Il primo processo e la prima sentenza della Corte milanese furono a carico di una donna accusata di collaborazionismo

Uno scorcio del centro di Milano nell’immediato dopoguerra – Fonte: Milàn l’era inscì Urbanfile su Flickr

[…] Erano considerati collaboratori da sottoporre al giudizio delle Corti i maggiori esponenti della Repubblica sociale italiana, giudici militari compresi e più precisamente “ministri o sottosegretari di stato del sedicente governo della Repubblica sociale italiana o cariche direttive di carattere nazionale nel Partito fascista repubblicano; presidenti o membri del Tribunale speciale per la difesa dello Stato o dei tribunali straordinari istituiti dal predetto governo ovvero vi abbiano sostenuto la pubblica accusa; capi di provincia o segretari o commissari federali od altre equivalenti; direttori di giornali politici; ufficiali superiori in formazioni di camicie nere con funzioni politico-militari”.
Dopo la Liberazione, molti collaboratori furono denunciati: nella sola Lombardia nel mese di giugno erano già stati eseguiti oltre 21000 arresti, inoltre, tra giugno 1945 e aprile 1946, gli alleati segnalarono alle autorità italiane diverse centinaia di spie, traditori e fascisti da perseguire.
[…] A Milano i primi a uscire dal carcere furono alcuni componenti della banda Finizio.
Come prevedibile, le scarcerazioni provocarono un’ondata di proteste, soprattutto da parte di ex partigiani e dei familiari delle vittime della repressione nazifascista.
Fu così che “l’obiettivo di determinare la pacificazione nazionale, principale giustificazione dell’amnistia, fallì. Si ebbe anzi l’effetto opposto. La sensazione di grande ingiustizia provocata dalla scarcerazione di famigerati seviziatori e assassini riaccese gli animi e provocò il ritorno a violenze di massa simili a quelle attuate all’indomani della liberazione” <3.
Tornando alle Corti di Assise straordinarie, per permettere il compimento dei procedimenti per collaborazionismo in corso, fu necessario prorogare il loro funzionamento fino al 31 marzo 1947, poi al 30 giugno 1947, infine al 31 dicembre 1947, ma soltanto per l’espletamento di procedimenti per i quali, alla data del 30 giugno 1947, fosse stata richiesta la citazione al giudizio o pronunciata sentenza di rinvio al giudizio avanti la Sezione speciale. I procedimenti per i quali, al 31 dicembre 1947, fosse iniziato il dibattimento, continuarono a svolgersi, fino alla loro definizione. Tutti gli altri processi passarono alle Corti di assise ordinarie e le Corti che terminarono i processi prima del termine ultimo previsto furono soppresse.
La Corte di Assise Straordinaria di Milano – poi Sezione Speciale della Corte di Assise di Milano
Dall’inizio dell’attività fino al 15 novembre 1947, il Tribunale avviò 1001 procedimenti, come risulta dal Registro generale di iscrizione, e pronunciò 885 sentenze, dal 23 maggio 1945 al 29 dicembre 1947, nei confronti dei collaboratori dei nazifascisti. Come prevedeva la legge, rientrarono in questa categoria i maggiori esponenti politici della RSI, i giudici militari e dei tribunali speciali, i direttori e i giornalisti dei giornali politici, inoltre i membri delle varie bande e brigate fasciste, militari dei vari Corpi, dirigenti e funzionari pubblici, agenti carcerari, propagandisti, spie e confidenti, ecc…, generalmente denunciati alle autorità dopo la Liberazione.
Il primo processo e la prima sentenza della Corte milanese furono a carico di una donna accusata di collaborazionismo per la sua attività di interprete e dattilografa presso il quartier generale tedesco all’Hotel Regina. L’imputata aveva 45 anni ed essendo ritenuta informatrice dei tedeschi, fu condannata a dodici anni di reclusione. Successivamente fu amnistiata.
Numerosi procedimenti non superarono la fase preliminare e furono archiviati nel 1945 – 1946. Le archiviazioni furono in qualche caso determinate dalla morte degli imputati.
La maggior parte degli imputati, nonostante le iniziali severe condanne, tornò libera nel giro di pochi anni dopo aver ricorso in Cassazione e, soprattutto, grazie all’amnistia Togliatti, come testimoniano anche i fascicoli di esecuzione delle sentenze. Qualcuno ottenne la grazia. Le poche eccezioni riguardano alcune personalità di rilievo del Regime, come il ministro dell’Interno della RSI Guido Buffarini Guidi (classe 1895, pisano), condannato alla pena di morte e giustiziato il 10 luglio 1945 (sentenza n. 7 del 28 maggio 1945), o Giovanni Folchi (classe 1916, milanese), capitano dell’Aeronautica della Repubblica Sociale Italiana, condannato a morte e fucilato (sentenza n. 114 del 22 agosto 1945).
Pur non mancando procedimenti a carico delle personalità più in vista, gli atti prodotti dalla Corte di Assise straordinaria di Milano riguardano principalmente persone comuni, civili e militari, accusate del reato di collaborazionismo, anch’esse in larga parte liberate nel giro di poco tempo.
L’ultima sentenza della Corte milanese fu pronunciata il 29 dicembre 1947, nei confronti di alcuni militi della Brigata Nera Aldo Resega.
Storia archivistica
Dopo il versamento, sono state poste in consultazione le sentenze e i fascicoli processuali, non riordinati, corredati con la copia della Rubrica alfabetica degli imputati dei procedimenti della Corte di Assise straordinaria di Milano e della Sezione di Lodi.
Il Processo al Reparto speciale di polizia Pietro Koch è stato considerato un fondo a parte, ed è stato inventariato nel 2001 da Fiammetta Auciello.
La prima descrizione complessiva ma sommaria del fondo risale al 2005 (a cura di Carmela Santoro).
Le sentenze sono state inventariate dallo studioso Alfonso Airaghi che ha consegnato all’Archivio di Stato di Milano una copia della descrizione per metterla a disposizione degli utenti.
A partire dal 2015, sono iniziati il riordino e la descrizione analitica dei fascicoli processuali. L’attività è stata realizzata da Carmela Santoro con la collaborazione degli allievi della Scuola di Archivistica Paleografia e Diplomatica tra il 2015 e il 2017 e di alcuni tirocinanti dell’Università degli Studi di Milano. Contestualmente è stata avviata anche la descrizione dei fascicoli di esecuzione delle sentenze, versati dalla Procura di Milano nel 2010, a cura di Carmela Santoro, con la collaborazione di Eleonora Bonzi, tirocinante dell’Univerisità degli Studi di Milano.
Attualmente (2021) il fondo si presenta riordinato, con l’aggiunta del Procedimento al Reparto speciale di polizia Pietro Koch e dei Fascicoli di esecuzione delle sentenze, e inventariato fino alle unità archivistiche, accorpando ed integrando in un unico strumento tutte le descrizioni disponibili.
Modalità di acquisizione o versamento
Il fondo è stato versato all’Archivio di Stato di Milano dalla Corte di Appello di Milano nel 1998; nel 2010 la Procura ha versato anche i fascicoli di esecuzione delle sentenze.
Contenuto
Il fondo è formato dalle serie:
– Registri, in comune con la Sezione speciale di Lodi (2 registri, 1945 – 1947);
– Sentenze (11 volumi, 1945 – 1947);
– Fascicoli processuali (79 buste, 1945 – 1947 con antecedenti dal 1905 e seguiti fino al 1978);
– Procedimento penale contro Pietro Koch ed altri del Reparto speciale di polizia (11 buste, 1946 con antecedenti dal 1934);
– Fascicoli di esecuzione delle sentenze (8 buste, 1945 con seguiti fino al 1972).
Gli atti processuali e le sentenze riguardano persone denunciate nel dopoguerra per aver collaborato con i nazifascisti, prevalentemente nel periodo compreso tra il 10 settembre 1943 <4 e il 25 aprile 1945, quando Milano, la città ritenuta più importante dal punto di vista economico e politico di tutta l’Italia occupata, faceva parte, come tutto il nord, della Repubblica Sociale Italiana istituita da Mussolini il 23 settembre 1943 con il sostegno dei Tedeschi.
I comandi interregionale e interprovinciale tedeschi, affidati a Karl Rauff e al capitano Theodor Saevecke, avevano sede in pieno centro città, a pochi metri da piazza del Duomo, presso l’hôtel Regina, requisito e circondato da filo spinato <5.
Molti procedimenti sono a carico di esponenti di spicco della Repubblica Sociale Italiana. La Corte milanese processò, oltre al già menzionato Buffarini Guidi, i ministri delle finanze Giampietro Pellegrini, (classe 1899, originario della provincia di Potenza), condannato a cinque anni e quattro mesi di reclusione e successivamente amnistiato (sentenza n. 126 del 28 agosto 1945); dell’economia nazionale Angelo Tarchi (classe 1897, toscano – sentenza n. 184 del 17 aprile 1946); dei lavori pubblici fino al 1939 Giuseppe Cobogli Gigli (classe 1892, triestino), assolto il 9 aprile 1946 dopo aver ricorso in Cassazione (sentenza n. 159 del 9 aprile 1946).
Tra i capi militari, subì un processo da parte della Corte milanese Filippo Diamanti (classe 1897, romano), comandante del Comando militare regionale della Lombardia dall’8 giugno 1944, che fu inizialmente condannato a quindici anni di prigione, poi condonati a dieci (sentenza n. 6 del 17 gennaio 1947). In seguito al ricorso in Cassazione, la sentenza fu annullata e il procedimento rinviato alla Corte di Assise Speciale di Brescia (14 giugno 1947).
Tra le autorità cittadine, la Corte aprì procedimenti nei confronti di Piero Parini (classe 1894, milanese), podestà e capo della Provincia, accusato di non aver fatto nulla per evitare l’eccidio di Piazzale Loreto; secondo diverse testimonianze e le carte processuali (tra le quali relazioni dello stesso imputato), egli aiutò concretamente gli ebrei, fornendogli anche passaporti falsi, e gli antifascisti e impedì una spaventosa rappresaglia nei confronti degli scioperanti del 1944 <6. Per questo fu condannato a otto anni e quattro mesi di reclusione, ma il processo fu poi rinviato alla Corte di assise speciale di Varese (sentenza n. 261 del 27 ottobre 1945).
Il capo della provincia dal 20 agosto 1944 Mario Bassi (classe 1901, fiorentino), fu condannato a sei anni e otto mesi di reclusione, immediatamente condonati (sentenza n. 10 del 25 gennaio 1947). La Corte di Assise di Appello di Milano dichiarò poi estinto il reato per amnistia il 4 dicembre 1959.
Il questore Bettini (classe 1898, fiorentino), in carica nel momento della strage di Piazzale Loreto, fu accusato per quell’azione, ma le testimonianze convinsero i giudici che non fosse informato delle intenzioni dei Tedeschi. Inoltre, pesò a suo favore lo smantellamento della banda Koch. Processato insieme a Parini, fu assolto per non aver commesso il fatto (sentenza n. 261 del 27 ottobre 1945).
Un processo riguardò anche il questore Camillo Santamaria Nicolini (classe 1894, di Maddaloni), tenente colonnello degli alpini, accusato di aver fatto parte del Tribunale militare straordinario, in qualità di Presidente, che il 19 dicembre 1943 condannò a morte otto antifascisti per vendicare l’uccisione del commissario federale Aldo Resega, avvenuta il giorno prima. Nicolini fu condannato a morte il 12 novembre 1946 (sentenza n. 358), ma nel 1947 la Corte di Cassazione annullò la sentenza e rinviò il giudizio prima alla Corte di Assise di Firenze e poi a quella di Roma.
L’attenzione dei giudici fu naturalmente rivolta anche verso i capi delle diverse polizie, brigate, bande che avevano imperversato in città.
Il capo dell’ufficio politico investigativo, situato in corso di Porta Venezia al numero 32, Ferdinando Bossi (classe 1905, milanese), accusato di aver eseguito operazioni di polizia politica contro antifascisti, procedendo ad arresti arbitrari e lasciando sottoporre gli arrestati a maltrattamenti e sevizie e di aver posto i fermati a disposizione dei tedeschi per l’internamento in Germania, fu condannato alla pena capitale il 29 settembre 1945 (sentenza n. 212). La sentenza, confermata dalla Cassazione il 31 ottobre 1945, fu commutata nell’ergastolo nel 1948 e quindi nel 1950 in trent’anni di reclusione, di cui undici condonati. Il 30 agosto 1951 un decreto del Presidente della Repubblica ridusse la pena a nove anni. Infine, con ordinanza del 12 ottobre 1959, la Corte d’Assise d’Appello di Milano dichiarò estinto il reato e nel 1960 Bossi fu riabilitato. Dei suoi collaboratori Dante Colombo e Manlio Melli resta solo un procedimento a carico del primo, in ogni caso scarcerato.
Il comandante della MVSN Attilio Terruzzi (classe 1882, milanese) fu condannato a trent’anni di reclusione (sentenza n. 4 del 24 maggio 1945), ma la pena fu ridotta per condono di dieci anni. Dopo ulteriori riduzioni, il 14 aprile 1950 Terruzzi ottenne il condono definitivo di tutta la restante condanna.
Vincenzo Costa (classe 1900, di Gallarate), commissario federale della Federazione Fascista Repubblicana di Milano dal maggio 1944 e comandante generale della Brigata Nera Aldo Resega <7, fu condannato a diciotto anni di reclusione (sentenza n. 148 del 2 aprile 1946). Nel 1948 la Corte di Assise condonò dodici anni e nel 1950 un altro anno, fino a che, nel 1959, la Corte di Assise di Appello di Milano dichiarò estinto il reato per amnistia. Costa era già stato scarcerato nel 1949 e fu riabilitato nel 1960.
Mario Finizio <8 (classe 1883, napoletano), capo del Centro Informativo Politico che aveva operato a Milano dall’agosto 1944, il 25 giugno 1946 fu condannato a ventinove anni di detenzione per ricettazione, rapina, sequestro di persona, concussione. La Corte milanese condannò gli altri componenti del CIP per i reati contro il patrimonio altrui (ricettazione, con l’aggravante di funzione pubblica, concussione, furto, …), alla detenzione per periodi compresi tra tredici anni e sei mesi, mentre i reati di collaborazionismo furono amnistiati. Alcuni imputati furono prosciolti per insufficienza di prove. In ogni caso, dopo i vari ricorsi in Cassazione e con l’applicazione dell’amnistia, tornarono tutti in libertà nel giro di pochi anni (sentenza n. 250 del 1946).
Per quanto riguarda il Reparto Speciale di Polizia Pietro Koch, inquadrato nelle SS italiane, che aveva sede nella Villa Fossati, ben presto soprannominata dai milanesi Villa Triste per le efferatezze qui compiute dai sessantasette elementi impiegati nella repressione degli antifascisti, nello svolgimento di indagini interne alla Repubblica di Salò, nei confronti di fascisti intransigenti, moderati e della rivale Legione Muti, solo Armando Tela, Augusto Trinca e Vito Videtta seguirono la sorte del loro capo e furono fucilati, mentre gli altri componenti, comprese alcune donne, tornarono in libertà negli anni ’50 (sentenze numero 251, 291, 302 e 313 del 1946) <9.
Del processo alla Legione autonoma Ettore Muti <10, corpo militare con compiti di polizia costituito nel marzo 1944 e intitolato al gerarca fascista “mitizzato” Ettore Muti, resta solo la sentenza (n. 80 del 30 maggio 1947) poichè il fascicolo processuale fu inviato alla Corte di Cassazione, poi alla Corte di Assise di Brescia, infine a Firenze, dove la Cassazione stabilì che alcuni imputati dovessero essere giudicati. Quattro mutini (Arnaldo Asti, classe 1906, milanese; Arnaldo Cagnoni, classe 1908, milanese; Pasquale Cardella, classe 1907, di Agrigento; Michele Della Vedova, classe 1907, di Inveruno) furono condannati a morte, ma la pena fu tramutata in ergastolo (Cagnoni fu poi amnistiato); Alceste Porcelli (classe 1895, di Omegna), fu condannato a trent’anni di prigione, ma fu scarcerato dopo uno sconto di pena; il vicecomandante Ampelio Spadoni (classe 1906, della provincia di Bergamo), a ventiquattro anni di carcere, di cui otto furono condonati; altri a condanne comprese tra i ventuno e gli otto anni, ma tutti ottennero il condono o l’amnistia e tornarono in libertà nel giro di pochi anni.
Nel fondo emergono anche incartamenti processuali nei confronti dei componenti della Legione Arditi di polizia Pietro Caruso, creata a Milano nel 1944 e intitolata a Pietro Caruso, questore di Roma durante l’occupazione nazista, processato il 20 settembre 1944 dall’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo per il suo coinvolgimento nella strage delle Fosse Ardeatine e fucilato il 22 settembre 1944 a Forte Bravetta (Roma).
Alcuni procedimenti riguardano uno degli episodi che colpì maggiormente l’opinione pubblica, la fucilazione di quindici detenuti in Piazzale Loreto, ordinata dai tedeschi per rappresaglia in seguito all’esplosione, la mattina dell’8 agosto 1944, di due ordigni collocati su un autocarro tedesco fermo in viale Abruzzi. Per l’eccidio, avvenuto all’alba del 10 agosto 1944, furono giudicati, oltre ai già citati Parini e Bettini, anche Vittorio Rancati (classe 1908, milanese), comandante della Brigata Nera Gruppo Oberdan, di guardia sul luogo dell’esecuzione e alcuni componenti della sua Brigata (sentenza n. 75 del 23 maggio 1947).
Nell’ambito giornalistico, furono istruiti processi per propaganda a carico di Vito Mussolini (classe 1912, di San Vito al Tagliamento), direttore de “Il Popolo d’Italia” dal 1933 al 1943, e addetto all’Ufficio Stampa e Propaganda del Sottosegretariato all’Aeronautica a Milano, condannato a quattordici anni di reclusione (sentenza n. 365 del 22 dicembre 1945), e poi amnistiato; inoltre nei confronti del direttore e di una cinquantina di giornalisti del Corriere della Sera e di altri quotidiani e, sempre restando nell’ambito della propaganda di regime, di redattori, giornalisti e annunciatori di Radio Tevere. Molti di questi procedimenti non superarono la fase istruttoria e furono archiviati.
Infine molti atti riguardano semplici cittadini che collaborarono con i nazifascisti per convinzione politica o per interesse: segretarie e traduttrici o traduttori impiegati negli uffici dell’Hotel Regina e a San Vittore <11 o nei campi di prigionia, spie e delatori, dipendenti pubblici, informatori a vario titolo, attori, commercianti…
Nessun processo fu, invece, celebrato nei confronti dei comandanti del quartier generale tedesco che prima di abbandonare l’hotel Regina fecero distruggere le carte che documentavano l’attività dei nazisti durante i diciannove mesi di occupazione e le loro responsabilità nella gestione dell’ordine pubblico a Milano.
Emil Saevecke fu internato in un campo di prigionia inglese nei pressi di Rimini e nel 1948 ritornò in Germania; il capitano fu processato dalla Procura militare di Torino molti anni dopo, in seguito al ritrovamento a Palazzo Cesi, sede della Procura generale militare, del cosiddetto Armadio della vergogna nel 1994. Vennero infatti alla luce centinaia di fascicoli contenenti i documenti relativi alle stragi nazifasciste in Italia, compresi quelli che permisero di attribuire la responsabilità, tra gli altri episodi, dell’eccidio di Piazzale Loreto a Saevecke e di condannarlo all’ergastolo, nel 1999. Le autorità tedesche, però, non concessero l’estradizione dell’ex comandante interprovinciale delle SS che visse indisturbato in Germania fino alla morte, il 15 dicembre 2004. Il comandante interregionale Rauff fu condotto in un campo di prigionia vicino a Roma da cui evase nel 1948. Si rifugiò in Siria, poi in Ecuador e in Cile dove fu arrestato nel 1962 dall’Interpol sudamericana. Morì a Santiago il 14 maggio 1984.
[NOTE]
3 M. Franzinelli, L’Amnistia Togliatti. 1946. Colpo di spugna sui crimini fascisti, Feltrinelli, 2016
4 Dopo l’armistizio, i primi soldati tedeschi delle SS arrivarono a Milano, incaricati di organizzare la struttura di controllo del territorio lombardo, industrializzato e di grande interesse per l’economia di guerra germanica grazie alla presenza di grandi aziende quali la Breda, le acciaierie Falck, la Pirelli, la Caproni, l’Innocenti, e di altre decine di piccole e medie imprese.
5 Il comandante interregionale di polizia e sicurezza (Sicherheitspolizei und Sicherheitsdienst Sipo-SD) Rauff aveva competenze sul territorio di Piemonte, Liguria e Lombardia; il comandante interprovinciale Saevecke, ex commissario della polizia criminale entrato nelle SS, fu inviato in Italia per collaborare alla preparazione delle strutture poliziesche, in previsione dell’occupazione militare. Al suo arrivo a Milano, nel settembre 1943, aveva 32 anni (era nato ad Amburgo nel 1911).
6 Tra il 1° marzo e l’autunno 1944 si verificarono diversi scioperi nelle fabbriche, in seguito ai quali furono arrestate decine di scioperanti, dirigenti industriali compresi, un buon numero dei quali fu inviato nei campi di concentramento.
7 Le Brigate Nere, corpi paramilitari presenti in ogni provincia e intitolati a fascisti caduti, supportavano la Polizia, soprattutto nelle operazioni di rastrellamento. Sette di esse erano dette “autonome”, ulteriori otto erano definite “mobili”. A Milano operava la Brigata Aldo Resega, sotto il controllo di Vincenzo Costa
8 Mario Finizio, ex confidente dell’Ovra, l’8 settembre 1943 si trovava a Roma. Secondo gli atti processuali, qui aderì al nuovo Partito Fascista Repubblicano, entrando in contatto con le alte gerarchie e con funzionari del Ministero dell’Interno, dai quali ottenne incarichi di polizia politica, insieme ad altri (Loris Giacomelli, Ernesto Montelatici, Oreste Checcucci). Con l’avvicinarsi degli Alleati alla capitale, Finizio trasferì al nord titoli ed azioni in portafoglio presso la Società per le Ferrovie Meridionali e, probabilmente a riconoscimento dell’esito positivo dell’operazione, il capo della Polizia lo nominò questore ausiliario di Milano. Proprio negli uffici della Questura in via Fatebenefratelli, Finizio costituì il Centro Informativo Politico (CIP), un organismo indipendente formato da un gruppo maschile e uno femminile (informatrici, spie e segretarie), specializzato in operazioni di polizia economica. Il gruppo operò attuando sequesti arbitrari e spesso violenti di merci (cocaina, orologi, macchine fotografiche, zucchero, stoffe) che venivano
spartite tra i vari componenti e gli informatori come premio per il loro operato.
9 L’autonomia della Banda e l’atrocità delle torture praticate a Villa Triste preoccuparono il gruppo dirigente fascista che ottenne da Mussolini l’autorizzazione ad affidare alla concorrente Legione Muti lo smantellamento del Reparto attraverso un’azione di forza finalizzata all’arresto di circa cinquanta componenti della banda Koch e al sequestro del bottino accumulato nei mesi precedenti. Pietro Koch fu arrestato il 17 dicembre 1944; il 25 aprile 1945 riuscì ad evadere da San Vittore con l’aiuto dei tedeschi ma fu catturato a Roma e sottoposto a un processo lampo – il 4 giugno 1945 – che si concluse con la sua condanna a morte. Fu giustiziato al Forte Bravetta il 5 giugno 1945.
10 La Legione operava alle dipendenze del Ministero dell’Interno e sotto il comando di Francesco Colombo e del vicecomandante Ampelio Spadoni, ma era a disposizione dei tedeschi per le operazioni di polizia militare. I componenti della Legione erano pagati molto più dei loro colleghi della Guardia Nazionale Repubblicana ed erano divisi in battaglioni intitolati a due fascisti uccisi nel dicembre 1943, Piero de Angeli e Aldo Resega. Il battaglione Resega, di stanza a Milano, operava in tutta la provincia, mentre il battaglione De Angeli operava in Piemonte e nel Piacentino. Ai due principali erano affiancati altri sette gruppi “ausiliari”. La Caserma principale della Muti si trovava in via Rovello, nei locali del dopolavoro del Comune di Milano (oggi Piccolo Teatro), dove il maggiore Alceste Porcelli guidava l’Ufficio Politico e dove venivano torturati gli oppositori alla Repubblica Sociale. Una sezione staccata operava inoltre presso la caserma Salines in via Tivoli, guidata dal maggiore Celestino Cairella, meglio conosciuto come conte di Toledo, in costante e stretto rapporto col comando SS dell’albergo Regina. Per ufficializzare gli arresti compiuti dalla Muti, la Questura di Milano costituì un apposito ufficio di polizia giudiziaria affidato al funzionario di Pubblica Sicurezza Ferdinando Pepe; ciononostante la Legione fu spesso a servizio dei Tedeschi, compiendo operazioni quali la fucilazione di quindici detenuti di San Vittore in piazzale Loreto nell’agosto del 1944. La Legione Autonoma fu anche utilizzata per contrastare l’operato del rivale Reparto Speciale di Polizia comandato da Pietro Koch, giunto nel capoluogo lombardo nell’estate del 1944 dopo la Liberazione della capitale.
11 Il penitenziario era stato diviso in due Settori, uno affidato direttamente ai Tedeschi e l’altro alle autorità italiane. Dei sei bracci, tre furono occupati dai tedeschi (IV, V e VI) e destinati a detenuti politici e agli ebrei arrestati in tutto il nord Italia in seguito ad una disposizione del 30 novembre 1943 del ministero degli Interni della RSI.
(a cura di) Carmela Santoro, Inventario. Corte di Assise Straordinaria di Milano poi Sezione Speciale della Corte di Assise di Milano, Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, Archivio di Stato di Milano, PU 25 (2021)