Il partigiano italo somalo e la missione Bamon

Terzo da destra Giorgio Marincola – Archivio famiglia Marino – Fonte: Il Tascabile

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La macchina fotografica tra i partigiani
Ma veniamo ora alla documentazione di provenienza partigiana.
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I dieci mesi di “Carmagnola” nel Biellese
Il secondo fondo di carattere resistenziale su cui vorremmo soffermarci è quello di Eugenio Bonvicini “Carmagnola”.
Il fondo è conservato dal proprietario, a Bologna, e consiste in un album di 18 pagine intitolato “10 mesi nel Biellese”, contenente 198 immagini più un ritaglio di giornale con l’articolo a firma di Erick, “In paracadute con i partigiani. Giorgio, ufficiale della Missione alleata”, in ricordo di Giorgio Marincola; con l’album sono anche conservate 31 fotografie sciolte, in larga misura scattate da Luciano Giachetti.
Eugenio Bonvicini è nato a Massa Lombarda (Ra), nel 1922. Ufficiale dell’aeronautica, nel 1942 aderì a Giustizia e libertà, nelle cui formazioni, dopo l’8 settembre 1943, fu attivo a Roma.
Dopo la liberazione di Roma, entrato nella N. 1 Special Force, fu paracadutato nel Biellese, dove assunse il comando della missione alleata Bamon, che operava nell’alto Piemonte, quindi, nel novembre 1944, entrò a far parte, col grado di tenente, della missione Cherokee. Fu decorato con medaglia d’argento e con medaglia di bronzo al valor militare. Autore di numerose pubblicazioni giuridiche e storiche, avvocato, risiede a Bologna.
Egli così ricorda i suoi dieci mesi nel Biellese: “Dopo aver partecipato alla Resistenza in Roma nel reparto Giustizia e libertà comandato da Riccardo Bauer collegato con le Special Forces, terminato un corso di addestramento a Fasano, venni paracadutato, la notte del 20 agosto 1944, nel Biellese (Campo Adstone 1) fra il Castello di Mongivetto e Zimone sulla Serra, unitamente a Edgardo Sogno (Franchi), Lionello Santi (Sciabola), Giorgio Marincola (Giorgio Marcuzio), Riccardo Ricci Gaberi (Gabory) e il radio telegrafista Luigi Biscottini (Amici).
La nostra missione Bamon, comandata da Santi, avrebbe dovuto venire paracadutata a nord est di Como (Valtellina) ma non potendosi effettuare il lancio fummo paracadutati a nord ovest di Biella.
In conformità alle istruzioni ricevute alla base, dopo il lancio assunsi il comando della Bamon nel Biellese – mentre Santi si recò a Milano con Sogno per organizzare il nostro trasferimento nel Comasco – e nell’attesa il mio compito era di redigere un rapporto sulla situazione politico-militare nell’alto Piemonte.
Visitai le formazioni partigiane nel Biellese, Canavesano, Val Grande, Valle D’Aosta ed inviai in Svizzera, tramite Sogno, il rapporto per il comando Soe [Special Operations Executive], segnalando la consistenza e le vaste possibilità operative delle forze partigiane e proponendo l’invio in zona di una missione militare alleata stabile, anche per coordinare le forze partigiane ed armarle adeguatamente con aviolanci.
La base, approvando il piano, mi ordinò di assumere il comando della Bamon, mentre Santi, con il radio telegrafista Amici, si sarebbe aggregato alla organizzazione Franchi a Milano, il radiotelegrafista Armando, precedentemente paracadutato nel Biellese, era assegnato alla Bamon […].
Nei mesi di settembre-ottobre-novembre 1944 organizzammo ed addestrammo vari reparti speciali partigiani per il sabotaggio e l’uso di mine in attacchi a colonne nemiche, in particolare addestrammo distaccamenti Giustizia e libertà – al comando di Alimiro, Migliaio, Eric – Bora, Rocco – e distaccamenti della 75a, 76a, 2a brigata Garibaldi – comandanti Ulcavo, Libero, Mastrilli ed altri.
Unitamente ai tenenti Marincola e Gabory, dopo l’addestramento comandai tali reparti in azioni contro linee ferroviarie per la distruzione di ponti ferroviari in un attacco a un treno militare tedesco nei pressi del canale Cavour e, con un reparto misto Garibaldini-Gl in una imboscata con mine ad una colonna tedesca sulla strada Cavaglià-Ivrea nella quale rimase ucciso un generale tedesco […].
Di particolare rilievo fu l’organizzazione del gruppo Gl di Eric-Bora a Santhià, che, collegato con la missione, eseguì su vasta scala il sabotaggio dei treni militari con mine magnetiche ed altri mezzi ed impiantò entro le officine ferroviarie di Santhià una fabbrica clandestina dove costruì mitragliatrici, Sten, trappole per il sabotaggio e perfino un’autoblindo, ed inoltre istituì un’efficiente rete d’informazioni militari su vasto raggio sugli spostamenti delle truppe nemiche. Vennero effettuati diversi aviolanci sulla Serra (campo Adstone 1 ed Adstone 2 a Magnano) di armi e di paracadutisti destinati ad altre zone e fra questi venne paracadutato anche il capitano Burns, polacco, già nostro istruttore alla base, che si appoggiò alla nostra missione per i suoi particolari compiti verso i polacchi impiegati dai tedeschi nella Todt […].
Partecipai a numerose riunioni dei Cln di Biella, Ivrea, Aosta, Vercelli e dei comandi partigiani, collaborando per gli accordi che condussero alla istituzione del Comando unificato di zona fra le varie componenti della Resistenza […].
Nella notte fra il 17 e il 18 novembre 1944 sulla Serra (campo Adstone 1) venne paracadutata la missione britannica Cherokee al comando del maggiore Alastair Macdonald, con i capitani Pat Amoore e Jim Bell ed il sergente radiotelegrafista Tony Birth” 12.
La missione Bamon venne incorporata nella Cherokee.
“Il 24 dicembre 1944 [con il comandante Gl Alimiro feci] saltare il ponte [ferroviario sulla Dora al centro di Ivrea].
Il 26 dicembre partecipai, con il maggiore Macdonald ed il capitano Amoore, alla ricezione del grande aviolancio diurno effettuato da 24 quadrimotori in località Baltigati di Soprana in Val Sessera e successivamente addestrai i reparti della XII divisione Garibaldi all’uso delle nuove armi lanciate, mentre il capitano Bell era distaccato in Valle D’Aosta […].
Il 4 gennaio 1945 il maggiore Macdonald – prevedendo un forte rastrellamento nemico dopo il grande lancio – mi ordinò di trasferirmi nella città di Biella con il tenente Gabory e Enrico Mario Bambino (Eric-Lupo), radiotelegrafista nel frattempo giunto da Milano ed aggregato alla missione – con il compito di mantenere il collegamento radio con la base, di convogliare presso di me vari servizi informazioni rimasti isolati dopo la cattura di vari centri radio della Franchi, di sovraintendere le azioni di sabotaggio alle linee ferroviarie. Il contatto con la missione, operante presso le forze partigiane di montagna, sarebbe stato tenuto con staffette.
Installai la radio a Biella ed un deposito di armi ed esplosivi. Il maggiore Macdonald mi comunicò di raggiungerlo sulla Serra, a Magnano, con i tenenti Gabory e Marincola (quest’ultimo recatosi nei giorni precedenti a Milano al comando del Cln alta Italia) il 7 gennaio per ulteriori istruzioni.
[Quel giorno la] locanda di Magnano, dove si trovava la missione, venne attaccata da un reparto di Ss infiltratosi nelle linee partigiane.
Restarono uccisi il radiotelegrafista Armando ed il sergente Pietro (di una missione distrutta a Torino ed aggregato dall’ottobre 1944 alla Bamon).
Vennero catturati il maggiore Macdonald ed il tenente Marincola, mentre il tenente Gabory, lievemente ferito, era riuscito a sfuggire alla cattura ed a raggiungermi lo stesso giorno a Biella […].
Tentammo in vari modi la liberazione di Macdonald e Marincola, che furono trasferiti da Biella il giorno antecedente a quello stabilito per tentare di occupare le carceri di Biella con l’appoggio dei reparti di Eric-Bora e di Aspirina (Buratti) per liberare i prigionieri […].
Rimasi a Biella oltre due mesi. Con l’aiuto del Cln (Poma, Guala, Cortusio, Finotto, Trompetto, Bocca, Galimberti ed altri) riuscimmo ad installare la radio in vari posti.
[Ai primi di marzo] venne paracadutato sulla Serra (Campo Perth) con un tenente, il maggiore Readhead che assunse il comando della missione.
Il tenente Gabory partì per la base via Svizzera, con il radiotelegrafista Eric-Lupo, sostituito dal radiotelegrafista Giuseppe giunto dalla Valtellina dove era stato paracadutato nell’estate del 1944.
Il nemico, preoccupato per la consistenza delle forze partigiane sulla Serra, iniziò un forte rastrellamento fino al 19 aprile e noi condividemmo gli spostamenti in pianura dei reparti partigiani.
Nella notte del 23 aprile 1945 i reparti partigiani occuparono Biella e la missione pose il suo comando all’albergo Principe.
Il 24 aprile il maggiore Readhead riunì a Biella i capi partigiani dell’alto Piemonte per esaminare il piano E27, d’insurrezione ed attacco alle città della pianura Padana.
In tale occasione il maggiore Readhead mi ordinò di entrare a Vercelli, ancora occupata dal nemico, assieme al sergente radiotelegrafista Giuseppe ed al caporale australiano Jones, con il compito di mantenere il collegamento radio con la base e con il radiotelegrafista Birth presso il capitano Amoore, di trasmettere ogni notizia riguardante le forze nemiche, di rappresentare la missione presso il Cln di Vercelli, e mi munì di un documento del Comando alleato che mi autorizzava a raccogliere la resa di truppe nemiche” 13.
Bonvicini partecipò alle travagliate vicende, intrecciate a combattimenti ed eccidi che caratterizzarono gli ultimi giorni di aprile nel territorio del Piemonte settentrionale fino alla resa dei tedeschi il 1 maggio.
“Si erano arresi circa 110.000 uomini del 75o Corpo d’armata, della V divisione Alpina, ed altri reparti tedeschi, i resti della divisione Monte Rosa e Littorio, del reggimento paracadutisti Folgore ed unità delle brigate nere della Rsi […].
Alla missione Cherokee vennero assegnate le funzioni di Amg per le città di Biella, Ivrea, Vercelli, ed ottenni di dividere tali compiti con il capitano Amoore per Biella e Ivrea dove maggiormente avevo operato.
Il 25 giugno partii per Siena per rendere il rapporto sulla missione svolta al comando della Special Force.
Durante il periodo del ‘governatorato’ mi recai oltre Trento per recuperare e portare a Biella la salma del tenente Marincola della nostra missione, che, liberato dalla prigionia, si era aggregato ai partigiani trentini ed era caduto il 4 maggio 1945 – dopo la resa delle truppe tedesche in Italia – in un ultimo combattimento con Ss tedesche” 14. <…>
Adolfo Mignemi, Fotografi nel Biellese 1943-45, © “l’impegno”, a. XIX, n. 1, aprile 1999, Edizione web a cura di p. a. © 2003 Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
12 Eugenio Bonvicini, Le missioni Cherokee e Bamon nel Biellese, in N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Bologna, Clueb – Fiap – Special Forces Club, 1990, vol. I, pp. 103-104.
13 Idem, pp. 105-108.
14 Idem, p. 111.

Giorgio Marincola, Archivio Istoreto, fondo Mautino Felice e Nicodano Giorgio, Raccolta fotografica. Storia della VII GL, Zimone, 1944 Giorgio Marincola, in secondo piano con gli occhiali, istruisce un gruppo partigiano sull’uso delle armi Sul retro si legge: “Mentre “Giorgio” della Bamon insegna pratica armi!”; “Zimone, Formazioni G.L. / agosto ’44; Giorgio Marincola della missione Bamon istruisce sull’uso delle pistole giunte col 1° lancio”. – Fonte: Razza Partigiana
Giorgio Marincola con Eugenio Bonvicini, vicecomandante della Missione Bamon, Archivio famiglia Marincola, Fotografie, Zimone, Castello di Mongivetto (Biella), 1944 – Fonte: Razza Partigiana
Gruppo di partigiani, Archivio Istoreto, fondo Mautino Felice e Nicodano Giorgio, Raccolta fotografica. Storia della VII GL, Giorgio insieme ad alcuni partigiani della Brigata Giustizia e Libertà Cattaneo. Sul retro si legge: “Castello Mongivetto ott. 44 dopo il rastrellamento e la distruzione di parte dei tedeschi del castello, il gruppo del comando G.L.da sinistra OSCAR (comandante 1a Mazzini), ARRI staffetta, Anselmo, Monti (comandante della VII divisione), Giorgio MARINCOLA (poi caduto M.d.O), Amedeo, Massimo Demeglio”. La foto è pubblicata anche sul volume di A. Poma, G. Perona La Resistenza nel Biellese, Libreria Vittorio Giovannacci, Biella, 1978 – Fonte: Razza Partigiana

(Articolo pubblicato su La Nuova Provincia di Biella del 25.04.2012)
Nelle righe che seguono intendiamo rievocare la vicenda di un combattente per la libertà che, pur non essendo biellese di origine, sul nostro territorio visse un periodo molto importante della sua esperienza resistenziale: si tratta di Giorgio Marincola, giovane studente di medicina nato in Somalia da padre italiano e madre somala, il quale operò nel Biellese come membro della missione alleata Bamon tra la fine di agosto del 1944 e la metà di gennaio del 1945.
Catturato dalle SS e condotto a Villa Schneider, fu in seguito inviato al carcere Le Nuove di Torino e da lì al campo di concentramento di Bolzano: liberato il 30 aprile 1945, morì quattro giorno dopo nei pressi di Stramentizzo (Trento) ucciso dai tedeschi.
Nel 1953 fu insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
[…]
Giorgio Marincola nasce il 23 settembre 1923 nel piccolo presidio italiano di Mahaddei Uen, in Somalia, da Giuseppe, maresciallo maggiore di fanteria, e da Aschirò Hassan; il padre riconosce sia lui che la sorella Isabella (nata nel 1925) ed entrambi acquisiscono così la cittadinanza italiana.
Rientrato in Italia, Giuseppe Marincola sposa Elvira Floris e si stabilisce con la moglie e con la figlia Isabella a Roma; Giorgio rimane invece con gli zii Carmelo Marincola e Emilia Calcaterra (che non hanno figli) a Pizzo Calabro, paese di origine del padre.
Giunto nella capitale nel 1933, all’età di dieci anni, Giorgio è iscritto al Regio Liceo “Umberto I”, dove frequenta cinque anni di ginnasio e tre di liceo; nei primi due anni del corso liceale ha come professore di Storia e filosofia Pilo Albertelli (attivo antifascista, animatore del movimento liberalsocialista e co-fondatore del Partito d’azione) il quale contribuisce in maniera decisiva alla maturazione del suo antifascismo.
Nel 1941 il giovane italo – somalo si iscrive alla facoltà di medicina dell’Università di Roma.
Durante l’occupazione tedesca, Giorgio Marincola entra a far parte del movimento clandestino facente capo al Partito d’Azione romano.
Nel marzo del 1944, dopo l’arresto di alcuni componenti dell’organizzazione (tra cui lo stesso Pilo Albertelli, che sarà poi trucidato alle Fosse Ardeatine) si allontana dalla capitale e entra in contatto con le formazioni partigiane che operano nel Viterbese, acquisendo così le prime esperienze nel campo dei sabotaggi e degli scontri a fuoco.
Dopo la liberazione di Roma Marincola si presenta al comando dello Special Operations Executive inglese offrendosi volontario per l’arruolamento: entra così a far parte dell’Organizzazione della Resistenza italiana (ORI) guidata dal capitano Antonio Conti.
Sul finire di agosto ’44, con il grado di tenente e il nome di battaglia “Mercurio”, viene scelto per entrare nel gruppo della missione Bamon, i cui obiettivi sono la messa in atto di azioni di sabotaggio, la salvaguardia di infrastrutture e il salvataggio di prigionieri alleati.
A seguito di un incontro tra il comandante della Bamon, Lionello Santi, e Edgardo Sogno, fondatore dell’organizzazione partigiana “Franchi”, la destinazione della missione (che in origine doveva essere la Lombardia) muta: il gruppo è infatti paracadutato nella notte tra il 20 e il 21 agosto su un campo nei pressi di Zimone, dove è accolto dagli uomini della brigata “Col. Cattaneo” (VII divisione “Giustizia e libertà”) comandata da Felice Mautino “Monti”, il quale ha installato il suo comando nel castello di Mongivetto.
Santi e Sogno proseguono poi per Milano, mentre la Bamon rimane ad operare nel Biellese: come lo stesso Sogno ha ricordato, essa «avrebbe coadiuvato l’organizzazione [Franchi] nelle sue varie attività valendosi di tutti i nostri servizi […] in particolare avrebbe provveduto a formare, istruire ed equipaggiare gruppi di attivisti sabotatori destinati ad operare nella zona contro le comunicazioni e il traffico su strade, autostrade e linee ferroviarie (Torino–Milano e Torino–Ivrea–Aosta)».
Il 15 settembre, durante l’attacco ad una colonna di autocarri sulla strada Cavaglià – Ivrea, Giorgio Marincola rimane ferito ad una gamba: «Con un gruppo GL più Garibaldi – scrive nel suo rapporto Eugenio Bonvicini – abbattiamo un generale tedesco […] a colpi di mitra e bombe a mano […] I tedeschi rimasti indenni aprono il fuoco con una mitragliatrice pesante. Altri mezzi arrestatisi prima dell’imboscata, ci muovono contro, tentando un aggiramento. Mentre sono incerto se sganciarmi o tentare uno sfondamento, vedo Mercurio [Marincola] gettarsi, con grandissimo coraggio e sangue freddo, all’assalto del corazzato con bombe a mano; lo seguo con l’intero reparto GL, e riusciamo a distruggerlo […] Mercurio è ferito abbastanza seriamente ad una gamba […] Nessun danno maggiore: l’addestramento era stato valido e Mercurio dimostra di aver ben meritato il grado di tenente».
Verso la metà di novembre alla Bamon si affianca la missione inglese Cherokee, inviata sul posto per cercare di mediare tra garibaldini e giellisti, che in quel periodo intrattengono tra loro rapporti assai tesi; “Mercurio” è incaricato di organizzare un servizio informativo e lavora a stretto contatto con il capitano inglese Jim Bell, il quale, molto duro nel giudicare gli uomini della Bamon, si esprimerà così sul giovane italo – somalo: «Secondo me, Mercurio era l’unico della missione Bamon che desiderava realmente fare qualcosa e non sprecare il suo tempo e denaro a divertirsi».
Marincola, con il radiotelegrafista Gabriele Ricci “Gabory”, si impegna anche ad attivare un servizio di collegamento tra l’organizzazione Franchi e il CLNAI di Milano.
Il 17 gennaio 1945, di ritorno da un viaggio nel capoluogo lombardo, viene arrestato dai tedeschi a Zimone (lo stesso giorno le SS catturano a Magnano anche il comandante della Cherokee, il maggiore Alistair Macdonald) e condotto a Villa Schneider, sede del comando Sipo – SD di Biella, per essere interrogato; richiesto delle sue generalità, afferma di chiamarsi Renato Marino.
La sera del 18 gennaio Giorgio Marincola è portato dinanzi ai microfoni di radio Baita, l’emittente installata al primo piano di Villa Schneider che dall’inizio di gennaio ’45 è utilizzata dalle SS come strumento propagandistico di lotta antipartigiana.
La trascrizione della trasmissione effettuata dai funzionari di P. S. di Biella non lascia dubbi sul disprezzo nutrito dai nazisti nei confronti di un ragazzo che, ai loro occhi, ha la “colpa” non solo di essere un partigiano ma anche di avere la pelle nera: «Abbiamo guardato il negro e fatto le nostre riflessioni […] era ben vestito, si vede che guadagnava bene con i partigiani […] Era studente in medicina. Idea sbagliata, che [sic] si fa curare da un medico negro? Ho sempre pensato che nel medico bisogna avere […] la massima fiducia perché a lui si affida la nostra persona. Questo qui non potrà mai essere un medico e credo che neanche i partigiani vorrebbero essere curati da lui».
Eugenio Bonvicini e Federico Bora (partigiano giellista attivo nel Biellese) affermeranno in seguito che Marincola non si lascia impressionare e stupisce il suo interlocutore (il tenente delle SS italiane Antonio Beghetto “Marforio”), che lo sta interrogando sul perché combatta con gli inglesi, pronunciando queste parole: «Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica … La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i Popoli del Mondo. Per questo combatto gli oppressori …».
Non riesce a terminare la frase: le SS lo aggrediscono percuotendolo in modo così violento da provocarne il ricovero all’ospedale di Biella.
Alla fine di gennaio Giorgio Marincola è trasferito al carcere Le Nuove di Torino, per essere poi assegnato al campo di concentramento di Bolzano.
Dopo la consegna del campo alla Croce Rossa Internazionale, avvenuta il 30 aprile 1945, Giorgio preferisce tentare di mettersi in contatto con i partigiani della Val di Fiemme anzichè accettare l’invito a raggiungere la Svizzera: il 4 maggio 1945, a guerra ormai conclusa, viene ucciso nei pressi di Stramentizzo per mano delle SS di un reparto che si sta ritirando verso il Brennero: ha solo 21 anni.
[…]
Ricordo di Giorgio Marincola, Frammenti di Storia Biellese

Giorgio Marincola. Archivio famiglia Marincola, Fotografie, Roma, 1940 (circa) – Fonte: Il Tascabile

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La medaglia
La medaglia venne conferita postuma al valor militare nel 1953 da Alcide De Gasperi ma nella motivazione non si fa cenno alle origini di Giorgio, nato nel 1923 in Somalia da Giuseppe ufficiale dell’esercito italiano e una donna somala, Aschirò Hassan, riconosciuto legalmente dal padre e cresciuto in Italia, “italiano” fino all’emanazione delle leggi razziali, quando il meticcio diventa “un essere moralmente e fisicamente inferiore, facile vittima di gravi malattie e inclinato ai vizi più riprovevoli” e il madamato, la relazione more uxorio con donne delle colonie che l’Italia aveva tollerato, è punita con la reclusione da uno a cinque anni.
Eccole le motivazioni della medaglia dell’Italia libera: “Giovane studente universitario, subito dopo l’armistizio partecipava alla lotta di liberazione, molto distinguendosi nelle formazioni clandestine romane, per decisione e per capacità. Desideroso di continuare la lotta entrava a far parte di una missione militare e nell’agosto 1944 veniva paracadutato nel Biellese. Rendeva preziosi servizi nel campo organizzativo ed in quello informativo ed in numerosi scontri a fuoco dimostrava ferma decisione e leggendario coraggio, riportando ferite. Caduto in mani nemiche e costretto a parlare per propaganda alla radio, per quanto dovesse aspettarsi rappresaglie estreme, con fermo cuore coglieva occasione per esaltare la fedeltà al legittimo governo. Dopo dura prigionia, liberato da una missione alleata, rifiutava porsi in salvo attraverso la Svizzera e preferiva impugnare le armi insieme ai partigiani trentini. Cadeva da prode in uno scontro con le SS germaniche quando la lotta per la libertà era ormai vittoriosamente conclusa”. La medaglia d’oro premia il partigiano Mercurio e il prigioniero Renato Marino, gli alias resistenziali di Marincola, ma sorvola su Giorgio il mulatto, il nero, il figlio del colonialismo italiano poi rinnegato dalle leggi razziali. Ma allo stesso tempo ci racconta di un liceale romano che diventa antifascista e poi partigiano e combattente in campagna e in montagna. Tra i due segni istituzionali, la medaglia e la targa della via che glissa sul partigiano per sciatteria, passano comunque 60 anni di buio. Chi l’ha rimessa insieme la storia del partigiano nero?
Il libro
Il caso Marincola si accende nel 2008 con il libro Razza Partigiana, storia di Giorgio Marincola (1923-1945) dei ricercatori e studiosi romani Carlo Costa e Lorenzo Teodonio. Si accende per 3 mila lettori, tre edizioni in dodici anni. Il libro non è una pubblicazione universitaria ma una ricerca storica, public history come si dice oggi, pubblicato da Iacobelli, all’epoca tipografo al suo primo anno da editore indie. Razza partigiana, Marincola sono entrati nel cloud. Molte recensioni, tante presentazioni e un reading importante, perché suggella il sodalizio con Wu Ming 2: già in appendice all’edizione 2005 di Asce di guerra, libro del collettivo su vari episodi della resistenza, compare un promemoria su Marincola, storia intercettata grazie all’incontro con il nipote Antar Marincola, con una cartellina di materiali e articoli di giornali locali. Poi Giovanni Cattabriga ha scelto di concentrarsi su Isabella con Timira. Romanzo meticcio (Einaudi, 2012) firmato con Antar. Il reading di Razza partigiana viene portato in giro (accompagnato dalle musiche di Egle Sommacal, Paul Piretto, Federico Oppi, Stefano Pilia), poi registrato in un cd, allegato alla rivista LOOP, per poi finire salvato dal macero e proposto a Transeuropa come Basta uno sparo (2010), cd e testi del reading. Poi viene allegato alla nuova edizione 2015 di Razza partigiana, si spera non l’ultima.
“Razza partigiana” è anche il sito open source che permette in economia di raccogliere altri materiali e archivi fotografici, e fare da sponda finalmente per collaborazioni con associazioni, laboratori e percorsi scolastici. Ma tremila copie sono poche per una storia che mette insieme colonialismo italiano, leggi razziali, resistenza e stragi naziste.
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La strage
Esiste una foto di Marincola abbattuto dai tedeschi. Il suo lembo di battaglia, il vecchio paese di Stramentizzo, dal 1956 è ricoperto da un lago artificiale creato per produrre energia elettrica. La salma di Marincola ha faticato a trovare la pace definitiva: è stato prima sepolto a Cavalese poi a Chiavazza, infine al Verano. Stramentizzo è una delle tante stragi nazifasciste nel tremendo biennio 1943-45. Cantavano le SS, cantavano probabilmente “Teufelslied”, l’inno delle armate che invasero la Francia, la Russia, i Balcani, dove non c’è spazio per sole, cuore e amore, le mamme melodiche di Beniamino Gigli e la promessa spaccona di Faccetta nera, ma c’è solo la fiera e cupa devastazione delle SS che “non riposano mai finché nessuno più disturberà la felicità della Germania”, cantavano quando in marcia lasciarono Stramentizzo in fiamme e i morti per terra. Teste fatte esplodere con le bombe a mano, corpi di donne e uomini maciullati. Erano entrati poco prima in colonna sventolando bandiera bianca, ma mentivano: non si volevano più consegnare. A Stramentizzo era il 4 maggio, Hitler si era sparato nel bunker il 30 aprile. Bruno Ganz quel giorno aveva già 4 anni. La guerra nel nord Italia era finita, le principali città liberate. Però c’è sempre tempo per morire. Finita la festa rimanevano i piatti da lavare (la resa, i ritorni a casa da sconfitti, il prezzo delle macerie e delle responsabilitá di aver invaso tutta Europa), ma i tedeschi in Italia decisero di spaccarli, come hanno raccontato le carte del cosiddetto “armadio della vergogna”.
[…]
Casalbertone è lontanissimo da Mahaddei Uen, il piccolo presidio italiano a cinquanta chilometri a nord di Mogadiscio, già teatro di combattimenti nel 1911 e occupato dalle truppe italiane l’anno dopo, dove nasce Marincola nel 1923. Il padre Giuseppe trentaduenne era maresciallo maggiore di fanteria. La madre Aschirò Hassan di Harardere, a quattrocento chilometri a nord-est di Mogadiscio, ne aveva 22. Giorgio viene battezzato con il nome del nonno paterno. Nel 1925 Giuseppe ed Aschirò a Mogadiscio hanno una bambina a cui danno il nome di Isabella, lo stesso della nonna paterna. Di lì a poco, tuttavia, il padre lascia la Somalia e Aschirò per tornare in Italia con i due bambini. Nel giugno del 1926, Giuseppe sposa Elvira Floris (1904-2002), sorella di un suo commilitone sardo. La famiglia si stabilisce a Roma, ma Giorgio viene portato a Pizzo Calabro ed affidato al fratello di Giuseppe e alla moglie. Giuseppe ed Elvira si stabiliscono qui con Isabella. Hanno due figli, Rita (1928) ed Ivan (1929). Giorgio rientra nel 1933 dopo un’infanzia vissuta senza traumi, inclusiva, persino benestante.
[…]
Il partigiano
Sono tante le sponde toccate da Marincola nel suo cv da partigiano. Per Costa “il colpevole del lungo silenzio può essere stata la retorica con cui la storia della resistenza viene raccontata, il personaggio e la vicenda sono sfaccettati e contraddittori, è facile confinarlo in una dimensione vittimista, perché figlio della storia coloniale. La morte dopo il 25 aprile lo ha impoverito come figura nella memorialistica. La sua figura di combattente è iconizzata per via della pelle ma gli si fa un torto a tramandarla come un blocco unico”. C’è qualcosa che rimane inespresso tra le cautele della ricerca e la benevolenza della retorica? Chi segue Razza Partigiana dagli esordi ha messo alla prova anche luoghi comuni e facili accoglienze. Giorgio Marincola non “è uno che ha dato una mano” contro fascisti e tedeschi. Non è nemmeno “un intruso volenteroso”. Non è l’esule che ritorna in patria come i francesi in Normandia, non è un legionario dalla vita oscura, un veterano assoldato per ultimo, non è una truppa al seguito, come i polacchi a Montecassino. Pur giovanissimo la sua coscienza delle cose è alta: fa il partigiano mentre il padre soldato viene fatto prigioniero in Africa, esulta con i compagni del partito d’azione alla capitolazione di Gondar, l’ultima roccaforte italiana in Africa Orientale – tra l’altro, esiste anche una piazza Gondar.
Viene persino assoldato dall’intelligence inglese, chissà cosa ne avrebbe detto il padre. Gli attraversamenti continuano: l’arruolamento nella missione Bamon lo mette in contatto con Edgardo Sogno, personaggio della resistenza, anticomunista che passerà dal 25 aprile al golpe bianco. La scelta del neonato partito romano d’azione è una scelta minoritaria rispetto ai numeri delle brigate comuniste e alla memorialistica che ne seguirà. Nella guerriglia viterbese conosce gli sbandati dell’esercito dopo l’8 settembre. Poi come racconta la medaglia d’oro c’è la scelta reiterata di combattere, anche dopo la prigionia che si conclude con la fuga dei tedeschi dal campo: “Marincola disobbedisce, come agente inglese era tenuto ad andare in Svizzera ma il 30 aprile si aggrega in val di Fiemme tra i partigiani”. Una scelta del tutto personale su cui trarre automatismi è fuorviante, ma che racconta di un ragazzo sempre in prima linea, che non si risparmia mai. Non c’è nessun diario di aspirazioni e ambizioni, il laboratorio vero e proprio delle scelte è tutto vissuto, quel poco che la ricerca ha trovato è dovuto a testimonianze e alle carte militari, a cui si è poco abituati quanto ci si affida alla panacea del “morto per la libertà”. Anche la citazione solenne, altisonante di Marincola sulla resistenza, nell’episodio di Radio Baita, la finta radio clandestina di contro informazione messa su dai repubblichini, è incerta, anzi probabile sia una ricostruzione postuma di un amico, un accorato omaggio.
Comunque sia per Carlo Costa “la sua insistenza nel combattere anche dopo il campo di prigionia, così come l’arruolamento nella missione inglese, fa porre una domanda: pensava di non aver fatto abbastanza? In Marincola c’è fortemente l’aspetto militare della resistenza, e c’è altrettanto il riscatto delle istituzioni italiane. Come se Marincola dovesse dimostrare qualcosa più degli altri”.
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Stefano Ciavatta, Giorgio Marincola, razza partigiana. Tra memorie familiari e documenti ufficiali, la difficile ricostruzione della storia del partigiano italo somalo, Il Tascabile