
Mentre i partigiani di montagna si riorganizzavano, il capoluogo visse pagine di storia fra le più tragiche <23. Il malcontento degli operai, mai sopito, riesplose nella seconda metà di febbraio con lo sciopero dei dipendenti della Scarpa & Magnano, indignati per i mancati aumenti salariali che pure l’azienda aveva promesso. Il sindacalista fascista D’Agostino, invece di placare gli animi, si schierò con la dirigenza, il che fece imbestialire gli operai. La vicenda si chiuse con quattro operai arrestati e molti altri minacciati: l’agitazione, prematura e isolata, era stata un fallimento, e la fabbrica non partecipò al grande sciopero del 1° marzo. Questo fu organizzato per tempo, a livello nazionale, in base alle direttive del Comitato Segreto di Agitazione per il Piemonte, la Liguria e la Lombardia, che per l’occasione aveva diffuso un manifesto rivendicativo. Proprio in vista dello sciopero, inteso più che mai come atto di guerra contro il fascismo, il 28 febbraio tornò a Savona Giancarlo Pajetta, il quale, stabilitosi in una casa di via Poggi insieme a Giovanni “Andrea” Gilardi (da dicembre segretario della Federazione savonese del PCI, in sostituzione di Libero Briganti aggregatosi ai partigiani imperiesi), organizzò l’agitazione inviando staffette nelle principali fabbriche cittadine. Alle 9 in punto del mattino seguente gli operai abbandonarono il lavoro, ma l’apparato repressivo era da tempo in guardia <24. La reazione allo sciopero fu tanto rapida quanto sbrigativa e priva di scrupoli. L’organizzazione militare clandestina di città, che sarebbe dovuta intervenire a difesa degli scioperanti, era ancora paralizzata dalle retate di polizia che l’avevano quasi decapitata, e non poté in alcun modo ostacolare la dura risposta dei corpi armati nazifascisti. La prima fabbrica a subire la repressione fu la Brown Boveri di Vado Ligure, letteralmente blindata da militi della GNR e bersaglieri che sciolsero con la forza l’assemblea dei lavoratori e ne arrestarono alcuni. Lo stesso accadde all’ILVA – Meccanica. A mezzogiorno militari italiani, pare guidati dal Questore Parenti in persona e dal vicecommissario di Pubblica Sicurezza Cartia, fecero irruzione alla Samr e catturarono 23 operai, sette dei quali morirono poi a Mauthausen. A Finale Ligure, alla Piaggio, vennero arrestati venti o trenta operai (le fonti non concordano). L’unica zona in cui la repressione partì in ritardo fu la val Bormida, dove gli arresti cominciarono solo la notte seguente. Ma i lavoratori più duramente colpiti furono quelli dell’ILVA di Savona, dove nutriti contingenti di tedeschi, GNR e bersaglieri rastrellarono oltre un centinaio di operai, molti dei quali giovanissimi. Pochi riuscirono a dileguarsi; quasi tutti furono tradotti nella caserma della 34a Legione delle Camicie Nere, in corso Ricci, aggiungendosi ad altri, molto meno numerosi, catturati in varie officine della zona. Dopo sommari (ed infruttuosi) interrogatori per identificare gli agitatori, gli operai arrestati furono caricati su camion e, nonostante la disperata opposizione di molte donne che tentarono di bloccare la colonna in corso Colombo, trasferiti all’Istituto Merello di Spotorno, appositamente adibito a campo di prigionia, dove li attendevano alcuni fra gli squadristi savonesi più in vista, sotto il comando del violento Possenti. Due giorni dopo i rastrellati, caricati su un treno vigilatissimo, furono inviati a Genova per una visita di selezione. Gli abili furono spediti direttamente in Germania, i riformati dapprima a Milano, poi a Bergamo, infine a Mauthausen, da dove tornarono solo in 8 da 67 che erano. Un aspetto particolarmente tragico della vicenda è dato dal fatto che i riformati credevano di poter tornare a casa; del medesimo parere era un radiologo genovese che visitò gli arrestati, e che pertanto cercò di riformarne il maggior numero possibile, pensando con ciò di salvarli. La fine è nota.
L’ennesima disfatta subita dal movimento di resistenza indusse per il momento a miti consigli anche i più decisi antifascisti, ma fu altresì lo spunto decisivo per procedere a rifondare l’organizzazione militare clandestina di città, la cui debolezza aveva provocato la catastrofe del 1° marzo. Armi, uomini e una struttura credibile: questo mancava perché le SAP potessero entrare in scena da protagoniste nel teatro della guerra civile nel Savonese. Tutta la primavera fu dedicata al rafforzamento dell’attività clandestina, tanto in città quanto in montagna.
La situazione degli operai era più grave che mai. La repressione, la miseria dei salari, lo sfruttamento, la guerra che pareva senza fine, la tracotanza e la demagogia delle autorità fasciste avevano condotto la classe operaia del Savonese oltre ogni limite di sopportazione. La propaganda socializzatrice del regime incontrava solo un compatto muro di rancoroso silenzio. Senza tenere in debita considerazione questo stato d’animo non si può capire, e quindi valutare obiettivamente, quanto avvenne all’indomani della Liberazione, con lo scatenarsi della caccia al fascista e della violenza insurrezionale.
Tra valzer di poltrone e minuzie varie Savona continuò il suo penoso viaggio attraverso le tragedie della guerra. Mario D’Agostino, commissario ai sindacati e presidente di una commissione disciplinare della federazione fascista composta di quattro squadristi (Gallarati, Andreef, Colbertando e Briasco), lasciò la prima carica al dott. Giovanni Pestalozza e la seconda al generale Elleno Setti per assumere quella di vicesegretario federale del PFR; vennero inoltre costituiti i Gruppi d’Azione giovanili della RSI, con Aldo Genovese come ispettore. La sottoscrizione per dare un MAS alla Marina repubblicana, pubblicizzata anche sui giornali cattolici autorizzati, ricevette l’adesione di molti che nel dopoguerra millanteranno un antifascismo immacolato <25. Ma questi sprazzi di apparente normalità e unanimismo nascondevano una realtà ben diversa, gravida di una violenza sempre pronta a scatenarsi, anche senza un vero motivo, come vedremo.
La sera del 1° aprile, in via Forzano, alcuni soldati tedeschi, probabilmente ubriachi, litigarono violentemente <26. Uno di loro, tale Willy Lange, rimase ferito a seguito della gazzarra. Per non finire dinanzi al Tribunale Militare della Wehrmacht, che se avesse avuto la bontà d’animo di non farli fucilare li avrebbe spediti sul fronte orientale in un battaglione di disciplina, i tedeschi concordarono una versione di comodo secondo la quale il ferimento di Lange era dovuto ad un’imboscata gappista. Il Capo della Provincia Mirabelli ordinò il coprifuoco dalle ore 19 e mise una taglia sulla testa dei fantomatici attentatori. Il locale Comando germanico, accettata senza ulteriori indagini la testimonianza dei militari coinvolti nel fattaccio, procedette immediatamente alla rappresaglia, pare per iniziativa del locale comandante delle SS, Max Ablinger <27. Il 4 aprile alcune delle vittime designate furono condotte sul promontorio di Valloria e costrette a scavare delle fosse. All’alba del giorno successivo tredici prigionieri, segnati dalle sevizie, erano riuniti sul posto. Dopo aver ordinato agli abitanti delle case vicine di chiudere porte e finestre, i tedeschi ne falciarono a colpi di mitragliatrice pesante dapprima sette, poi gli altri sei che avevano dovuto assistere alla fine dei loro compagni. Quindi i fascisti finirono gli agonizzanti a colpi di pistola mentre i soldati tedeschi se ne andavano cantando. Attilio Sanvenero, Matteo De Salvo, Paolo Attilio Antonini, Edoardo Gatti, Francesco Falco, Pietro Salvo, Lorenzo Baldo, Nello Bovani, Mario Gaggero, Giuseppe Rambaldi, Aldo Tambuscio, Giuseppe Casalini e Angelo Galli non ebbero sepoltura fino al 27 aprile, in base al principio, caro alle autorità della RSI, dell’esibizione dei nemici uccisi. Per due settimane i loro cadaveri furono piantonati da guardie armate che impedivano a parenti e amici di ritirarli; per colmo d’ironia, il giorno 20 si celebrò nel capoluogo la giornata dell’amicizia italo – germanica <28. La lezione doveva essere chiara a tutti. Il giorno dopo la strage la “Gazzetta di Savona” riportava integralmente il comunicato stilato da Mirabelli: “(…) le indagini esperite per stabilire quali siano gli autori della vile imboscata contro l’appartenente alle Forze Armate Germaniche Willi Lange hanno dato i seguenti risultati: i colpevoli appartengono a una banda di terroristi i quali, sotto la guida di agenti stranieri, hanno lo scopo di turbare con un vile assassinio il buon accordo vigente tra tedeschi e italiani. Tutte le azioni criminose che sono state commesse in questi ultimi tempi vanno iscritte a questa banda, di cui parecchi appartenenti erano già stati catturati e condannati. La condanna era stata sospesa unicamente per offrire a costoro, attraverso un volenteroso atteggiamento della popolazione, la possibilità di essere graziati. Dopo l’ultimo inqualificabile attentato la realizzazione di questo proposito è stata frustrata per cui i sopradetti condannati, ed alcuni altri individui appartenenti alla cerchia dei criminali che hanno agito contro il tedesco Willi Lange, tredici persone in totale, ieri, mercoledì all’alba, sono state passate per le armi (…)” <29.
E’ evidente la grossolana manipolazione dei fatti da parte delle autorità. La notizia del presunto agguato si era gonfiata a tal punto che il 7 aprile il Maresciallo Caviglia annotava nel suo diario l’uccisione di due tedeschi quale causa scatenante della rappresaglia <30. Addirittura, in un rapporto segreto stilato dalla GNR e datato 13 aprile, si legge che “(…)Il 5 corrente, il comando delle SS di Savona procedette all’esecuzione di tre [sic!] arrestati (…). Il provvedimento venne adottato in seguito all’assassinio di un militare tedesco verificatosi la sera del 1° andante” <31. Forse la verità era troppo squallida e tragica perché il Duce ne venisse a conoscenza. In realtà, i rapporti della GNR erano lo specchio fedele dell’incapacità da parte dei sostenitori del regime di riconoscere il vero andamento delle cose. Vi si trovano interessanti notazioni di ordine economico circa la penuria di viveri e l’attività industriale cittadina, dalle quali sappiamo per esempio che in aprile le fabbriche savonesi soffrivano non tanto per la carenza di materie prime, tutto sommato non grave, quanto per i danni dei bombardamenti e le interruzioni nell’erogazione dell’energia elettrica <32. Ma il giudizio complessivo sullo stato d’animo della popolazione, pur veritiero nell’indicare nella fame e nei bombardamenti gli elementi che più deprimevano gli spiriti, peccava viceversa di un ottimismo privo di senso in una città sempre più duramente avversa al fascismo repubblicano, quando si riportava che “L’arrivo a Savona di un battaglione di bersaglieri, inquadrato nelle Unità Germaniche per la difesa delle coste, ha suscitato entusiasmo” <33, oppure non si capiva che la generale riprovazione di cui erano oggetto Badoglio e i Savoia non era affatto indice di simpatia per la RSI <34. Quanto meno improbabile è poi che la maggior parte della popolazione ammirasse i successi difensivi tedeschi a Cassino e Nettuno <35. Tant’è, tutto il mondo è paese, e anche i capi della GNR avevano l’irresistibile tendenza a dire ai propri superiori quello che questi ultimi volevano sentirsi dire.
[NOTE]
23 Per lo sciopero del 1° marzo 1944 vedi in R. Badarello – E. De Vincenzi, Savona insorge, Savona, Ars Graphica, 1973, pp. 84-90; cfr. G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Farigliano (CN), Milanostampa, 1965-69, vol. I, pp. 188-191.
24 Addirittura, pochi giorni prima, tutti i questori delle province interessate dallo sciopero si erano riuniti a Valdagno.
25 N. De Marco – R. Aiolfi, Bombe su Savona. La demolizione dei cassari, Savona, Comune di Savona, 1995, p. 108.
26 Per la strage di Valloria, vedi R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., pp. 90 – 92.
27 G. Gimelli, op. cit., vol. II, p. 33.
28 N. De Marco – R. Aiolfi, op. cit., p. 109.
29 Riportato in G. Gimelli, op. cit., vol. I, pp. 285 – 286. La versione del comunicato riportata in R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., pp. 90 – 91, mi sembra errata.
30 E. Caviglia, op. cit., p. 497.
31 Riservato a Mussolini. Notiziari giornalieri della GNR, nov. 1943 – giu. 1944, a c. di AA. VV., Feltrinelli, Milano, 1974, p. 236.
32 Ibidem, p. 235.
33 Ibidem, p. 234.
34 Ibidem, p. 236.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000