In mare, uno contro nove, c’è sempre solo lei, la Calatafimi

In mare una sola battaglia navale tra Italia e Francia.
Si svolge davanti alle coste della Liguria nelle prime ore del 14 giugno [1940]. Intorno alle 4 del mattino una squadra di 15 navi da guerra francesi, partita la sera prima da Tolone, protetta e preceduta dall’aviazione, con una squadriglia di sommergibili disposta in formazione di sbarramento davanti a La Spezia, si presenta al largo di Genova, Savona e Vado. Ad attendere tutto quel ben di Dio una sola nave italiana, per di più vecchiotta […] Si combatte. Quindici contro uno. Ma la Calatafimi, con l’azione di disturbo di quattro Mas, con il supporto delle batterie costiere e grazie a qualche errore di valutazione commesso dal nemico, riesce a mettere in fuga la flotta transalpina. Sul ponte di comando della Calatafimi c’è il tenente di vascello Giuseppe Brignole, 34 anni, ligure, di Noli, quindici chilometri da Savona, secco e asciutto come un’aringa, lo descrivono i giornali dell’epoca.
Quando Brignole, nella primavera del ’40, sale a bordo della Calatafimi dopo l’esperienza sui Mas e il
comando in seconda su altre due torpediniere (Andromeda e Aldebaran), sa per che per la prima volta sarà lui a dettare le regole. E lo farà bene. Dopo le missioni in Sicilia e in Eritrea può tornare finalmente in Liguria, vicino casa. La sua nuova unità e ormeggiata all’arsenale di La Spezia. Non è una bella nave. Intanto perchè è vecchiotta […] L’armamemto è quello che è: quattro cannoni da 102, due da 76, due complessi di mitragliere, sei lanciasiluri da 450. Nave piccola e leggera: è lunga 84,94 metri, larga 8,02, un’immersione media di 2,65 metri, un dislocamento che non arriva a mille tonnellate (967 per l’esattezza), velocità massima 28 miglia. Ma sarà per il nome che ricorda le epiche gesta garibaldine, sarà per l’equipaggio (140 uomini, tutti giovani tra i 20 e i 30 anni), sarà per il suo comandante questa nave è destinata a entrare nella storia. Brignole sale sulla Calatafimi e trova le banchine dell’arsenale di La Spezia desolatamente vuote. A fianco della sua nuova nave ci sono altre quattro torpediniere, qualche squadriglia di Mas, pochi sommergibili. La flotta, avvicinandosi il giorno della dichiarazione di guerra, era stata trasferita nelle basi, ritenute più sicure, situate a sud della penisola: Napoli, Taranto, Augusta. Col risultato di lasciare praticamente indifeso, e comunque scarsamente protetto, tutto l’Alto Tirreno e in particolare le coste della Liguria. Un altro errore di Mussolini. Come quello di non richiamare in tempo tutti i mercantili in navigazione all’estero. Solo il 7 giugno l’ammiragliato italiano ordina ai piroscafi di raggiungere il più rapidamente possibile un porto dell’Asse o di rifugiarsi in acque neutrali. Una parola. Così succede che il 10 giugno, quando la guerra deve ancora incominciare, perdiamo subito 218 navi, circa un milione e duecentomila tonnellate di stazza. Praticamente un terzo della Marina mercantile. E si sa che non esiste una forte Marina da guerra senza un’adeguata flotta commerciale. E’ uno dei tanti guai provocati dalla fretta di Mussolini. Anche Brignole, in qualche modo, ne fa le spese. Afferma: “Ho preso il comando della nave senza sapere che cosa poteva dare e di che cosa aveva bisogno. Abbiamo solo potuto fare esercitazioni di velocità e di manovra in caso di salvataggio di naufraghi. Cannoni e siluri non li abbiamo mai usati. Dalla fine di maggio siamo stati impegnati tutti i giorni nella posa delle mine davanti alle coste della Liguria, a partire dal confine francese. Ogni notte, secondo uno schema prediposto da Supermarina, si procedeva verso Levante. Sapevamo il significato di quelle operazioni: la guerra stava per cominciare”.
Il battesimo del fuoco è vicino, molto vicino. La sera del 13 giugno la flotta francese, guidata dall’ammiraglio Duplat, comandante della 3a squadra di stanza a Tolone, lascia la base di Hyères. E’ una notte illune, il mare calmo. Le navi scivolano silenziose al largo della baia. Sono quattro incrociatori pesanti e undici cacciatorpediniere. Fanno rotta verso la Liguria.
Gli obiettivi, dopo il bombardamento aereo ordinato da Mussolini in Costa Azzurra come rappresaglia per l’attacco subìto da Torino e Venezia, sono i depositi costieri e gli impianti industriali, militari e portuali di Vado, Savona e Genova. La distanza dei bersagli è di 140 miglia. Il tempo previsto per raggiungere la zona dalla base di partenza è di quattro ore (navigando a 30 nodi) e di sette ore a 27 nodi.
Le navi avrebbero dovuto aprire il fuoco da una distanza di circa 15 mila metri in condizioni di buona visibilità, cioè tra l’alba e il sorgere del sole. Per parare la minaccia di un intervento delle nostre forze navali di La Spezia, teorica visto che tutta la nostra flotta d’alto mare era nei porti meridionali, i francesi dislocano tre sommergibili (Iris, Venus e Pallas) davanti a La Spezia e uno (Archimède) tra le isole Capraia e Gorgona. Più o meno alla stessa ora, un po’ prima, intorno alle 20, la Calatafimi esce dalla rada spezzina per il solito servizio di scorta a un posamine, questa volta il Gasperi. Il tempo è buono, cielo leggermente coperto da poche nuvole sparse. Si naviga a bassa andatura. Destinazione Savona, o meglio sulla verticale della “Torretta”, il simbolo della città, per poi proseguire verso Levante l’opera di sbarramento con le mine. Per l’equipaggio quelle missioni sono ormai routine[…] Alle 23, davanti a Camogli, il silenzio della notte è spezzato dal rombo degli aerei. Sono otto bombardieri francesi che sorvolano Genova diretti al campo di aviazione di Novi Ligure. L’attacco è cominciato.
Come previsto i velivoli precedono le navi. “Appena abbiamo sentito il rumore degli aerei – mi ha raccontato Santino Mancuso, genovese trapiantato da Messina, capoelettricista di bordo – il comandante Brignole ha fatto accostare la Calatafimi al Gasperi. Col megafono ha ordinato al posamine di avvicinarsi a terra e di rimanere fermo sino a nuovo ordine. Vedevamo i bagliori della contraerea, subito entrata in azione, ma per fortuna abbiamo capito che l’obiettivo non era la mia città. Siamo rimasti davanti a Camogli un paio d’ore, per precauzione. Poi, sempre molto lentamente, considerato il carico del Gasperi, ci siamo rimessi in navigazione”. Davanti al fanale di Genova la Calatafimi dà il segnale convenuto. Da quel punto, sino a Savona, comincia il lento lavoro di
posa delle mine. La squadra francese è già davanti alle coste della Liguria. I quattro incrociatori e gli undici caccia navigano compatti (in gergo “di conserva”) sino alle 4,14. Poi si separano. Il “gruppo Vado” (incrociatori Algèri e Foch con i caccia Vauban, Lion, Aigle, Tartu, Chevalier Paul e Cassard) si porta a 11 miglia ad ovest del faro di Capo Vado. Il “gruppo Genova” (incrociatori Dupleix e Colbert
con i caccia Vautour e Albatros) fa rotta su un punto situato a 10 miglia a sud di Villa Regio. I caccia Guèpard, Valmy e Verdun, divisione d’avanscoperta, si tengono in avanti e a sud-est del gruppo Genova.
Il tempo cambia. Sulla Riviera di Ponente regna una densa foschia, la costa è avvolta da una nebbia
umida che si adagia sulle colline accompagnata da una leggera pioggia. Alle 4 Brignole dirige la prua
della Calatafimi verso terra per fare il punto nave.
Naviga a un miglio e mezzo dalla costa, a 200° circa da Capo Arenzano, 8 miglia da Genova. Ha spiegato il comandante: “Nessun paese era visibile dal mare. Per la delicateza della missione dovevo sapere con esattezza dove ci trovavamo. Ci avviciniamo con il Gasperi ed ecco apparire Arenzano con il suo Grand Hotel e il promontorio sulla sinistra. Mi accosto al posamine. Col megafono comunico il punto e gli altri elementi per proseguire il lavoro”. Alle 4,10 la vedetta di coffa urla in plancia: “Navi da guerra a prora dritta”. Brignole inforca il canocchiale, vede due caccia, poi altri due, hanno quattro fumaioli e tutte le caratteristiche delle unità leggere francesi tipo “Cassard”.
Non c’è un attimo da perdere. Riprende il megafono, urla all’equipaggio del Gasperi: “Tornate indietro, riparatevi nel porto di Genova, rimanete sotto costa”. Il posamine inverte la rotta: la foschia e le batterie costiere lo proteggono dalla vista dei francesi.
Sulla Calatafimi partono gli altri ordini: posto di combattimento generale, macchine a tutta forza, rotta convergente al nemico. La Calatafimi non sa ancora quante navi ha di fronte, ma accetta la sfida.
Dietro ai 4 caccia ecco spuntare altre cinque navi: due sono più grandi, dislocamento 8-10 mila tonnellate, due fumaioli. “Incrociatori”, pensa Brignole. Fa niente, si fa avanti. Parte il segnale di scoperta diretto a Supermarina. L’ufficiale in seconda, che dirige il tiro, avvia la centrale, manda i pezzi in punteria. I tubi di lancio dei siluri sono orientati sui primi due caccia che, data la loro formazione, forse in linea di rilevamento, formano un bersaglio unico: la prua del secondo è coperta dalla poppa del primo e viceversa.
Dalla relazione di Brignole sul giornale di chiesuola n. 234 del 14 giugno 1940: “Date le condizioni atmosferiche particolarmente favorevoli a noi, io speravo di non essere scorto dal nemico e poter lanciare i siluri dalla distanza minima con maggiori probabilità di colpire. Questa manovra, oltre alla densa foschia ed alla sottile pioggia, era favorita anche dalla mia posizione, sperando che la mia ombra si confondesse con quella della costa. Quindi potevo tentare di avvicinarmi il più possibile. Ho pensato anche di desistere dall’attacco alle unità sottili per rivolgerlo agli incrociatori che sempre più si profilavano e davano la prospettiva di maggior bottino. Però, per non essere visto, avrei dovuto agire con le sole macchine senza variare eccessivamente la mia rotta. Questa manovra non mi dava molto affidamento. Ho continuato l’attacco sulle prime unità. Intanto preparavo i dati da trasmettere ai tubi di lancio con l’aiuto dell’ufficiale di rotta. Nessuno di noi pensava di ritornare
incolume da una siffatta impari lotta. Ma sono sicuro che in ogni cuore, come nel mio, c’era un solo
proposito: difendere i paesi della costa. La nostra vita sarà perduta, ma sarà pagata a caro prezzo”.
Le navi francesi cambiano formazione: da linea di rilevamento a linea di fila. Alle 4,15 le due squadre aprono contemporaneamente il fuoco. L’Aigle si avvicina a meno di diecimila metri e bombarda il faro e la batteria di Capo Vado. Il Cassard attacca a Savona le officine dell’Ilva. Gli incrociatori e gli altri caccia colpiscono gli obiettivi. Nella zona dei depositi di combustibile, a Vado, esplodono 104 proiettili: 36 nella Monteponi, 13 ai Carboni fossili, 8 all’Ilva refrattari, 7 all’Ossigeno, 3 alla Siap, 8 alla Carbonifera, 3 all’Asa, 5 all’Agip, 18 sparse fra l’Aurelia, il mare e lungo il fiume. Tra Albisola e Vado si rovesciano non meno di 500 granate. Legino e Zinola, circondate dai depositi, sono sconvolte. Alle 4,17 i semafori di Genova e Portofino avvistano le navi.
Entrano in azione le batterie costiere di Genova e Savona, il treno armato numero tre esce dalla galleria Castello di Albisola e spara con i pezzi da 120/45. In mare, uno contro nove, c’è sempre solo lei, la Calatafimi.
Alla distanza di 6-7 mila metri, oramai in vista di Genova, i due incrociatori e i sette caccia aprono
il fuoco. Entrano in azione anche i pezzi della torpediniera, ma Brignole si accorge che la sua unità
non è stata ancora avvistata dai francesi. “La prima salva del nemico è diretta contro la costa – scrive sul diario di bordo – e infatti non si vede nessun colpo cadere in mare. Forse, se non sparavamo, non saremmo stati scoperti”. Passano pochi secondi e intorno alla Calatafimi è l’inferno. Molte schegge di granata colpiscono lo scafo, altre finiscono in coperta ma nessuno a bordo rimane ferito. Brignole fa compiere alla nave continui zig-zag senza però allontanarsi dalla rotta convergente al nemico. Partono i primi due siluri, senza risultato. Le frequenti accostate impediscono alla torpediniera di essere precisa. Altri due siluri vengono lanciati in mare. Passano pochi secondi dal “fuori” di Brignole e a bordo della Calatafimi c’è una esplosione, ma di gioia. Il caccia francese Albatros è colpito. Un obice da 152 esplode in sala macchine e ustiona gravemente 14 marinai: solo due si salvano, gli altri dodici moriranno all’ospedale di Tolone. Dal mare si alza una fitta colonna di fumo
bianco e nero. E’ stata la Mameli, una delle batterie costiere di Genova, a far centro. Ma quelli della
Calatafimi non lo sanno, non lo possono sapere.
Agitano le mani, sventolano i berretti, si abbracciano.
Urla rauche di “Viva l’Italia, viva il re”, escono da tutte le gole. Brignole prende il megafono e affacciandosi alle due alette di plancia grida: “Avanti ancora, gente a posto”.
Sono passati trenta minuti dall’inizio della battaglia.
La flotta francese inverte la rotta. “Il nemico – commenta Brignole – ignorava la nostra reale consistenza. E’ vero che con i sommergibili aveva bloccato la rada di La Spezia, ma poteva pensare che la nostra audacia fosse giustificata dalla presenza di altre unità italiane. In sostanza temeva di essere attirato in un tranello”. Un nuovo colpo al timone e la prua è su Genova mentre il complesso poppiero, diretto dal capo Cozzani, sottufficiale cannoniere, continua a sparare.
A prua l’equipaggio, ubriaco d’entusiasmo, urla verso la plancia: “Inseguiamoli, inseguiamoli”.
Ma Brignole sa che lo scontro è finito e con un risultato lusinghiero. “Nessun colpo aveva danneggiato Genova e il suo porto, questo era importante”, ha sostenuto il comandante. A dare la caccia alle unità dell’ammiraglio Duplat ci pensano quattro Mas che avvistano le navi nemiche del “gruppo Vado” a circa 4 miglia a levante di Bergeggi. Quando la distanza si riduce fanno partire i siluri che tuttavia non vanno a segno. Ma i due incrociatori e i quattro caccia accostano
decisamente in fuori interrompendo l’azione contro la costa ligure. Complessivamente la squadra
navale, che rientra a Tolone vanamente inseguita dalla nostra aeronautica, ha sparato 15 mila colpi, i difensori più di 300. Savona, 82 ore dopo l’entrata in guerra, piange i primi morti. Saranno oltre 500 a perire sotto i bombardamenti sino al giorno della liberazione.
Sulla fortezza del Priamar, accanto alle batterie antiaree e di difesa costiera (le altre sono a Madonna
del Monte, Madonna degli Angeli e a Monte Ciuto) perdono la vita due soldati, Mario Piacenti e
Pietro Salvini, entrambi di 42 anni. Muiono anche Felicina Bona, 43 anni, casalinga; Marisa Martina,
15 anni, contadina; Angelo Delfino, 17 anni, operaio; Maria Berio, 20 anni, contadina. Ventidue i feriti. Secondo i dati della prefettura sono danneggiate in modo grave una trentina di abitazioni. Colpiti anche numerosi edifici pubblici tra cui il municipio, la stazione Letimbro, l’Istituto Nautico Leon Pancaldo, il Liceo, la caserma S. Giacomo, il cimitero. Molti proiettili vengono trovati inesplosi, altri scavano profonde buche negli orti, specie dalle parti di Legino.
L’azione della Calatafimi, ovvio, finisce sulle prime pagine di tutti i giornali ma con troppa enfasi e
con molte esagerazioni. Si parla dell’affondamento di una nave francese (falso), del danneggiamento di un’altra (falso) e della cattura di molti naufraghi (falso pure questo). Il bollettino di guerra è un vero capolavoro di propaganda del regime. Tutto viene nascosto, dalla totale impreparazione all’assoluta mancanza di difese. La flotta francese, se lo scopo fosse stato la distruzione sistematica della costa ligure, avrebbe potuto comodamente bombardare le città più vicine al confine (Ventimiglia, Bordighera, Sanremo, Imperia) e raderle al suolo in tutta calma. A Mussolini la bella prosa dei giornali non basta. Vuole anche ricostruire la battaglia di Genova, girare un documentario,
far vedere a tutti gli italiani, nei cinematografi del Paese, come il regime abbia preparato la guerra e come la Marina (insieme all’esercito e all’aviazione) stia facendo in pieno il suo dovere. L’Istituto
Luce manda tecnici e registi a La Spezia. Si gira dal 17 al 21 agosto. La Calatafimi interpreta se stessa, mentre il fuoco “nemico” è assicurato da altre tre nostre torpediniere (Curtatone, Castelfidardo e
Mozambano). E proprio il 17 agosto, primo giorno di riprese, arriva a bordo della Calatafimi la notizia che il “Foglio d’ordini” della Marina ha comunicato l’assegnazione della medaglia d’oro al valore militare al tenente di vascello Giuseppe Brignole. E’ la prima del conflitto, l’unica cosa meritata in questa messa in scena ridicola e vergognosa. In seguito il comandante parteciperà alla guerra dei convogli, facendo la spola prima nel Basso Adriatico, per la “gloriosa” conquista dell’Albania, poi tra la Sicilia e la Libia, la nostra Quarta sponda, per assicurare rifornimenti di
viveri e munizioni ai soldati italiani della colonia.
Dopo l’8 settembre 1943, il giorno dell’armistizio e della fuga da Roma verso Brindisi del re, del governo, dei vertici militari, Brignole viene catturato dai tedeschi ad Atene. E’ uno dei seicentomila militari italiani (tra soldati, sottufficiali e ufficiali) che dicono no al Terzo Reich e alla Repubblica Sociale di Mussolini. Trascorre più di due anni nei campi di concentramento tra Germania e Polonia e avrà sempre il delicato compito di rappresentare i prigionieri di fronte agli aguzzini tedeschi. Lo farà con molta autorevolezza, con molta fierezza, con molta signorilità, con molta intelligenza, tenendo sempre alto l’amor di Patria e l’orgoglio nazionale. Avrebbe meritato un’altra medaglia d’oro. L’indimenticabile comandante della Calatafimi si è spento il 30 luglio 1992 nella sua casa di Noli, circondando dall’affetto della cara signora Wanda e dei figli Franco, Maria Clotilde e Paola. Il Comune gli ha intitolato un tratto della passeggiata proprio davanti alla sua abitazione e al suo mare che aveva tanto amato.

BIBLIOGRAFIA
Pier Paolo Cervone, Comandavo la Calatafimi, Sabatelli, Savona, 1990.
Pier Paolo Cervone, La Grande guerra sul fronte occidentale, Mursia, Milano, 2010.
Marco Innocenti, L’Italia nel 1940, Mursia, Milano, 1990.
Silvio Bertoldi, Il giorno delle baionette, Rizzoli, Milano, 1980.

Pier Paolo Cervone, La seconda guerra mondiale in Savona in guerra. Militari e vittime della provincia di Savona caduti durante il secondo conflitto mondiale (1940-’43/1943-’45), ISREC Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona, 21 gennaio 2013