Il governo non vuole che si parli dei condannati politici

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“Mi hanno dato un giornale da dirigere. Non so come abbia fatto ad accettare. La redazione riunita è stata incaricata dai proprietari di scegliersi un direttore. E mi trovo mescolato alle passioni politiche. La catastrofe è avvenuta nella nota atmosfera italiana, incapace di dramma. La vita italiana ha un po’ di dramma tutti i giorni, mai la tragedia. Il 25 luglio, molta ragazzaglia per la strada, devastazioni di uffici, furti di macchine da scrivere negli uffici, e degli orologi e delle maniglie negli autobus. Ma c’erano donne del popolo, quelle che soffrono tutta la vita, vive e veramente felici per un giorno. Una, a Campo dei Fiori, con un bandierone tricolore, gridava, ed era veramente la libertà, qualcosa di luminoso che saliva dalla sua sofferenza di povera donna. Una madre portava sulla strada un suo bambino in fasce, dicendo: «Voglio che respiri quest’aria anche lui». Alle carceri c’era molta folla tra la polizia perplessa, che intanto aveva buttato i distintivi dei berretti. I condannati politici uscivano coi loro fagotti; le facce pallide, un poco gonfie, come fossero stati bolliti, cotti dalla prigionia. La folla, come aveva acclamato per venti anni, ora insultava i suoi idoli. Trascinavano sculture di personaggi sul selciato, legati a una corda, e non sono sicuro che non fosse per appropriarsi del bronzo. È stato come un grosso pettegolezzo, una gran risata in cui trovasse soddisfazione un sentimento simile a un’invidia trattenuta un pezzo, e per così gran tempo che alla fine non era più una gioia soddisfarla” <1.
La citazione è lunga ma illuminante e descrive magistralmente le reazioni della cittadinanza romana all’annuncio delle dimissioni di Mussolini. Lo sguardo di Corrado Alvaro si sofferma sulla «ragazzaglia per la strada», sulle «donne del popolo» e più in generale sulla «folla»; nel cono di luce entrano anche le forze dell’ordine («la polizia perplessa») e i detenuti politici, con i loro volti «cotti dalla prigionia». Chi osserva la scena è uno scrittore affermato e un giornalista esperto; un uomo colto e sensibile, che per indole ed esperienza di vita non è incline ai facili entusiasmi. Nella rappresentazione s’avverte un sentimento di commozione e di umana partecipazione ma altre note sembrano prevalere: ironia, disillusione, disincanto.
È con tale disposizione d’animo che Alvaro si apprestava a dirigere «Il Popolo di Roma», succedendo a Guido Baroni che l’aveva firmato fino al 25 luglio 1943. Non si trattava dell’unico avvicendamento ai vertici dei giornali romani: ad agosto (e fino al 13 settembre) alla guida de «Il Giornale d’Italia» tornava il suo fondatore Alberto Bergamini; dal 27 luglio ai primi di settembre «La Tribuna» venne posto sotto la tutela del suo amministratore Giovanni Armenise; in quanto a «Il Messaggero» la direzione della testata – dopo il breve interim (28 luglio-3 agosto) del proprietario Pio Perrone – venne affidata a Tomaso Smith. Smith, che apparteneva alla vecchia guardia del “Messaggero” (vi aveva lavorato fino al 1922), firmerà come ‘direttore responsabile’ fino al 12 settembre 1943. Durante i suoi quaranta giorni al comando agirà con estrema prudenza, garantendo continuità di firma ad alcuni dei redattori già in forza al giornale e, al tempo stesso, aprendo – o riaprendo – le porte a collaborazioni più qualificanti e di ‘rottura’. Il 5 agosto Gino de Sanctis firma in prima pagina un articolo dall’eloquente titolo “Rieducarsi al coraggio”, mentre in terza troviamo un intervento di Rosso di San Secondo, una poesia di Trilussa, un articolo a firma ‘f.g.’ su Guido Calogero (ma quest’ultimo appare anche come autore l’8 agosto); il 12 agosto viene pubblicata in prima pagina – di spalla – una lettera al direttore di Mario Alicata, ma in terza – accanto ad articoli di Emanuele Orano e Alfredo De Donno – compare anche una nota di indignazione per la «selvaggia incursione anglo-americana del 19 luglio su Roma». Altre firme arrivano o tornano: Antonio Piccone Stella (15 ago.), Panfilo Gentile, Piero Scarpa, Luigi Colacicchi, Raffaello Morghen (19 ago.), Vincenzo Talarico e F. Paolo Giordani (26 ago.), Giovanni Conti (31 ago.). Il 2 settembre, in terza pagina, un futuro protagonista della scena politica non solo romana, Guglielmo Giannini, pubblica un articolo dal titolo “Del fascistico antifascismo”; il 9 agosto scrivono Arturo Labriola, ancora Piccone Stella, Renzo Rossellini.
Sarà tuttavia Alvaro a realizzare il miglior prodotto editoriale. Il suo ingresso a «Il Popolo di Roma», avviene per gradi: fino al 25 luglio (domenica) il giornale è firmato da Guido Baroni <2; il numero del lunedì esce senza firma ma il 27 ne vengono stampate due edizioni, la prima con l’indicazione ‘Agostino Bava redattore responsabile’, la seconda recante l’annuncio della nomina di Alvaro ed il suo primo editoriale, “Tornare uomini liberi”. In apertura di terza pagina un elzeviro di G. B. Angioletti (Uscita di operai) ed una recensione siglata F.P. [Francesco Piccolo] all’ultimo romanzo di Guido Piovene (La Gazzetta nera).
Le firme accolte nelle pagine de «Il Popolo di Roma», durante le poche settimane della direzione Alvaro, sono di tutto rispetto: Vittorio Gorresio, Carlo Muscetta, Irene Brin, Luigi Salvatorelli, Alberto Savinio, Umberto Morra, Corrado Sofia, Gino Visentini, Liliana Scalero, Gabriele Pepe, Ercole Patti, Ercole Reggio, Gino Visentini, Luigi Bartolini, Giulio Colamarino, Bruno Romani, Giuliano Briganti, Felice Chilanti, Paola Masino, Eugenio Montale, Vezio Crisafulli, Massimo Bontempelli, Alberto Moravia, Leonardo Sinisgalli, Enrico Falqui, Meuccio Ruini, Mario Praz, Antonietta Drago, Nicola Moscardelli, Franco Casavola, Marco Cesarini Sforza, Enrico Galluppi, Antonello Trombadori, Arrigo Benedetti, G. Titta Rosa. Si tenga presente l’elenco: molti di questi nomi spariranno dalle pagine dei giornali romani dopo l’8 settembre, per farvi ritorno solo dopo la Liberazione di Roma; ma si consideri anche che alcuni di questi stessi autori collaboravano a «Il Popolo di Roma» già prima dell’arrivo di Alvaro e che altri continueranno a scriverci anche dopo la ‘cacciata’ dello scrittore calabrese. G. B. Angioletti, ad esempio, era presente già il 10 luglio 1943, Savinio il 16, Titta Rosa il 18, Giuliano Briganti – futuro redattore capo del settimanale «Cosmopolita» ed apprezzato storico dell’arte – il 21; Giulio Colamarino, che durante la direzione Alvaro si produrrà in due ispirati interventi dal titolo “Cattolici d’occasione” (5 ago.) e Gli “spiriti sublimi” (2 set.), aveva firmato – imperante Baroni – l’editoriale del 17 luglio (Supremo dovere), in cui esortava gli Italiani a reagire agli attacchi degli Americani; né era da meno Francesco Piccolo, che dopo essersi impegnato – sempre il 17 luglio – a recensire la nuova edizione degli Incontri di Giuseppe Bottai, undici giorni dopo era già pronto ad omaggiare l’antifascista Guido De Ruggiero (28 lug.); del resto anche Liliana Scalero, dopo aver eretto il suo personale “Monumento alla massaia” (9 lug.), sembrava ora lieta di occuparsi di Adriano Tilgher (8 ago.) e lo sembrerà ancor più dopo la Liberazione di Roma, quando avrà occasione di comporre – sul quotidiano «L’Epoca» – una lunga serie di ritratti di “Uomini dell’antifascismo”.
D’altra parte neanche Alvaro aveva attraversato indenne quel tragico ventennio; tra i lettori più avvertiti doveva essere ancora vivo il ricordo delle sue “cronache” sulla bonifica pontina e delle sue corrispondenze dalla Russia <3: la consapevolezza dei propri cedimenti imponeva indulgenza per le altrui debolezze, ma è anche probabile che il direttore de «Il Popolo di Roma» avesse altro a cui pensare. La politica di controllo e di pressione sulla stampa non era sostanzialmente mutata dopo il passaggio dei poteri a Badoglio: “Il governo non vuole che si parli dei condannati politici, e in modo assoluto che ci si occupi dei socialisti e dei comunisti che non intende liberare. Insisto a parlarne. La censura, in mano agli stessi funzionari del ministero della Cultura popolare, fa larghi squarci bianchi nel giornale. Uno di questi funzionari mi ammonisce di chiudere gli spazi bianchi con un altro testo. Non posso far altro che restringerli e limitarli. Pare che Badoglio sia indignato d’una frase, del resto censurata, che diceva come egli dovrà rendere conto, un giorno, del suo operato” <4.
L’indicazione “Corrado Alvaro / Direttore responsabile” figura nel colophon de «Il Popolo di Roma» fino a lunedì 13 settembre 1943 (ma è probabile che egli si fosse allontanato da Roma subito dopo l’annuncio dell’armistizio); il 14 il giornale è firmato da “Agostino Bava / gerente responsabile”.
Con il ritorno dei nazifascisti a Roma inizia un nuovo capitolo nella storia del giornalismo capitolino. Ai vertici dei quotidiani romani vengono imposti uomini di fiducia: alla guida de «La Tribuna» Vittorio Curti subentra al conte Armenise (set. 1943-giu. 1944); «Il Giornale d’Italia» torna (dal 14 set.) nelle mani di Umberto Guglielmotti, che già l’aveva diretto nei giorni immediatamente successivi alle dimissioni di Virginio Gayda; «Il Messaggero», dopo la temporanea reggenza del redattore responsabile Alfonso Navarra, veniva affidato a Bruno Spampanato. Anche Agostino Bava (che rimarrà comunque ‘responsabile’) diventa subalterno al nuovo direttore de «Il Popolo di Roma», l’arcigno e fascistissimo Francesco Scardaoni. Il recupero del controllo sulla Capitale sembrò rianimare anche le testate più militanti: «Il Lavoro fascista» riavviò le pubblicazioni il 18 settembre (le interromperà comunque col numero datato 16/17 novembre); non riprese invece vita «Il Tevere» di Telesio Interlandi, definitivamente cessato col numero datato 29/30 giugno 1943. Anche il ‘ricambio’ dei collaboratori è evidente: siamo nel mortificante periodo del ‘chi si firma è perduto’ o, come racconterà magistralmente Vincenzo Talarico, dei ‘letterati in fuga’, dei molti intellettuali e giornalisti che abbandonano Roma per trasferirsi nei territori già liberati del Meridione d’Italia (ci sarà anche chi tenterà la ‘fuga’ senza riuscire nell’intento: è il caso di Alberto Moravia ed Elsa Morante, bloccati alla stazione ferroviaria di Fondi e costretti a cercare rifugio sulle montagne ciociare). Qualcuno è tuttavia rimasto: ad esempio, tra le colonne de «Il Popolo di Roma», Bruno Barilli (assiduo almeno fino al gennaio 1944) e lo stesso Vittorio Gorresio (addirittura fino al marzo inoltrato del 1944: ma ne parleremo più avanti); sull’altra storica testata romana, «Il Messaggero», si avvistano ancora Libero Bigiaretti (15 set. 1943) e, nei primi mesi del 1944, le pregiate presenze di Mario Puccini e Giuseppe Villaroel (6 gen.) o di Gigi Romersa (2 feb.); poi è tutto un fiorire di firme in sigla e di noms de plume. A smuovere quest’aria ormai stagnante irrompono, ai primi di giugno, i caldi venti della Liberazione.
[NOTE]
1 Corrado Alvaro, Quasi una vita, Milano, Bompiani, 1950 [edizione consultata 1974 <4, p. 298].
2 «È ancora viva la presenza del mio predecessore in questo ufficio di direzione. C’è ancora il piattino del bicarbonato di soda accanto alla bottiglia dell’acqua. Infatti il mio predecessore ruttava spesso, in preda all’indigestione. Hanno spostato il tavolo dalla posizione di prima, e hanno messo il ritratto del Re al posto di quello del duce: un viso rattrappito sotto un elmo troppo grande, ma furbo e quasi tremante di continuo tra i baffi e le rughe del mento. Pare dunque impossibile abituarsi a vivere senza ritratti ai muri. Di fronte al tavolo, c’è uno scaffale di libri sui problemi della nazione di ieri, e il cui senso mi pare svanito, non più leggibile, come se parlasse d’un’epoca lontanissima; ed era ieri. Arrivano lettere di minaccia: ti uccido al tuo tavolo. E lettere anonime di minacce, con pugnali in cima al foglio. E telefonate misteriose che promettono morte. Mentre passavo da via di Propaganda, un negoziante si è affacciato sulla soglia del negozio per dirmi: «Ma lei va così a piedi per la strada? Stia attento». Non lo avevo mai incontrato prima di ora. L’usciere che deve badare a me, è mutilato d’un braccio. Poiché sostengo che l’epurazione deve essere fatta soltanto in alto, risparmiando in basso, e per ragioni evidenti di unità nazionale nel tempo che si annunzia, se non per ragioni umane, arrivano lettere con lunghe filze di nomi, squadristi ecc. Tutte le mattine, annunziandomi il bollettino della tiratura che sale, qualcuno mi avverte che i tedeschi si muovono lentamente ma sicuramente. Mi ammoniscono di fare attenzione, poiché tutto questo si pagherà». Corrado Alvaro, Quasi una vita cit., p. 298-299.
3 Cfr. Corrado Alvaro, Terra Nuova. Prima cronaca dell’Agro Pontino (1934) e L’uomo è forte (1938), Premio dell’Accademia d’Italia della letteratura 1940.
4 Corrado Alvaro, Quasi una vita cit., p. 298.
Marcello Ciocchetti, Giornali e riviste nella Roma liberata (giugno 1944-dicembre 1945), Tesi di dottorato, “Sapienza” Università di Roma, Anno Accademico 2014-2015