Il Giappone non vuole disturbare l’Italia, ma anzi desidera accordarsi con essa e collaborare

Tokio nei primi anni ’30

Di lì a poche settimane dalla partenza di Marconi da Tokyo alla volta di Dairen, un evento della politica nazionale giapponese ossia le dimissioni di Matsuoka Yosuke dal partito Seiyukai, fornirono all’ambasciatore Auriti il pretesto per avvicinare personalmente il politico giapponese, colui che alcuni mesi prima, aveva assunto l’iniziativa di avvicinare la delegazione italiana a Ginevra nella persona di Pompeo Aloisi. In un rapporto del 28 dicembre 1933, il capo-missione italiano da Tokyo comunicava a Roma:
“Il signor Matsuoka, già capo della delegazione giapponese alla Società delle nazioni per la questione della Manciuria, si è dimesso da membro del partito Seiyukai e da deputato al parlamento, annunciando in pari tempo la sostituzione della Lega per abolizione dei partiti politici. […] Ho domandato di conoscere e visitare il signor Matsuoka. Vi sono stato indotto dall’importanza che deriva val suo atto tanto dalla sua autorità quanto dalla delicatezza del momento politico. Il signor Matsuoka ha grande prestigio così per la sua intelligenza ed energia come per i suoi legami con i militari e con i nazionalisti, che sono ora i più forti e sembrano decisi a voler mutare il corso della politica interna dello stato, liberandola dai residui influssi della democrazia e della massoneria e avviandola decisamente alla costituzione d’un governo che fatti rispettare i principi d’autorità d’ordine e di disciplina si proponga servire gli interessi non dei partiti bensì della nazione; di lui si parla come del futuro ministro degli Affari Esteri di tale governo. Per di più sapevo, da quanto il signor Matsuoka aveva detto e scritto dopo essere stato ricevuto l’anno scorso da V.E. e da quanto aveva confidato a comuni conoscenti, ch’egli era un profondo ammiratore dell’E.V. e del Fascismo. Il signor Matsuoka, che mi ha ricevuto assai cortesemente e mi ha promesso sarebbe in seguito venuto da me per restituirmi la visita e informarmi sul corso ulteriore degli avvenimenti, mi ha confermato le notizie della stampa giapponese sul suo conto. Egli esclude la possibilità di guerra tra il Giappone e l’America o altri stati, pur riconoscendo la necessità per il suo paese di armarsi quanto occorra per essere preparato a qualunque evento. Ma quale che sia la politica che così all’estero come all’interno voglia qui farsi, la prima condizione fondamentale e urgente è, secondo lui, la costituzione di un governo forte, libero dai ceppi dei partiti politici e dai relativi interessi particolari. La presente situazione è qui invece questa: un governo, con un presidente del consiglio più che ottantenne e due altri ministri vecchi come lui, che costretto a patteggiamenti e concessioni verso i partiti politici non ha né il vigore spirituale né la possibilità materiale di provvedere a porre termine al grave malcontento della nazione il quale va crescendo e potrebbe un giorno esplodere. […] Occorre costituire un governo di cinque o dieci uomini, retti e risoluti, ai quali spetterà poi scegliere tra loro il capo. Questo governo dovrà essere formato da giovani, ponendo così termine al loro malcontento e dando loro modo di far valere le proprie idee per la soluzione della presente grave situazione. Se lo si considerasse utile al paese, egli sarebbe disposto a partecipare a tale governo, ma non sa se non sia già relativamente troppo avanti negli anni, come non sa se si trovi nella stessa sua condizione il ministro delle guerra generale Araki (che da molti è considerato futuro presidente del consiglio <154). […] Le dichiarazioni che il signor Matsuoka mi ha fatte, e che ho qui sopra riassunte, mi hanno impressionato più che per il loro contenuto per la loro forma: il mio interlocutore le esponeva con tono pacato di uomo che ha molto pensato e fermamente deciso. Maggiore impressione però mi ha egli fatto quando è venuto a parlare di V.E. e del Fascismo. Non ho mai udito dire dall’E. V. quello ch’egli ha detto e nel modo in cui l’ha detto. So bene però che nel valutare le espressioni del signor Matsuoka devo tener presente che egli, pur essendo stato diplomatico pur essendo persona di coltura come appare anche dalla sua perfetta conoscenza dell’inglese e pur mostrandosi sotto molti aspetti uomo moderno, è nato in estremo oriente e dà a vedere con le frequenti allusioni al buddismo e al confucianesimo di credere in quelle religioni o quanto meno di accettarne molti principi valendosene nelle sue concezioni del mondo esterno. Il signor Matsuoka, ripetendomi che purtroppo la particolari condizioni del Giappone impedivano si potesse applicare ad esso i principi del Fascismo, ha aggiunto che tuttavia da questo movimento e dai suoi risultati anche il Giappone trae beneficio per l’efficace esempio che gli è dato da noi, e che di ciò esso dev’esserci riconoscente. Ma le più calde frasi di ammirazione il signor Matsuoka le ha avute per l’E.V., che considera come il più grande uomo di stato. Mi ha detto che la prima ragione della grandezza di V.E. e della sua popolarità dipende dall’avere l’ E. V. annientato il “self”, cioè direi la coscienza personale e che, come già egli affermò dopo l’udienza avuta in Roma, V.E. è l’uomo che vive con Dio. Assai strane possono parere a orecchie occidentali simili parole, e tali anzi da non suonare lode, ché per noi la coscienza delle nostre azioni è prima condizione del loro valore morale. Ma la spiegazione di tali concetti si trova quando si rammenti che il buddismo insegna: distruggete la coscienza; e la realtà, cioè l’assoluto, diviene conoscibile. Il signor Matsuoka nell’espormi quei suoi pensieri aveva uno sguardo così grave e una voce così profonda che il colloquio mi rimarrà indimenticabile.” <155.
Se dunque l’ambasciatore Auriti, sulla scia del successo diplomatico seguito alla vista a Tokyo di Guglielmo Marconi, riteneva appropriata una visita ad uno dei maggiori leaders della destra militarista giapponese, di lì a poco meno di un mese, il 1934 si aprì con un’imbarazzante empasse provocata da un articolo scritto per il “Popolo d’Italia” proprio dal Duce <156 dal titolo “Estremo Oriente”. Di seguito, alcuni dei passi cruciali, di quella che era in sostanza, la personale visione geopolitica dell’Asia orientale di Mussolini:
“Il discorso pronunciato da Litvinov a Mosca il 29 dicembre (1933, N.d.C.), è il campanello d’allarme per la situazione dell’estremo oriente. Siamo dinanzi a un discorso bellicoso e chiaramente diretto contro un eventuale nemico ad occidente ed un nemico probabile a oriente. Si possono anche identificare: trattasi della Germania e del Giappone. Il Commissario agli affari esteri dei soviet ha annunciato che le “forze militari dei soviet sono in continuo aumento”, che la “URSS potrebbe far perdere a qualsiasi aggressore la voglia di ripetere un tentativo di attacco”. Parlando del Giappone Litvinov ha dichiarato che “la politica del Giappone rappresenta attualmente la più oscura nube sull’orizzonte politico internazionale”. Le relazioni tra i due Stati si mantennero normali sino al giorno in cui il Giappone “intraprese le sue operazioni militari in Manciuria”. “Noi, – dichiara Litvinov – non potevamo non vedere in queste operazioni la violazione da parte giapponese di un complesso di obblighi che esso aveva da tempo accettato, in base ad accordi internazionali. Il Governo giapponese spiegava queste operazioni con ragioni che non spiegavano nulla e non convincevano nessuno”, L’atto di accusa contro la recente politica giapponese è esplicito. Litvinov, proseguendo, nel suo discorso accusa il Giappone di avere violato l’accordo di Washington, il patto della Società delle Nazioni, il patto Kellog, il trattato di Portsmouth, confermato dall’accordo di Pechino. Il Litvinov illustra le violenze compiute dai Giapponesi, la lesione ai diritti russi sulla ferrovia dell’Est Cinese, l’adunata di truppe al confine russo verso il Manciù-Kuo. Il Litvinov parla di una “vera e propria minaccia ai confini” e spiega, quindi che la Russia si è trovata costretta a prendere le necessarie contromisure di ordine militare, mentre il Giappone o meglio i suoi “avventurieri militari” hanno fatto male i loro calcoli in quanto che il Giappone è isolato ed osteggiato anche da quel mondo capitalistico che non ama l’ U.R.S.S. Due eserciti si fronteggiano dunque alla frontiera fra Russia e Manciuria: il pericolo di guerra esiste. Ma questo evento non interessa soltanto Russia e Giappone: esso coinvolge la Cina e gli Stati Uniti, ma direttamente e indirettamente anche l’Inghilterra, la Francia, l’Italia , l’Olanda. […] Si può benissimo prevedere una Cina che raggiunga nei prossimi tempi una sua forte e centralizzata unità statale che ponga termine all’eterno guerrigliare dei generali in cerca di gloria o piuttosto di personali fortune; che dia una coesione alle innumeri masse, anche un complesso di forze militari, che dal punto di vista del numero sarebbero imponenti. E’ mia convinzione che il cinese inquadrato e allenato, può diventare un buon soldato. Ora l’avvenire della civiltà e della razza bianca nell’estremo oriente, la sorte del Pacifico dipende dal compito che la Cina si assumerà nel corso del secolo: si può pensare ad una Cina in funzione antigiapponese? E per quanto tempo? Non è assurdo avanzare altre ipotesi e fra le altre anche quella di un accordo fra la Cina e il Giappone. Chi può escludere che questo accordo non sarebbe in funzione anti-europea e anti-americana? La Cina è in diritto di sentirsi amaramente delusa per quanto le è accaduto. L’Europa è rimasta assente, la Società delle nazioni ha rivelato – sia pure con un rapporto e l’invio di una Commissione – la sua impotenza, […] tutte le grandi Potenze dell’occidente tormentate dalle loro crisi interne economiche e politiche, si sono rassegnate al fatto compiuto. […] La verità è che il Giappone non è più vincolato da accordi di ordine internazionale, ed ha le mani libere sia per la pace come per la guerra. La scelta dipende da lui. La pressione della cosidetta opinione pubblica internazionale, non ha alcuna influenza su un popolo dalla psicologia chiusa e militare qual’ è quella giapponese, e su classi dirigenti che credono nello spirito guerriero come alla più alta espressione della virtù di una razza. […] Non v’è dubbio che in questi ultimi tempi, abbiamo assistito ad una svolta di una incalcolabile portata nella storia dell’Asia. Oriente ed occidente: eterno motivo della storia universale! L’oriente si è avvicinato a noi così bruscamente che ne sentiamo il contatto come una minaccia. Il cannone che tuonava in Manciuria rintronava in Europa, con una immediatezza singolare. Sembrava straordinariamente vicino. Qualcuno, nel frattempo, ha rimesso a nuovo la tesi del “pericolo giallo”. La tesi ha oggi un aspetto molto meno paradossale di quando fu annunciata alcuni decenni or sono. Non esiste oggi un pericolo giallo di ordine militare-politico, esiste una aspra concorrenza giapponese su tutti i mercati del mondo, compresi gli europei. Il “pericolo giallo” sarà sempre una fantasia, a condizione che le grandi Potenze dell’occidente bianco realizzino la loro collaborazione politica, a condizione che si tenti una “mediazione” non nel senso volgare della parola, fra i due tipi di civiltà. Io pensavo a questo, nel discorso che rivolsi recentemente agli studenti asiatici riuniti in Congresso a Roma. Pensavo ad un incontro sistematico, a una collaborazione metodica dell’occidente con l’oriente e soprattutto ad una più profonda conoscenza reciproca fra le classi universitarie, veicolo e strumento per una intesa migliore fra i popoli. Roma come già fece nel suo passato millenario può assolvere questo compito delicato e di somma importanza, facilitato dalla mirabile rapidità delle odierne comunicazioni che ha reso in un senso “tascabile l’intero globo terracqueo.”. <157
Le considerazioni conclusive dell’articolo sul “pericolo giallo” ma anche un’argomentazione che presentava una Cina permeabile ad un’azione “civilizzatrice (“E’ mia convinzione che il cinese inquadrato e allenato, può diventare un buon soldato” ), in opposizione ad un Giappone conquistatore avido e incapace di assestarsi sui limiti posti dagli accordi internazionali, il cui unico linguaggio sembrava essere quello della forza militare, non poterono non spingere la diplomazia nipponica a chiedere spiegazioni, a quello stesso Governo italiano il cui geniale emissario Guglielmo Marconi era stato descritto dalla stampa giapponese come “benefattore dell’umanità”, poco più di due mesi prima. L’ incontro chiarificatore tra Mussolini e l’ambasciatore giapponese, avvenne a Roma il 26 gennaio 1934, alla presenza anche di Suvich che così ne riassunse l’andamento:
“Richiama l’attenzione del Capo di Governo sulla ripercussione che ha avuto nel suo Paese il recente articolo del Capo di Governo stesso intitolato “Estremo Oriente”. Nel Giappone, legato da vecchia e salda amicizia con l’Italia ed ove l’ammirazione per il fascismo e il Capo di Governo è generale, si è avuta l’impressione che tale articolo non rispondesse allo spirito di sincera amicizia che ha presieduto sempre alle relazioni fra i due Paesi. Il Capo del Governo riesaminando il suo articolo non vede per quale ragione il Giappone possa sentirsi diminuito o leso dalle dichiarazioni contenute nell’articolo stesso. Egli anzi osserva che l’articolo fa larga parte di lodi e di espressioni ammirative per le qualità del popolo giapponese. Il Capo del Governo conferma che egli ammira sinceramente lo spirito di iniziativa, di disciplina e di organizzazione e lo spirito militare e di sacrificio che anima il popolo giapponese. L’Ambasciatore del Giappone è molto grato per queste dichiarazioni, ma non può non rilevare che alcune delle frasi dell’articolo in esame fanno sorgere il dubbio sulle buone intenzioni del Giappone. Si parla in un punto che il Giappone può agire senza essere più legato da Patti internazionali. Ora il Giappone ha sottoscritto i Patti internazionali e vuole mantenerli. Il capo del Governo risponde che prima di tutto il Giappone è uscito dalla Società delle Nazioni e quindi si è sottratto ad alcuni vincoli a cui sono sottoposti gli altri nel campo internazionale. In secondo luogo poi questi vincoli valgono fino ad un certo punto: quando sono in ballo le necessità vitali dei popoli questi sono portati fatalmente ad assicurarsi la più ampia libertà di azione. L’osservazione era fatta a proposito del Giappone, ma avrebbe potuto farsi a proposito di qualunque altro popolo. L’Ambasciatore del Giappone osserva ancora che la frase ad esempio dove si parla della possibilità di un attacco del Giappone contro la Russia o di ulteriori conquiste in Cina, non è atta a mettere in buona luce le intenzioni giapponesi. Il Capo del Governo risponde che si tratta di ipotesi e che le ipotesi sono libere a tutti; d’altra parte in un altro punto dell’articolo egli fa l’ipotesi che il Giappone possa accordarsi con la Cina. L’Ambasciatore insiste sul fatto che l’impressione che si trae da questa frase è il Giappone sia uno Stato militarista ed abbia la cattiva intenzione di fare la guerra, mentre egli può assicurare che le intenzioni del Giappone sono pacifiche e che lo stesso non intende aggredire né la Cina né la Russia. Il capo del Governo si compiace per tale dichiarazione e non può non rilevare con soddisfazione che il suo articolo ha servito a provocarla. Egli osserva poi che attribuire ad una Nazione l’eventualità di dover fare una guerra non è attribuirle delle cattive né delle buone intenzioni; si tratta di fatalità. L’On. Suvich osserva che negli ultimi decenni il Giappone ha fatto tre grandi guerra: quella cino-giapponese, quella russo-giapponese e la guerra mondiale. L’Ambasciatore osserva che queste sono guerre difensive. Il Capo del Governo ritiene che il concetto di difensiva sia molto labile; nessuno ammetterà mai di aver fatto una guerra offensiva. D’altra parte va rilevato che anche nel recente conflitto per il Manchukuò, il Giappone ha portato le sue truppe nel territorio altrui ed anche oltre la Grande Muraglia. L’Ambasciatore insiste sul fatto che tutte le azioni militari fatte dal Giappone hanno carattere difensivo. Il capo del Governo ritiene che sia una questione da lasciare insoluta. Comunque egli riafferma che l’articolo non ha nulla di offensivo per il Giappone e che anzi il Giappone dovrebbe essere soddisfatto per gli apprezzamenti benevoli che si fanno sullo stesso. L’Ambasciatore spera che la piccola nube creata da questo articolo scomparirà e ad ogni modo ringrazia il capo del Governo per le dichiarazioni fatte.” <158.
L’episodio si concluse con un esito sfavorevole per la controparte giapponese, vista la decisione di sostituire l’ambasciatore Matsushima; tuttavia a diplomazia nipponica decise di usufruire anche dei media, per poter rimediare al meglio l’immagine ufficiale delle relazioni diplomatiche con una nazione europea per il cui prestigio, valeva la pena sminuire ogni motivo di attrito. Ne dà conferma un telegramma che il Sottosegretario agli Esteri Suvich trasmise il 29 gennaio all’ambasciata di Tokyo dopo il colloquio del Duce con l’ambasciatore Matsushima:
“Comunicazione Ambasciatore Giapponese ai giornalisti esteri. Ambasciatore Giappone si è recato ieri fare visita relativamente Signor Mussolini e gli ha fatto amichevoli rappresentazioni relativamente articolo […] Estremo Oriente […] Signor Mussolini ha spiegato motivi che l’hanno spinto scrivere questo articolo […] Due uomini di Stato indi discussero loro rispettivi punti vista […] Atmosfera colloquio è stata completamente cordiale […] Giornali 29 corrente hanno poi pubblicato nostra nota ufficiosa seguente: “In relazione voci diffuse da una parte stampa estera su un passo diplomatico Giappone a Roma relativamente articolo Capo del Governo […] Estremo Oriente […], risulta soltanto che ha avuto luogo cordiale conversazione nella quale Capo del Governo ha illustrato Ambasciatore Giappone punto di vista già esposto in quell’articolo […]”159.
Nel giro di pochi giorni, persino l’ambasciata italiana a Varsavia era nella posizione di poter confermare a Roma quanto i Giapponesi tenessero a mantenere le relazioni diplomatiche tra i due Paesi, su di un tono del tutto positivo. Il telegramma inviato a Roma dall’ambasciatore italiano in Polonia era datato al 1 febbraio, solo due giorni dopo quello di Suvich a Tokio che come si è visto, confermava la versione ufficiale che la stampa giapponese avrebbe diffuso sull’episodio:
“Il nuovo Ministro del Giappone, Sig. Nabobumi Ito, che ha presentato nei giorni scorsi le credenziali, è venuto a farmi la sua prima visita Egli si è intrattenuto lungamente con me sulle diverse questioni internazionali e mi ha parlato infine dei rapporti fra Italia e Giappone prendendo lo spunto dall’articolo di S.E. il Capo del Governo, il quale – mi disse – aveva prodotto in Giappone una grande impressione. Il Giappone – egli mi ha detto – ha da tempo per l’Italia e per il Duce una viva e cordiale ammirazione anche perché i due popoli si rassomigliano molto sia nei problemi che devono affrontare, sia nell’impegno che mettono a risolverli. Il fatto che il Giappone con le sue esportazioni abbia raggiunto – come io gli ho fatto notare – anche i mercati mediterranei-, non deve modificare i rapporti fra i due Paesi. Per quanto il mondo sia in crisi, fra due popoli che si stimano e si comprendono, si può fare un accordo per delimitare i rispettivi campi di azione e collaborare sinceramente. Lo sforzo dell’Italia fascista e i suoi sviluppi degli ultimi anni danno all’Italia dei diritti che nessuno può misconoscere ed il Giappone meno di qualunque altro. Il fatto che il suo Paese sia in grado di esportare prodotti perfetti, in grande quantità ed a prezzi bassi deriva dalla tenacia del popolo giapponese e dalla sua particolare educazione politico-religiosa che nel campo del lavoro, ad esempio, è nettamente agli antipodi col concetto edonistico europeo. Per noi, ha aggiunto, il lavoro è dovere ed il maggior lavoro è un onore, quindi le limitazioni alle ore lavorative, le settimane di trenta ore, le ferie obbligate e molti altri principi della legislazione operaia europea, in Giappone non sono comprese né richieste. La massa operaia giapponese guarda con sospetto quegli agitatori che in suo nome a Tochio o altrove fanno richieste del genere. La perfezione raggiunta dalla produzione industriale giapponese è frutto di lunghi studi compiuti da un esercito di osservatori che si sono specializzati in molti anni di fatica presso le industrie europee e americane. Ha conchiuso ripetendo che il Giappone non vuole disturbare l’Italia, ma anzi desidera accordarsi con essa e collaborare” <160.
L’intento conciliatore è evidente, ma forse più interessanti sono i cenni dell’ambasciatore giapponese a Varsavia alle “similitudini” fra i due Paesi come pure ai “rispettivi campi d’azione” da definire dopo l’appunto dell’interlocutore italiano sul fatto che le esportazioni giapponesi avevano ormai raggiunto i mercati mediterranei. Ancora: in cosa il Giappone non voleva “disturbare l’Italia” arrivando invece alla cooperazione di cui si parlava in chiusura? Nessuno dei due ambasciatori lo disse chiaramente, ma è altamente probabile che entrambi alludessero all’Etiopia. Se come già accennato la penetrazione giapponese del mercato etiope, fosse questione conosciuta dalla diplomazia fascista, la presenza tra i documenti dell’Archivio storico-diplomatico, ovvero di un intero fascicolo intitolato “Giappone e Etiopia” <161 conferma come a partire da quell’anno, l’attenzione italiana si stesse concentrando sulle attività economiche nipponiche nell’Africa orientale. In sostanza, il dossier comprende una raccolta di rapporti prodotti tanto dalle rappresentanze italiane in Africa al Cairo e Addis Abeba, come pure in qualche caso dall’ambasciata a Tokyo, ma in particolare dallo stesso Ministero degli Affari Esteri che li inoltrava al Ministero delle Colonie, a quello delle Corporazioni, all’Istituto Nazionale per le Esportazioni, alla Direzione Generale Affari Economici e infine alle due Legazioni africane più vicine. L’ambasciatore Auriti, da parte sua, aveva iniziato ad aggiornare Roma sui rapporti nippo-etiopi non solo prima della visita a Matsuoka ma anche precedentemente all’arrivo di Marconi a Tokyo. In data 15 novembre 1933 il Ministero ritrasmise infatti un telegramma dell’ambasciata di Tokio in cui si dava notizia sui riscontri che sarebbero seguiti agli scambi economici col Corno d’Africa:
“In merito all’oggetto indicato la R. Ambasciata a Tokio con telegramma in data 8 corrente ha ulteriormente riferito quanto segue:
“Nel pubblicare la notizia di importanti concessioni che Governo etiopico starebbe accordando ai giapponesi per incitarne emigrazione colà, stampa locale dà ampia diffusione a telegramma da Londra secondo cui attività giapponese in quelle regioni avrebbe provocato risentimento del R. Governo. A questo Ministero degli Affari esteri mi si afferma di non sapere nulla di tali concessioni che costituirebbero eventualmente affare di indole provata.” <162.
Nella medesima data, arrivarono a Roma altri due dispacci sull’argomento. Il primo, proveniente dalla rappresentanza al Cairo, conteneva “copia di un estratto della “Bourse egyptienne” del Cairo in data 23 ottobre nel quale è riprodotta una intervista concessa dal Ministro degli Affari Esteri etiopico Blatinghietà Herni circa le concessioni terriere ai giapponesi in Etiopia” <163
mentre il secondo trasmetteva
“un riassunto delle dichiarazioni fatte dal rappresentante del Giappone alla Commissione Consultiva dell’Oppio a Ginevra, circa le notizie pubblicate dalla stampa in merito alla concessioni agricole che sarebbero state ottenute dal Giappone in Etiopia.” <164.
Da parte sua, il 18 novembre Roma il Ministero inviò il seguente telegramma:
“Per opportuna conoscenza si informa che, nel corso di una conversazione privata recentemente avuta a Ginevra dal Marchese A. THEODOLI, presidente della Commissione Permanente dei mandati, col Signor Sakenobe, membro giapponese della Commissione medesima, questo ultimo ebbe a dichiarare, in via confidenziale, che l’Imperatore d’Etiopia aveva fatto sondare il terreno a Tokio per conoscere se S.M. il Mikado sarebbe eventualmente stato disposto a concedere una delle proprie figlie in moglie al principe ereditario Asfau Wossen. A tale proposta, sebbene non molto accetta alla Corte giapponese, non sarebbe stato tuttavia risposto con un esplicito rifiuto: ed il Governo abissino, allo scopo di rendere la proposta più gradita, l’avrebbe accompagnata dalle seguenti offerte di concessioni: 1.600.000 acri per la coltivazione del cotone- l’esclusività della coltivazione del papavero – il permesso di immigrazione illimitata in Etiopia. Avendo il marchese THEODOLI chiesto che sarebbe stato l’eventuale titolare della prima e della seconda concessione e in quale misura il Giappone avrebbe approfittato di queste facilitazioni, il Sig. Sakenobe, senza dare una risposta concreta sul primo punto, ha osservato, circa il secondo, che il Giappone ha in questo momento questioni di tale gravità altrove, che difficilmente potrà pensare seriamente per ora all’Etiopia.” <165.
Alla conclusione dell’anno, in data 29 dicembre 1933, il Ministero ritrasmetteva due importanti aggiornamenti sulla natura istituzionale dei rapporti nippo-etiopi, provenienti l’una dall’ambasciata di Tokyo e l’altra da quella di Londra:
“A seguito di precedenti comunicazioni circa l’oggetto indicato si trascrive il seguente tele espresso in data 30 novembre u.s. della R. Ambasciata in Tokio:
“Per quanto concerne l’istituzione di una legazione giapponese in Addis Abeba, comunico che questo Ministero degli Affari Esteri ha, tempo fa, richiesto al Ministero delle Finanze i fondi necessari per l’istituzione di cui si tratta; la richiesta è stata però respinta per ragioni di bilancio. La questione rimane pertanto in sospeso né, d’altronde, è qui considerata urgente.” <166.
Le notizie da Londra dello stesso giorno, facevano invece chiarezza sull’entità delle concessioni agricole di cui si aveva avuto notizia il mese precedente
“Penetrazione giapponese in Etiopia. La R. Ambasciata a Londra (tenuta da Dino Grandi, N.d.C) in data 19 dicembre riferisce quanto segue: “Notizie da Tokio confermano la segnalazione relativa all’acquisto da parte del Giappone di una grande concessione in Abissinia per la coltivazione del cotone. Secondo il “Morning Post”, il Signor T. Kitakawa, reduce dall’Abissinia, avrebbe dichiarato di avere ottenuto una concessione di 1.500.000 “acres” (circa 300000 ettari) e che il Governo Etiopico avrebbe autorizzato di coltivarvi il cotone.
Nei circoli ufficiali di Tokio, sarebbe inoltre stato dichiarato, secondo lo stesso giornale, che simili concessione non possono considerarsi in violazione del trattato del 1906 concluso tra l’Inghilterra, la Francia e l’Italia.-“167.
Il 10 febbraio 1934 il Ministero ritrasmetteva gli aggiornamenti giunti poco prima da Addis Abeba sulla natura della concessione agricola ottenuta dai Giapponesi in Etiopia e sul probabile tipo sfruttamento di quei terreni:
“Si trascrive il seguente tele stresso in data 19 gennaio della R. legazione in Addis Abeba, con preghiera di voler riferire circa l’esattezza della notizia in esso contenuta:
“Un informatore mi ha riferito che a questo ufficio stupefacenti britannico è giunta notizia che giapponesi hanno iniziato largo smercio di droghe bianche in Abissinia. S. E. T. Russell Pascià da me interpellato in argomento mi ha confermato la notizia accennandosi anche alla possibilità che i giapponesi di detto commercio di avvalgono a fine politico.” <168.
Un rapporto del 15 marzo riprendeva invece le notizie sull’eventualità di un matrimonio che saldasse ulteriormente scambi economici e diplomatici tra Giappone ed Etiopia:
“A seguito precedenti comunicazioni sull’argomento si ha il pregio di trascrivere quanto riferisce la R. legazione in Addis Abeba con telegramma in data 7 marzo uc.: “Questo Ministro degli Esteri mi ha segnalato articolo Mario Pigli si “Azione coloniale” che parla fra l’altro del progetto di matrimonio del “Principe Ereditario d’Etiopia” con una Principessa giapponese, pregandomi di fare smentire ufficialmente la notizia. […] (si tratta effettivamente del matrimonio del notabile abissino Lig Arais con la figlia del Visconte Kuroda <169). Mi ha poi dichiarato che le voci corse sulle trattative col Giappone erano del tutto inesatte. Non ci sarebbe, secondo Blata Herui, che un semplice trattato di amicizia, come quelli che l’Etiopia ha con altre potenze. Mi ha negato le concessioni e l’immigrazione giapponese. […] Ha preteso persino affermare che il commercio giapponese è qui ora in ribasso. Alle mie affermazioni in contrario non ha più saputo che rispondere ed ha girata la conversazione. Malgrado tali dichiarazioni del Blattingheta Herui confermo le informazioni che sull’argomento ho precedentemente trasmesso”. <170.
Il successivo datato al 27 marzo menzionava l’eventualità di poter ricorrere alla stampa per diffondere in Giappone propaganda favorevole all’Etiopia:
“In data 23 febbraio c.a. il R° Ministro in Etiopia ha comunicato quanto segue: “Il Sig. S. Najo, corrispondente dei giornali The Osaka Mainichi e The Tokio Nichi Nichi, ha dato il I° febbraio un grande banchetto al quale sono stati invitati i principali dignitari, ministri e direttori generali del Governo etiopico “allo scopo di approfondire i rapporti di conoscenza e di amicizia fra Etiopici e Giapponesi”. […] Alla fine del convito Najo pronunziò in inglese in discorso nel quale mise in rilievo che la Società che egli rappresenta è proprietaria dei giornali Osaka Mainichi, con un tiraggio di 1.500.000 copie, The Tokio Nichi Nichi, con un tiraggio di 1.000.000 copie; dello English Daily Newspaper di Osaka che si stampa in 100.000 esemplari, di una rivista settimanale, di una rivista economica quindicinale, di un giornale mensile per i ciechi ecc. […] L’oratore ha istituito un raffronto tra l’evoluzione giapponese e quella etiopica, esprimendo la sua fiducia nel rapido progresso di quest’ultimo paese, che cui ha esaltato le “special elegant spirti (sic) of invincible and unconquerable nation”. Rispondendo all’accusa che alcuni ambienti Abissini fanno ai Giapponesi di vender molto, ma di non comprar nulla in Etiopia, ha detto che la scarsità degli acquisti dipendono dalla poca conoscenza che i Giapponesi hanno dell’Abissinia e dei suoi prodotti: ha promesso di fare tutto il possibile per presentare l’Abissinia al Giappone, attraverso una campagna che egli aprirà nei diffusissimi giornali che rappresenta. Il 14 febbraio egli è partito insieme con altri Giapponesi per il lago Zuài e per il Sidamo, per visitare l’interno etiopico e per rendersi conto delle possibilità di coltura in quella fertile zona. Prima di partire è stato ricevuto dall’Imperatore: si dice che lo abbia consigliato a difendere con energia gli interessi dell’Etiopia, e che gli abbia dichiarato che in caso di conflitto il Giappone potrebbe fornire agli Abissini aeroplani e gas asfissianti. Lig Araià ha scelto come fidanzata la figlia del Visconte Kuroda. Pare che il padre verrà prossimamente in Abissinia per le nozze. Intanto, il 7 corrente, è giunto ad Addis Abeba il sig. Kanegafuchi, rappresentante di una fabbrica di cotonate che ha una posizione preponderante sul mercato etiopico, e , precisamente, della “Kanegafuchi Spinning Company Ltd” <171.
Val la pena seguire nel dettaglio, lo svolgimento degli eventi nella corrispondenza italiana nella quale sono esposti i risultati delle indagini condotte delle autorità diplomatiche di Roma, dalle quali era emerso come la diplomazia giapponese, vista la cordialità degli scambi con i diplomatici italiani, intendesse mantenere una posizione di equidistanza relativamente il contesto etiope. Il telegramma inviato dal Ministero in data 3 aprile 1934 alle istituzioni interessate, iniziava a menzionare accordi militari, oltre a quelli economici:
“Il Regio Ministro in Addis Abeba in data 23 febbraio us. Riferisce quanto segue: ”Segnalo con ogni riserva la voce secondo la quale fra l’Ambasciatore del Giappone e il Ministro d’Etiopia a Parigi sarebbe stato firmato un accordo segreto di cui s’ignorano la clausole, ma che potrebbe avere per oggetto un’intesa militare. Questo accordo non dovrebbe essere sottoposto alla Società delle Nazioni, perché il Giappone non ne fa più parte”. Questo Regio Ministero prega la Regia Ambasciata a Tokio e Parigi di voler svolgere riservate indagini allo scopo di poter possibilmente controllare l’informazione di cui trattasi.” <172.
Sul versante giapponese, un interessante sguardo su come parte almeno della pubblica opinione considerasse il ruolo dell’Etiopia nelle relazioni fra le potenze europee viene dalla traduzione di un articolo del giornale “Nichi Nichi” del 5 aprile, fatta pervenire dall’Addetto militare, Frattini, allegata ad un rapporto redatto il 14 aprile:
“L’Etiopia è teatro di complicate rivalità di interessi fra le potenze. Le notizie circa l’improvvisa interruzione delle già bene avviate trattative per il matrimonio di un principe etiopico con la figlia di un nobile giapponese, interruzione dovuta alle manovre di una “certa potenza”, hanno ravvivato l’interesse del pubblico in generale per questo lontano paese. Le notizie circa le manovre di questa “certa potenza” nel caso in questione attendono ancora conferma; con l’occasione, può però riuscir utile e interessante, lo studiare gli effetti e le reazioni che si verificano in Etiopia in seguito alla contrastante attività delle potenze europee in tale paese. L’Italia, una di queste potenze, che ora sembra tutta e unicamente intesa alla ricostruzione e riorganizzazione interna e ai problemi europei, si propone in realtà un fine di larga espansione oltremare, espansione da raggiungersi dopo aver ultimata, a sua completa soddisfazione, la sistemazione interna in tutti i campi. L’Italia, con l’occhio destro mira all’Africa e col sinistro all’Asia. Un’idea dei piani che l’Italia si propone, si è potuta avere al congresso degli studenti asiatici tenuto a Roma, verso la fine dello scorso dicembre. In seguito a tale congresso venne fondata la federazione fra gli studenti asiatici con sede in Roma, il che dimostra quali ampie mire si proponga l’azione di Mussolini nei riguardi dell’Asia. Molto più importante è però l’azione politica dell’Italia nei riguardi dell’Africa. Tale azione si sviluppa principalmente in tre direzioni. La prima e la più importante, partendo da Tripoli punta verso l’interno: e verso l’interno dell’Africa le truppe italiane hanno durante questi ultimi anni, svolto un’attività molto intensa ed energica, cosicché i fini che la cosìdetta “pacificazione” si proponeva possono ritenersi in gran parte raggiunti. La seconda linea di espansione è quella che tende verso Tunisi, possedimento francese confinante ad ovest con la Libia italiana. In Tunisia gli Italiani, approfittando della scarsezza della popolazione francese, si sono infiltrati in gran numero, dilagando per tutto il paese, cosicché essi sono ora in numero pressoché pari con i residenti francesi. L’ambizione italiana di ritogliere Tunisi alla Francia si è rivelata parecchie volte durante trattative diplomatiche in Europa e questa è una delle cause di antagonismo tra le due nazioni. Finalmente la terza via di espansione mira all’Etiopia. In Etiopia la rete di interessi delle potenze europee è piuttosto complicata. L’Inghilterra, la più antica e la più potente delle nazioni colonizzatrici africane, svolge la sua azione avendo come base d’operazioni il confinante Egitto; la Francia fa perno sul suo possedimento di Gibuti che costituisce l’unico sbocco al mare per la nazione Etiopica; l’Italia, sempre pronta a cogliere tutte le occasioni che si potessero presentare, attende, solidamente sistemata nei suoi possedimenti di confine. Delle tre potenze, la Francia, grazie ai lunghi anni di azione tenace e costante è quella che occupa la posizione più favorevole; essa, come si è detto possiede col porto di Gibuti e con la ferrovia tra Gibuti e la capitale dell’Etiopia, Addis Abeba, l’unico sbocco al mare dell’Etiopia stessa; la maggior parte del capitale della banca nazionale d’Etiopia poi, è stato fornito dalla Francia. Queste tre potenze, e l’Italia in modo tutto particolare, non possono quindi vedere di buon occhio l’intromettersi di una nuova nazione in questo già troppo complicato conflitto d’interessi. E’ così accaduto che, quando, tempo fa, un giapponese cercò di ottenere in Etiopia una concessione di terreni per iniziare la coltivazione del cotone, non poté attuare i suoi piani, in seguito, a quanto si dice, all’azione contraria svolta dall’Italia, con l’appoggio dell’Inghilterra e della Francia”. <173
I Giapponesi dunque, parallelamente alle indagini italiane, mostravano di esser in grado di definire con chiarezza le mire dell’Italia in quella parte dell’Africa orientale. Di lì a pochi giorni, il 14 aprile, Auriti evidenziò in un suo rapporto come la questione del matrimonio tra la figlia del Visconte Kuroda e l’alto dignitario etiope si saldava a quella della collaborazione militare:
“La R. legazione a Tokio in data 1 corrente ha telegrafato quanto segue: “Stampa giapponese mette in particolare rilievo notizia telegrafata al giornale “Nichi Nichi” da suo corrispondente Addis Abeba secondo la quale intervento italiano impedirebbe effettuazione progettato matrimonio fra principe etiopico e signorina giapponese. Ministro degli Affari esteri etiopico avrebbe informato Rappresentante diplomatico a Roma che fidanzamento è stato annullato.”
Questo Regio Ministero in data 6 corrente ha risposto col telegramma seguente: “ V.E: vorrà, nella forma che crederà più opportuna, nettamente smentire che da parte italiana vi sia stata interferenza di qualsiasi genere in questione progettato matrimonio fra principe etiopico e signorina giapponese. Per sua norma aggiungasi che corrispondente Addis Abeba giornale “Nichi Nichi” è certo Najo, il quale svolge colà attiva azione tendente rafforzare nazionalismo etiopico; egli avrebbe fra l’altro dichiarato all’Imperatore in udienza concessagli, che Giappone in caso conflitto fornirebbe all’Etiopia aeroplani e gas asfissianti”.
In pari tempo questo R. Ministero ha provveduto a comunicare i due telegrammi sopratrascritto alla R. Legazione in Addis Abeba aggiungendo quanto segue:
“Anche V.S. potrà costà smentire, ove lo ritenga del caso, nostra interferenza in proposito. Riterrei in ogni modo opportuno che V.S. attiri l’attenzione codesto Governo su falsità notizia telegrafata dal Sig. Najo, la quale da un lato mira a intorbidire buoni rapporti italo-etiopici, e dall’altro ferisce orgoglio di codesto Governo facendolo apparire pronto (…) pretesi nostri passi” <174.
A confermare come nei rapporti nippo-etiopi, l’interesse italiano venisse recepito come una sgradita “ingerenza”, tornano di nuovo utili i rapporti dell’Addetto militare Frattini che lo stesso giorno, il 14 aprile, scrisse
[…] La questione nippo-etiope sembrò giungere ad una conclusione di lì a pochi giorni, in data 28 novembre, nel corso dell’incontro con il Sottosegretario Suvich per la presentazione delle credenziali del nuovo ambasciatore giapponese a Roma Sugimura Yotaro, del quale val la pena tener presente il precedente incarico, ossia quello di Vice Segretario Generale della Società delle Nazioni sin dal 1926, in sostanza, il vice di Drummond durante tutta la discussione ginevrina sulla questione mancese.
[…] Come conferma lo scambio di fine novembre tra Suvich a Sugimura, la preoccupazione italiana per il dinamismo giapponese verso l’’ Etiopia e gli articoli anti-italiani comparsi su di alcuni giornali nipponici non intaccarono seriamente i buoni rapporti reciproci. Come anzi si vedrà, il colloquio tra il nuovo ambasciatore giapponese e il Sottosegretario italiano va visto come una conclusione del tutto coerente, di una serie di scambi che, dopo la visita di Marconi in Giappone e nonostante l’empasse creata dall’articolo del Duce sul “Popolo d’Italia”, erano proseguiti con una certa linearità. A Tokyo, nella primavera del 1934, Matsuoka aveva deciso di restituire la visita all’ambasciatore Auriti […]
[NOTE]
154 Dopo il breve periodo in cui tenne l’incarico di Ministro della Guerra dall’aprile al dicembre del 1931, nel periodo in cui si verificò l’incidente di Mukden, il Generale Araki riuscì ad ottenere un altro incarico come Ministro solo nel maggio del 1938, quando venne nominato Ministro per l’Istruzione, dicastero tenuto fino ad agosto del 1939.
155 Telespresso n. 1239/655 da ambasciatore Auriti, Tokyo a Ministero Affari Esteri, Roma, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Rapporti politici”.
156 Telegramma n. 541 P.R. da ambasciatore Auriti, Tokyo a Ministero Affari Esteri, Roma, in data 20 gennaio 1934; telegramma n. 756 P.R. da ambasciatore Auriti, Tokyo a Ministero Affari Esteri, Roma, in data 27 gennaio 1943; telegramma n. 804 P.R. da ambasciatore Auriti, Tokyo a Ministero Affari Esteri, Roma, in data 28 gennaio 1934, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Rapporti politici”
157 ASMAE, Affari politici 1931-1945, (Giappone), b. 6, fasc. “Rapporti politici”.
158 DDI, Settima serie, vol. XIV, pp. 702-703.
159 Telegramma n. 163 R. da Sottosegretario Suvich, Ministero Affari Esteri, Roma, ad ambasciata Tokyo, in data 29 gennaio 1934, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Rapporti politici”.
160 ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Rapporti politici”.
161 ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopa-1934”.
162 Telespresso n. 234087, da ambasciatore Auriti, Tokyo, a Regio Ministero Affari Esteri, in data 8 novembre 1933, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
163 Telespresso n. 234089 da Ministero Affari Esteri, Roma, a Ministero delle Colonie Ministero delle Corporazioni, ambasciata a Londra, ambasciata a Parigi, ambasciata a Washington, ambasciata a Tokyo, ambasciata ad Addis Abeba, istituto nazionale Esportazione, Direzione generale Affari Economici, Direzione Generale Affari Politici, in data 15 novembre 1933, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
164 Telespresso n. 234159 da Ministero Affari Esteri, Roma, a Ministero delle Colonie Ministero delle Corporazioni, ambasciata a Londra, ambasciata a Parigi, ambasciata a Washington, ambasciata a Tokyo, ambasciata ad Addis Abeba, istituto nazionale Esportazione, Direzione generale Affari Economici, Direzione Generale Affari Politici, in data 15 novembre 1933, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
165 Telespresso n. 234439 da Ministero Affari Esteri, Roma, a Ministero delle Colonie Ministero delle Corporazioni, ambasciata a Londra, ambasciata a Parigi, ambasciata a Washington, ambasciata a Tokyo, ambasciata ad Addis Abeba, istituto nazionale Esportazione, Direzione generale Affari Economici, Direzione Generale Affari Politici, in data 15 novembre 1933, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
166 Telespresso n. 238752 da Ministero Affari Esteri, Roma, a Ministero delle Colonie Ministero delle Corporazioni, ambasciata a Londra, ambasciata a Parigi, ambasciata a Washington, ambasciata a Tokyo, ambasciata ad Addis Abeba, istituto nazionale Esportazione, Direzione generale Affari Economici, Direzione Generale Affari Politici, in data 15 novembre 1933, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
167 Telespresso n. 238754 da Ministero Affari Esteri, Roma, a Ministero delle Colonie Ministero delle Corporazioni, ambasciata a Londra, ambasciata a Parigi, ambasciata a Washington, ambasciata a Tokyo, ambasciata ad Addis Abeba, istituto nazionale Esportazione, Direzione generale Affari Economici, Direzione Generale Affari Politici, in data 15 novembre 1933, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
168 Telespresso n. 204713 da Regia legazione in Addis Abeba a Ministero delle Colonia, Ministero delle Corporazioni, ambasciata di Tokyo, ambasciata di Londra, ambasciata di Parigi, in Roma, in data 10 febbraio 1934, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
169 …
170 Telespresso n. 208685, da Legazione in Addis Abeba, a Ministero delle Colonia, Ministero delle Corporazioni, ambasciate di Parigi, Londra, Tokyo, legazione al Cairo, Direzione Affari politici, Uff. IV°, Direzione generale Affari Economici, in data 15 marzo 1934, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
171 Telespresso n. 210040, dal Ministro in Etiopia a Ministero delle Colonia, Ministero delle Corporazioni, ambasciate a Parigi, Londra, Tokyo, Cairo, Direzione Generale Affari Politici, Uff. IV°, Direzione Generale Affari Economici, in data 27 marzo 1933, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
172 Telespresso n. 210856, da Ministro ad Addis Abeba a Ministero delle Colonie, ambasciate a Parigi, Londra, Tokyo, Cairo, Direzione Generale Affari Politici, Uff. IV°, in data 3 aprile 1934, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
173 Rapporto n. 1380, da Addetto Militare Enrico Frattini, Tokyo, a Ministero Affari Esteri, Roma in data 14 aprile 1933, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
174 Telespresso n. 212242, da ambasciatore Auriti, Tokyo, a Ministero degli Esteri, Roma, in data 1 aprile 1934, in ASMAE, Affari politici (1931-1945), Giappone, b. 6, fasc. “Giappone e Etiopia”.
Silvia Zanlorenzi, Diplomazia e alleanza tra Italia e Giappone negli Anni Trenta del Secolo Breve, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2014/2015