Incontrai anche il comandante Junio Valerio Borghese, che non conoscevo

<[…] Il comportamento dei tedeschi mi ha convinto ad agire senza attendere più quegli ordini che, comunque, non sarebbero arrivati e, come disse Badoglio, a reagire militarmente di fronte ad azioni da qualunque parte venissero prima attaccando dove potevo i tedeschi e contrastando quei colleghi e quei borghesi che si lasciavano incantare dalla storia dell’onore verso i tedeschi poi cercando di coinvolgere nella mia direzione quelli che, incerti, non facevano nulla. Resi pan per focaccia arrestando alcuni militari tedeschi, ma li consegnai a chi li rimise in libertà quasi subito. Per circa sei mesi cercai di svolgere comunque un’azione consona alla situazione, alla preparazione militare ed ai sentimenti di fedeltà al giuramento prestato al Re, cercando di coordinarmi con tanti altri che intendevano porsi come me contro i tedeschi. Mi convinsi presto che tali atti potevano provocare azioni di rappresaglia contro italiani innocenti, quindi ritenni che l’unica cosa fattibile fosse passare le linee per contattare le autorità del sud. Proprio in quel periodo venni aggredito da un gruppo di fascisti che mi ridussero in gravi condizioni fisiche per cui fui ricoverato, con una commozione cerebrale, per oltre un mese all’ospedale di Ferrara. Alla fine di agosto 1944, ancora in convalescenza, finalmente riuscii a passare le linee e raggiunsi Roma, liberata solo due mesi prima. Per il tramite del generale Morigi, comandante della Nembo, potei fornire alla Marina tutte le informazioni militari, politiche e sul morale del personale che avevo relative al nord. Ebbi anche un colloquio col Principe Umberto di Savoia al quale, tengo a precisare su sua richiesta, spiegai che la Monarchia doveva riscattare l’abbandono dell’8 settembre e soprattutto l’ambiguità del proclama Badoglio, che aveva provocato lo sfacelo italiano e la violenta reazione tedesca. Lui mi rispose che ne era consapevole, ma i suoi tentativi di essere autorizzato a combattere in prima linea al comando del CLN erano regolarmente frustrati dagli inglesi. Malgrado io abbia svolto i cinque anni di guerra sempre imbarcato, la Medaglia d’Argento al Valor Militare è arrivata solo dopo l’8 settembre, quando non combattevo più sul mare ma a terra. Il SIS della Marina, nell’intento di saggiare le possibilità di collaborazione della Marina di Salò al fine di limitare i sabotaggi da parte dei tedeschi prima del crollo del fronte e di evitare l’invasione russa della zona di Trieste, decise una nuova missione per me. Poiché gli alleati non volevano iniziative da parte nostra, non ne furono messi a conoscenza. Mi sarei dovuto recare di nuovo al nord per contattare a tale scopo chi avessi ritenuto opportuno tra i comandanti della Marina Repubblicana. Grazie ad appoggi che avevo presso la repubblica di San Marino, ebbi una buona copertura con cui potei raggiungere Milano e da lì Vicenza dove incontrai l’Ammiraglio Sparzani, che era stato mio Comandante sul Vittorio Veneto e che era divenuto nel frattempo Capo di Stato Maggiore della Marina del nord. Incontrai anche il comandante Junio Valerio Borghese, che non conoscevo. A parte i rischi corsi, i messaggi che portai all’ammiraglio Sparzani e al comandante Borghese furono creduti. Il rientro fu più difficile. Venni catturato dai tedeschi due volte e riuscii a sottrarmi alla prigionia in entrambi i casi in modo rocambolesco. Raggiunsi le linee amiche via mare con un semplice pattino preso a Cesenatico. Giunto a Rimini, in territorio controllato dalle forze amiche, venni in contatto con gli inglesi della 5^ Armata. Dopo cinque giorni, fui portato a Roma sotto scorta e trattenuto in una vera e propria prigionia a Cinecittà per un mese, tempo impiegato dagli alleati per chiarire con le autorità italiane la mia missione […]>
Medaglia d’Argento al Valor Militare
“Ufficiale offertosi volontariamente per eseguire una importante missione in territorio controllato dal nemico, conduceva brillantemente a termine l’impresa affidatagli, superando con i suoi soli mezzi gravissimi disagi, rischi, difficoltà e dimostrando sprezzo del pericolo, tenacia, sangue freddo, spirito di iniziativa e sentimento del dovere. Magnifico esempio di alte virtù militari” Italia settentrionale, settembre-ottobre 1944
Giorgio Zanardi nasce nel settembre 1913 da una famiglia borghese e vive la prima infanzia tra la natia Ferrara, la vicina Bologna e la villeggiatura al mare a Cesenatico. Come molti bambini, compie diverse birichinate, sopportate e talvolta incoraggiate dai numerosi zii. Tra di essi, autentiche autorità, soprattutto da parte di madre, rampolla della famiglia Mayr che vantava tra gli antenati l’avvocato Francesco Mayr, uno dei fondatori della Cassa di Risparmio di Ferrara e deputato al primo parlamento del Regno d’Italia.
Il padre, senza tenere conto delle inclinazioni di Giorgio, lo avvia all’istituto tecnico per ragionieri. Zanardi è già diplomato ragioniere ed ha anche vinto una borsa di studio, quando l’Accademia Navale apre il concorso per la prima volta anche ai ragionieri, ai quali a quell’epoca era precluso l’accesso all’università. Zanardi riesce a vincere l’avversità del padre per il mondo militare e, nel 1931, entra 22° su 68 a Livorno e ne esce, al termine del corso, 3° in graduatoria. Il veliero “Amerigo Vespucci” e, come per tutti gli allievi ufficiali do Marina, la sua prima nave.
A settembre 1934 il suo primo imbarco su una nave da guerra, l’incrociatore “Da Barbiano”, sulla quale riceve la sospirata nomina a guardiamarina. Poi altri imbarchi, sui MAS in Sicilia nel 1935 e ’36. Torna di nuovo in Accademia come sottordine al Corso “Rostri” e, in quel periodo, conosce Zika Lang, una studentessa molto riservata che sposerà nel 1938 ed è tuttora la sua amata consorte dopo tre figli e oltre 70 anni di vita insieme. Fino al 1940 alterna all’attività in Accademia quella a bordo per la specializzazione come Direttore di Tiro. Si laurea a giugno 1938 in Scienze diplomatiche e Consolari a Venezia.
Completato il corso di specializzazione è di nuovo a bordo di navi di prima linea: l’incrociatore “Montecuccoli”, poi la “Vittorio Veneto”, quindi sul caccia “Dubrovnik”. Zanardi partecipa alla seconda battaglia della Sirte a bordo del “Duilio” e, dal natale ’41 al febbraio ’42, è Capo Servizio Armi sul “Maestrale” col quale effettua pericolose scorte ai convogli che rifornivano il fronte nord africano. Poi prende in carico la FR/23, sigla che indica la nave “Tigre” preda bellica semi affondata dai francesi. Le riparazioni sono molto lunghe e Zanardi può lasciare La Spezia, al comando dell’unità solo nell’estate del 1943, passando lo stretto di Messina il 30 agosto con la Sicilia e la Calabria già occupate dagli alleati. Lasciata la FR/23 a Taranto, Zanardi è inviato a Livorno per seguire l’allestimento del “Corsaro”, la sua nuova nave, e lì viene sorpreso dall’8 settembre.
Come la maggioranza dei militari italiani, è lasciato solo e senza ordini. Dopo alcune vicissitudini con gli ex alleati tedeschi, ora occupanti, e un periodo di ricovero ospedaliero conseguente ad uno scontro con un gruppo di fascisti, riesce rocambolescamente a raggiungere la capitale dove gli viene affidata una nuova missione: deve passare di nuovo le linee e contattare i vertici della marina della RSI per concordare le modalità per minimizzare i danni che sicuramente i tedeschi avrebbero fatto all’atto della loro inevitabile ritirata. La missione, rischiosissima, è un successo. Al rientro, raggiunge fortunosamente le linee amiche a bordo di un pattino, ma a Rimini viene a contatto con gli Inglesi che, ignari della sua missione, lo trattengono in una vera e propria prigionia per oltre un mese. Per l’audacia e la determinazione dimostrate nella missione, Zanardi vien decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Redazione, Intervista al comandante Giorgio Zanardi, Nastro Azzurro, n. 5-2009

Giorgio Zanardi

Continua la mobilitazione per impedire l’annuale raduno – che si rinnova ormai da sette anni – dei reduci fascisti della Decima Mas a Migliarino. L’ultimo intervento in ordine di tempo è dal presidente dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) Radames Costa e del presidente dell’istituto del nastro Azzurro Giorgio Zanardi. L’occasione è stata data dal primo incontro, avvenuto ieri a Ferrara, del Comitato cittadino per le celebrazioni del 60º anniversario della Liberazione. Accanto alle due delegate dell’amministrazione comunale ferrarese, gli assessori Alessandra Chiappini e Mascia Morsucci, sono intervenuti rappresentanti delle circoscrizioni comunali, della Provincia, del centro servizi amministrativi e di alcune associazioni culturali e di combattenti e reduci, oltre a diverse autorità civili e militari, per esprimere la volontà comune di dar vita, in occasione di questo 60º anniversario della Liberazione, ad un programma di iniziative particolarmente ricco ed esteso a tutto il territorio cittadino, con un ampio coinvolgimento delle circoscrizioni. Proprio per il grande significato simbolico della ricorrenza Costa e Zanardi hanno invitato il prefetto di Ferrara a valutare i rischi che può comportare l’annuale raduno dei reduci della Decima Mas. Secondo la loro opinione, la manifestazione prevista a Migliarino per domenica 20 marzo sarebbe infatti in stridente contrasto con lo spirito delle celebrazioni del 25 aprile. La ricorrenza infatti è ricca di precedenti che portano con sè episodi provocatori, di intolleranza e minaccia all’ordine pubblico (bandiere e labari del ventennio, saluti romani, atti osceni rivolti ai monumenti dei caduti, per citarne alcuni). La richiesta di Radames Costa e di Giorgio Zanardi ha trovato l’appoggio di tutti presenti che hanno rivolto al vice prefetto, presente all’incontro, l’invito ad inoltrarla al prefetto Giuseppe Ferorelli. Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente della Provincia di Ferrara, che lunedi ha inviato al prefetto Ferorelli e al questore Elio Graziano la richiesta di «non autorizzare lo svolgimento del raduno nel centro di Migliarino e che comunque siano rispettati i principi dei dettati costituzionali e i valori democratici sui quali si fondano, manifestamente vilipesi nelle analoghe manifestazioni degli anni scorsi», quando nel corso del corteo dei reduci della X Mas sono stati «ripetutamente esibiti simboli e atteggiamenti di chiara matrice fascista».
Redazione, Il raduno della Decima Mas: si allarga il fronte dei contrari, la Nuova Ferrara, 3 marzo 2005

Tutt’altro scopo ebbero invece i contatti tra il servizio segreto della Marina del Sud, il Servizio informazioni segrete (Sis) e la Decima Mas di Junio Valerio Borghese. Tre differenti missioni vennero inviate nel Nord, la prima delle quali all’insaputa delle autorità alleate, per tentare di convincere Borghese a collaborare con la Marina del Sud per questioni di interesse nazionale che travalicavano gli schieramenti creati dalla guerra: impedire ai tedeschi di sabotare infrastrutture vitali per l’Italia (strade, ponti, porti), salvaguardare le aziende di importanza strategica per l’Italia e, infine, difendere il confine orientale.
La prima missione venne portata avanti dal tenente di Vascello Giorgio Zanardi, un ufficiale di Marina di sentimenti antifascisti. Costui era riuscito a raggiungere Roma nell’agosto del 1944 e, dopo aver varcato le linee, si era messo subito a disposizione del Comando della Marina al quale consegnò alcuni rapporti sulla situazione politica e militare di Livorno, dove era impiegato prima dell’armistizio <288. Il Sis ingaggiò immediatamente l’ufficiale, il quale poteva rivelarsi utile per le sue conoscenze sulla situazione nell’Italia occupata dai tedeschi. Zanardi, inoltre, era in contatto con Riccardo Bauer del Partito d’Azione il quale gli propose di ritornare nel Nord «per impartire alcune disposizioni» agli azionisti in clandestinità <289. Il Capitano di Fregata Carlo Resio, e il suo superiore, il capo del Sis Agostino Calosi, si dimostrarono favorevoli all’invio dell’ufficiale nel territorio occupato dai tedeschi, assegnandogli pertanto una missione ulteriore, quella di provare ad organizzare dei gruppi antisabotaggio che contrastassero eventuali azioni dei tedeschi contro i porti del Nord. L’agente avrebbe dovuto contattare elementi autorevoli della marina repubblicana e proporre loro di:
a) Ammiraglio Sparzani, Ministro della Marina Fascista Repubblicana. Concentrarsi sul salvataggio della Flotta Italiana dall’atteso sabotaggio nel momento del ritiro tedesco. Resistere all’opera di sabotaggio agli impianti portuali in particolare a Trieste.
b) Capitano di Vascello Buttazzoni, Comandante del Reggimento San Marco. Mobilitare il suo Reggimento per le operazioni suddette. Ostacolare la ritirata tedesca da Trieste e occupare la città e impedirne l’accesso agli Yugoslavi
c) Capitano di Fregata Donnini, ex capo della sezione inglese del Dipartimento crittografico del Sis che era passato ai tedeschi. Ritornare con il soggetto [Zanardi] a Roma <290.
Il tenente Zanardi riuscì a raggiungere solamente l’Ammiraglio Sparzani dal quale però ottenne la sua volontà di collaborare con la Marina del Sud sulla base delle proposte che gli vennero presentate. Il ministro della Marina della Rsi assicurò inoltre «di aver già inviato a Trieste, Fiume e Pola un migliaio di uomini, alla spicciolata e di aver fatto in modo che al momento decisivo vi si trovassero in tutto 5000 uomini, pronti a sparare sia contro gli slavi che contro i tedeschi, se questi avessero fatto fuoco prima» <291. Zanardi, inoltre, sembra di propria iniziativa, riuscì ad incontrare anche Valerio Borghese. L’incontro con il comandante della Decima Mas fu sicuramente il più proficuo e foriero di sviluppi successivi. Nella relazione che Zanardi consegnerà al Sis, egli afferma di aver riferito a Borghese di essere stato inviato dal Sis per «accertare […] quale atteggiamento [la Decima] ha intenzione di assumere davanti alla immancabile distruzione delle basi navali, delle industrie, in una parola delle ricchezze del nostro paese che i tedeschi effettueranno immancabilmente quando si ritireranno dall’Italia settentrionale» <292. Zanardi sottolineò a Borghese come la mancata distruzione delle industrie potesse risultare decisiva per consentire la rinascita dell’Italia e aggiungendo che avrebbe personalmente pensato ad avvertire gli industriali in modo tale da potersi accordare direttamente con il Comandante. «Non capisco perché Lei – ribadì Zanardi a Borghese – che dice di adorare il suo Paese, non sfrutti il suo ascendente sui tedeschi per procrastinare fino al limite estremo il sabotaggio delle industrie della Lombardia e il suo ascendente sui suoi seguaci per impedire con la forza all’ultimo momento l’effettuazione del sabotaggio stesso» <293. Probabilmente colpito dal discorso di Zanardi, Borghese accettò di incontrare gli industriali. L’ufficiale della Marina, pertanto, riuscì a concordare con essi un cifrario che avrebbe permesso al Sis di conoscere gli esiti dei futuri colloqui con Borghese <294.
Al momento del suo ritorno nel Sud Italia Zanardi venne arrestato e la missione clandestina del Sis venne smascherata. All’ufficiale statunitense che lo interrogò sul perché il Sis avesse tenuto all’oscuro le autorità alleate sulla sua missione, «he stated that his superiors in Rome were anxious for him to carry out this mission, and then if it succeded, to tell the Allies. The idea behind this appears to have been to raise the prestige of the Italian Marina, in the eyes of the Allies» <295. Il Capo del Sis Calosi, interrogato dallo SCI ammise inoltre di aver progettato l’invio di altri tre agenti, dei quali uno, Giuseppe Putzolu, aveva già varcato le linee <296. I servizi segreti britannici, sollevarono qualche dubbio sulle giustificazioni addotte dal Sis, vista anche la già proficua collaborazione tra i servizi della Marina e i servizi alleati e auspicando la sostituzione di Resio e Calosi. I britannici sottolinearono infatti che, benché benemeriti, piani antisabotaggio avrebbero dovuto essere coordinati con il N.1 Special Force, «while it is very probable that no Allied Authority would have sanctioned the contact with Borghese, altough this interview appears to be due entirely to Zanardi’s personal initiative» <297.
In soccorso del servizio della Marina e dei suoi due ufficiali più importanti giunse James Angleton, il quale colse il potenziale della missione concepita dal Sis e decise di “salvare” Resio e Calosi in cambio della completa disponibilità del Sis a collaborare con la sua unità. L’agente statunitense pertanto concepì il piano IVY, il quale, come scrisse lo stesso Angleton, si basava sulle fondamentali premesse che i servizi tedeschi avessero l’intenzione di sabotare l’industria italiana nel Nord. Un problema che, riportava Angleton, era stato sottolineato da molti italiani influenti da entrambi le parti del fronte. Il primo tentativo di contrasto alle azioni tedesche fu proprio la missione di Zanardi. Infatti, sottolineava l’agente americano, per i membri del Sis, i quali rappresentavano in Italia gli interessi dei conservatori, la distruzione dell’industria del Nord avrebbe potuto condurre solamente ad una diffusa disoccupazione, povertà e disordine, sfociando in «a left-wing civil war» <298.
[NOTE]
288 TNA, WO 204/11748 Zanardi G., Zanardi Giorgio, 20 ottobre 1944, p. 1.
289 NARA, rg. 226, e. 108b, b. 57, f. 474, Missione tenente di Vascello Giorgio Zanardi, 2 novembre 1944. Cit. in N. Tranfaglia, Come nasce la Repubblica, p. 4.
290 TNA, WO 204/11748 Zanardi G., The Zanardi case, 9 novembre 1944, pp. 3-4. Traduzione mia.
291 Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore Marina (d’ora in avanti AUSSMM), Archivio De Courten, b. 3, f. 85, Relazione di Zanardi su come si è svolta la missione in Italia Settentrionale per conto del SIS dal 20 settembre al 14 ottobre 1944, Allegato 1. Cit. S. De Felice, La Decima Flottiglia MAS e la Venezia Giulia (1943-1945), Roma, Settimo Sigillo, 2000, pp. 115-116.
292 NARA, rg. 226, e. 108b, b. 57, f. 474, Missione tenente di Vascello Giorgio Zanardi, 2 novembre 1944, Allegato 4. Cit. in N. Tranfaglia, Come nasce la Repubblica, p. 7.
293 Ivi, p. 8.
294 Ivi, p. 9-10.
295 TNA, WO 204/11748 Zanardi G., Zanardi Giorgio, 20 ottobre 1944, p. 3.
296 TNA, WO 204/11748 Zanardi G., The Zanardi case, 9 novembre 1944, p. 4 e Putzolu, Francesco, 11 gennaio 1945. In un resoconto della sua missione che redigerà nell’agosto del 1945, Putzolu raccontò di aver incontrato Borghese a fine gennaio 1945 il quale affermò «di essere d’accordo con Roma sulla salvaguardia delle proprietà della marina nell’Italia settentrionale e di aver già incontrato due agenti di Roma […]. Ha poi aggiunto che mi avrebbe procurato una radio ricetrasmittente per comunicare con il SIS, a Roma, e che io dovevo rimanere personalmente in contatto con lui». Sarà probabilmente proprio Putzolu a riferire a Resio e ad Angleton il nascondiglio di Borghese all’indomani della Liberazione permettendo loro di portarlo a Roma evitando rappresaglie partigiane. NARA, rg. 226, e. 108b, b. 257, f. jzx-1860, cit. in N. Tranfaglia, Come nasce la Repubblica, pp. 3-4n.
297 TNA, WO 204/11748 Zanardi G., SIS operations in N. Italy, 28 ottobre 1944.
298 Central Intelligence Agency, Freedom of Information Act Electronic Reading Room, (d’ora in avanti CIA, FOIA), s.o., 20 gennaio 1945, p. 1-2.
Nicola Tonietto, La genesi del neofascismo in Italia. Dal periodo clandestino alle manifestazioni per Trieste italiana. 1943-1953, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, anno accademico 2016-2017

[…] All’incontro in sala Arengo erano presenti rappresentanti di associazione combattentistiche e partigiane ferraresi, autorità cittadine, amici del comandante.
[…] Sergio Romano – articolo pubblicato su ‘Il Corriere della Sera’ del 2 gennaio 2000 in occasione dell’uscita del libro di memorie di Giorgio Zanardi “Un soldato un italiano”: MEMORIE La fine del ‘900 […] “un curioso effetto in molti che hanno partecipato all’ ultima guerra: il desiderio di scrivere la storia personale”.
<Nel 1944 Zanardi era a La Spezia. Rifiutò l’ arruolamento nella Marina di Salò, passò le linee, lanciò messaggi di propaganda da Roma per annunciare che la Regia Marina era ancora “in piedi” e batteva bandiera italiana, tornò al Nord con una missione del Sis (il servizio informazioni della Marina), approdò a Milano negli ultimi mesi della guerra con un messaggio dei reggenti di San Marino, passò nuovamente le linee remando lungo le coste con una barca di fortuna, ebbe alla fine della guerra una medaglia d’argento. …
Non appena l’Italia venne spaccata in due il tenente di vascello Giorgio Zanardi fu dominato dal desiderio di ricongiungere la Marina all’ insegna di una stessa bandiera e di una stessa missione: la difesa dei territori orientali contro le formazioni di Tito o la protezione delle industrie del Nord dai sabotaggi tedeschi nelle ultime settimane della guerra. Il suo progetto era vago, fantasioso, irrealizzabile, ma le sue energie e la sua testardaggine furono in quei mesi inesauribili. Comincia così un sorprendente romanzo picaresco in cui Zanardi – Don Chisciotte attraversa più volte il fronte per portare messaggi che lasciano i suoi interlocutori increduli, ma sbigottiti dal suo coraggio e dalla sua buona fede. Mi chiedo quale altro italiano, in quei mesi, abbia bussato a tante porte e sia riuscito ad avere incontri con l’ ammiraglio Giuseppe Sparzani, ministro della Marina del governo fascista, Umberto di Savoia, il cardinale Schuster, Valerio Borghese, comandante della X Mas, Serafino Mazzolini, sottosegretario agli Esteri di Mussolini, i rappresentanti delle commissioni alleate a Roma. Il caso Zanardi ricorda agli storici quante trame siano state tessute e quante iniziative individuali siano state prese nei mesi caotici fra il settembre del 1943 e l’ aprile del 1945. Gli autori di queste memorie hanno alcuni caratteri comuni. Sono borghesi, fortemente nazionali (se non nazionalisti), monarchici, indignati dalla sventatezza con cui Mussolini ha gettato il Paese nella guerra, decisi a non combattere nelle formazioni della Repubblica sociale e, con una eccezione (Gnecchi – Rusconi), ufficiali dell’esercito o della Marina. Anziché scegliere le brigate partigiane d’ ispirazione comunista, socialista o repubblicana hanno cercato di combattere o resistere in un modo conforme alla loro formazione culturale e all’ orizzonte sociale da cui provengono. Hanno fatto insomma una Resistenza anomala, “borghese” e cavalleresca, quella che nelle storie canoniche è relegata in qualche nota a piè di pagina. E hanno scritto le loro memorie perchè temono che di questa guerra e di queste personali esperienze scompaia, quando loro se ne saranno andati, persino il ricordo>.
Redazione, Omaggio della città al comandante Zanardi: un soldato, un italiano, un resistente, Cronaca – Comune Ferrara, 22 dicembre 2008

“Insomma l’incidente è riuscito a dimostrare – malgrado non ce ne fosse alcun bisogno – che la X Ms non è una cosa seria, che essa è un’accozzaglia di uomini reclutati con ogni mezzo e da ogni luogo, privi del minimo senso di disciplina, mal guidati e peggio istruiti, destinati a servire i capricci i capricci di un uomo smoderatamente ambizioso, sommariamente infido, politicamente ingenuo, che essendo incapace di porsi un qualsiasi programma concreto, se non di pensiero almeno di azione, conduce un gioco tanto ambiguo quanto inconsistente”.
È l’estratto di una lettera di Fernando Mezzasoma, ministro della Cultura Popolare della Repubblica Sociale Italiana, indirizzata a Benito Mussolini e datata 19 febbraio 1945. La citazione apre l’ultimo libro di Luciano Patat ‘La X Mas al confine orientale’, presentato il 16 gennaio 2020 nell’ex caserma Osoppo ad Udine. Data non casuale visto che sabato 20 gennaio 2020, una delegazione dell’associazione che raduna reduci e parenti dei combattenti della ‘flottiglia Decima Mas’ verrà ricevuta ufficialmente, per quella che sta diventando una commemorazione ‘tradizionale’, nel municipio di Gorizia dai rappresentanti del comune, sindaco Rodolfo Ziberna compreso.
Il libro di Patat, presentato nella serata organizzata dall’Anpi dall’autore assieme Dario Mattiussi con le letture di Lucia Toros e l’accompagnamento musicale del duo No-bel, ripercorre tutte le tappe più significative della storia della formazione militare. Con un ricco corredo fotografico ed attingendo a fonti d’archivio, Patat ricostruisce quindi l’efferatezza della formazione guidata da Junio Valerio Borghese impiegata soprattutto in rastrellamenti e torture in funzione antipartigiana.
Ma anche l’impreparazione militare, tale da rendere la X Mas invisa sia alle autorità tedesche sia a quelle della Repubblica sociale di Salò, come emerge dalla citazione in apertura. Oltre al carattere del reclutamento che avvenne esclusivamente su base volontaria. Nonostante le amnistie del dopoguerra (tanto che Borghese tentò il famoso colpo di Stato fra il 7 e l’8 dicembre del 1970), questo rende i combattenti, secondo Patat, “tutti ugualmente corresponsabili dei crimini perpetrati”.
Redazione, Storia e crimini – impuniti – della X Mas nel nuovo libro di Luciano PatatNovi Matajur, 17 gennaio 2020

Io spesso mi chiedo quale storia del periodo resistenziale sia stata talvolta scritta e magari approvata in questa nostra Italia, e spesso mi domando se non sia la visione fascista e repubblichina degli avvenimenti, senza accorgersene, mancando di approfondimenti adeguati. Per esempio ritengo che non si abbia ben presente cosa fu davvero la Xa Mas e chi fu il principe Junio Valerio Borghese, scampato, nel dopoguerra, alla pena capitale per collaborazionismo con i nazisti e per i crimini commessi dalla ‘Decima’, e che fece temere agli Italiani democratici, nella notte dell’Immacolata del 1970, di cadere in un nuovo regime autoritario. E se ritorno su un argomento che ho già toccato nel mio: “No alla X Mas nelle sedi istituzionali della Repubblica italiana. Motivi storici”, in: www.nonsolocarnia.info, a cui rimando, lo faccio per approfondire
[…] E io credo che per comprendere cosa sia stata la Xa Mas e cosa abbia fatto in particolare dopo l’8 settembre 1943, si debba leggere come minimo l’esaustivo testo di Ricciotti Lazzero, intitolato ‘La Decima Mas. Compagnia di Ventura del Principe Nero’, Rizzoli, Milano, 1984, oltre che le sintesi dei processi, in particolare quello di Vicenza in corte d’appello, pubblicato in: digilander.libero.it/ladecimamas/intro.htm, o quello a Junio Valerio Borghese. Mi rendo conto che nel merito esiste una vastissima bibliografia, ma ritengo che la linea di lettura dei fatti, basata su una ricca documentazione italiana ed estera a supporto, presente nel volume di Ricciotti Lazzero (cfr. Ricciotti Lazzero, op. cit., pp. 249 – 264), sia sufficientemente esaustiva
[…] La X Mas, (anche nota come Xª o 10ª Flottiglia Mas, Decima Mas, X Mas, la ‘Decima’), esisteva prima dell’8 settembre 1943, ed era, allora, un’unità speciale della Regia Marina italiana, nata nel 1939 come 1ª Flottiglia M.A.S.. Essa non sempre aveva agito con esiti positivi, tanto che, inizialmente, le sue azioni non furono coronate da successo e comportarono molte perdite tra gli equipaggi, come nel caso del fallito attacco a Malta del 1941. Ma poi, grazie anche al perfezionamento dei mezzi tecnici e di supporto, essa ottenne la buona riuscita di alcune sue imprese, come quella della Baia di Suda (25-26 marzo 1941) o quella di Alessandria d’Egitto. (https://it.wikipedia.org/wiki/Xª_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana). 28 dicembre 2017).
Guidata fin dal suo sorgere dal Principe Junio Valerio Borghese, appartenente alla nobile famiglia romana dei Borghese ed ufficiale di Marina esperto in sommergibili, doveva venir impegnata, nel 1943, in una operazione simile a quella denominata ‘Unternehmen Pastorius’ tentata senza successo, nel giugno 1942, dai nazisti, e terminata con 6 ex cittadini Usa, al soldo della Germania, finiti sulla sedia elettrica. (Riciotti Lazzero, op. cit., pp. 14-15). Forse per raccogliere informazioni utili a organizzare la stessa, nel 1942 il Principe Borghese viaggiò attraverso l’Europa incontrando, a Parigi, anche Karl Dönitz, comandante della flotta sottomarina nazista. (https://it.wikipedia.org/wiki/Junio_Valerio_Borghese). L’impresa prevista da Borghese aveva come obiettivo un grattacielo di New York, da far saltare con mine, grazie a militari che sarebbero giunti con un sommergibile al porto della città, ma non ebbe seguito. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 14). Ma vi è anche chi dice, invece, che egli volesse solo minare il porto della nota città statunitense, e avesse dovuto rinunciare all’impresa, una prima volta, per la perdita del sommergibile che doveva utilizzare. (https://it.wikipedia.org/wiki/Junio_Valerio_Borghese).
Poi giunse l’8 settembre 1943, quando Borghese comandava gruppi della Decima sparsi dal nord al sud Italia, ed uno locato pure ad in Spagna, ad Algerisas, di fronte a Gibilterra. Colto dagli eventi, il Principe decideva «di restare con le armi al piede e di non accettare la resa agli Alleati» (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 15), mentre il Comandante in Capo delle Forze Navali da Battaglia, Carlo Bergamini accettava di obbedire, per fedeltà al Re e per il bene della Patria, alle clausole poste dall’Armistizio, e moriva in mare con la sua nave ammiraglia, colpita a morte, dopo accanita difesa, dagli aerei nazisti. (http://www.marina.difesa.it/storiacultura/storia/medaglie/Pagine/CarloBergamini.aspx).
Non così il Principe Junio Valerio che accettava di offrirsi, con la Flottiglia che comandava, ai tedeschi, prima ancora che nascesse l’R.S.I.. Infatti il 14 settembre 1943, si presentava a lui l’ufficiale nazista Max Berninghaus, capitano di fregata e «nazista duro e deciso», (Ricciotti Lazzero, op. cit., p.17) ed il Principe accettava di sottoscrivere un patto di Alleanza tra la X Mas ed il Terzo Reich, che stabiliva che la X Mas, con «capo riconosciuto» il comandante Borghese, era «alleata delle FF.AA. germaniche, con parità di diritti e doveri», pur mantenendo autonomia logistica, organizzativa, disciplinare ed amministrativa, nonché l’uso della bandiera italiana. (Ivi, p. 18). L’ accordo diventava esecutivo subito, mettendo la ‘Decima’ a disposizione dell’SS – Obergruppenführer und General der Waffen SS Karl Wolff, insediatosi il 9 settembre nel veronese con la carica di Höchster SS- und polizeiführer in Italien, che di fatto ne poteva stabilire l’utilizzo. (Ibid.).
Borghese – racconta il generale Wolff – «con le sue unità fu messo ai miei ordini per la lotta antipartigiana, così come per il mantenimento della pace, dell’ordine e della sicurezza alle spalle delle zone occupate dall’esercito tedesco in Italia […]». (Ivi, p. 19).
«La posizione della Decima Mas è chiara. – scrive a questo punto Ricciotti Lazzero – È la prima unità che abbia trattato con i tedeschi stringendo con essi un “patto di alleanza” ben preciso», prima ancora che qualcuno tra i gerarchi si sia mosso. (Ivi, p. 19). E vi è solo un altro caso simile, riportato da documentazione tedesca, di unità militare italiana alle dipendenze dirette di Karl Wolff ma con una certa autonomia: quello del btg. ‘Goffredo Mameli’, del Reggimento ‘Luciano Mannara’, costituitosi a Verona con volontari, e guidato dall’ufficiale della milizia Vittorio Facchini. (Ibid).
Ma cosa significava ‘operare in autonomia’ per l’Obergruppenführer Wolff? Significava, per esempio che la Xa Mas, per quanto riguardava l’impiego bellico e le operazioni di sicurezza, era alle sue personali dipendenze; da lui riceveva gli ordini di impiego, ed a lui doveva rendicontare del risultato delle azioni militari intraprese. Borghese aveva la facoltà di dare ordini all’interno dell’ambito deciso di servizio, ma per le azioni principali e più importanti doveva avere l’approvazione di Wolff. (Ivi, p. 20).
I tedeschi vedono nella ‘Decima’, corpo autonomo italiano schierato con loro, un modo per indebolire la possibilità, per l’R.S.I., di richiedere la costruzione di un esercito ed una marina autonomi, (Ivi, p. 21) mentre il primo incontro fra Benito Mussolini, circondato ormai dalle SS, e il principe Borghese, il 5 ottobre 1943, non sortisce alcun risultato di rilievo. (Ivi, pp. 22-23).
«Borghese, che ha patteggiato con i tedeschi da solo, senza badare ai fascisti, anzi in barba a loro, è deciso a proseguire per la sua strada indipendente, il duce guarda a quell’unità che nasce con il beneplacito tedesco come a un ostacolo […]». (Ivi, p. 23). Ed anche successivamente «Rapporti formali tra Decima Mas – RSI, qualche entusiasmo da parte di qualcuno, ma niente di più. (…). La Decima è […] un corpo a sé, molto tenuto d’occhio e sorvegliato, che fa concorrenza al nuovo esercito in gestazione». (Ibid).
Pertanto chi sostiene che la X Mas combattè per la Patria, sta commettendo un grosso errore, perché fu al servizio dell’occupante nazista. E anche se fosse stata inglobata, ad un certo punto, almeno formalmente, nell’Esercito dell’R.S.I., come si potrebbe intuire dall’intestazione del manifesto qui riprodotto, relativo al periodo in cui la ‘Decima’ si trovava in Veneto, sarebbe stata la stessa cosa. Anche i repubblichini avevano una certa autonomia ma dipendevano di fatto dai tedeschi. Coloro che combatterono per cacciare i nazisti furono i partigiani, gli Angloamericani ed i russi bolscevichi, che fermarono Hitler e dettero un nuovo corso alla storia, lasciando però milioni di morti sul terreno. E colgo l’occasione per precisare ai friulani che proprio perchè del btg. ‘N.P.’ (Nuotatori Paracadutisti) della X Mas, e poiché avevano partecipato a rastrellamenti nella zona di Valdobbiadene vennero giustiziati, la notte fra il 5 ed il 6 novemebre 1944, da un gruppo di gappisti, il conte Giorgio di Strassoldo, ufficiale sottocapo del btg., ed il sergente Luigi Spazzapan. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 22 e p. 136).
[…] sfasciatosi il Regio Esercito Italiano, anche la X Mas iniziò in modo autonomo l’arruolamento. I volontari non furono solo marinai – spiega Ricciotti Lazzero – ma anche soldati ed ufficiali di fanteria, bersaglieri, alpini, genieri, autisti, radiotelegrafisti, che concorsero a formare nuovi battaglioni e reparti. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 24). Andarono nella Decima sia uomini sanguinari che fascisti convinti ed in fuga dagli Alleati al Sud e giovani ‘dal viso pulito’, spesso studenti che poco o nulla sapevano del fascismo, che anelavano a prestare servizio in un corpo organizzato, e che poi, senza magari saperlo, si trovarono impiegati in prima linea nella pulizia dell’entroterra, alle spalle della Wehrmacht, e nella lotta al ‘fratello italiano’. A nessuno venne chiesto il giuramento all’ R.S.I. ma solo «Il rispetto ad un’idea ed alla bandiera che sventola sul pennone». (Ivi, p. 10 e p. 24).
Richiamavano gli slogans, la pubblicità, la divisa grigioverde con maglioncino grigio, giacca senza colletto e basco da paracadutista, ma la realtà poi fu altra cosa. Si formarono nuovi gruppi, si rimpolparono vecchi battaglioni, mentre il grosso delle truppe, subito dopo l’8 settembre 1943, era locato a La Spezia. (Per l’elenco dettagliato dei gruppi, battaglioni con numero delle compagnie, ecc. cfr. Ivi, pp. 25- 31). E dopo l’8 settembre 1943, aderì alla X Mas anche Umberto Bertozzi, ingegnere, amico di Junio Valerio Borghese, e figlio di un imprenditore dell’industria conserviera, che guidò l’Ufficio I, famoso per le torture, e la famigerata la Compagnia O, formatasi nel maggio – giugno 1944, autocarrata, composta da 120 uomini, e strutturata su tre plotoni fucilieri ed un plotone comando, e destinata, in un primo tempo, ad operare esclusivamente nell’entroterra spezzino. (Ivi, pp. 29-30, e https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Bertozzi).
Umberto Bertozzi, giudicato colpevole «di oltre cento ‘omicidi volontari’, fra cui il concorso nella strage di Forno di Massa e di numerose sevizie particolarmente efferate perpetrate tra il 1944-1945», (Cfr. Pena capitale per il braccio Dx di Borghese, la sentenza della Corte di Assise di Vicenza, in: http://digilander.libero.it/ladecimamas/) verrà condannato a Vicenza, il 4 giugno 1947, con Franco Banchieri, alla pena di morte, ma la condanna venne poi commutata in ergastolo, che negli anni, grazie anche alla concessione di condoni, divennero prima 30 anni e poi 19, fino ad estinzione della pena nel 1963. (https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Bertozzi).
Comunque tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, cominciarono a delinearsi i primi battaglioni da utilizzare nella lotta antipartigiana: il ‘Barbarigo’, il ‘Lupo’, il ‘Mai morti’ poi ‘Sagittario’, il ‘ Folgore’, (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 34) che vennero addestrati anche dai tedeschi a muoversi sul terreno. (Ivi, p. 35). Nessuno sospettava allora che gli angloamericani sarebbero sbarcati ad Anzio il 22 gennaio 1944.
Oltre ad Umberto Bertozzi ed al sergente Schininà (nome non reperito) suo aiuto, (Ivi, p. 99), vi furono altri personaggi della ‘Decima’ che si resero tristemente famosi: uno di questi fu Beniamino Fumai, barese, che il 16 giugno 1921, assieme al fratello, aveva aderito al fascio di Bari, militando poi nella stessa squadra d’azione di Achille Starace. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 39). Quindi si era spostato a Nord, a Trieste, formando, dopo l’8 settembre 1943, un gruppo di 43 individui, a cui aveva dato il nome‘ Mai morti’, ed avente come distintivo uno scudo nero con al centro un teschio, ai lati la scritta “Per l’onore dell’Italia” ed in apice la data 8 settembre 1943. Il gruppetto si definiva, pomposamente e non si sa a che titolo, F.A.F. (Forze Armate Fasciste), e pare che tutti i suoi componenti fossero soggetti «propensi alla più pura delinquenza», (Ivi, p. 39) e fu apprezzato pure da Christian Wirth, distintosi per i forni crematori di Lublino, e poi passato alla Risiera di San Sabba. (Ivi, pp. 39-40).
A Trieste il ‘Mai Morti’ semina terrore: «i suoi uomini sono liberi di agire, possono razziare ciò che vogliono, saranno sempre impunti», finchè le loro rapine, estorsioni assassinii giungono a disgustare persino i fascisti. A questo punto interviene Alessandro Pavolini in persona, che scioglie il ‘Mai Morti’. (Ivi, p.40). Così Fumai ed i suoi lasciano la città giuliana e vagano per l’Italia settentrionale. Il 6 gennaio si trovano al Lago Maggiore, quindi, il 20 dello stesso mese, in zona Intra-Pallanza, quindi passano a Verona, poi a Brescia ed a Milano, ove Fumai contatta la Decima Mas, per poi caricare i suoi su autocarri e presentarsi a La Spezia. (Ivi, p. 40).
Il ‘Mai Morti’, diventato battaglione della ‘Decima’ al comando di Fumai, riesce a seminare «in ogni angolo del Piemonte dolori e sangue, ed un odio indicibile per i marò», tanto che il 6 marzo 1944 Dante Tuninetti, allora prefetto della Provincia di Novara, mandava un telegramma urgente al Ministro degli Interni dell’R.S.I. per chiedere che si prodighi affinchè il gruppo ‘Mai Morti’ non giunga sul suo territorio, e venga, invece, utilizzato al fronte. (Ivi, p. 40).
Il risultato è che il ‘Mai Morti’ comincia ad operare nello spezzino, lasciando chiare tracce del suo passaggio. Infine il battaglione, nel maggio 1944, si scioglie e sulle sue ceneri nasce il battaglione ‘Sagittario’, comandato sempre da Beniamino Fumai. (Ivi, p. 41).
Ben presto il ‘Sagittario’ si caratterizzò per la ferocia nelle azioni e nella caccia ad antifascisti, partigiani, ed in particolare anarchici della Lunigiana e della provincia di Massa e Carrara, e si trovava pure nel Canavese, nell’estate 1944, a due passi da Cuorgnè, al fianco della Compagnia O guidata dal Bertozzi. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 85 e p. 99). «La sua azione è spietata: uccisioni, incendi, furti e saccheggi», e in quella zone rimane famoso per aver «seminato dappertutto il terrore: soprusi, violenze anche contro donne, rapine, uccisioni, incendi di case, razzie» (Ivi, p. 124), tanto da innervosire lo stesso Junio Valerio Borghese. Sicuramente vi fu un colloquio fra questi ed il Fumai, ma quest’ultimo ebbe la meglio, e con i suoi 700 uomini, armati fino ai denti, si spostò prima a Torino poi ad Ivrea. E dopo essersi arbitrariamente spacciato per ex maggiore della Milizia, ora Beniamino Fumai si spaccia per capitano di corvetta. (Ivi, p. 40 e 85).
Ma a quel punto anche i repubblichini iniziano a protestare. Infine Beniamino Fumai tenta di aggredire lo stesso Borghese a Ciriè. Così, nell’autunno 1944, viene convocato dal Principe, che, poco interessato alle sue minacce, gli revoca il mandato di comandante del ‘Sagittario’, nominando al suo posto il tenente di vascello Ugo Franchi, comandante in seconda del ‘N.P’.. (Ivi, pp. 124- 125). A questo punto il Fumai raccatta i suoi fedelissimi e, dopo aver rubato armi alla Caserma dell’Artiglieria a Torino, ove la Decima aveva un suo deposito, forma una propria banda, a cui aderiscono molti della ‘Sagittario’, che erano fuggiti da un treno durante lo spostamento in Veneto. (Ibid.).
Ad un certo punto il Fumai ed i suoi si piazzano a Milano in via Manzoni, presso la sede del Partito Fascista Repubblicano, e creano la II Brigata Nera ‘Arditi’, con il parere negativo dell’R.S.I., che non la vuole, sostenendo che Fumai risulta ancora in forze alla ‘Decima’, e quindi si sa che questi, il 5 marzo 1945, alloggiava al prestigioso hotel Danieli di Venezia, e non certamente in prima linea. Infine dopo la Liberazione, il Fumai viene processato, condannato, e quindi amnistiato, come tanti dei suoi, salvandosi la pelle. (Federico Maistrello, in: La Decima Mas in provincia di Treviso. Fatti e documenti, ed. Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea della marca trevigiana, 1997, p. 14come tanti dei suoi, salvandosi la pelle.
[…] Quello che colpiva particolarmente, però, era l’afflusso di denaro nelle casse della X Mas. Certamente le iniziative per raccogliere fondi non le mancavano, e sapeva far ricorso all’inventiva ed all’astuzia, sorretta da un ufficio propaganda di spessore. (Ivi, p. 57). Ma l’Hauptmann Kurt Hubert Franz riteneva che l’alta paga data ad ufficiali e soldati potesse favorire la diserzione dalle truppe repubblicane, (Ivi, p. 59) e gli appartenenti alla Decima, come si legge in un appunto al Duce di Mario Bassi, prefetto di Varese, continuavano comunque «azioni illegali […]. Furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico rappresentano quasi la caratteristica speciale di questi militari. (…). La cittadinanza, oltre ad essere allarmata per queste continue vessazioni, si domanda come costoro, che dovrebbero essere sottoposti ad una rigida disciplina militare, possano agire impunemente, e senza alcuna possibilità di punizione, in quanto, come è noto, nessun accertamento diretto è possibile presso il comando, il quale, col comodo pretesto che si tratta di delinquenti comuni travestiti da appartenenti alla Xa Mas, rifiuta di fornire qualsiasi notizia atta all’identificazione dei responsabili. Il pubblico non sa spiegarsi perché costoro, che sono giovani ed aitanti, non siano inviati in zona di operazione […]». (Ivi, p. 58).
Inoltre la Decima giocava sul fatto di dipendere direttamente dalle SS Obergruppenführer Wolff, di appartenere alle unità speciali dette Sondeverbände e di risultare in ruolo ai tedeschi (Ivi, pp. 57-58), anche se vi è chi, invece, afferma che amministrativamente dipendeva dall’R.S.I. (https://it.wikipedia.org/wiki/X%C2%AA_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana).
E la ‘Decima’ era abile a promuovere collette presso commercianti, industriali ed affini, e quando qualcuno gli mandava solo spiccioli, avvertiva l’interessato che probabilmente nella spedizione delle banconote vi era stato un errore, e quindi di provvedere a sanare il disguido. E si giunse al punto che Graziani invitò il Sottosegretario di Stato alla Marina ad intervenire sulla ‘Decima’ i cui ufficiali e sottoufficiali giravano pieni di soldi «in ambienti milanesi e fiorentini», utilizzandoli per scopi privati e muovendosi su «vistose autovetture di lusso», mentre il modo di amministrare dei militari della X Mas appariva, secondo il prefetto della Provincia di Milano, «non confacente all’ordine, allo scrupolo, al senso di responsabilità». (Ivi, pp. 57-58). Ma nessuno pare potesse far nulla.
L’elenco di quanto fece la Decima Mas in Liguria, in Piemonte, in Veneto, in Toscana, è lungo, ed i metodi che utilizzò quasi illeggibili: essi sono intrisi di violenza e morte. E per meglio sottolinearne gli intenti, persino il Reggimento San Marco tolse al leone di San Marco, il vangelo aperto con la scritta: “Pax tibi Marce, evangelista meus” sostituendolo con un Vangelo chiuso, con una croce, e sotto una scritta: “Iterum rudit leo”: “Il leone ruggisce di nuovo”. (Ivi, p. 35) […]
Laura Matelda Puppini, Storia della collaborazionista X Mas con i nazisti occupanti, dopo l’8 settembre 1943. Per conoscere e non ripetere errori, Non solo Carnia, 3 gennaio 2018