La “borsa nera” accresce il malumore della popolazione

Perugia. Fonte: Mapio.net

All’inizio del 1943, cominciano a comparire i primi messaggi “sovversivi”. A Pierantonio, nei pressi di Umbertide, vengono rinvenuti alcuni bigliettini dove, fra l’altro, si legge: «Viva la Russia, morte al fascio, proletari l’ora della riscossa è suonata, salviamo l’Italia, scotiamo il giogo che ci opprime. La nostra vecchia bandiera deve risventolare». I rovesci bellici in Africa destano «penosissima impressione» ed accrescono il pessimismo <16 . Il «disorientamento spirituale» raggiunge anche gli studenti universitari, considerati «per se stessi ribelli ad ogni ordine costituito e facilmente accessibili alle suggestioni del sovversivismo, per scarsa fede nelle dottrine di una Rivoluzione che non hanno vissuto». All’interno dell’Università degli Studi, stando al questore Restivo, si annida la «propaganda occulta e deleteria di ambienti intellettuali politicamente infidi». Scritte “sovversive” (“Abbasso il duce”, “Abbasso i tedeschi”, “Abbasso il duce che ci ha tradito” e “Se avanzo seguitemi – ci ha portato in un bel casino. Se indietreggio uccidetemi – ci abbiamo già pensato. Se muoio vendicatemi – Ah caro aspetti un pezzo” ed altri messaggi, anche osceni, rivolti a Mussolini) vengono trovate sui banchi di un’aula di chimica e presso la Facoltà di Veterinaria <17.
Ciononostante, come sottolinea un telegramma di plauso inviato da Mussolini al prefetto Canovai il 7 marzo, l’ordine pubblico della provincia di Perugia risulta ancora sotto il controllo fascista <18. Ma al di là dell’ostentata tranquillità di facciata, la “fedeltà” al regime comincia a scemare un po’ in tutta la provincia, e la “fascistissima” Perugia non fa eccezione. Da una lettera anonima inviata allo stesso prefetto s’intuisce il cambiamento di clima. Anche alcuni fascisti, percependo la deriva del regime, partecipano ai primi, velleitari tentativi di opposizione. Nello scritto, comunque intriso di esagerazioni, leggiamo: «Non il piccolo gruppo sparuto che credete, eccellenza, di aver sommerso con la vostra sbirraglia ma una grande falange noi siamo! Alle scritte seguiranno migliaia di manifestini e poi il resto! Alla vigilia della grande liberazione dal giogo fascista, noi vogliamo lavare la nostra Perugia dalla grande macchia di “piazzaforte del fascismo” così spariranno per sempre i prefetti fascisti gozzoviglianti e i federali ladri! Questa è una sfida! I compagni di Mosca dicono: “lavoratori di tutto il mondo unitevi” e ci siamo uniti e fra noi ci sono fascisti che hanno capito il vero bene! I compagni di Mosca vinceranno la guerra!» <19.
Effettivamente qualcosa sta cambiando ed i fascisti sentono la necessità di controlli sempre più restrittivi. Le forze di polizia percepiscono che il movimento comunista agisce «nel profondo», tanto che alcuni episodi affiorano – leggiamo in una relazione – «come i miasmi dalle cloache». L’antifascismo si manifesta ancora una volta attraverso messaggi vergati da mani anonime. A Città di Castello, sulle pareti di una latrina, appaiono scritte inequivocabili: “Matteotti risorgi, manda via quel delinquente di Mussolini”, “Mussolini ha ridotto in una colonia tedesca la nostra cara Patria”. A Foligno, all’ingresso della sede del Fascio femminile, vengono lasciati messaggi analoghi: “Speriamo Dio finisca presto. Duce, quando ci lasci è sempre tardi” e – riferito alle donne in camicia nera – “Istituzione tutte troie”. Disagio e malcontento, commenta il questore, «forniscono facile terreno alla propaganda e all’organizzazione sovversiva» <20. Inizia a cambiare anche il contegno del clero, che, pur non mostrandosi ostile alla guerra, appare «eccessivamente riservato nel trattare di tale argomento» e «non ha parole di condanna per i nemici». Tale comportamento viene considerato «sostanzialmente ambiguo»: «delle nove lettere pastorali pubblicate dai Vescovi – scrive Canovai -, due contenevano espressioni di eccessiva deplorazione della guerra, quella del Vescovo di Foligno e quella del Vescovo di Nocera e Gualdo: di quest’ultima ho creduto opportuno impedire la diffusione» <21.
La “borsa nera” accresce il malumore della popolazione <22, ma le ondate di arresti – nel maggio 1943, ad esempio, vengono incarcerate 80 persone tra Perugia, Assisi e Foligno <23 – e l’inconsistenza delle iniziative contrarie al regime, contribuiscono a mantenere uno status quo sostanzialmente poco diverso da quello esistente al momento della dichiarazione di guerra dell’Italia. In estate, le «manifestazioni sovversive» risultano ancora «isolate» e «di entità quasi trascurabile». L’unica novità è che alle ormai consuete scritte si affianca qualche manifesto, come quelli rinvenuti ad Umbertide <24.
Neppure il crollo del regime, il 25 luglio, muta radicalmente la situazione. Tutte le autorità rimangono momentaneamente al loro posto e una parte relativamente consistente dei fascisti aderisce – di lì a poco – al Pfr <25.
[NOTE]
15 Ibidem, relazione della commissione provinciale della censura postale di Perugia relativa al periodo 16-31 dicembre 1941.
16 Ibidem, relazione del questore Restivo (1° febbraio 1943). I messaggi sovversivi sono opera del reo confesso Oliviero Staccini, «guardia di PS» operante a Terni, spinto all’iniziativa – così sostiene – «per suffragare, con siffatta prova, una sua precedente denunzia a carico di elementi antifascisti del luogo».
17 Ibidem, relazioni del prefetto Canovai dell’11 e del 20 febbraio 1943 e relazione del questore Restivo del 1° marzo 1943.
18 «Dal rapporto del Capo della Polizia per i mesi di gennaio e febbraio – scrive il capo del fascismo – risulta che le manifestazioni antifasciste o sovversive avvenute in codesta provincia sono insignificanti. Vi mando il mio elogio» (ASP, Gabinetto della Prefettura, b. 38, fascicolo 3).
19 ASP, Gabinetto della Prefettura, b. 38, fascicolo 1, parte DM. Corsivo mio.
20 ASP, Gabinetto della Prefettura, b. 90. Relazione del questore Restivo del 1° aprile 1943. Le scritte di Foligno vengono attribuite «ad una comitiva di avieri avvinazzati» (prefettizia del 4 aprile successivo).
21 Ibidem, relazione prefettizia del 3 maggio 1943.
22 I rincari in molti casi sono iperbolici. Il parroco di San Biagio della Valle, frazione appena fuori Perugia, ricorda nella relazione al vescovo Vianello che il costo del sale al kg era asceso dalle 5 lire originarie a 300, mentre quello dell’olio aveva raggiunto le 600 lire in luogo delle vecchie 30. Per un quadro complessivo della situazione economica “ufficiale” all’inizio del 1943 si rinvia a Relazione del Prefetto-Presidente al Consiglio generale riunito il 30-12-1942-XXI sull’andamento delle attività economiche provinciali, in Consiglio e ufficio provinciale dell’economia corporativa di Perugia, Bollettino provinciale, gennaio 1943. Sulle difficili condizioni di vita del periodo bellico si veda R. Sottani, Vita quotidiana nella seconda guerra mondiale, in R. Rossi (a cura di), Perugia. Storia illustrata delle città dell’Umbria, op. cit., pp. 833-848.
23 ASP, Gabinetto della Prefettura, b. 90. Relazione del questore Restivo del 1° giugno 1943. Gli arrestati sono «componenti organizzazioni Comuniste», per lo più studenti e professori. A Foligno viene anche sequestrato il foglio La Ricostruzione. Organo del fronte unico della libertà (n. 1, aprile 1943). Sempre nel mese di maggio, a Perugia viene arrestata una donna rea di possedere un cartoncino contenente un ritornello «di carattere sovversivo e disfattista»: “Per finire la guerra ci vuole – pane olio Graziani e Badoglio – Mussolini in prigione e il re in pensione – il nome di Hitler – il duce comanda – il re ubbidisce – il popolo patisce – e quando finisce”. Le diverse operazioni di polizia, stando a quanto riferisce il questore, impressionano «vivamente» l’opinione pubblica.
24 Ibidem, relazione del questore Restivo del 1° luglio 1943. I manifesti rinvenuti ad Umbertide sono due. Nel primo si legge: «Italiani! L’ultima ora del fascismo è venuta! Non vi spaventino gli ultimi rantoli e gli estremi tentativi dell’agonizzante partito, abbiate fede in voi stessi e nei vostri fratelli che già lo combattono. Con animo fermo e risoluto attendete il segnale della rivoluzione, la quale metterà fine ai massacri e alle rovine delle nostre città. W la libertà! W l’Italia». Nel secondo: «Italiani! Il tiranno sta per cadere. Bisogna affrettarne la caduta. Insorgiamo. Prima cade Mussolini, prima finisce la guerra».
25 Al 23 novembre 1943, secondo i dati forniti dal giornale saloino La Riscossa (n. 15), risultano iscritti al Fascio repubblicano di Perugia 1.122 uomini e 150 donne. Il rapporto popolazione/iscritti è sicuramente sfavorevole rispetto al passato, come risulta dal raffronto fatto dal federale Narducci: «La provincia di Perugia dava al 24 luglio 183 fasci, mentre oggi ne allinea 123 già ricostituiti. Gli iscritti al vecchio partito erano 44.000; sono a tutt’oggi 5.450». Dunque, dando per attendibili questi dati, Perugia, nel quadro di un complessivo notevole calo, risulta ancora fornire una parte significativa degli iscritti della provincia. Nei discorsi dei fascisti repubblicani, tuttavia, il numero viene disprezzato, ritenendo preferibile, almeno a parole, eliminare «le scorie, i dubbiosi e quelli che avevano fatto del partito il trampolino di lancio per il loro sordido egoismo».
Leonardo Varasano, La prima regione fascista d’Italia: l’Umbria e il fascismo (1919-1944), Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2007

D’altronde tra il settembre del 1943 e il luglio del 1944 si sviluppò un movimento di liberazione per la fine della guerra, via via crescente, che si tradusse anche in lotta armata a cui parteciparono oltre quattromila combattenti organizzati in venti formazioni partigiane, mentre circa seicento furono i caduti in combattimento o vittime delle rappresaglie. Alcune migliaia di uomini e donne nelle campagne, sui monti e nelle città non solo solidarizzarono con i partigiani, ma provvedevano a proteggerli e a rifornirli di armi, viveri e di assistenza logistica. Il tutto avveniva in un momento di particolare difficoltà economica e sociale con circa centomila sfollati in Umbria alla fine del 1943, dopo i bombardamenti iniziati dal gennaio dello stesso anno.
Il contributo politico militare più significativo alla lotta partigiana in Umbria venne da alcuni comandanti militari che avevano combattuto nell’esercito italiano prima dell’8 settembre (in Jugoslavia e nei balcani contro i partigiani di Tito) e gli stessi partigiani iugoslavi imprigionati o trasferitisi in Italia e in Umbria. Tra i comandanti più noti provenienti dall’esercito regio ci sono Antero Cantarelli che guida la Brigata Garibaldi, Antonio Bonomi comandante della Brigata Gramsci, il capitano Ernesto Melis e Mario Grecchi. Una particolare collaborazione tra esponenti dell’esercito e partigiani si avrà nella formazione della banda Melis, della Brigata Leoni e della San Faustino poi Proletaria d’urto. Ma nella lotta armata per la liberazione dell’Umbria non erano impegnati solo militari o sperimentati militanti antifascisti con alle spalle il carcere o il confino, ma anche alcune particolari figure sociali come quella di un proprietario terriero liberale Bonuccio Bonucci, di un ufficiale dell’esercito, esponente del Partito Popolare come Venanzio Gabriotti, di un moderato liberaldemocratico come Stelio Pierangeli, di un insegnante cresciuto alla scuola di Aldo Capitini come Bruno Enei, di un operaio comunista come Alfredo Filipponi, di due possidenti terrieri come Augusto Del Buontromboni e Luigi Del Sero, fino ad un prete combattente come don Mariano Ceccarelli.
Quello partigiano è in Umbria un movimento fortemente frammentato che in parte si organizza spontaneamente e in parte è diretto da alcuni partiti il Pci, il Psi, il Pd’A., la Dc.
La lotta partigiana si organizza prevalentemente sui monti del Folignate, della Valnerina, dell’eugubino e della zona compresa tra Orvieto e il Trasimeno, lungo quindi la via Flaminia, la umbra casentinese e il perugino.
Alberto Stramaccioni, La rinascita della Patria. Dopo l’8 settembre 1943 la Resistenza armata in Umbria, Alberto Stramaccioni, 3 settembre 2010