Americano venne a trovarmi nel mio ufficio

Angelo Ansaldi “Primula Rossa” – Fonte: ANPI Voghera

Alla fine di settembre il comandante Wheeler si reca ad ispezionare la divisione partigiana “Aliotta” su richiesta del suo comandante Domenico Mezzadra Americano: la formazione, che opera in valle Staffora, non ha ancora ricevuto lanci; durante l’incontro i due comandanti decidono di distaccare tre soldati americani, comandati dal caporale Uccellini, presso il distaccamento della formazione partigiana che ha sede a Casale Staffora. Vi restano fino al 12 dicembre 1944 e combattono duramente insieme ai partigiani durante il rastrellamento decembrino. Chiedono insistentemente al comando di Firenze di inviare armi e munizioni per fronteggiare l’avanzata nemica. Così aerei americani arrivano puntuali il 4, il 5 e il 10 dicembre mentre la battaglia è in pieno svolgimento. Di giorno, sotto gli occhi dei nemici, vengono lanciati mortai, mitragliatrici, miragliette, bombe a mano, plastico esplosivo, cappotti.
A Carrega gli americani svolgono un’intensa attività di aiuto alle forze partigiane.
Frequenti sono i lanci notturni e diurni sui pendii del monte Carmo, a volte con un grande numero di aerei (trenta il 18 novembre 1944). Oltre alle armi viene paracadutato anche vestiario e così in breve tempo tutti i partigiani vestono divise inglesi e americane.
Gli americani restano a Carrega fino al 14 dicembre quando, essendo tutto il fronte partigiano investito dal pesante rastrellamento invernale, decidono di rientrare alla base nell’Italia liberata, il che riesce loro proprio nella notte di Natale del 1944.
Aa.Vv., Aiuti dal cielo. Le Missioni Alleate in provincia di Alessandria (1944-1945), Isral

Voghera
“Primula Rossa” (con la stampella) insieme a “Memo,””Argo,”e “Ridella” – Fonte: ANPI Voghera

Angelo Ansaldi (“Primula rossa”), nato a Varzi (PV) il 02/08/1921, deceduto a Segrate (MI) il 10/08/1967. Fu promotore di una banda, nel maggio 1944, nella zona del varzese, composta da giovani della zona (per lungo tempo, avrebbe difeso l’autonomia del suo gruppo e ne avrebbe rifiutato l’inquadratura partitica).
Al suo fianco Nando Dellagiovanna, valoroso ex carabiniere che morirà nel corso del rastrellamento
estivo dell’agosto ‘44.
La prima azione di rilievo è il disarmo del presidio fascista di San Sebastiano in Val Curone, il 6 giugno, recuperando armi e munizioni. Quasi un mese dopo, la banda di “Primula rossa” (questo il suo nome di battaglia) entrerà a far parte della brigata garibaldina “Capettini”, rafforzando la formazione e la presenza partigiana in Val Staffora: le tappe successive sono il disarmo del presidio di Cabella Ligure e la battaglia dell’Aronchio, combattuta insieme ad “Americano” [Domenico Mezzadra] ed alle formazioni di “Giustizia e Libertà”.
Seguono poi, in successione, lo scontro di Dego contro la famigerata “Sichereits” (10 Agosto), in cui i fascisti vengono messi in fuga e costretti a ripiegare su Varzi, e la presa di Pietragavina con la resa del presidio repubblichino (13 Agosto).
Ansaldi è un «comandante amato dalla sua gente», dirà il responsabile della missione americana
Roanoke, lo testimonia anche (come molti altri protagonisti di quel periodo) nel suo diario don Rino
Cristiani, parroco di Nivione e cappellano partigiano. Dopo il rastrellamento estivo, assume il comando della “Capettini”, partecipa alla liberazione di Varzi ed alla nascita della Zona Libera.
Nel corso del feroce rastrellamento invernale del 1944, mantiene la formazione in zona, guidandola in una drammatica marcia di sganciamento dai rastrellatori nazifascisti nella neve e nel gelo, perdendo un solo uomo (lo studente Piero Fontana, morto a seguito di un congelamento). Il 17 gennaio [1945] Ansaldi cade in una imboscata dei nazifascisti presso l’abitato di Bralello, frazione del comune di Brallo di Pregola.
Ferito e fatto prigioniero, subisce l’amputazione della gamba sinistra presso l’ospedale di
Alessandria.
Esattamente un mese dopo, a seguito di uno scambio tra prigionieri, torna, anche se
pesantemente menomato, alla guida della “Capettini” fino alla Liberazione.
Presenziò, il 3 Maggio 1945, al comando del plotone di esecuzione che fucilò Felice Fiorentini,
nello stesso luogo in cui, il 10 luglio 1944, il comandante della “Sicherheit” aveva fatto passare
per le armi 3 partigiani.

ANPI Voghera

Capannette di Pei, Estate 1944: “Americano” Domenico Mezzadra e Partigiani della Divisione “Aliotta” – Fonte: ANPI Voghera

[…] liberazione di Varzi da parte delle formazioni partigiane della brigata Capettini comandata dall’«Americano», Domenico Mezzadra, che aveva come luogotenente «Primula Rossa», il varzese Angelo Ansaldi […] La battaglia per la liberazione di Varzi dall’occupazione di una compagnia di alpini della divisione Monterosa comandata dal capitano Terrabrami era iniziata il 18 settembre 1944 per concludersi il 20 dello stesso mese con la completa resa dei fascisti che si erano asserragliati nell’edificio delle scuole elementari di piazzale Marconi. I contatti tra il comandante «Americano» e il capitano Terrabrami erano stati portati a buon fine da una delegazione capeggiata dall’allora curato di Varzi don Tino Padrini, ora parroco a Borghetto Borbera, e composta dal capitano degli alpini in congedo Giovanni Celasco e da Costantino Piazzardi. La maggior parte degli alpini chiese di poter entrare a far parte delle formazioni partigiane e iniziò la guerra in montagna. La minoranza di fedeli al fascismo fu accompagnata a Ponte Nizza dove si riuni al grosso della divisione Monterosa. Durante i combattimenti perse la vita il partigiano Enzo Togni di Broni mentre con altri commilitoni scendeva dalla costa di Rosara per sorprendere alle spalle il nemico asserragliato nelle scuole. Fu colpita a morte di buon mattino mentre usciva dopo aver ascoltato la messa Lauretta Romagnesi, 25 anni soltanto, alla quale il Comune di Varzi ha poi dedicato una via. Furono colpiti dai cecchini mentre lavoravano nei campi circostanti i contadini Giovanni Corvetta e Giorgio Fronti. Varzi rimase libera fin verso metà del mese di dicembre 1944, quando dovette arrendersi alle truppe asiatiche che affiancavano i tedeschi.
Franco Draghi, la Provincia Pavese, 19 settembre 2007

Qualche giorno dopo quella rapida apparizione sulla piazza, Americano venne a trovarmi nel mio ufficio: “Mi hanno detto che puoi fare qualcosa per i miei familiari che abitano vicino a Broni e corrono il rischio di cadere nelle mani dei fascisti o dei tedeschi”. S’imponeva la necessità che i suoi anziani genitori, la sorella e il fratello gravemente infermo, venissero sistemati in zona sicura. Evidentemente imbarazzato di dover trattare un problema che gli stava a cuore, ma che lo riguardava personalmente, mi espose questi fatti senza spendere una parola in più del necessario.
Mi sentii orgoglioso di poter fare qualcosa per lui. Sapevo che in situazioni come questa erano accadute cose terribili; mi misi d’impegno e in poche ore trovai una buona soluzione: una casetta appena fuori Varzi, in una località dove passava pochissima gente, e dove nessuno avrebbe potuto riconoscere in quelle persone i famigliari di un capo partigiano.
Due sere dopo, vestito da ufficiale tedesco e guidando una vettura di grossa cilindrata, Americano entrò nella casa che aveva lasciato tanti mesi prima. Caricò tutti quanti, risalì la strada della montagna e mi raggiunse puntuale al luogo convenuto. L’ansia che mi aveva tenuto in apprensione durante l’attesa scomparve di botto, e mi diedi un gran da fare per sistemare il bagaglio: una cassa di legno con la biancheria, un sacco di riso, due fiaschi d’olio, una grossa cesta di patate.
La madre, vestita di nero come dovesse recarsi alla messa della domenica, era una donnetta vispa, con lo stesso naso all’insu di Americano. Era la più ciarliera di tutti e mi si rivolgeva con grande familiarità: “Fortuna che siamo stati avvertiti con qualche giorno di anticipo, così ho potuto preparare un po’ di scorte”. Un’idea fissa che continuava a ripetere.
Poi, mentre aiutava il figlio infermo a salire le scale, mi spiegò che Domenico (questo era dunque il nome un po’ campagnolo del comandante Americano!) non aveva pronunciato una sola parola per tutto il viaggio: “Solo quando siamo entrati in terra partigiana si è voltato verso di me e mi ha sorriso, allora ho capito che eravamo finalmente al sicuro”. A ogni buon conto non era prudente che Americano si facesse rivedere da quelle parti, e quindi mi presi io l’incarico di andare, quando potevo, a far visita alla sua famiglia, per scambiare due parole e vedere se occorresse qualcosa. Clemente Ferrario Clemente Ferrario (1926-2018), di famiglia varzese povera, educato alla libertà da due zii socialisti e dalle letture di Tolstoi, da ragazzo antifascista diventa partigiano, militante e poi dirigente e funzionario del Partito comunista, avvocato della CGIL. Nell’ultima parte della sua vita si è dedicato agli studi storici e ad opere di scrittura e narrazione. Il pezzo qui riportato è tratto da “Uomini della Resistenza”, Guardamagna Editori in Varzi, 2019. in 1944 – Le Repubbliche Partigiane

Le giornate del 24 e 25 luglio 1944 – che prendono il nome di battaglia dell’Aronchio – restano nella storia della Resistenza oltrepadana come il primo scontro in campo aperto tra partigiani e fascisti, con la sconfitta dei repubblichini.
Solo dieci giorni prima a Cabella Ligure il presidio della GNR era stato assaltato con successo da “Americano”, Domenico Mezzadra, con gli uomini di Angelo Ansaldi “Primula Rossa” e Nando Della Giovanna “Nando”, favorendo la fusione tra i due gruppi.
Lo scontro nasce da una azione di rastrellamento che nella giornata del 24 si dirige verso Zavattarello, Romagnese, Val di Nizza e Brallo. Quest’ultima colonne incontra una forte resistenza nella frazione Montemartino e viene messa in fuga. Viene catturato il maggiore Laxca Bojaxhju che guida le truppe fasciste e respinti con successo i rinforzi arrivati da Varzi in un duro scontro, nel quale “Americano” ferito ad un polso prosegue la lotta. La reazione dei fascisti vede l’organizzazione di una immediata, nuova puntata in questa direzione, con oltre 200 uomini tra reparti della Brigata Nera, della Scuola allievi ufficiali di Tortona e della “Sichehreit”.
La colonna fascista si accanisce sui civili uccidendo il giovane contadino Andrea Rossi (22 anni) a San Martino di Varzi, mentre a Carro sono assassinati Giacomo Stefano Buscaglia (31 anni) e la madre Maria Celestina Manfredi (59 anni), accorsa alla notizia della morte del figlio. Il giovane Francesco Tacchella (15 anni) viene colpito a morte da una scheggia nei pressi dell’Aronchio. Ad opporsi con successo all’attacco sono i garibaldini della “Capettini” e della “Crespi” ed i giellisti della 4a Brigata, con la presenza di contadini del luogo, giovani e anziani, che hanno deciso di battersi contro i rastrellatori (così come avverrà anche in Val Borbera un mese dopo).
Lo scontro si conclude con la netta sconfitta degli assalitori che lasciano sul terreno una decina di morti, alcuni prigionieri, tra i quali Elsa Cristofori, ausiliaria della X Mas, aggregata alla Sicherheit, che verrà fucilata.
Tra i partigiani cadono il garibaldino Carlo Benedini (28 anni) di Bocco ed il giellista Giovanni Ferrari (20 anni) di Menconico, mentre Rinaldo Dellagiovanna (27 anni) di Menconico è ferito al viso (verrà ucciso un mese dopo nel corso del rastrellamento estivo).
Muore anche il quindicenne Aldo Felice Casotti “Monello”, nato a Minucciano (Lucca) e residente con i genitori a Nervi, in Liguria. Fuggito di casa per unirsi ai partigiani viene colpito mentre portava munizioni ai suoi compagni. Al suo nome verrà intitolata la Brigata garibaldina comandata da Luchino Dal Verme “Maino”. È stato insignito di Medaglia d’Oro al Valor Militare. ANPI Voghera

Fonte: Varzi Viva

“Oggi 4 dicembre 1943 ordine del manifesto delle forze armate repubblicane di presentarsi a militare nella Repubblica, io come sempre sono stato antifascista, parto per i monti e facendo opera antifascista tra i montanari di non presentarsi nella Repubblica, e nel medesimo tempo per non dare sospetti compravo delle pelli e rifornivo cartucce e, quando un bel giorno (11-1-1944), venni a sapere che a Varzi è tutto tranquillo, mi recai in paese per rifornimenti in cerca di armi e munizioni.”
Questo è l’inizio del diario di Angelo Ansaldi, nome di battaglia ‘Primula Rossa’ che, seguendo la testimonianza di don Rino Cristiani, ha svolto un ruolo importante nella lotta partigiana dell’alta Valle Stàffora. Infatti don Rino afferma nel suo diario: “Il titolo di fondatore e di animatore del movimento partigiano nell’alta Valle Stàffora, dico “Alta val Stàffora”, va riconosciuto a Primula Rossa (Angelo Ansaldi). Era questi un giovane di 22 anni: alto, snello, divoratore di distanze, dotato di un ardimento non comune. Quello che ha saputo compiere con la forza del suo esempio e del suo sacrificio, non è un mistero per nessuno.Le sue vere gesta, le numerose prove del suo coraggio, la sua presenza ovunque ci fosse qualcosa da rischiare e da soffrire, fecero di lui giustamente, la più popolare figura partigiana dell’alta val Stàffora, l’idolo dei nostri monti.
La val Stàffora, la val Curone, la val Borbera, il Bobbiese, tutti i comandanti partigiani limitrofi, lo conobbero, lo ammirarono,… Soffrirono con noi al triste annuncio della sua tragica cattura, esultarono alla sua liberazione, lo acclamarono freneticamente quando, pur mutilato della sua gamba sinistra ed ancor sofferente, riprendeva il comando…, suscitando ovunque quell’ondata di entusiasmo, il cui ricordo è ancora vivo nelle nostre menti”. L’esperienza di Primula Rossa, all’inizio, è un fatto individuale, il rifiuto alla chiamata alle armi fatta dalla Repubblica Sociale.
Detto il no, si tratta di sopravvivere usando le complicità malsicure di paese. Raccoglie armi prevedendo una imminente rivolta armata. Proprio nel corso di queste azioni individuali viene arrestato perché è stato tradito dalla solita spia. Il capo della Sicherheits propone a Primula Rossa di entrare a far parte della Repubblica Sociale. Accetta, è lasciato libero e ritorna a casa.
Dopo pochi giorni si ammala di pleurite e si fa ricoverare presso l’ospedale militare di Voghera. Per circa quattro mesi rimane in convalescenza, un po’ all’ospedale e per circa tre mesi a casa. Quindi a metà maggio Angelo Ansaldi comincia la sua vita da ribelle, ancora solitario o quasi, e la sua esperienza di vita alla macchia.
E’ probabile che in questo periodo venga a contatto con un’altra piccola banda di “territoriali” che era nel paese di Dezza. Quei pochi ribelli avevano pochissime armi. Allora Primula Rossa va a contattare il gruppetto di Dezza che si unisce all’azione. Viene occupato il passo del Penice; anzi, requisendo una corriera di Piazzardi si giunge fino alle porte di Bobbio. Lì la situazione è confusa, questi ribelli non sanno che fare. Tengono per qualche giorno il passo del Penice e nel frattempo al gruppo si uniscono cinque o sei uomini […] albori della disubbidienza civile spontaneamente effettuata dalla popolazione ed assieme la nascita di piccoli gruppi di ribelli che aspettavano l’occasione propizia per cimentarsi nella prima azione di disturbo. E’ in questa situazione che capita con funzione coagulante e stimolante la personalità di Primula Rossa.
Due essenzialmente erano le componenti di quell’atmosfera: la nera miseria di quelle zone e la disperazione delle famiglie per il ritorno o il non ritorno dei figli che hanno lasciato i reparti dell’esercito dopo l’8 settembre 1943.
Questa situazione ha aumentato il fenomeno della disubbidienza civile: anche il novello stato repubblicano disorganizzato e velleitario non è in grado di far sentire la presenza delle sue strutture amministrative e quindi ancor di più i giovani sbandati del luogo cercano in qualche modo di organizzarsi, chi a Colleri chi a Brallo e chi a Dezza, comune sito nel Piacentino, ma distante dal Brallo pochi chilometri, al di là del crinale, sulla val Trebbia.
Il gruppo più numeroso, infatti, e più attivo è quello di Dezza: circa 15 uomini. Primula Rossa programma, verso la fine di maggio del 1944, un metodo empirico di azioni partigiane contro caserme, presidi e paesi.
L’azione è del 5 giugno, ma quando tutto sembrava pronto per quest’azione, con il trenino delle 20,30 da Voghera arrivò un gruppo di militi della Brigata Nera (circa una trentina), al comando del colonnello Fiorentini.
Continua Primula Rossa: “Non si poteva attaccare perché erano troppo superiori confronto a noi che non avevamo quasi niente e l’unica era ritornare ancora ai nostri cari monti che tanto ci aspettavano e infatti si fece dietro front”.
Questo tentativo di azione, che poi è stato la causa di un successivo assalto alla caserma di S. Sebastiano Curone, assalto questo finalmente riuscito, è ricordato anche da Pietro Azzaretti di Pregola (“Fuoco”).
E’ da questo periodo, fino al luglio 1944, che si dispiegano tutte le operazioni di contatto da parte del nucleo delle future brigate garibaldine della Delegazione Lombardia nei confronti della banda di Primula Rossa, per assorbirla.
Nel mezzo di questi contatti si localizza la presa di Cabella, il 13 luglio 1944, e come termine ultimo dell’autonomia della banda possiamo mettere la battaglia dell’Aronchio.
Alla fine del luglio tutta la zona del Brallese entra a far parte effettivamente e saldamente della giurisdizione delle formazioni garibaldine.
Possediamo, per illuminare questa situazione, il diario di don Rino Cristiani e quello di Primula Rossa, una relazione di Remo, commissario delle Brigate Garibaldi, e la testimonianza dell’Americano.
Nel suo diario don Rino Cristiani ribadisce più di una volta l’autonomia e l’indipendenza del gruppo di Primula Rossa nei confronti dell’organizzazione partigiana del Partito Comunista che nel mese di giugno muoveva i primi passi nella zona di Capannette di Pej.
Ancora a proposito della battaglia dell’Aronchio, il parroco di Nivione insiste nel ribadire l’autonomia del gruppo di Angelo: “Per la storia va ricordato che a questa data, 25 luglio 1944, Primula Rossa era ancora indipendente da Remo e dall’Americano, e quindi a lui ed all’aiuto validissimo degli uomini di Giustizia e Libertà va attribuito e riconosciuto il merito delle vittoriose battaglie di Montemartino e dell’Aronchio”.
Da questa impostazione e da alcune testimonianze raccolte la battaglia dell’Aronchio acquista una coloritura particolare: gli stessi abitanti del Brallo in quel momento, trascinati dall’istinto della difesa delle proprie terre e dalla scoperta, fatta proprio in quei giorni, della evidente realtà di una lotta armata senza quartiere, scesero in massa e con armi rudimentali, per respingere la colonna fascista che aveva tentato di risalire l’Alta Valle Stàffora.
Uno degli aspetti interessanti di questa battaglia consiste anche nel fatto di un piccolo gruppo armato di partigiani che coagula intorno a sé la popolazione.
Ritornando al rapporto tra Primula Rossa e i capi garibaldini, in una relazione datata 6-7-1944, il “Commissario Remo” afferma: “Il giorno 5 luglio la banda irregolare che agiva nei dintorni del passo del Brallo, compreso il pericolo che correva di essere da noi attaccata, si è sottomessa.
Stiamo organizzandola come nostro distaccamento; essa consta di 25 uomini ben armati, che ci sembrano adatti all’inquadramento militare.
All’uopo abbiamo mandato il nostro Comandante con dei capi squadra per prendere il comando”.
Sulla stessa linea interpretativa si basa la testimonianza dell’Americano.
Il primo nucleo della brigata Capettini, con a capo lo stesso Americano, si trova a dover far fronte all’indisciplina di piccoli gruppi di renitenti alla leva che nei singoli paesi dell’Alta Val Stàffora mettevano paura alla gente e vivevano sulle loro spalle.

Fonte: Varzi Viva

L’Americano ricorda la presenza di un gruppo di sbandati (circa 30), che stazionavano nell’abitato di Bogli. Costoro derubavano la popolazione per mantenersi senza neppure fare operazioni di disturbo o guerriglia contro le casermette della Guardia Repubblicana.
Nei loro confronti, gli uomini dell’Americano hanno operato una azione di polizia: circondato il paese e disarmati gli sbandati, “Abbiamo fatto un discorso a questa gente: non potete vivere sulla popolazione. La maggior parte sono venuti con noi, altri se ne sono andati via”.
Poi è avvenuto il contatto con Primula Rossa che operava nella zona del Brallo e che non aveva ben digerito quanto accaduto.
“Costoro vivacchiavano, non combattevano, cercavano di sopravvivere. Non hanno fatto niente di male”.
Non si tratta, a nostro parere, di decidere chi ha ragione e chi no, ma di fissare l’attenzione su un rapporto complesso, non chiaramente definibile, tra Primula Rossa e l’organizzazione partigiana.
Alcune annotazioni del diario di Primula Rossa possono essere in questo senso interessanti e metterebbero in evidenza, al di là di una disquisizione gerarchica, la particolare autonomia di Primula Rossa e del suo gruppo originario. Va ricordato che un azione di disarmo e assorbimento venne proposta anche contro il gruppo dello stesso Ansaldi. L’Americano però disse “Togliere le armi a Primula Rossa e ai suoi uomini è come togliere la preda ad un leone affamato”. Quando poi cercarono il secondo contato col gruppo ebbero una brutta sorpresa. Erano spariti tutti. Successivamente acconsentirono ad entrare nelle formazioni Garibaldine senza però lasciarsi sottomettere. Ansaldi rimase infatti sempre alla guida dei suoi uomini fino a diventare il comandante della brigata “Capettini”

Fonte: Varzi Viva

Quello che può essere stabilito con sicurezza è che il periodo spontaneistico e prepolitico della lotta partigiana si esaurisce completamente nella seconda metà del luglio 1944.

da Il coraggio del NO. Figure e fatti della Resistenza nella Provincia di Pavia, Editrice Amministrazione Provinciale di Pavia, 1981, in Varzi Viva a cura di Ugoberto Alfassio Grimaldi e Lucio Rovati