Il “Reseau Rex” non ebbe mai delatori al suo interno

Questo giovane [Ernesto Celada] dall’aspetto tranquillo, sergente maggiore di cavalleria, dichiarò, al suo ingresso a San Vittore, di essere meccanico di professione.
Forse sperava, così, di allontanare i sospetti dalla sua vera attività: secondo Franco Fucci (Spie per la Libertà, Milano, 1983, pp. 214, 220) egli apparteneva a una rete informativa alleata, il “Reseau Rex”, costituita prevalentemente da ufficiali e militari. Era costituita da piccoli gruppi di 3-4 persone che non si conoscevano fra di loro, e raccoglievano informazioni soprattutto di tipo militare, sulla dislocazione dei reparti tedeschi e sui loro movimenti, sull’entità delle forze nazi-fasciste, sui lavori di fortificazione in corso, sulla produzione bellica delle industrie, sull’ubicazione dei depositi di esplosivo, ecc.
Tutte queste informazioni venivano poi raccolte e passate al capo della rete in persona, un giovane tenente bresciano di cavalleria, Aldo Gamba, che passava clandestinamente o sotto copertura in Svizzera – il suo stato di servizio conta ben 24 passaggi! – e le faceva giungere ai servizi inglesi, francesi, italiani e svizzeri.
La zona di operazioni della rete si estese alle province di Torino, Milano, Padova, Brescia, Verona, Mantova e Como, nel periodo tra il gennaio 1944 e l’aprile del 1945.
Non superò mai una ventina di membri attivi; ma non ebbe mai delatori al suo interno. Ebbe invece alcuni caduti: tra i fucilati a Cibeno, oltre a Ernesto Celada, si ricordano Armando Di Pietro, Luigi Ferrighi e Antonio Mancini (v. rispettive note biografiche).
Di Ernesto Celada, però, non sono state rintracciate altre notizie.
Ernesto Celada, di anni 27, nato a Mantova, residente a Milano, coniugato.
Entrato a San Vittore il 22 aprile 1944, matricola 1966, fu inviato a Fossoli il 9 giugno, matricola 1653.
Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 55, fu riconosciuto dalla matricola del Campo di
concentramento.
È sepolto nel Cimitero Maggiore Musocco di Milano, Campo 64 detto “della Gloria”, lapide 199.

Ernesto Celada
Era [Armando Di Pietro] sottufficiale di carriera, Maresciallo capo del 5° reggimento Lancieri Novara 3° Gruppo Carri leggeri “San Giorgio”. Aveva combattuto dall’aprile del 1924 al maggio 1928 nella campagna di Libia. Durante la guerra fu dal giugno 1941 al luglio 1942 sul fronte russo. L’8 settembre prestava servizio a Verona e, dopo che la caserma fu occupata dalle truppe tedesche, riuscito a fuggire, si diede alla macchia. Nell’ottobre del 1943 si unì alla brigata partigiana “Verona”, nel gennaio 1944 passò al Servizio informazioni alle dipendenze del “Servizio speciale interalleato” che faceva capo al tenente colonnello Victor G. Farrel a Ginevra, e più precisamente della sottorete del “Reseaux Rex” costituita dal tenente bresciano Aldo Gamba, alla quale ben presto aderì anche il fratello Antonio, sottocapo di marina, che operava in Liguria. Rientrato a Verona da una missione nell’aprile 1944, fu informato che la Brigata Nera lo stava cercando. Rifiutò di mettersi in salvo, per non mettere in pericolo la famiglia. Il figlio Nicola, che allora aveva otto anni, ricorda nitidamente quei giorni: la determinazione, risoluta e consapevole, del padre nel rifiutare di fuggire, il trambusto al momento dell’arresto e ancor più durante la perquisizione che mise a soqquadro la casa, ad opera dei militi alla ricerca di prove e oggetti compromettenti, senza risultato. In realtà Armando Di Pietro aveva nascosto delle armi nel ‘segreto’ di un armadio – lo spazio vuoto che resta sotto l’ultimo cassetto, tra il piano di fondo di questo e quello dell’armadio stesso, cui si accede togliendo completamente il cassetto. I familiari lo sapevano bene, quindi vissero con grande ansia e trepidazione tutta la vicenda. Quando i militi finalmente se ne andarono a mani vuote, Nicola e il fratello presero quelle armi e le portarono verso la campagna – allora la famiglia abitava dalle parti della chiesa di San Zeno, in periferia. Trovarono un fosso un po’ profondo, un corso d’acqua, e ve le lasciarono cadere senza lanciarle, ma avvicinandole al pelo dell’acqua, e le videro affondare una ad una, lentamente, e sparire. Ancora oggi, nel rievocare quei momenti, Nicola Di Pietro ripete il gesto cauto, ma deciso, e rivive tutta la vicenda. Era il 24 aprile 1944. Armando di Pietro fu incarcerato a Verona dal 24 al 30 aprile 1944, quindi trasferito a Milano, San Vittore dove subì torture ed estenuanti interrogatori. Fu trasferito a Fossoli verso il 9 giugno. La famiglia non seppe della sua morte fino alla fine della guerra, quando ne fu informata dai comandi alleato e partigiano di Milano. Eppure nell’autunno la sorella di Armando Di Pietro aveva scritto per ben tre volte a don Venturelli, l’arciprete di Fossoli, per informarsi sulla sorte del fratello: ma ormai il campo era stato smobilitato, non c’erano più ‘politici’ ed evidentemente non esisteva nessuna lista su cui verificare nomi e destini. C’era anche un fratello, Antonio Di Pietro, anche lui sottufficiale, ma di marina, e anche lui appartenente alla stessa rete di Servizi segreti del fratello. Fu arrestato a Genova il 21 aprile 1944, dopo che il 6 aprile assieme a marinai francesi aveva sabotato, incendiandolo, un piroscafo tedesco carico di benzina a Ponte Caracciolo, Genova. Fu trasferito anch’egli nel carcere di San Vittore, ove trovò i componenti del gruppo arrestati. Il 9 giugno venne trasferito al campo di concentramento di Fossoli, il 21 giugno deportato nel campo di Mauthausen e quindi nelle miniere di carbone di Graz da dove il 9 novembre riuscì a fuggire, raggiungendo Verona il 24 dicembre 1944, dopo 46 giorni di marcia forzata ed inaudite sofferenze. Rifugiatosi presso amici per breve tempo, per potersi parzialmente ristabilire, si unì poi alle forze partigiane della zona sino alla fine del conflitto. Morì in Verona il 16 aprile 1946, a seguito delle infermità e delle sofferenze.
Armando Di Pietro
Anna Maria Ori, Carla Bianchi Iacono, Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, Comune di Carpi (MO), Fondazione ex Campo Fossoli, Edizioni APM, 2004