Il discioglimento della IV Armata e la Resistenza

[n.d.r.: la visita nel Nizzardo di Von Rundstedt (comandante tedesco in Francia) a fine luglio 1943 e le richieste di passaggio di truppe verso l’Italia del suo ufficiale di collegamento Heggenreiner il 1 agosto lasciarono sbigottiti i comandi italiani]
Il rapporto del comando d’armata con l’OKW, e genericamente con i comandi tedeschi del settore mediterraneo, erano stati fino allora non soltanto corretti ma anche cordiali, in quanto alcuni atti arbitrari tentati dalla Gestapo nella zona di competenza italiana erano stati stroncati dai nostri comandi con molta decisione, senza che mai i comandi della Wehrmacht fossero intervenuti a dar sostegno a tali organi di polizia. In più di un caso, anzi, i comandi della Wehrmacht avevano mostrato la loro soddisfazione perché il comando dell’armata italiana era intervenuto con tanta decisione contro elementi che, operando alle dirette dipendenze degli organi berlinesi, manifestavano una netta insofferenza per le direttive dei comandi militari. Specialmente cordiali erano, poi, i rapporti con il generale Felber, comandante del gruppo di divisioni settore del Mediterraneo, con il quale i contatti erano continui, per la identità del compito. Fu appunto il generale Felber che, al mattino del giorno seguente la comunicazione Heggenreiner, giunse a Mentone per un colloquio con il generale Vercellino. Il generale Felber espose la questione press’a poco nei seguenti termini: “Il comando tedesco annetteva la massima importanza al settore italiano e di conseguenza intendeva inviare a sostegno dell’alleato un certo numero delle sue migliori unità di riserva, tra cui due divisioni di paracadutisti.
E poiché risultava al comando tedesco che la zona di Genova, con il suo porto, aveva una difesa scarsamente consistente era stato concordato con il Comando supremo italiano l’invio in tale zona di un C.d.A su tre divisioni, mentre due divisioni di paracadutisti sarebbero state inviate a Firenze quale prima massa di manovra. Era, pertanto, necessario che il comando d’armata non frapponesse difficoltà dato che un movimento logistico di tale ampiezza non ammetteva sospensioni o rinvii. All’esposto del generale Felber il generale Vercellino rispose che era ben lieto che il comando alleato si fosse reso finalmente conto della necessità di dare il massimo aiuto all’Italia su cui si concentrava lo sforzo nemico, ma che gli alleati per ora si trovavano in Sicilia e non in misura di sbarcare a Genova, onde non si rendeva conto della richiesta di dislocare in Liguria un Corpo d’armata tedesco. Che, comunque, la decisione concerneva il Comando supremo italiano e che fino a che questo non avesse fatto conoscere la sua volontà, egli, come comandante di un’armata italiana, non avrebbe consentito al passaggio di altre forze nel suo territorio. Il generale Felber, come già il colonnello Heggenreiner, affermò che gli accordi esistevano e che essi sarebbero stati confermati, onde il generale Vercellino si assumeva una ben grave responsabilità nel dichiarare che si sarebbe opposto ai movimenti deliberati. Su questa dichiarazione il colloquio ebbe termine ed io, che vi ero stato presente, fui incaricato dal generale Vercellino di informare subito lo Stato maggiore di Roma a mezzo del telefono dotato di apparecchiatura contro le intercettazioni. Da Roma mi venne confermato che gli accordi cui accennava il generale Felber non esistevano (bisognerà aspettare il 15 agosto) e che di conseguenza veniva approvato il diniego del comando d’armata. Portata tale risposta al generale Vercellino, in quel momento a colazione con il generale Felber, la discussione (sia pure in forma riservata) riprese ed il comandante d’armata dichiarò esplicitamente che rifiutava il permesso di transito e che tale rifiuto sarebbe stato fatto rispettare anche con le armi. Nello stesso pomeriggio il comando dell’armata emanò disposizioni perché fossero impediti i movimenti delle forze tedesche che si stavano raccogliendo nei pressi di Tolone ai margini della linea di demarcazione tra i due settori e venne ordinato il caricamento di tutte le interruzioni ai valichi rotabili della fascia alpina. Dinanzi a tale atteggiamenti i tedeschi non si mossero. E fu gran male per noi perché l’armata, sia pure senza carri e senza artiglieria contraerea, aveva una propria solida struttura con le divisioni “Lupi di Toscana” e “Taro” in misura di far massa verso Tolone, mentre a tergo si poteva contare sulla divisione “Legnano” e la divisione celere “EFTF”. Contro tali unità i tedeschi potevano fare intervenire mezzi corazzati e motorizzati e segnatamente il gruppo bombardieri in picchiata di Saint Raphaèl, ma la slealtà tedesca, facilmente comprovabile, avrebbe eccitata la reazione italiana e forse influito sui militari della Wehrmacht di ceppo non germanico. Nella notte l’intero Stato maggiore operativo del comando d’armata rimase in attesa aspettando da Tolone e da Torino la comunicazione che le truppe tedesche avevano iniziato il movimento preavvisato. Giunse, invece, da Roma la comunicazione che in seguito ad accordi tra i due comandi supremi, quello italiano consentiva che un Corpo d’armata tedesco si portasse in Liguria e che “forze autotrasportate” (furono poi i paracadutisti) raggiungessero la zona di Firenze. […] Ogni tanto il colonnello Heggenreiner chiedeva qualche facilitazione: l’occupazione di una località, il controllo di una posizione, l’uso di una centrale di collegamento. Il comando dell’armata rifiutava e il Comando supremo autorizzava. Nel mese di agosto una fitta rete tedesca avvolse la Liguria: le forze italiane si trovarono circondate e chiuse da ogni parte e il generale Bancale, comandante del settore ligure, alle cui dipendenze erano state messe formalmente le forze tedesche, commentava la situazione dicendo: “Essi conoscono benissimo l’italiano quando si tratta di chiedere dati e notizie, ma lo ignorano quando debbono rispondere alle nostre richieste”. Intanto la consistenza delle forze italiane nel settore francese andava facendosi ogni giorno più leggera: la divisione Legnano venne intanto trasferita nell’Emilia per un successivo spostamento verso Sud (che ebbe seguito a cavallo del 8/9). La divisione “Lupi di Toscana” ricevette ordine di trasferirsi nel Lazio. La divisione Celere venne inviata nella zona di Torino dove le agitazioni operaie assumevano aspetto di ostilità al proseguimento della guerra. Fu circa in quel tempo che scrissi una lettera personale al colonnello Nurra, già capo di Stato maggiore del XXI C. d’A. ed allora addetto all’ufficio operazioni del Comando supremo, per prospettargli la convenienza di abbandonare la Francia per difendere con le nostre unità il Paese. La proposta, che probabilmente si incontrava con la decisione dell’autorità centrale, venne accettata e pervenne l’ordine di trasferire le forze italiane del settore francese nel Piemonte, quale massa di manovra, con l’eccezione di due divisioni costiere che dovevano mantenere il Nizzardo, zona di presunta rivendicazione italiana. L’ordine del Comando supremo era di cedere ordinatamente e regolarmente alle subentranti unità tedesche tutta l’organizzazione difensiva, dalle artiglierie costiere ai piani del fuoco, dalla rete dei collegamenti ai depositi di munizioni di preda bellica. Oggi, dopo la conoscenza dei fatti, mi spiego l’aria di diffidenza con la quale gli ufficiali di Stato maggiore tedeschi accoglievano le nostre illustrazioni del piano di resistenza realizzato, dei lavori attuati, del funzionamento dei vari servizi. 
Alessandro Trabucchi (1), I vinti hanno sempre torto, Castelvecchi, 1947

I soldati del “Comando Militare di Stazione” [di Nizza] manifestano l’intenzione di partire per l’Italia. Racconta il sottotenente Salvatore Bono, loro comandante in seconda: “Verso le 20,30, dovetti intervenire per convincerli che occorreva continuare a controllare lo snodo vitale nel quale prestavamo servizio ed ordinai l’armamento completo e lo stato d’allarme”. Richiese anche il rinforzo di una compagnia di fanteria. Già in agosto, dal suo osservatorio privilegiato, Bono aveva intuito che le cose non stavano andando per il verso giusto. Assieme ai reparti della 4a armata che abbandonavano il territorio francese occupato, si lasciavano transitare in direzione di Ventimiglia unità tedesche che penetravano in Italia sulla base di piani ben precisi. Verso le 21, incontra il sottotenente Guido Di Tanna, gli illustra le proprie preoccupazioni: “Stanotte avverrà qualcosa di grave”, afferma, e si lamenta dello scarso senso di responsabilità del Comando di Piazza. Il commilitone commenta “É ammirevole come il giovanissimo ufficiale avesse il senso esatto delle cose e la capacità di comportarsi di conseguenza”. Un paio d’ore dopo, in effetti, un commando di una sessantina di tedeschi provenienti, a piedi attraverso i binari, dal dipartimento del Var, giocando sull’effetto sorpresa, cerca di impadronirsi della stazione. Gli italiani, comandati dal capitano Breveglieri, tra soldati e carabinieri, non sono più di dieci. I tedeschi intimano la consegna delle armi, il capitano cerca di parlamentare con l’ufficiale comandante; dopo cinque minuti, interrompe la concitata quanto inutile discussione e impartisce ai suoi l’ordine “baionetta in canna!”. È il momento per Bono di passare all’azione, realizzando quanto aveva in mente sin dal 25 luglio.
Enzo Barnabà, ANPI Palermo, 22 luglio 2020

Tuttavia, una responsabilità particolarmente grave rispetto alla cattura di centinaia di migliaia di militari deve ricadere sulla condotta e sulle scelte della maggioranza degli ufficiali italiani preposti al comando di intere armate o di piazze militari fondamentali per il controllo del territorio. La loro condotta derivava da una cultura politico-militare, fortemente connotata da un autoritarismo conservatore ed antidemocratico e venata di rigurgiti antipopolari, che influì pesantemente sulle scelte compiute in quella fase.
In ciò l’atteggiamento della IV Armata può costituire un significativo esempio.
L’armata, comandata dal generale Vercellino e dislocata presso il confine franco-italiano, venne colta dall’armistizio mentre era in movimento verso la provincia di Cuneo <47. Dopo la consegna della memoria operativa 44, Vercellino non ricevette altre indicazioni dai comandi, così da avere la piena autonomia nelle decisioni sulla sorte dei suoi soldati. Il comandante diede quindi la libertà alle proprie truppe di indossare abiti civili, nonostante la sua fosse un’armata in piena efficienza, per poi far perdere le proprie tracce, dal nove settembre <48.
Alcuni dei “suoi” soldati ebbero poi il merito di costituire le prime formazioni armate nel Cuneese e nell’Astigiano, sfruttando anche l’abbandono delle casse dell’Armata, “imboscate”, con alterne fortune, nell’area delle Langhe <49.
Il comandante della piazza torinese, il generale Adami-Rossi, espresse una condotta ancor più vicina alle istanze dei comandi tedeschi. Nella serata del 10 settembre ordinò di ritirare le armi alle truppe presenti in città, compresi alcuni reparti provenienti dall’armata di Vercellino, consegnando la città al 2° reggimento della 1° Panzer-Grenadier-Division “Leibstandarte SS Adolf Hitler” del tenente colonnello Hugo Kraas, forte di appena 3000 uomini <50.
[NOTE]
47 Aga Rossi, Una Nazione, op. cit. pp. 142 e seg.
48 Ibidem.
49 Allegra, op. cit. pp. pp. 159-161.
50 Adduci, Gli altri, op. cit. p. 66.
Jacopo Calussi, Fascismo Repubblicano e Violenza. Le federazioni provinciali del PFR e la strategia di repressione dell’antifascismo (1943-1945), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Roma Tre, 2018

La 4a armata (generale Mario Vercellino dai compagni d’Accademia soprannominato Cervellino) presidiava un’area assai vasta: Provenza, Liguria, Savoia, Piemonte. Tre delle quattro divisioni mobili dell’armata erano in movimento dalla Provenza all’Italia. La sera dell’8 settembre a ora inoltrata il generale Vercellino ordinò che le truppe le quali avessero già oltrepassato il fiume Varo accelerassero il movimento di rientro in Italia e che i presidi della costa ligure si riunissero in gruppi più consistenti. Il comando si spostò – tutti i comandi erano stati presi dalla fregola degli spostamenti, in quelle ore cruciali – da Cuneo a Torino. Ma a quel punto l’armata si era polverizzata. Già la sera dell’8 settembre reparti motorizzati e corazzati tedeschi avevano ingiunto alle forze italiane sparse di collaborare o di lasciarsi disarmare.
Indro MontanelliMario Cervi, Storia d’Italia. L’Italia della guerra civile. Dall’8 settembre 1943 al 9 maggio 1946, Rizzoli, 1983

Boves (CN)

In Piemonte, all’indomani dell’8 settembre, vengono a realizzarsi una serie di circostanze che in breve tempo pongono la regione in una situazione alquanto particolare rispetto agli altri territori del nord Italia. La circostanza più densa di conseguenze sul piano militare, e poi su quello politico, è il ritiro della IV armata dalla Francia e il suo sbandamento in territorio cuneese. L’armata, comandata dal generale Mario Vercellino, era dislocata in Provenza con circa 150.000 uomini. Pochi giorni prima dell’armistizio il comando si stava preparando per il rientro in Italia, dovendo essere sostituita nell’occupazione della regione da un’armata tedesca. L’8 settembre coglie ufficiali e soldati di sorpresa, come accade del resto in ogni teatro operativo. La loro fortuna è trovarsi a pochi chilometri dall’Italia, per di più dalla regione, il Piemonte, dalla quale provenivano la maggior parte degli ufficiali e soldati e dove aveva sede il comando militare dell’armata. La ritirata in territorio piemontese non è però priva di ostacoli. Di diversi episodi di resistenza si rendono protagonisti gli alpini lungo la zona di confine: Grenoble, Chambery, al passo del Moncenisio e quello in cui fu protagonista l’11° reggimento Alpini del col. Domingo Fornara. A Nizza poi, solo la resistenza del presidio italiano in servizio alla stazione contribuisce ad agevolare il rientro dei soldati dell’armata in Italia. La ritirata comporta quindi un prezzo molto alto in termini umani e materiali, inquanto durante le operazioni di rientro diversi reparti vengono disarmati da parte dei tedeschi lungo tutta la costa azzurra e condotti nei campi di prigionia. Al momento del ritiro, la IV armata conta ancora centomila uomini, di cui circa 60.000 combattenti, sparsi tra la Provenza e la Liguria. La sera dell’8 settembre solo la II divisione celere è in territorio piemontese, presso Torino, mentre la divisione alpina “Pusteria” si trova parte in Savoia in marcia verso il Piemonte e parte a Ventimiglia. Con le forze presenti in Italia, il comando della IV armata tenta di creare una linea difensiva nella parte occidentale del Piemonte, dapprima coinvolgendo l’11° reggimento alpini nella valle Dora Riparia, a ovest di Torino, poi una volta giunta notizia della disfatta del reggimento, viene tentata una seconda linea di difesa utilizzando la II divisione celere (10 settembre). Ma, la rapidità dei movimenti tedeschi lungo i passi montani e nell’avvicinamento a Torino fanno decidere il comando a spostare la II divisione nella zona di Cuneo, mentre nello stesso pomeriggio del 10 Torino viene occupata dai tedeschi. Proprio l’occupazione del capoluogo e di altre città piemontesi induce Vercellino a sciogliere ciò che rimane dell’armata.
È il 12 settembre.
A questo punto i soldati si trovano senza guida.
Come abbiamo detto, molti dei militaridell’armata sono piemontesi, pertanto il ritorno alle proprie famiglie diventa possibile, ein alcuni casi auspicabile, dato il catastrofico momento che sta vivendo l’esercito, mabuona parte del resto dei soldati, tra cui anche alcuni ufficiali, è di origine meridionale. A questi è impedita ogni possibilità di un rapido rientro a casa, e sono pertanto costretti a rimanere in Piemonte, possibilmente nascosti. È il momento di decidere cosa fare, non solo per questi ultimi, che non hanno alternative tra consegnarsi ai tedeschi e restare in Piemonte, ma anche per gli stessi soldati di origine piemontese, per i quali un rientro a casa, seppur desiderato e possibile, comporterebbe dei rischi per sé e per le proprie famiglie. Se nella penisola la soluzione prevalente è il «tutti a casa», i “superstiti” della IV armata si trovano nella condizione di poter fare una sola scelta di fronte all’occupazione tedesca. Mentre i soldati e gli ufficiali piemontesi dell’armata si trovano già «a casa», i soldati meridionali sono costretti a seguire i propri ufficiali e accettare l’accoglienza della popolazione locale. […]
Pompeo Colajanni, “Barbato“, tenente del cavalleggeri a Cavour, dopo aver visto giungere gruppi di sbandati della IV armata la mattina del 9 e soldati in fuga dalla caserma di Pinerolo, che nel frattempo veniva circondata dai tedeschi, la sera del 10 raduna una quindicina di uomini, tutti meridionali, prende un camion e si dirige verso Barge, dove nella casa di Virginia e Ludovico Geymonat li attendono veterani e staffette del partito comunista di Torino. […] La presenza di militari, pur dotati di un certo spontaneismo sia militare che politico, non è però circostanza sufficiente allo sviluppo del movimento partigiano in provincia di Cuneo. È necessario individuare altri elementi che hanno permesso lo sviluppo di un’organizzazione partigiana continuativa in territorio occupato. Si possono considerare tre fattori principali: le circostanze dello sbandamento della IV armata, il territorio in cui esso si verifica e l’assenza di armate tedesche di grandi dimensioni dislocate nel Piemonte occidentale agli inizi di settembre.
I soldati della IV armata, rispetto ad altri contingenti italiani, hanno in primo luogo il vantaggio di essere già in fase di rientro verso l’Italia nei giorni immediatamente successivi all’armistizio. Per i tedeschi risulta più difficile attuare il disarmo e l’arresto di truppe che sono in viaggio, sparse su un territorio lungo centinaia di chilometri. […] L’aiuto si manifesta in forme diverse. Oltre a vestire di abiti civili i militari, la popolazione della provincia di Cuneo dà informazioni stradali, offre ospitalità temporanea che, in alcuni casi, si traduce in integrazione nel nucleo famigliare, presso cui diversi ex militari svolgono lavori nei campi o altro tipo di attività. […] La famigliarità del luogo è sicuramente un elemento coadiuvante per la formazione diun’organizzazione clandestina in territorio occupato. Dà il vantaggio sul nemico, il qualeè costretto a organizzarsi in brevissimo tempo e non può nell’immediato realizzare uncontrollo capillare del territorio a esclusione dei centri più grandi. Ne è un esempio il fatto che mentre città come Torino, Cuneo e Alba vengono occupate immediatamente dopo l’8 settembre, i tedeschi giungono a Boves solo il 19, e vi combatteranno per ben quattro giorni prima di espugnarla. Se diamo uno sguardo alla logistica delle forze tedesche in Italia alla vigilia dell’8 settembre, notiamo che le divisioni tedesche sono presenti in tutte le regioni italiane, o in aree direttamente confinanti, come ad esempio la parte orientale della penisola e del centro-nord, mentre nel nord-ovest, eccetto per la Liguria, dove stazionano tre divisioni, non sono presenti stabili truppe tedesche. In Piemonte sono tuttavia presenti gruppi non indivisionati e, in arrivo dalla Provenza, le divisioni tedesche dell’Armata comandata da von Runstedt, che andavano a sostituire i soldati della IV armata. Questa circostanza consente un certo margine di manovra per i soldati italiani scampati agli arresti, ma le scarse o contraddittorie comunicazioni tra i comandi centrali e quelli divisionali periferici non consente una rapida riorganizzazione delle truppe italiane ancora in movimento. Sul piano storico, notiamo inoltre un’altra singolarità del caso cuneese. Si realizza una continuità tra disciolto regio esercito e movimento armato di resistenza. Ovunque, infatti, i militari italiani vengono disarmati e deportati, se non sterminati, dalle truppe tedesche, che in poche ore occupano tutto il territorio italiano non ancora conquistato dagli Alleati.[…] I contadini manifestano una favorevole accoglienza sia verso gli sbandati dell’armata, che verso i prigionieri alleati fuggiti, anche se per certi versi il loro comportamento è ambiguo: da una parte, aiutano i militari perché riconosciuti come vittime di uno statu quo che essi stessi rifiutano, ma dall’altra hanno difficoltà ad aiutare coloro che, uscendo da questa condizione, diventano avversari attivi di quello statu quo, cioè la guerra, l’occupazione tedesca, il fascismo. […] Anche in presenza di queste circostanze, che hanno concorso ad agevolare la sopravvivenza di molti militari, il movimento partigiano non avrebbe potuto svilupparsi se alla fase di dispersione e arroccamento nelle zone montuose del cuneese occidentale, non fosse seguito il momento organizzativo e di iniziativa militare, che avrebbe dato di lì a poco un forte segnale politico al CLN piemontese. Lo spontaneismo di questi gruppi di ex militari che, in diversi casi, seguendo i propri ufficiali, fuggono dai tedeschi e si rifugiano tra le vallate alpine sarà l’elemento distintivo del fronte resistenziale ancor prima che si verifichino i collegamenti con gli organi politici centrali. Alcuni di questi soldati andrà a ingrossare le file delle brigate autonome, dove si concentrano il maggior numero di ex militari, ma molti soldati si trovano, anche in virtù delle circostanze, a entrare nei ranghi delle formazioni garibaldine […] Se la formazione spontanea di piccoli gruppi di resistenti, a partire dal settembre ’43, rappresenta un successo dal punto di vista politico, tuttavia il loro potenziale bellico è molto basso. La mancanza di coordinamento e di un aiuto dal Fronte Nazionale di Liberazione di Torino si fa sentire dalle prime settimane. Il nucleo di Boves è il primo ad essere colpito. Il 19 settembre infatti, le SS tedesche rastrellano la zona e assediano la città; gli scontri durano quattro giorni e si concludono con la dispersione della banda, “l’uccisione di 57 civili e l’incendio di 417 case”. Questo episodio e le notizie relative alla formazione di numerosi gruppi in tutto il Piemonte, convince il Fronte ad accelerare la costituzione del Comitato di Liberazione Regionale, che a fine settembre acquisisce funzioni politiche e militari. In questo modo, l’elemento politico, il FNL divenuto CLN, e l’elemento militare, ciò che rimane della IV armata e di altre unità dell’esercito, costituiscono il nucleo, la base del futuro movimento resistenziale. Lo spontaneismo delle prime bande (fatti di Boves, banda di “Barbato” e quella di “Italia Libera”) verrà raccolto dal CLN di Torino come stimolo ad una rapida organizzazione delle forze in campo.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Facoltà Lettere e Filosofia, Corso di laurea magistrale in Storia e civiltà, Anno Accademico 2012-13

Il gruppo di partigiani con cui militò Nicola Monaco – Fonte: Silvio Masullo, Op. cit. infra

Nicola Monaco era stato assegnato inizialmente al 54° Reggimento fanteria Novara del Regio esercito, in forza alla seconda Divisione di fanteria Sforzesca, ospitata nella città piemontese. La Divisione, che traeva origine dalla Brigata Umbria, aveva incorporato a partire dall’aprile del 1939 anche il 53° Reggimento fanteria e il 17° Reggimento artiglieria.
[…] L’armistizio provoca anche il dissolvimento dell’apparato statale e del Regio esercito, con gli ufficiali colti di sorpresa, senza istruzioni, e decine di migliaia di soldati letteralmente allo sbando. Il 259° Reggimento, nel quale militava Nicola, si scioglierà il 14 settembre. Due giorni prima il generale Vercellino, comandante della IV armata, ne aveva proclamato lo scioglimento. Lo sfacelo della IV armata, che con le truppe naziste aveva partecipato alle azioni di guerra contro la Francia ed all’occupazione della parte meridionale, aveva provocato un vero e proprio esodo dei militari che, attraverso i valichi alpini, si erano dispersi tra la Liguria e il Piemonte. Il pericolo imminente l’arresto da parte dei nazisti e la deportazione nei lager. Mario Donadei descrive in maniera efficace gli sbandati che rientravano dalla Francia, dilagando su tutta la provincia di Cuneo e in particolare l’entrata in Chiusa Pesio.
“Viaggiavano a bordo di autocarri stipati di materiale e di provviste e appena giunti in paese ne iniziarono la vendita alla popolazione, per procurarsi abiti borghesi e denaro con cui proseguire la fuga. Con loro giunsero le prime voci allarmanti sulla sorte dei militari italiani che cadevano in mano tedesca” <5.
Il riferimento alla quarta armata risulta necessario, perché tra i suoi ufficiali in fuga dalla Francia, 2° Reggimento genio, figurava il sottotenente Raffaele Monaco, nato a Sacco l’11 gennaio 1916. Raffaele, laureato in giurisprudenza, era figlio di Teodosio e di Emilia Zoccoli.
In questo marasma, nella provincia granda di Cuneo nel quale prendono piede le prime forme di resistenza, si riabbracceranno i cugini Monaco.
Non ci sono dubbi sulla vicinanza umana e sulla collaborazione militare dei cugini; lo testimonia la comune appartenenza alle formazioni autonome, il territorio presidiato, testimonianze e documentazione. Non sappiamo, invece, se i sacchesi abbiano avuto l’occasione di ritrovarsi. Infatti anche Giuseppe Dente era approdato a Cuneo, la città Medaglia d’oro per la resistenza, per i tanti eroi, i caduti, i deportati, i sacrifici delle sue popolazioni. Stessa provincia, ma circa 60 chilometri di distanza dai territori d’influenza delle bande partigiane di appartenenza. Giuseppe Dente, che era nato a Sacco il 16 dicembre 1922, aveva aderito in data 17 aprile 1944 alle brigate di Giustizia e libertà, con il nome di battaglia di Peppe, come si apprende dalla banca dati del partigianato dell’Istituto piemontese per la storia della resistenza <6. Dalla stessa fonte si apprende che Nicola Monaco, nome di battaglia Nicola, aveva scelto i combattenti autonomi di Mauri l’11 settembre 1943, pochi giorni dopo l’armistizio, con tre successivi passaggi al loro interno. Il primo fino al 22 febbraio 1944, con alcuni mesi trascorsi nella seconda divisione Langhe (dal 20 giugno al 3 ottobre 1944), ed infine nella prima divisione Langhe.
[NOTE]
5 Mario Donadei, Cronache partigiane. La banda di Valle Pesio, Edizioni L’Arciere Cuneo, 1973, p. 11.
6 http://intranet.istoreto.it/partigianato/
Silvio Masullo, Il paese dei partigiani in Sacco e Saccàritudini. Il partigiano Nicola Monaco e altri sacchesi, Comune di Sacco (SA), 2015

Il comando militare regionale piemontese sfila alla Liberazione in piazza Vittorio Veneto a Torino; primo a destra il generale Alessandro Trabucchi – Fonte: La Resistenza tradita cit. infra

<1 Istruzioni impartite alla vigilia del 26 aprile dal generale Trabucchi quale comandante regionale e della piazza di Torino del Corpo dei Volontari della Libertà. Queste istruzioni sono pubblicate dall’Ufficio storico per la guerra di Liberazione, a cura della Presidenza del Consiglio:
a) i Ministri di Stato, i sottosegretari di Stato, i prefetti, i segretari federali, «in carica dopo l’8 settembre 1943», sono già stati condannati a morte per intesa col nemico e opera diretta a colpire le forze armate del governo legittimo. Di conseguenza sarà per questi sufficiente l’accertamento della identità personale per ordinarne l’esecuzione capitale;
b) nei riguardi di coloro che hanno portato le armi a favore dello straniero contro le forze armate legittime sarà sufficiente stabilire l’appartenenza dell’imputato dopo l’8 settembre 1943 a qualsiasi formazione volontaria, (brigate nere, formazioni Muti, X Flottiglia MAS, raggruppamento brigate cacciatori delle Alpi e degli Appennini, S.S. italiane, milizie speciali indossanti la camicia nera, ecc. ecc.) per pronunciare condanna alla esecuzione senza diritto ad inoltrare domanda di grazia;
c) nei riguardi delle spie dovrà essere accertata la consistenza del capo d’accusa ed emessa sentenza in conseguenza;
d) infine il tribunale di guerra potrà anche giudicare quel personale che, come i direttori della stampa fascista, dopo l’8 settembre 1943, abbia favorito le forze naziste nell’opera di repressione e di rappresaglia arrecando gravi danni alla Nazione. Anche qui per questi crimini sarà pronunciata e fatta immediatamente eseguire la sentenza capitale.
Redazione, Gli ordini del comando regionale piemontese del CVL, La Resistenza tradita, 1 aprile 2015