigiani con il nome di battaglia di “Tarzan”. A 21 anni, nel 1944, è stato catturato dai fascisti sul Colle San Bartolomeo, nelle Alpi Liguri. Fu portato ad Aurigo (IM) e torturato affinché parlasse. Tarzan non parlò e venne ammazzato. A lui, eroe partigiano e Medaglia al Valore, fu intitolata la sua Brigata combattente.
Amilcare “Taro” Debar
Partigiano combattente
Nato a Frossasco nel 1927, aveva sedici anni quando entrò come staffetta, nelle Formazioni Garibaldi. Sfuggito alla fucilazione, raggiunse le Langhe, dove divenne Partigiano combattente con il nome di “Corsaro” nella 48° Bgt. Garibaldi “Dante Di Nanni”, partecipando alla Liberazione di Torino. Taro ricevette il diploma di Partigiano dalle mani del Presidente Sandro Pertini.
Renato “Zulin” Mastini
Martire di Vicenza
Nato a Copparo (FE) nel 1924, svolge l’attività di spettacolo viaggiante. Nell’Agosto del 1944 con il nome di battaglia “Zulin” entra a far parte nella seconda brigata “Damiano Chiesa” e partecipa ad azioni della “F. Sabatucci”. Viene fucilato a Vicenza l’11 Novembre 1944.
Walter “Vampa” Catter
Martire di Vicenza
Nato a Francolino di Ferrara nel 1914, di professione circense, entra a far parte della seconda brigata “Damiano Chiesa” con il nome di battaglia “Vampa”. Il 22 Ottobre 1944 la Brigata Nera di Camposampiero irrompe nella sua campina e lo arresta insieme a Renato “Zulin” Mastini, Lino “Ercole” Festini e Silvio Paina. Viene fucilato a Vicenza l’1 Novembre 1944.
Lino “Ercole” Festini
Martire di Vicenza
Nato a Milano nel 1916, di professione musicista-teatrante, entra a far parte della seconda brigata “Damiano Chiesa” con il nome di battaglia “Ercole”. Arrestato il 22 Ottobre 1944, insieme agli altri tre Martiri sinti, viene incarcerato a Camposampiero (PD) e torturato dal famigerato fascista Nello Allegro. Viene fucilato a Vicenza l’11 Novembre 1944.
Silvio Paina
Martire di Vicenza
Nato a Mossano (VI) nel 1902, di professione circense entra a far parte della seconda brigata “Damiano Chiesa” grazie al Zulin. Arrestato il 22 Ottobre 1944. Insieme agli altri tre Martiri sinti dopo Camposampiero, fu trasferito a Piazzola sul Brenta, nei sotterranei di Villa Camerini trasformati in carcere, dove le SS proseguirono a torturarli. Torture alle quali prese parte anche il federale Vivarelli. Viene fucilato a Vicenza l’11Novembre 1944.
Giuseppe “Tzigari” Levakovich
Partigiano combattente
Nato a Bue in Istria nel 1902, partecipa alla Guerra in Etiopia. Ritorna in Italia, ma la sua famiglia, in quanto rom, è internata a Mangone (CS). Nell’estate del 1944 sua moglie Vilma viene arrestata e inviata nel campo di concentramento a Dachau. Lui riesce a fuggire ed entra a far parte della brigata “Osoppo” con il nome di battaglia Tzigari. Ha raccontato la sua storia in libro intitolato “Tzigari” e History Channel gli ha dedicato un documentario.
Vittorio “Spatzo” Mayer Pasquale
Partigiano combattente
Nato a Appiano sulla Strada del Vino (BZ) nel 1927, poeta e musicista. La sua famiglia viene braccata dai fascisti perché sinti, la madre Giovanna con la sorella Edvige vengono arrestate e uccise nel campo di concentramento di Bolzano. Riesce a salvarsi nascondendo la sua appartenenza alla Comunità sinta estrekárja bolzanina e si unisce, diciassettenne, ai partigiani in Val di Non con il nome di battaglia di Spatzo, passero in lingua sinta.
Giacomo Sacco
Partigiano combattente
Racconta Giacomo: “Mi catturarono con altre 17 persone mentre andavo a manghel. Al passo del Turchino ci liberarono i partigiani. Decisi di rimanere con i partigiani, per partecipare alla liberazione di Genova e lottare contro i fascisti e nazisti, condividendo gli ideali dei partigiani. Fui l’unico sinto della brigata e fui usato come staffetta. Venni a conoscenza di un altro sinto combattente che era un capo, visto che guidava gli attacchi.”
Giacomo Sacco
Partigiano combattente. Ha combattuto nella Divisione “Nannetti” in Friuli Venezia Giulia
Mirko Levak
Patriota. Scappato dal campo di concentramento si unisce ai partigiani in Istria e in Friuli Venezia Giulia
Fioravante Lucchesi
Partigiano combattente. Ha combattuto tra Modena e Bologna nella Divisione “Modena Armando”
Osiride Pevarello
Patriota. Operò tra Padova e Vicenza.
Archilio Pietro “Balino” Gabrielli
Patriota. Operò tra Vicenza e Belluno con il nome di “Piero”.
I Leoni di Breda Solini
Gruppo combattente formato unicamente da sinti italiani, fuggiti dal campo di concentramento di Prignano sul Secchia (MO), operò nel mantovano.
Spero che questo elenco possa aiutare l’ANPI a riconoscere in maniera adeguata l’apporto dato nella Resistenza dalle persone appartenenti alla minoranza e possa essere di stimolo alle Istituzione che devono finanziare la ricerca storica e alle Comunità sinte e rom a raccogliere le storie raccontate dalle nonne e dai nonni che vissero quegli anni tremendi.
Carlo Berini, Il Contributo di Rom e Sinti alla Liberazione, Movimento Kethane, 23 aprile 2020

Lanciano (Chieti) – Cerimonia di inaugurazione del monumento al Samudaripen – Fonte: Patria Indipendente

[…] «Certificato al Patriota. Nel nome dei governi e dei popoli delle Nazioni Unite ringraziamo Catter (1a) Giuseppe di Pasquale del 1913 di avere combattuto il nemico sui campi di battaglia militando nei ranghi dei patrioti tra quegli uomini che hanno portato le armi per il trionfo della libertà svolgendo operazioni offensive, compiendo atti di sabotaggio, fornendo informazioni militari. Col loro coraggio e la loro dedizione i patrioti italiani hanno contribuito validamente alla liberazione dell’Italia e alla grande causa di tutti gli uomini liberi. Nell’Italia rinata i possessori di questo attestato saranno acclamati come patrioti che hanno combattuto per l’onore e la libertà. H.R. Alexander Comandante supremo alleato delle forze nel Mediterraneo centrale »[2]
Giuseppe Catter (1a) faceva l’orologiaio e partecipò alla Resistenza nelle formazioni partigiane in Liguria con il nome di battaglia di Tarzan. Durante il rastrellamento nella Valle Arroscia le brigate nere lo catturarono portandolo ad Aurigo, un paese vicino ad Imperia, dove fu interrogato e ucciso con colpi di moschetto alla testa. «Morto all’età di ventuno anni il partigiano Tarzan, era uno zingaro»[3]
Emilio Levak detto Mirko, rom kalderash sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz. Durante un trasferimento da Auschwitz è autore di una fuga rocambolesca, in Italia l’incontro con i partigiani, poi la liberazione. Nato a Postumia il 25 marzo 1927 e morto a Venezia dove viveva da molti anni. Mirko viene catturato dai soldati tedeschi nel 1943, mentre con la famiglia fuggiva dalla furia degli ustascia di Pavelic che dal 1941 governavano la Croazia. Il regime di Pavlevic si è contraddistinto per la ferocia contro i Rom e i Sinti. Dopo la guerra ha girato tutto il Nord e il Centro Italia esercitando l’attività dei calderai. A ragazzi ed adulti ha raccontato cosa è stato il Porrajmos per i Rom e i Sinti italiani ed europei. La sua ultima testimonianza, su ciò che è stato il Porrajmos, è stata registrata nel giardino della sua casa a Venezia[4].
Vittorio Luigi Reinhart e Francesca Satori, due Sinti, ricordano che nascosero un partigiano braccato dai nazifascisti poi, scambiati per tedeschi dai partigiani, furono salvati proprio dal partigiano che avevano salvato e protetto. «Eravamo sotto un porticato in una casa colonica – dice Vittorio Luigi Reinhart – dove la gente ci conosceva. Questo uomo (partigiano) è venuto da noi a cercare rifugio, aveva paura e lo cercavano per ammazzarlo. Ci chiese di salvarlo e lo abbiamo nascosto sotto la paglia del porticato. Mio padre parlava il tedesco e quando arrivarono i soldati tedeschi convinse il comandante a dirigersi in altra direzione, mentre il partigiano era nascosto sotto la paglia. Così lo abbiamo salvato, poi se ne andò. Un giorno in un blocco ci fermarono i partigiani. Per il nostro cognome (Reinhart) ci scambiarono per tedeschi e ci hanno messo davanti a una buca quadrata dove c’erano già dei morti. Una cosa brutta e terribile. Tutti in fila pronti per essere ammazzati. Non ci cercavano perché zingari ma perché allertati dal nostro cognome tedesco e pensarono che fossimo delle spie. Poi arrivò un uomo gridando “fermi, fermi”, era il partigiano che salvammo e lui ci salvò a sua volta la vita. Il partigiano spiegò la vicenda poi furono tutti contenti. Ci hanno dato da mangiare del formaggio. Avevo 11-12 anni. Eravamo in Italia e ci siamo salvati per grazia di Dio».
«Il Sinto Giacomo Sacco partecipò alla liberazione di Genova. Il Sinto emiliano Fioravanti Lucchesi, cugino di Giacomo Debar detto Gnugo, fu partigiano e militò nella Divisione Modena Armando. Il Sinto Vittorio Mayer detto Spatzo, la cui famiglia fu deportata e internata, operò in Val di Non nel Trentino Alto Adige»[5]
Dopo le leggi razziali in Italia sorgono 25 campi di internamento e concentramento per Rom e Sinti. I campi vengono allestiti in tutto il territorio italiano: Novi Ligure, Bolzano, Gonars (Udine), Prignano sulla Secchia (Modena), Berra (Ferrara), Colfiorito, Tossicia Torino di Sangro, Agnone (Isernia), Boiano (Campobasso), Isole Tremiti, Ferramonti di Tarsia. In Sardegna: Lula, Urzulei, Bertigali, Ovadda, Talana, Loceri, Nerri, Posada, Laccru, Padria, Martis, Chiaramonti, Illorais, Perdasdefogu. Una banda di Sinti emiliani, i Leoni di Brenta Solini, fuggono dal campo di internamento di Prignano sul Secchia e incominciano ad operare «nel mantovano, proprio fra Brenta Solini e Rivarolo del Re (oggi Rivarolo Mantovano) e molti membri appartenevano alla famiglia di Gnugo, come padre Armando e suo zio Rus»[6].
[2] P. Petruzzelli, Non chiamarmi zingaro, Edit. Chiarelettere, 2008, p. 221
[3] P. Petruzzelli, Ivi, p. 222
[4] La testimonianza è in un doppio Dvd edito da Casa editrice A
[5] S. Spinelli, Rom, questi sconosciuti, Edit. Mimesis, 2016, p. 194
[6] S. Spinelli, Ivi, p. 194

Silvio Mengotto, La storia sconosciuta: i rom nella Resistenza, Il Nuovo Berlinese, 25 aprile 2016

(1a) Giuseppe Catter “Tarzan”. Nato a Cortemilia (CN) il 23 giugno 1923, appartenente alla 1^ brigata.
Viene catturato nel corso di un vasto rastrellamento il 9 agosto 1944 a Pian delle Basse (Colle di San Bartolomeo) mentre accorre in aiuto di Giuseppe Arrigo “Orano” rimasto accerchiato da una pattuglia nazifascista.
Tradotto in carcere, è fucilato il giorno stesso.
A Giuseppe Catter è intitolato un Distaccamento della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” – Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
ANPI Savona

Nell’Aprile del 1945 c’erano i tedeschi in ritirata. Molti sinti facevano i partigiani. Per esempio mio cugino Lucchesi Fioravante stava con la divisione Armando, ma anche molti di noi che facevano gli spettacoli durante il giorno, di notte andavano a portare via le armi ai tedeschi. Mio padre e lo zio Rus tornarono a casa nel 1945 e anche loro di notte si univano ad altri sinti per fare le azioni contro i tedeschi nella zona del mantovano fra Breda Solini e Rivarolo del Re (oggi Rivarolo Mantovano), dove giravano con il postone che il nonno aveva attrezzato. Erano quasi una leggenda e la gente del luogo li aveva soprannominati i «Leoni di Breda Solini»…
Questo è il racconto di Giacomo “Gnugo” De Bar, sinto emiliano, che bambino è stato rinchiuso con la sua famiglia nel campo di concentramento di Prignano sulla Secchia, in Provincia di Modena, nel settembre del 1940. Dopo l’8 settembre 1943, con l’armistizio, la sua famiglia riusci a fuggire dal campo di concentramento, insieme a tutte le altre famiglie sinte. E’ infatti dall’autunno del 1943 che in particolare sinti italiani, maggioritari nel Nord Italia, si danno alla macchia e si uniscono alle brigate partigiane.
Molte famiglie sinte e rom scappate dai campi di concentramento, nel Nord Italia vengono rastrellate e inviate verso il campo di concentramento di Bolzano per poi essere deportati in Germania e in Polonia. Alcune riescono a sfuggire ai rastrellamenti dei Carabinieri e delle Forze tedesche nascondendosi nelle campagne grazie all’aiuto delle famiglie contadine, come per esempio la famiglia di Candida “Bianca” Ornato, sinta mantovana.
Particolare è invece il caso della famiglia di Gnugo che riesce a riprende l’attività circense e con altri sinti costituisce la Formazione partigiana dei Leoni di Breda Solini che operò sul confine tra Mantova, Modena, Cremona e Reggio Emilia […]
Liberazione, sinti e rom partigiani, U Velto, 24 aprile 2014

Sinti e rom in tutta l’Europa occupata furono martiri e partigiani. In Italia i sinti e i rom, dopo l’8 settembre del 1943, fuggirono dai campi di concentramento dove erano reclusi dal settembre 1940. Molti vennero rastrellati dai fascisti e dai nazisti ed inviati nei campi di sterminio, ma alcuni riuscirono a nascondersi e a partecipare alla lotta partigiana anche a costo della propria vita. Questo pezzo di storia italiana è misconosciuta anche per il disinteresse dimostrato in questi anni dall’ANPI e dagli Istituti di Storia.
Nel mantovano si formò il battaglione “I Leoni di Breda Solini” formato unicamente da sinti italiani, fuggiti dal campo di concentramento di Prignano sul Secchia (MO), dove erano stati rinchiusi nel settembre 1940. Lo racconta Giacomo “Gnugo” De Bar (scomparso pochi mesi fa) nel suo libro “Strada, Patria Sinta”:
“Molti sinti facevano i partigiani. Per esempio mio cugino Lucchesi Fioravante stava con la divisione Armando, ma anche molti di noi che facevano gli spettacoli durante il giorno, di notte andavano a portare via le armi ai tedeschi. Mio padre e lo zio Rus tornarono a casa nel 1945 e anche loro di notte si univano ad altri sinti per fare le azioni contro i tedeschi nella zona del mantovano fra Breda Solini e Rivarolo del Re (oggi Rivarolo Mantovano), dove giravamo con il postone che il nonno aveva attrezzato. Erano quasi una leggenda e la gente dei paesi li aveva soprannominati «I Leoni di Breda Solini», forse anche per quella volta che avevano disarmato una pattuglia dell’avanguardia tedesca.”
Racconta ancora Gnugo:
“Erano entrati nel cuore della gente come eroi, anche per il fatto che usavano la violenza il minimo necessario, perché fra noi sinti non è mai esistita la volontà della guerra, l’istinto di uccidere un uomo solo perché è un nemico. Questo lo sapeva anche un fascista di Breda Solini che durante la Liberazione si era barricato in casa con un arsenale di armi, minacciando di fare fuoco a chiunque si avvicinasse o di uccidersi a sua volta facendo saltare tutta la casa: «Io mi arrendo solo ai Leoni di Breda Salini». Così andarono i miei, ai quali si arrese, ma venne poi preso in consegna lo stesso da altri partigiani, che lo rinchiusero in una cantina e lo picchiarono.”
Quella di Gnugo De Bar è una testimonianza per stimolare le stesse Istituzioni ad attivarsi per far conoscere e offrire spazi ai sinti anche nelle cerimonie ufficiali, perchè troppo spesso viene oscurato più o meno volontariamente l’apporto dato dai sinti e dai rom alla formazione dell’Italia.
25 APRILE: I PARTIGIANI SINTI DIMENTICATI, Radio Cora

Circolare del Ministero dell’Interno del Regno d’Italia a firma del capo della polizia Bocchini, che disponeva anche il rastrellamento degli zingari italiani ai fini di una loro “rigorosa vigilanza in località meglio adatta ciascuna provincia”

[…] La storia più nota, assai interessante e straordinaria per molti versi, è quella del piemontese Amilcare Debar, detto familiarmente Taro. Nato nel 1927, avendo perso entrambi i genitori, venne allevato con la sorellina in un orfanotrofio, dimenticando la propria origine zingara. Nel 1944, a 17 anni, si arruolò come staffetta partigiana e diventò poi combattente col nome di battaglia di Corsaro nella 48ª Brigata Garibaldi. L’Istituto piemontese per la Storia della Resistenza conserva una scheda a lui dedicata, nella quale si legge fra l’altro: «Figura molto valida. Un uomo naturalmente capo. Notevole la sua capacità di risolvere i problemi, da quelli quotidiani della sopravvivenza alimentare, alle decisioni operative di guerra». Taro ebbe modo di conoscere anche Sandro Pertini, che quarant’anni dopo lo riceverà in Quirinale con un gruppo di ex partigiani, riabbracciandolo calorosamente.

Dopo la Liberazione, Debar entrò in polizia, e fu proprio in veste di poliziotto che gli capitò, controllando i documenti di alcuni nomadi, di ritrovare i parenti perduti. Si riappropriò così della identità sinta, andò a vivere in un campo con la sua gente, adottandone i mestieri, impegnandosi nella difesa dei diritti del popolo Rom e Sinto e parlando a suo nome in varie riunioni internazionali, fra cui alle Nazioni Unite. Partigiano fino alla morte, che lo colse nel 2010 a 83 anni, Amilcare Debar ci ricorda che la Costituzione italiana, nata grazie anche al suo contributo e al sacrificio di tanti, recita all’art. 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». E che la Repubblica dovrebbe rimuovere tutto ciò che ostacola l’uguaglianza e limita la libertà […]
ROM e SINTI nella RESISTENZA, un Salto nel Tempo

[…] Le famiglie sinte scampate dalla deportazione nei campi di sterminio ma braccate dai repubblichini e dai nazisti furono aiutate da molti italiani anche nella Provincia di Mantova, in particolare dai contadini che li nascondevano nei fienili. I Sinti non solo si nascosero, per non subire la deportazione, ma parteciparono attivamente alla Guerra di Liberazione. Questo pezzo di storia italiana è misconosciuta anche per il disinteresse dimostrato in questi anni dall’ANPI. Nel mantovano si formò il battaglione “I Leoni di Breda Solini” formato unicamente da sinti italiani, fuggiti dal campo di concentramento di Prignano sul Secchia (MO), dove erano stati rinchiusi nel settembre 1940.
Lo racconta Giacomo “Gnugo” De Bar (in foto) nel suo libro “Strada, Patria Sinta”, edito da Fatatrac: “Molti sinti facevano i partigiani. Per esempio mio cugino Lucchesi Fioravante stava con la divisione Armando, ma anche molti di noi che facevano gli spettacoli durante il giorno, di notte andavano a portare via le armi ai tedeschi. Mio padre e lo zio Rus tornarono a casa nel 1945 e anche loro di notte si univano ad altri sinti per fare le azioni contro i tedeschi nella zona del mantovano fra Breda Salini e Rivarolo del Re (oggi Rivarolo Mantovano), dove giravamo con il postone che il nonno aveva attrezzato. Erano quasi una leggenda e la gente dei paesi li aveva soprannominati «I Leoni di Breda Solini», forse anche per quella volta che avevano disarmato una pattuglia dell’avanguardia tedesca.” Racconta ancora Gnugo: “Erano entrati nel cuore della gente come eroi, anche per il fatto che usavano la violenza il minimo necessario, perché fra noi sinti non è mai esistita la volontà della guerra, l’istinto di uccidere un uomo solo perché è un nemico. Questo lo sapeva anche un fascista di Breda Solini che durante la Liberazione si era barricato in casa con un arsenale di armi, minacciando di fare fuoco a chiunque si avvicinasse o di uccidersi a sua volta facendo saltare tutta la casa: «lo mi arrendo solo ai Leoni di Breda Salini». Così andarono i miei, ai quali si arrese, ma venne poi preso in consegna lo stesso da altri partigiani, che lo rinchiusero in una cantina e lo picchiarono.” Quella di Gnugo De Bar è una testimonianza per stimolare le stesse Istituzioni ad attivarsi per far conoscere e offrire spazi ai sinti anche nelle cerimonie ufficiali, perchè troppo spesso viene oscurato più o meno volontariamente l’apporto dato dai sinti alla formazione dell’Italia.
In ultimo il mio pensiero va oggi a Walter “Vampa” Catter, Lino Ercole Festini, Silvio Paina e Renato Mastin. Sono i martiri partigiani sinti, trucidati a Vicenza l’11 novembre 1944 […]
Carlo Berini, I “leoni di Breda Solini, SocialismoItaliano1892, 23 aprile 201