Il grado e la gerarchia militare sembrano essere stati dei punti di riferimento importanti per gli uomini della divisione partigiana Patria

Cerrina (AL) – Fonte: Wikipedia

Durante i 45 giorni di Badoglio anche i partiti locali cercarono un collegamento: “ad Alessandria una prima riunione tra gli esponenti dell’antifascismo locale si era tenuta all’indomani del 25 luglio ( … ) questi contatti, ripresi nei giorni seguenti e proseguiti più o meno regolarmente per tutto il periodo badogliano portarono alla costituzione di un comitato antifascista interpartitico”. Per i popolari, ormai Democrazia cristiana, su basi ristrette, vi partecipò Angelo Bellato. In tale periodo fu cofondatore e direttore del giornale clandestino “Patria”, uno dei primi fogli stampati alla macchia in Piemonte.
Tale azione trovò “naturale evoluzione verso l’effettiva volontà” di resistere ai tedeschi ed ebbe modo di manifestarsi già all’indomani dell’8 settembre: “verso la fine del settembre ad Alessandria fu costituito il C.L.N. provinciale. Ne fecero parte gli esponenti del Comitato interpartitico nato il 26 luglio, ed elementi nuovi entrati nella lotta dopo l’armistizio. La composizione del C.L.N. era ampia e comprendeva uomini dei cinque partiti antifascisti ( … ). Fecero parte del primo C.L.N. provinciale alessandrino ( … ) per la Democrazia cristiana Angelo Bellato” (G. Pansa). Fu poi lui che scovò “Malerba” – il prof. Edoardo Martino – e lo mise al comando dei volontari della divisione “Patria”: la formazione era nata da accordi presi da Bellato con reduci dal fronte d’Oriente ed operò nell’Alessandrino e nel Monferrato.
Redazione, Angelo Bellato, ISRAL

Edoardo Martino nacque ad Alessandria il 20 aprile 1910 e morì, sempre ad Alessandria, il 5 dicembre 1999. Conseguì la Laurea in Lettere e Filosofia alla Normale di Pisa, e in gioventù fece parte dell’Azione Cattolica e della San Vincenzo de’ Paoli, partecipando durante la Seconda guerra mondiale alla campagna di Russia nell’artiglieria alpina.
Tornato in Italia dopo l’8 settembre 1943, aderì alla Democrazia Cristiana ed entrò nella Resistenza. Con il nome di battaglia “Malerba”, comandò l’11a divisione autonoma “Patria” in Valcerrina. Ricordo che la consorte Adelina Cosola affermava che lei e il marito erano amanti della libertà, anche a rischio della vita. Il 4 aprile 1947 diventò sottosegretario di De Gasperi (la stessa carica di Giulio Andreotti) con delega personale all’assistenza ai reduci e ai partigiani. Qui iniziò una lunga carriera di sottosegretario, con alcuni intervalli, dal 1953 fino al 1967. Fu anche segretario del Supremo Consiglio di Difesa dal 1953 al 1985.
Negli Anni 70 fu membro della delegazione italiana all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e fece anche parte dell’Assemblea Parlamentare europea dal 1958 al 1961. Nel 1964 fu eletto Presidente della commissione politica del Parlamento europeo fino al 1967, anno in cui fu nominato Commissario europeo per le relazioni estere. Nel 1970 fu insignito del Cavalierato di Gran Croce della Repubblica Italiana […]
Redazione, Edoardo Martino, figura di spicco della politica italiana, la Voce alessandrina, 3 novembre 2020

Nei dintorni di Mombello Monferrato, si svolsero parecchie azioni delle formazione partigiane locali.
Le prime attività di guerriglia organizzata ebbero inizio nell’aprile 1944 ed il primo campo partigiano della Val Cerrina venne allestito in località Monte Sion e poi a Castel San Pietro.
A Mombello, l’11 novembre i partigiani della LXXIX Brigata Garibaldi e dell’Autonoma “Patria”, tesero un agguato ad una colonna tedesca, uccidendo 14 marò fascisti e catturando militari tedeschi, scatenando un rabbioso rastrellamento nazifascista, durato sino al 15 novembre.
Nei boschi di Odalengo, si attestarono partigiani autonomi, composto da ufficiali e soldati, alpini della “Julia”, poi inquadrati nella Divisione “Patria”, guidata da Edoardo Martino “Malerba”.
[…] Il 1 novembre 1944, i volontari della Divisione “Patria”, dopo una strenua resistenza di otto ore, sulle alture di Cantavenna, respinsero e costrinsero alla ritirata una munita e numerosa colonna tedesca, salita dalla pianura con l’obiettivo di disperdere le formazioni ribelli della zona. La dura sconfitta subita mosse i nazisti ad una feroce rappresaglia, che il 14, il 15 ed il 16 novembre, mise a ferro e fuoco l’abitato della piccola frazione. Vennero bombardati la chiesa ed il cimitero, vennero razziate e date alle fiamme un cinquantina di abitazioni, ma i soldati infierirono anche sulla popolazione, passando per le armi 5 civili inermi, tra i quali anche una donna. Sorte ugualmente tragica toccò ad altri tre paesani, catturati e deportati nei campi di sterminio in Germania, dai quali non fecero più ritorno. In quei giorni la rappresaglia duramente anche a Gabiano, quando i tedeschi irruppero in paese, con l’ordine di incendiare le case e decimare la popolazione maschile. Proposito rientrato all’ultimo momento a seguito del sollecito intervento dell’allora Vescovo di Casale Monferrato, Monsignor Giuseppe Angrisani.
Redazione, Il Casalese in Guida ai Luoghi della Memoria in provincia di Alessandria, ISRAL, Pubblicazione realizzata nell’ambito del Progetto Interreg “La Memoria delle Alpi”

A fianco dell’VIII zona viene a costituirsi anche la VII, profondamente legata alla VI zona operativa ligure. <859 La situazione della VII zona è molto complessa. Legata alle formazioni liguri, in particolare alla Divisione Garibaldi “Mingo”, per i contatti che questa stringe con le brigate “Patria” e “Martiri della Benedicta”, la provincia di Alessandria è zona vasta e contesa. A inizio febbraio si costituisce un primo Comando unico, con Pietro Minetti “Mancini” (Garibaldi) comandante e Ernesto Pasquarelli “Barbero” (com.te VIII divisione GL, in sostituzione di Ferdinando Cioffi “Ivan”, arrestato nel gennaio) come vice (accordi di Carpeneto). Questo primo accordo però presenta dei limiti: la mancanza nel comando di un rappresentante delle Matteotti e la difficoltà di esercitare un vero e proprio comando su tutto il territorio. A ciò si aggiungono i contrasti con i liguri, che a fine ’44 avevano unilateralmente ufficializzato
l’appartenenza della zona tra lo Scrivia e il Sassello, tra il mare e Tortona-Novi-Predosa e sud di Acqui alla VI zona ligure. Alcune brigate entrano operativamente a far parte della VI zona, <860 sollevando le proteste di “Barbero”, il quale tenta in ogni modo di far annullare gli accordi tra garibaldini e Merlo, comandante della brigata GL “Martiri della Benedicta”. Solo verso la fine di marzo si giunge a un accordo tra liguri e alessandrini, ma che non scioglie il nodo dei confini. La discussione sul comando di zona si riapre infatti ad aprile, questa volta per iniziativa dell’ex comandante della VIII divisione GL, “Ivan”, e di Elio Pochettini, “Aldo Red”, comandante della X divisione Garibaldi. In un incontro tra i rappresentanti della VIII divisione GL, della X Garibaldi e della Divisione autonoma “Patria”, viene proposto infatti di scindere la zona in due parti, una nord, comprendente la val Cerrina, e una a sud, per i territori dell’Acquese-Ovadese, ritenendo questa suddivisione più utile ai fini del coordinamento delle bande. <861 La proposta, inviata al costituito comando della VII, viene valutata positivamente nelle sue premesse, ma invece di accordare la costituzione di un nuovo comando viene decisa la creazione di una «sottozona con funzioni operative staccate». <862 La controproposta di “Barbero”, con cui “Ivan” non era in buoni rapporti, <863 e di “Mancini” non piace all’ex comandante della VIII divisione, il quale il 13 aprile dichiara la sua opposizione alla costituzione della «sottozona», e pochi giorni dopo, scrivendo al CMRP, richiede l’autorizzazione per la creazione della VII zona, specificandone comando, confini e formazioni che vi operano. <864 Il comando di “Ivan” non avrà reale esecuzione, contribuendo invece a creare ulteriore confusione nella difficile gestione della provincia di Alessandria. <865 La creazione di questi comandi, in particolare quello dell’VIII zona, pur non toccando direttamente le Langhe, ne condiziona assetti territoriali e organizzazione interna. L’influenza maggiore però eserciterà la decisione del CMRP di costituire, nel mese di marzo, una nuova zona operativa, la IX.
[NOTE]
859 Cfr. G. Pansa, Guerra partigiana tra Genova e il Po, cit., pp. 357-370
860 Giorgio Agosti, all’incirca nello stesso periodo, esprimeva «l’intendimento […] [di] addivenire ad una più stretta collaborazione fra le formazioni alessandrine e quelle liguri; e questo non solo per ragioni militari (controllo dei valichi appenninici), ma anche per gravitare politicamente su Genova e rafforzare col peso delle GL la nostra situazione in quella città», “Relazione del commissario politico del Comando piemontese delle formazioni Giustizia e Libertà”, 31.12.44, in G. De Luna et alii (a cura di), Le formazioni GL, cit., doc. 104, p. 270
861 Comunicazione di “Ivan” al Comando Regionale Piemontese delle Formazioni G.L., 10.4.45 in AISRP, B 37 a, p. 2. Il comando prende la seguente configurazione: Comandante della zona settentrionale è “Ivan” per le GL, il commissario politico “Aldo” per le Garibaldi e vicecomandante e capo di Stato Maggiore ad interim “Malerba” per la divisione “Patria”.
862 G. Pansa, Guerra partigiana tra Genova e il Po, cit., pp. 447-448
863 Ivi, p. 448
864 “Richiesta retifica [sic] VII zona”, comandante “Ivan”, comm. pol. “Aldo Red” al CMRP, 16.4.45 in AISRP, B 37 a
865 «L’accordo definitivo sulla sua [comando VII zona] composizione venne raggiunto soltanto il 29 aprile nella prefettura di Alessandria, quando già tutta la provincia era libera», in G. Pansa, Guerra partigiana tra Genova e il Po, cit., p. 449
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

La Patria fu una vera divisione?
Questa domanda, in forza della volontà di distinzione ideologica all’interno del movimento partigiano, sorge spontanea. La Patria fu una vera divisione partigiana, o si tratta solamente di una definizione formale che venne adottata per garantire agli uomini e alle donne che parteciparono ad alcune azioni di resistenza (armata e non) ricevessero il giusto riconoscimento? Quali sono le caratteristiche essenziali, i tratti fondamentali che devono essere rilevati nelle attività di un gruppo di oppositori alla Repubblica Sociale e che li qualificano come partigiani?
In primo luogo, per essere riconosciuti partigiani bisognava soddisfare il requisito temporale dell’appartenenza alle formazioni partigiane per almeno tre mesi: la costituzione della divisione è tardiva e forse dettata da ragioni politiche contingenti , ma l’inizio dell’attività militare è precedente a tale data e ci fornisce alcuni elementi di analisi.
È anche possibile ritenere che il numero di effettivi che hanno ricevuto il certificato di patrioti sia anche stato soggetto ad alcuni limitati ritocchi in cui la successiva attività del suo comandante Martino come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per l’assistenza a reduci e partigiani nei primi governi repubblicani potrebbe aver influito, annoverando tra i partigiani alcuni che potrebbero essersi dedicati prevalentemente ad attività cospirativa o di ordine pubblico nei giorni immediatamente circostanti la Liberazione, non dando luogo ai richiesti tre mesi di servizio effettivo o a una collaborazione fattiva. Ma non c’è niente di anomalo o incomprensibile in tale fenomeno che, seppur limitato, intersecava l’interesse democristiano a «pesare» il più possibile tra i partecipanti alla resistenza armata per arginare eventuali tentativi di monopolio della guerra di liberazione da parte delle forze politiche di sinistra sia a livello nazionale che locale.
Però è innegabile che la divisione Patria avesse una propria organizzazione militare, con un comando definito coerentemente con le disposizioni del Corpo Volontari della Libertà, anche se solo verso la fine della guerra di liberazione (presumibilmente intorno al marzo del 1945 ), a sua volta pienamente riconosciuto e sottoposto al Comando Regionale; vi sono dei comandi territoriali ad esso collegati e la piena partecipazione al comando della VII zona piemontese . Probabilmente la struttura finale della divisione fu il risultato di un processo di aggregazione di formazioni autonome avvenuto nel tempo, ma questo fenomeno è comune a tutte le formazioni partigiane a causa dei continui frazionamenti provocati dai rastrellamenti piuttosto che dallo scioglimento invernale delle brigate.
Riguardo alla vera e propria attività militare svolta dagli autonomi della Patria, essa si attiene a quanto si ricava dagli Atti del Comando Generale Corpo Volontari della Libertà: nella circolare n. 4 del 3 luglio 1944 vengono definite le attività delle squadre di difesa e di assalto, tra cui «impedire arresti e razzie, […], compiere azioni di sabotaggio, disarmare militari e fare colpi di mano» , con la circolare n.5 dell’8 luglio 1944, vengono impartite disposizioni per evitare che «la trebbiatura si svolga sotto il controllo nazifascista e la relativa requisizione del prodotto» .
Le azioni messe in atto dalle brigate Patria dimostrano che ci si attenne a queste disposizioni, magari solo in parte e forse non con la medesima frequenza e intensità delle altre formazioni; in alcuni casi sicuramente non vennero mai compiute le azioni richieste, privilegiando altri tipi di attività o l’incolumità dei combattenti e delle popolazioni.
Ma la domanda è: può questo bastare per affermare che questi uomini e donne non furono dei combattenti? Esiste una «quantità», una misura di grandezza, un criterio per riconoscere i combattenti della guerra di liberazione?
Se tale misura è il soddisfacimento anche solo parziale delle richieste che provenivano dal Comando Generale del C.V.L., tale condizione venne certamente soddisfatta. L’obbedienza stessa a queste disposizioni e il riconoscimento della loro legittimità è a mio avviso un valido indicatore dell’esistenza di un gruppo di combattenti, e ritengo quindi che alla Patria si possa riconoscere il titolo di formazione partigiana combattente nella guerra di Liberazione: nella pluralità di anime della Resistenza, ci deve essere uno spazio anche per la pluralità di modalità di aggregazioni e di azioni che si sono realizzate .
A ciò si vanno poi ad aggiungere la letteratura storica in merito alla Resistenza italiana e piemontese, cui si aggiungono la lettera di riconoscimento dell’ufficiale inglese stabilitosi presso le brigate del Monferrato, il magg. Leach , nonché il contenuto dei documenti raccolti nell’archivio del comandante Malerba.
La Patria, formazione autonoma
Ma chi sono gli autonomi e le loro formazioni nella Resistenza? Nella fase di incubazione e di preparazione che avrebbe portato alla costituzione del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà è un termine che non rende appieno il dibattito che sta dietro a questa definizione. Ben più indicative sono le definizioni che emergono nel lungo dibattito necessario ad organizzare il suddetto comando: «badogliane», «apolitiche», «nazionali», «militari», «al di fuori del CLN», quando non «attesiste», «reazionarie», «di tendenza capitolarda» rendono al meglio non tanto il loro reale orientamento, quanto piuttosto quello presunto.
D’altro canto in questo stesso periodo che va dal settembre ’43 al febbraio ‘44 dire autonome senza aggiungere altro è dire troppo poco, perché tali sono di fatto tutte le bande esistenti.
Sarà dal febbraio 1944, con le famose direttive «per la lotta armata» che la questione verrà chiusa, quantomeno sancendo l’autonomia di comando e di scelta degli obiettivi, dato che «sarebbe assurdo voler regolare dal centro l’azione periferica, che deve necessariamente essere rimessa allo spirito d’iniziativa e al buon senso di chi, caso per caso, e spesso all’improvviso, è chiamato ad operare. […] Questo principio ha per contropartita il senso di responsabilità nella scelta degli obiettivi e della condotta dell’azione» .
In questo quadro la divisione Patria si costituisce come formazione autonoma, una formazione orientata a rispondere al bisogno del momento con senso di responsabilità inserita in un contesto regionale in cui abbondano esempi simili.
In Piemonte, infatti, le formazioni «autonome» per eccellenza sono quelle sottoposte al comando di Mauri: tuttavia non è documentata nessuna relazione organica tra le divisioni autonome delle Langhe e la Patria : Mauri non vi si riferisce mai quando comunica ai vari comandi l’elenco delle formazioni alle sue dipendenze.
D’altra parte emergono comunque alcune differenze di orientamento ideale tra le divisioni alpine di Mauri e la Patria, tali da escludere l’inquadramento esplicito tra le divisioni alpine: tanto la subordinazione alle direttive del CLNAI quanto la politicizzazione in senso partitico della Resistenza in Alta Italia trovarono forti resistenze da parte delle formazioni raccolte sotto il comando di Mauri, che preferiva muoversi in autonomia sia dal punto di vista militare (al punto da meritarsi i richiami ufficiali del Comando Generale a causa della costituzione dell’«Esercito Italiano di Liberazione Nazionale» ) che dal punto di vista politico.
Questa rivendicazione di autonomia militare e di apoliticità non sembra appartenere fino in fondo ai comandi della divisione Patria: ex militari, ritenevano probabilmente conclusa una fase storica, per cui era necessaria un’organizzazione adatta allo Stato nascente, anche per arginare i propositi rivoluzionari comunisti; per via di una robusta matrice cattolica, si riconoscevano nella nascente Democrazia Cristiana , e da essa attingevano la loro formazione politica. Ciò non esclude affatto che all’interno delle varie formazioni vi fossero elementi più orientati verso la continuità delle istituzioni regie, ma non era sicuramente questo l’orientamento prevalente ai vertici della catena di comando.
Le formazioni di Mauri però ci offrono alcuni spunti: il 7 agosto 1944 fu sottoscritto tra il comando delle divisioni alpine e le formazioni GL un Memorandum da cui possiamo ricavare alcuni orientamenti ideali di parte delle formazioni piemontesi: tra le formazioni di Mauri e le formazioni azioniste infatti c’era un accordo sostanziale, pur non entrando nel merito della questione istituzionale (su cui l’intransigenza del monarchico Mauri doveva essere nota). Emerge dalla scelta di siglare tali accordi quantomeno una forte ricerca dell’unità d’intenti tra le formazioni: per alcuni aspetti, come la «necessità di un orientamento politico» che producesse la consapevolezza che il fine ultimo dell’azione militare è il «radicale rinnovamento politico, morale e sociale del Paese[…] l’instaurazione di una sana democrazia […] una vera comunità europea». Orientamenti ideali coerenti con quelli che muovevano Malerba e i suoi sottoposti; per altri aspetti, invece, il massimalismo e il rigore tipico tanto di Mauri che dei giellini non poteva essere condiviso, come quando si pone a «condizione per il rinnovamento politico, morale e sociale […] un’opera di severa giustizia e di radicale epurazione che valga a colpire con le più gravi sanzioni i responsabili della rovina del Paese». Per cui, per quanto vi siano dei punti di contatto anche tra le differenti esperienze delle formazioni cosiddette «autonome», non bisogna cercare di fornire una interpretazione univoca a un fenomeno che già dal nome preannuncia una pluralità di forme, di cui una è quella assunta dalla divisione Patria.
Tutto ciò non esclude categoricamente che vi siano stati contatti tra le brigate della Patria e le divisioni alpine, anzi, le necessità belliche probabilmente li reclamavano: il comando di Mauri estendeva la sua area di influenza fino al Monferrato astigiano, dove era di stanza la VI divisione Asti, e dove tardivamente (dal gennaio 1945 ) nascerà dalle ceneri di altre formazioni la XV divisione Alessandria, che si attesterà nella bassa valle del Tanaro e nella bassa valle Belbo, sulle colline tra Asti e Alessandria.
Neppure la VII divisione Monferrato, che «confinava» con la Patria , compare nelle relazioni di Mauri, ragione per cui risulta arduo ritenere che i collegamenti tra le formazioni fossero assidui; piuttosto si può dare credito a eventuali relazioni occasionali, con un’intensità sicuramente maggiore nel 1945, quando i contatti si fanno più frequenti e organizzati per l’intervento degli Alleati e delle missioni aviolanciate in Piemonte di cui diremo più avanti, per la aumentata efficienza dei Comandi di zona e per la piena partecipazione della divisione Patria alle decisioni del Comando regionale degli autonomi.
Il grado e la gerarchia militare sembrano essere dei punti di riferimento importanti per gli uomini della Patria, come traspare nei rapporti inviati a Malerba alla conclusione delle ostilità in cui l’utilizzo del grado rivestito nell’esercito è una costante, un vero e proprio tratto identitario della formazione, che si può ragionevolmente credere non sia venuto meno neanche durante la guerra di Liberazione.  Si può ipotizzare anche la presenza di una componente militare di fede monarchica, vincolata al giuramento di fedeltà al Re, e che trovò nella divisione Patria la formazione idealmente più coerente con tale idealità .
Osservando attentamente l’elenco degli effettivi della divisione salta subito all’occhio come tra gli elementi della divisione Patria vi siano molti soldati, ufficiali di complemento e altri in servizio permanente effettivo; è certo che nelle brigate del Monferrato si saldano alcune piccole formazioni nate spontaneamente, come per esempio come quella del tenente Guaschino, e che i giovani ufficiali di complemento e i graduati si impegneranno soprattutto a raccogliere e organizzare intorno a sé i compaesani. Probabilmente il carattere militare della Patria ebbe anche un potere di attrattiva verso gli appartenenti alle formazioni vicine più restii alla politicizzazione , e verso quelle formazioni nate spontaneamente che via via ebbero la necessità di essere inquadrate e di coordinarsi con altre formazioni in vista dell’insurrezione.
Il carattere militare della divisione traspare anche dai ricordi di Angelo Bellato, che ne parla come di «una divisione modello», «la più ordinata» anche a detta dei rappresentanti degli altri partiti, con un comandante pressoché indiscusso in Malerba, sebbene alcuni elementi con tendenze più partigiane gli procurassero qualche preoccupazione di troppo.
Lodovico Como, Dall’Italia all’Europa. Biografia politica di Edoardo Martino (1910-1999), Tesi di Dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2009/2010