Il medico fondatore dell’AVIS di Brescia, sfuggito alle leggi razziali

Giorgio Sinigaglia – Fonte: La Lanterna cit. infra

In occasione del Giorno della Memoria, Bozzolo [in provincia di Mantova] ha ricordato, in una sala consiliare affollata, la figura del bozzolese Giorgio Sinigaglia, nato a Bozzolo il 20 maggio del 1886 all’interno della locale comunità ebraica bozzolese, che fu fondatore dell’AVIS di Brescia e medico rinomato e studioso presso l’Ospedale Civile di Brescia.
[…] Essendo di religione ebraica, durante le famigerate leggi razziali del 1938, Giorgio Sinigaglia dovette abbandonare la sua professione di medico e riparare in Svizzera, dove trovò la salvezza a differenza di altri suoi parenti tutti morti nei campi di concentramento tedeschi.
La figura di Giorgio Sinigaglia è quella di un uomo retto, giusto, che si batté a favore della scienza e soprattutto al fianco dei suoi malati per tutta la vita.
In particolare l’accademico Mario Zorzi ha narrato con dovizia di particolari la sua professionalità di medico, avendo potuto lavorare per molti anni al suo fianco. La carriera prestigiosa di ricercatore e studioso lo portarono ad essere primario dell’ospedale di Brescia, e uomo riconosciuto di raro valore.
Secondo Zorzi, in Sinigaglia vivevano tre fondamentali qualità professionali ed intellettuali: era un ricercatore, un abile chirurgo e un umanista, e queste tre attitudini lo hanno portato a segnare una idea di medico ospedaliero della sua epoca.
[…] Divenne ricercatore presso l’Università di Pavia sotto la guida di Camillo Golgi, vero luminare del tempo. Susseguentemente, divenne chirurgo laureandosi presso l’Università di Modena.
Durante la prima guerra mondiale venne chiamato alle armi e precettato presso l’ospedale di Brescia, luogo che divenne per lui residenza di tutta la sua vita.
Nel 1916 vinse il concorso di primario presso il reparto di Chirurgia Settica dell’ospedale, creando un reparto specializzato in epoca preantibiotica, quando i rimedi contro le infezioni erano scarsi ed empirici.
Sinigaglia svolse la sua attività, seguita dalla sua fedele assistente suor Fedele, con grande successo mettendo a disposizione di innumerevoli malati la sua genialità e la sua perizia per tantissimi anni.
Poi, nel 1938, le inique leggi razziali che costrinsero lui e la sua famiglia, di fede ebraica, ad interrompere la sua attività ospedaliera e rifugiarsi all’estero per evitare le minacce delle persecuzioni fasciste e naziste.
Alla fine della guerra, nel 1945, fu reintegrato nel suo ruolo di primario e lavorò all’ospedale fino al 1956, anche se con l’avvento degli antibiotici le patologie infettive cominciavano a mutare il loro decorso e la loro gravità.
Si spense il 7 aprile del 1970.
Il dottor Zorzi ha narrato di come personalmente assistette, da giovane medico apprendista, ad alcuni interventi importanti in chirurgia toracica eseguiti dal dottor Sinigaglia
[…] Altro grande merito del Sinigaglia è stato quello di intuire, allora, che a garanzia di taluni successi della pratica chirurgica era necessario poter disporre di adeguati quantitativi di sangue da trasfondere ai pazienti. Nacque così l’idea di costituire un gruppo permanente di donatori volontari di sangue che Sinigaglia cominciò a reclutare nel suo stesso reparto e nelle altre divisioni ospedaliere. Era il 1935, e a Milano da circa sei anni aveva iniziato la propria opera l’AVIS, e Sinigaglia si mise in contatto con il fondatore della benemerita associazione, il dottor Formentano, e fondò la sezione bresciana dell’Avis, di cui fu il primo presidente. In brevi anni, l’umanità del dottor Sinigaglia si sparge fra la gente di Brescia, e da tutti è considerato il dottore buono, che cura anche senza far pagare, perché per lui la medicina era soprattutto una missione al servizio dei più deboli.
Il dottor Zorzi ha raccontato molti episodi di come il dottor Sinigaglia ha dato prova della sua umanità.
E durante gli anni dell’internamento in Svizzera, dove soggiornò dal 12 ottobre 1943 al 12 aprile del 1944 a Bremgarten e dal 27 luglio 1944 al 15 novembre 1944 a Seewiss, e dal 15 novembre 1944 fino al rientro in Italia nel campo di Engelberg presso Lucerna, dove veniva addetto a mansioni del tutto modeste come alle pulizie delle cucine e alla coltivazione di verdure, ebbe ugualmente modo di rendersi utile come medico, curando casi di epidermia di difterite in bambini del campo. In un volume recentemente pubblicato da Mondatori nel 1998 “ La frontiera della speranza”, a cura di Renata Broggini, si ricorda la tragica fuga di Sinigaglia con queste parole: “ Giorgio Sinigaglia è medico a Brescia, era stato aiuto del Premio Nobel Camillo Golgi, fu pioniere dei donatori di sangue e ora, in un istante, deve abbandonare tutto, fuggire con la sua famiglia alla ricerca di un rifugio che gli consenta di vivere; entrano a Pedrinate l’8 ottobre, sono in sei: lui, la moglie Enrichetta Levi, i figli Elena, Mario, Anna e Ada”.
Dopo la guerra Giorgio Sinigaglia ritornò a Brescia, a lavorare nel reparto dell’ospedale dove non era mai stato dimenticato, e continuò operoso in silenzio a prodigarsi e a guarire tanti malati senza recriminazioni, senza astio verso le circostanze e le persone che gli avevano procurato tanti sacrifici e tante sofferenze. La sua generosità e la sua tenacia nell’affrontare le patologie chirurgiche più insidiose e difficili e le molte benemerenze acquisite in un quarantennio di vita ospedaliera gli valsero una pittoresca ma molto significativa espressione bresciana: quando la sorte di un malato era inesorabilmente segnata, a Brescia si diceva in dialetto: “non lo guarisce più nemmeno il Sinigaglia”.
Giorgio Sinigaglia fu maestro nell’arte medica, e un punto di riferimento per l’etica professionale ed esempio di sensibilità e di generosità verso i più deboli: autentica figura di medico ospedaliero, persona che delle proprie sofferenze e tribolazioni ha fatto motivo per comprendere e lenire le pene altrui.
Il 7 aprile del 1970 è scomparso nel suo ospedale, assistito da un piccolo gruppo di infermieri e suore a lui legati da lontani ricordi.
Fra le sue pubblicazioni più importanti vale la pena di segnalare: “Osservazioni sul cimurro”, “Un caso interessante di ermafroditismo”, “Un terreno di culture aerobica per germi anaerobi”.
Riguardo alla sua origine ebraica, è da ricordare che i Sinigaglia compaiono già come prestatori nel 1300 soprattutto nelle Marche.
[…] A Bozzolo la comunità ebraica già nel 1700 annoverava fra i suoi membri alcuni esponenti della famiglia Sinigaglia.
Il Comune di Bozzolo ha così ricordato un bozzolese che, seppur abbia svolto la sua professione e la sua vita lontano dal paese d’origine, conserva anche grazie a suo figlio Mario, che nell’occasione ha ricordato i tempi dell’esilio svizzero, e che ancora oggi molte volte ritorna a Bozzolo per rivedere la terra della sua famiglia. […]
Roberto Fertonani, Giorgio Sinigaglia. Bozzolese sfiggito alle leggi razziali, La Lanterna,Trimestrale di cultura rivarolese a cura della Pro Loco di Rivarolo Mantovano, Anno XXI n° 81, marzo 2008

Il dottor Giorgio Sinigaglia con, in primo piano, i figli Anna e Mario e con accanto la madre Giulia Vigevani e la moglie Enrichetta Levi, tra i suoi assistenti e alcune crocerossine di fronte al vecchio ospedale civile di via Moretto
nel 1934, il giorno di San Giorgio – Fonte: Le vie della Libertà cit. infra

Giorgio Sinigaglia nasce a Bozzolo, provincia di Mantova, il 20 maggio 1886 da Giacomo e Giulia Vigevani. Conseguita la licenza liceale presso il liceo Sarpi di Bergamo, si laurea con 110 e lode nel 1911 in Medicina e Chirurgia, a Pavia, con una tesi sperimentale sui virus filtrabili.
Fu amato allievo di Camillo Golgi, che nel settembre 1911 scrisse di lui: “…data la sua preparazione e la diligenza credei opportuno affidargli, ancora studente, lo studio di argomenti speciali… se il Dottor Sinigaglia vorrà proseguire con l’operosità ed il trasporto all’apprendere fin qui dimostrati, prevedo per lui il più lusinghiero avvenire in qualunque campo delle scienze mediche egli intenda dedicarsi”.
Egli dimostrò subito elevate doti di ricercatore: venne, infatti, nominato assistente presso l’Istituto di Patologia generale dell’Università di Pavia, il cui direttore era Camillo Golgi. Fu molto benvoluto anche dall’insigne batteriologo prof. Adelchi Negri.
Dopo un brillante esordio nel campo della ricerca scientifica, soprattutto della microbiologia, Sinigaglia si avvia allo studio della chirurgia e si trasferisce all’Università di Modena,dove per un quinquennio collabora,come assistente e poi come aiuto, con il professor Mario Donati, il quale esprimerà lodi lusinghiere nei suoi confronti.
Arruolatosi come volontario nella prima guerra mondiale, viene nominato sottotenente medico ai primi di settembre del 1915 e trasferito quale batteriologo in diversi ospedali da campo.
Successivamente inizia la sua attività presso gli Spedali Civili di Brescia con funzioni di aiuto chirurgo e di sostituto del primario assente per malattia; contemporaneamente lavora come patologo laboratorista nell’ospedale militare.
Nel 1920 vince il concorso di dirigente del reparto di Chirurgia Settica degli Spedali Civili, che si occupa dei malati portatori di infezioni e di processi patologici contagiosi. Svolge la sua attività con competenza e successo per quasi 40 anni.
Nel 1932, insieme con un primo nucleo di donatori di sangue, fonda a Brescia la Sezione provinciale dell’Avis e, a titolo gratuito, la dirige sino al febbraio del 1938.
Con l’entrata in vigore delle leggi razziali, nell’autunno del 1938, il dottor Sinigaglia fu costretto a lasciare l’ospedale, dovette sospendere ogni attività, abbandonare la sua dimora in via Leonardo da Vinci 14, con tutti i suoi beni, e fuggire con la moglie Enrichetta Levi e i quattro figli. Inizialmente si trasferì a Milano per consentire ai figli di frequentare le scuole ebraiche. Per un breve periodo di tempo aprì un laboratorio di analisi nell’ospedale milanese dei Fatebenefratelli, ma fu costretto a lasciarlo per pericolo di delazione.
Braccati dai nazisti e dai fascisti, i Sinigaglia riescono ad espatriare clandestinamente in territorio elvetico. Pochi giorni dopo alcuni parenti, che tentavano la fuga nello stesso punto, vengono catturati e deportati nei lager nazisti.
La famiglia rimase in Svizzera, in vari campi d’internamento, dal 1943 al 1945; il dottor Sinigaglia era addetto alla pulizia delle cucine e alla coltivazione delle verdure, ma si rese utile come medico in casi di epidemia di difterite nei bambini e i rifugiati lo consultavano spesso per consigli di carattere sanitario.
Alla fine della guerra fu reintegrato nel ruolo di primario nell’ospedale bresciano, dove esercitò fino al 1956. Quando la sorte di un malato era inesorabilmente segnata, si soleva dire: “El la guarés piö gna Sinigaglia”.
Gli Spedali Civili gli assegnarono, nel 1950, la medaglia d’oro per il lungo e distinto servizio; a questo ambìto riconoscimento venne ad aggiungersi un’altra medaglia d’oro, a lui conferita dall’Avis in quanto pioniere dell’emotrasfusione. Nel 1956, quando per raggiunti limiti d’età lasciò l’ospedale, gli venne conferito il titolo di “primario emerito”.
Dopo una lunga degenza Giorgio Sinigaglia morì, presso gli Spedali Civili, il 7 aprile 1970.
AA.VV., Le vie della Libertà. Un percorso della memoria (Brescia 1938-1945), a cura di ANPI FIVL ANEI ANED, Brescia, 2005