La cabala delle figurine

Cabala dei sogni e di quanto, inatteso, si mostra agli occhi e si affaccia alla mente, troviamo a titolo di una collezione di novanta piccole immagini, nelle ultime pagine di un lunario delle terre liguri per l’anno 2011 (“compilato nell’autunno 2010 per l’anno a venire”). Scorrendo le figure, riteniamo comunque improbabile (e ci parrebbe, nel caso si verificasse, cosa ben strana) avere, nei nostri vagabondaggi urbani, l’apparizione dell’uomo nel tino (lo vediamo nella figura 15, con tanto di cappello in testa
e braccio sollevato come in un gesto ammonitore) o del bovaro (ritratto con coppia di buoi nella figura 25).
Peggio sarebbe, però, l’imbatterci nel patibolo di 39 o nella donna in collera di 89… Dio ce ne scampi.
Però è interessante il titolo, davvero, perché ci fa – lì per lì – una piccola classificazione di come invenire immagini. Che noi troviamo, o meglio esse immagini ci pervengono, se non abbiamo frainteso il provvido almanacco, in tre modi fondamentali, dunque: o in sogno, o a sorpresa davanti agli occhi, o affacciandosi alla nostra mente (dormiveglia, fantasia, idea improvvisa…).

Antica questione, che va dal Platone dello Ione all’André Breton che teorizza, nel Manifesto del Surrealismo, la scrittura automatica: siamo noi che troviamo l’arte o è l’arte che trova noi?
Tenendo per buona quest’idea di immagine (quale la figura tipica, il personaggio, l’oggetto, l’animale), che sta fra la Smorfia napoletana e il proverbio illustrato, potremmo divertirci a cercare nella letteratura l’uso di figure e figurine. Che è cosa ovvia che ci siano, le immagini, nello scrivere, e ognuno avrà già in mente tanti begli esempi, da Omero a Dante. Ma talvolta esse sono proprio ritrattini come quelli del lunario, e a volte immagini tout court.

Per il primo caso, e limitandoci agli scrittori che, nativi o meno, appartengono al Ponente ligure, perché lo hanno in qualche modo attraversato, come non ricordarci del negro che sogna di essere bianco, nel Poema del candore negro?

Farfa non ce lo descrive ma lo fa parlare, con risultati sospesi fra ritmi musicali e straziante comicità:
Odio gli scaricatori di carbone
parodia della gente negra
amo i mugnai
due volte bianchi
i mulini e la farina
farina mulini mugnai
fino all’orizzonte
O, in Cono gelato di Laurano, il venditore di gelati,
il calmo gelatiere, in tuta bianca
ben mascherato (è svelto come lepre
delle nevi, ma gonfio è come un orso
bianco che non spaventa i ragazzetti
che gli fan siepe intorno), pare plasmi
un principio di statua, e del sorbetto
che ti porge avvolgendolo di sguardi
esperti è l’artigiano.

Per il secondo caso è inevitabile citare Italo Calvino, e puntando qui l’obiettivo su quello ludico-combinatorio.
La scrittura, dice, è frutto del “distacco dalla potenzialità illimitata e multiforme per incontrare qualcosa
che ancora non esiste ma che potrà esistere solo accettando dei limiti e delle regole
”. Ne Il castello dei destini incrociati, edizione FMR, c’è la riproduzione dei tarocchi originari: ogni carta è lo stadio di una vicenda e Calvino, partendo dal mazzo visconteo del XV secolo, costruisce il suo meccanismo narrativo: ogni storia ne incrocia e ne ribalta un’altra. Si dà vita alle storie attraverso il montaggio
di un numero limitato di elementi. Adottando come punto di partenza qualcosa di già costituito – un
ready-made –, si crea un universo. A questa raccolta segue La taverna dei destini incrociati, partendo questa volta dal mazzo di tarocchi di Marsiglia del 1761. Del terzo libro, Il motel dei destini incrociati, abbiamo soltanto il canovaccio: Alcune persone scampate a una catastrofe misteriosa trovano rifugio in un motel semidistrutto, dove è rimasto solo un foglio di giornale bruciacchiato: la pagina dei fumetti. I sopravvissuti, che hanno perso la parola per lo spavento, raccontano le loro storie indicando le vignette, ma non seguendo l’ordine d’ogni strip: passando da una strip all’altra in colonne verticali o in diagonale.

La descrizione del terzo libro è tratta dalla nota di Calvino dell’ottobre 1973 per l’edizione Einaudi. Non si andò, sostiene l’autore, oltre quest’idea: “Il mio interesse teorico ed espressivo per questo tipo d’esperimenti si è esaurito”.

Ma ci piace fare, visto che qui Calvino parte dalle strip per costruire le storie (e precisa di aver pensato non alle strip comiche ma a quelle avventurose, con “gangsters, donne terrorizzate, astronavi, vamps, guerra aerea, scienziati pazzi”), almeno un accenno alla passione di Calvino per i fumetti: si pensi a L’origine degli Uccelli in Ti con zero. Su questo argomento – l’interesse di Calvino per le storie disegnate spazia dalla Colonna Traiana al “Corrierino” – si può vedere ora, di Andrea Battistini, Italo Calvino e l’‹‹iconologia fantastica›› dei fumetti, nel numero 42 di “Nuova prosa”, Greco editore, Milano 2005, che riporta gli atti del convegno svoltosi a Copenhagen dal 26 al 28 maggio 2004 sul rapporto fra Calvino e le immagini pittoriche, fotografiche e scritte, organizzato dal Danish Institute for Advanced Studies in the Umanities e dall’Istituto Italiano di Cultura.
E così le immagini, in questo caso carte dei tarocchi e, se Calvino avesse proseguito il suo terzo lavoro,
vignette fumettistiche, entrano direttamente nel testo letterario. Ma d’altronde ne hanno fatto parte da sempre.
Anzi, noi siamo soliti dire che tutta la storia letteraria, e tutta quella pittorica, sono in qualche modo ravvisabili come un immenso album di figurine.

Guarda un po’, a sfogliare un lunario per l’anno nuovo, cosa ti viene in mente.

Farfa, Poema del candore negro, a cura di Pier Luigi Ferro, viennepierre edizioni, Milano 2009

Renzo Laurano, L’opera in versi, a cura di Graziella Corsinovi, Vallecchi Editore, Firenze 1988

Italo Calvino, Romanzi e racconti, tre volumi, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Marenghi e Bruno Falcetto, Mondadori, Milano 1991, 1992 e 1994.

di Marco Innocenti

in

ANNO II – N° 1 – SANREMO, GENNAIO/MARZO 2011