La collaborazione con i servizi di informazione tedeschi attirava anche avventurieri di ogni tipo

Ma anche il Vaticano era oggetto delle attenzioni del SD. Nel 1942 giunse a Roma a questo scopo Helmut Looss, che nel RSHA era stato a capo della sezione che si occupava dell’”attività politica delle chiese” e tra i maggiori artefici delle misure repressive contro le organizzazioni cattoliche tedesche. Dall’agosto alla dicembre 1942 Looss fu nella capitale italiana, ufficialmente come “assistente” di Kappler, ma la sua missione non fu coronata da successo. Looss non fu in grado di prendere contatti negli ambienti del Vaticano, cosa che d’altra parte non può meravigliare, dato che i suoi trascorsi di persecutore dell’”Azione cattolica” in Germania che non potevano essere ignoti alla Santa Sede. Alla fine di dicembre, constatato il fallimento della sua missione a Roma, Looss fu trasferito a Minsk, dove assunse la guida di un Sonderkommando impegnato nella lotta contro i partigiani della Bielorussia fino all’estate 1944, un chiaro esempio della facilità con la quale gli uomini del Sicherheitsdienst erano in grado di passare dalla loro scrivania ai killing fields dell’Europa orientale.
Dopo l’otto settembre
L’armistizio dell’otto settembre fu l’origine di una delle più spettacolari e note special operations del Sicherheitsdienst: la liberazione di Benito Mussolini da parte di Otto Skorzeny, uno degli uomini dell’”Ufficio VI” del RSHA, e di paracadutisti della Wehrmacht a Campo Imperatore. L’azione è fin troppo nota anche perché essa fu ampiamente sfruttata dalla propaganda di quel periodo. Non è perciò necessario dilungarsi ulteriormente su questo particolare episodio. Possiamo essere comunque certi che la nuova situazione comportò anche nell’attività dei servizi di informazione tedeschi nel nostro paese sostanziali cambiamenti, passando da una più o meno discreta raccolta di informazioni di carattere politico ed economico – i limiti della cui efficacia erano stati messi in luce dagli insuccessi del periodo che precedette il 25 luglio – al ruolo di strumento per la lotta contro il “nemico ideologico e razziale” che era, come abbiamo visto, una componente essenziale del carattere di questa organizzazione nazionalsocialista.
Alcune dozzine di uomini della Sicherheitspolizei e SD erano state introdotte clandestinamente in Italia poco dopo il 25 luglio, indossando le uniformi e i distintivi della divisione corazzata SS Leibstandarte Adolf Hitler, la divisione che nell’agosto 1943 era stata trasferita dalla Russia nell’Italia settentrionale e dislocata nella pianura padana, tra Parma e Reggio Emilia. Il nucleo, i cui compiti specifici sono ancora oscuri, era comandato da Josef “Sepp” Vötterl, un capitano SS austriaco, veterano degli Einsatzgruppen e già in azione nella Russia meridionale, il quale, dopo l’occupazione assumerà il comando dei nuclei Sicherheitspolizei e SD ai posti di confine con la Svizzera. Chi di questi uomini è stato interrogato nel dopoguerra, ad esempio nel quadro delle indagini giudiziarie tedesche sulle deportazioni di ebrei dall’Italia, ha sempre dato spiegazioni molto vaghe ed evasive a proposito dell’attività svolta prima dell’armistizio, indicando, molto genericamente, incarichi di raccolta di informazioni di carattere militare per conto del comando della divisione SS.
Questa versione, in realtà, è poco credibile per due motivi: innanzitutto per la scarsa attitudine di questi specialisti della guerra ideologica a missioni di intelligence militare. Il secondo motivo è legato al fatto che la divisione Leibstandarte, a pochi giorni di distanza dall’armistizio, fu responsabile di gravi crimini nei confronti di ebrei sul Lago Maggiore e della cattura di centinaia di profughi provenienti dalla Francia presso Cuneo, in seguito deportati ad Auschwitz. Per questo viene lecito domandarsi se lo scopo originario dell’inserimento di elementi della Sicherheitspolizei e SD tra i suoi ranghi non sia da cercare invece in questa direzione ed in particolare nel tentativo di appropriarsi tempestivamente delle liste dei cittadini ebrei compilate dalle autorità dell’Italia fascista.
Nell’agosto 1943 era stato designato come “comandante supremo della polizia e delle SS in Italia” (Höchster SS- und Polizeiführer Italien, HöSSPF) il generale Karl Wolff, ex aiutante personale di Heinrich Himmler. Presso Monaco Wolff aveva iniziato ad organizzare un apparato di polizia SS con il quale marciare in Italia. Il RSHA aveva scelto come “comandante della Sicherheitspolizei e SD” (Befehlshaber der Sicherheitspolizei e SD, BdS), il generale Dr. Wilhelm Harster, un giurista bavarese di quarant’anni, che già in Olanda aveva ricoperto tale posizione e dove era stato tra i maggiori artefici della deportazione degli ebrei di quel paese. Harster giunse il 9 o il 10 settembre a Bolzano accompagnando Karl Wolff, insieme ad un suo stretto collaboratore ed interprete, l’avvocato sudtirolese Walter Segna (un uomo del Sicherheitsdienst, che nel 1944 e 1945 giocherà un ruolo nella creazione delle reti stay-behind tedesche).
Harster iniziò subito la costruzione di una rete territoriale di comandi, composta di un ufficio centrale a Verona e di uffici distaccati (Aussenkommandos) nei capoluoghi di regione il cui numero durante l’occupazione sarà destinato a crescere sensibilmente. Ad essi erano affiancati comandi subordinati (Aussenposten) nelle città minori o in prossimità di zone sensibili per l’attività partigiana. Uno status particolare ebbero le regioni di confine praticamente annesse al Reich: le due zone di operazione, Operationszone “Alpenvorland” e “Adriatisches Küstenland”, le quali furono dotate di proprie organizzazioni di polizia SS.
Mentre quella costituita nella zona delle Prealpi rispecchiava nelle sue forme le strutture territoriali in uso nel Reich, nel Litorale adriatico fu creata una organizzazione simile a quella presente nel rimanente territorio italiano, ma sostanzialmente indipendente dai comandi di Wolff e Harster.
Il comando centrale di Harster a Verona era composto nell’aprile 1945 di 248 persone, la suddivisione in reparti corrispondeva a quella del comando centrale di Berlino. Da Harster dipendevano sei reparti: il I ed il II che curavano l’amministrazione interna, III (SD Inland), il IV (Gestapo), il V (Kripo) ed il VI (SD Ausland). Il III (SD Inland) fu organizzato dal Dr. Martin Sandberger, un giovane giurista, veterano dell’Einsatzkommando A, impiegato nei paesi baltici e capo della Sicherheitspolizei e SD di Reval, in Estonia. Interrogato nel dopoguerra, Sandberger ha sostenuto di aver ricevuto a Berlino l’ordine di organizzare e guidare il servizio di informazioni SD Inland in Italia, creando una struttura simile a quella esistente presso il RSHA: III A, diritto e amministrazione; III B, salute pubblica e costume; III C, cultura, III D, economia. Quest’ultimo aspetto in particolare, a causa della fondamentale importanza della produzione economica italiana e soprattutto dell’industria bellica, doveva essere oggetto di particolare attenzione.
Per quanto riguarda il reclutamento del personale, Sandberger sostenne nel dopoguerra che a Berlino gli fu assicurato l’invio di esperti tedeschi del Sicherheitsdienst, ma in numero solo sufficiente a garantire il comando dei rispettivi uffici a Verona e presso i comandi periferici. Il personale di livello inferiore doveva essere invece reperito sul posto, preferibilmente tra tedeschi con conoscenza della lingua italiana e soprattutto altoatesini. Successore di Sandberger fu il maggiore SS Dr. Hans Turowski, uno storico che a Berlino era stato a capo del “settore cultura” del RSHA. I suoi collaboratori erano il tenente SS Heinrich Jost, poi ufficiale addetto alle informazioni presso il comando del SS- und Polizeiführer Oberitalien-West a Monza, il Dr. Josef Feuchtinger, un giurista austriaco, responsabile della raccolta delle informazioni sull’umore della popolazione italiana, che negli ultimi mesi di guerra fu impiegato “sul campo”, nella lotta antipartigiana nell’Italia del nord. Nel dopoguerra fu condannato in Italia per crimini e imprigionato per molti anni nel nostro paese.
Faceva parte del gruppo dei funzionari di SD Inland anche Ferdinand Siebert, professore di filologia germanica, autore di studi storici e traduttore, tra l’altro dei “Principi ideali della riforma della scuola” di Bottai. Siebert, la cui collaborazione con il Sicherheitsdienst fu limitata ad un periodo di circa un anno, non ebbe difficoltà a proseguire la sua carriera accademica in Germania nel dopoguerra. Presso il comando di Verona Siebert si occupava dell’archivio e monitorava la stampa e le trasmissioni radiofoniche italiane. Il capitano SS Dr. Gustav Ghedina, originario di Salurno, e l’avvocato Dr. Fritz von Aufschneiter, nato a Bolzano, si interessavano del campo amministrativo, della giustizia, del partito fascista e delle forze armate italiane. Il capitano SS Rudolf Wihan, viennese, si occupava delle questioni etniche (Volkstumfragen), “della razza” e della sanità. Per la cultura erano responsabili lo stesso Turowski e il Dr. Fritz Weigle, storico del medioevo, nel dopoguerra tra i collaboratori della Monumenta Germaniae Historica di Monaco. Il giovane capitano SS Herbert Beuer era responsabile del monitoraggio della vita economica italiana insieme a Josef Oberrauch e Arnold Reyscher, probabilmente altoatesini. Nell’estate 1944 si aggiunsero il Dr. Borante Domizlaff, che fino alla tarda primavera aveva diretto l’”Ufficio III” romano, Franz Kossek, proveniente dall’ufficio di Firenze, Adolf Köllerer e il giovane Dr. Alfred Gratz, altoatesino.
Tuttavia lo sforzo intellettuale investito nello spoglio dei giornali, delle trasmissioni radiofoniche e soprattutto nella raccolta ed evaluazione delle informazioni e dei rapporti inviati dagli agenti e dagli uffici distaccati non poté essere appagato. Questi materiali permisero a Turowski ed ai suoi uomini di elaborare ampie relazioni periodiche da inviare a Berlino nelle quali era tracciato un quadro di insieme dell’Italia occupata che sono oggi di indubbio valore per gli storici. In realtà l’influenza che il lavoro di questo ufficio poteva esercitare nel Reich con le sue informazioni o nella stessa Italia con i suoi contatti negli apparati statali, nel mondo economico e culturale non poteva essere che di breve durata e superficiale.
Ben diverso fu il ruolo giocato in Italia da Gestapo e SD Ausland. A capo della Gestapo furono il maggiore SS austriaco Dr. Fritz Kranebitter, un giurista quarantenne, ed il suo più giovane sostituto, il capitano Franz Schwinghammer, anch’egli austriaco e funzionario di polizia di carriera. Anche l’organizzazione della Gestapo in Italia riproduceva il modello centrale berlinese. A capo della sezione IV N (servizio segreto nemico) fu posto il tenente Kurt Lahr. IV1 seguiva i movimenti di opposizione politica: IV1a aveva come obiettivo i movimenti di sinistra, IV1b, il movimento di resistenza, si occupava della “lotta alle bande”, della “reazione”, l‘opposizione moderata, quindi “i seguaci di casa Savoia e di Badoglio” e i “liberali”. La sottosezione IV1c si occupava invece di problemi connessi con i lavoratori italiani per la Germania (rottura dei contratti di lavoro), gli internati militari e quello che era considerato “comportamento contrario al bene comune” da parte di cittadini italiani. Il suo dirigente era Josef Didinger, un giovane sottotenente SS di Francoforte. La sezione IV2 diretta da Kurt Lahr si occupava del Sabotaggio e delle indagini relative a attentati e traffico di armi ed esplosivi. La sezione IV3 diretta da Schwinghammer aveva per oggetto il Controspionaggio e si occupava della sicurezza degli impianti industriali e dei confini.
Didinger era anche il dirigente dell’ufficio IV4 responsabile della repressione dell’Avversario ideologico: IV4a si occupava della chiesa cattolica, delle sette religiose e della massoneria. Particolare importanza aveva il reparto IV4b, emanazione dell’ufficio di Eichmann, il quale dipendeva dall‘Addetto alla questione degli ebrei il maggiore SS Friedrich Boshammer, ed era responsabile della deportazione degli ebrei dall’Italia.
IV5 “Questioni particolari”, di competanza diretta di Kranebitter, regolava l’operato delle guardie del corpo SS di Benito Mussolini e dell’ambasciatore Rudolf Rahn, oltre che di “questioni relative al partito nazionalsocialista”, all’attività di civili tedeschi in Italia, e del partito fascista repubblicano.
Altra sezione di grande importanza era la IV6, “Schedario, custodia preventiva”, anch’essa diretta da Schwinghammer, dalla quale veniva organizzato l’invio degli italiani nei campi di concentramento e nei campi di rieducazione al lavoro. Da questo ufficio dipendevano i campi di transito di Fossoli e poi Bolzano.
Il personale della Sicherheitspolizei e del SD in Italia: intellettuali, agenti, spie, delatori
Il personale di Sicherheitspolizei e SD giunto in Italia fu scelto ad hoc dal RSHA in parte nelle settimane che precedettero l’Armistizio ed in parte immediatamente dopo. Si trattò in genere di nuclei distaccati da vari uffici e comandi del Reich e fuori, spesso provenienti dai posti di frontiera con l’Italia del Tirolo e della Carinzia. Fu trasferita in Italia una intera classe della scuola della Sicherheitspolizei di Fürstenberg con il suo comandante Herbert Herbst, al quale sarà assegnato il comando di Perugia. Il tristemente noto Walther Rauff, un tenente colonnello del Sicherheitsdienst che per un breve periodo aveva comandato un Einsatzkommando in Africa settentrionale e in Corsica, assunse con alcune dozzine di uomini al suo comando, tra i quali Theodor Seavecke, poliziotto di carriera, la direzione dei comandi del triangolo industriale (Gruppe Oberitalien-West). Anche il gruppo romano dell’addetto di polizia Kappler, con Erich Priebke e Gerhard Köhler – entrambi membri del SD – fu integrato con successo nell’organizzazione. Non pochi degli uomini trasferiti in Italia avevano frequentato tra il 1940 ed il 1942 i corsi di polizia coloniale della PAI a Roma, tra i quali Karl Schütz, un capitano della Gestapo, originariamente destinato con il suo gruppo a Napoli, poi trattenuto a Roma ed inserito nel comando di Kappler. Nella capitale Schütz divenne il capo della Gestapo. Un gruppo assai consistente proveniva dall’Einsatzgruppe D e giunse in Italia nella primavera 1944, al termine della sua attività nella Russia del Sud e dopo essere passato in Bielorussia e nei Balcani. Si trattò in complesso di poche centinaia di uomini provenienti dal Reich ai quali si aggiunsero, come vedremo, parecchie centinaia di sudtirolesi e di italiani reclutati sul posto. Un ultimo rinforzo della struttura della Sicherheitspolizei si ebbe all’inizio del 1945 con il trasferimento in Italia di due Kommandos già approntati nella Germania occidentale nel dicembre 1944 con il compito di accompagnare le truppe di Rundstedt durante la loro ultima offensiva attraverso le Ardenne.
Accanto a Harster, Sandberger e Rauff, numerosi altri giovani ufficiali del Sicherheitsdienst furono trasferiti nel nostro paese, tra i quali Guido Zimmer, uno degli organizzatori della rete spionistica prima dell’armistizio, che alla fine del 1943 temporaneamente assunse la guida del comando Sicherheitspolizei e SD di Genova, dove trovò il tempo di impegnarsi nella messa in atto del programma di rastrellamento e deportazione degli ebrei.
A gennaio il comando passò quindi a Friedrich Siegfried Engel, un altro veterano del Sicherheitsdienst e alto funzionario del RSHA, balzato all’attenzione della cronaca in occasione dei suoi processi e rispettive condanne a Torino nel 1999 e ad Amburgo nel 2002.
Sicherheitspolizei e SD reclutarono sul posto agenti e informatori. Nel periodo iniziale essi venivano reclutati tra gli esponenti più vicini al nazionalsocialismo della comunità tedesca. Spesso si trattava di persone con una buona posizione sociale e con buoni contatti all’interno della società italiana. Molti di essi erano commercianti, giornalisti, impiegati e funzionari diplomatici, impiegati delle sezioni italiane del partito nazionalsocialista, proprietari di alberghi e di ristoranti. In un documento interno del 1966, il servizio segreto cecoslovacco che aveva sequestrato una parte molto significativa della documentazione della sezione del Sicherheitsdienst responsabile dello spionaggio in Italia tra il 1940 ed il 1943, sostenne, dopo aver analizzato quel materiale, che “quasi ogni tedesco che risiedeva in Italia o che la visitava come turista, giornalista, rappresentante di commercio, studente, borsista, studioso, artista ecc.” era in realtà un attivo collaboratore del servizio segreto nazista. In un altro punto l’estensore del documento indicava gli altoatesini tra i principali collaboratori dei servizi tedeschi in Italia. I Südtiroler giocarono tuttavia un ruolo veramente importante solo dopo l’otto settembre, quando ne furono reclutate dozzine come interpreti, segretarie, impiegati d’amministrazione, tra i quali quasi l’intero personale dell’ADERST, l’organizzazione che fino al 1943 aveva organizzato l’emigrazione nel Reich degli optanti.
Ma anche tra gli italiani non fu difficile reclutare informatori. Già nella prima fase, oltre ad una schiera di “informatori involontari” vi erano dei veri e propri collaboratori regolari reclutati tra i filo-nazisti. Uno dei primi agenti al servizio dei tedeschi nella capitale fu il filosofo Julius Evola.
Con l’inizio dell’occupazione questo quadro cambiò decisamente. In questo periodo iniziò a gravitare intorno ai comandi Sicherheitspolizei e SD un sottobosco di collaboratori composto da una schiera di spie e delatori di professione ed occasionali, “squadre speciali”, agenti doppi o tripli, “cacciatori di ebrei”, approfittatori e trafficanti pronti a qualsiasi cosa per accaparrare un incarico retribuito. Questi italiani alimentavano per proprio tornaconto una brutale guerriglia tra vicini di casa senza esclusione di colpi sulla quale a lungo è stato steso un pietoso manto di silenzio. Saevecke ha sostenuto che il suo comando di Milano abbia speso circa 200.000 lire al mese per gli informatori e le squadre di polizia italiana al suo servizio.
Interrogato dall’OSS a fine guerra Kappler elencò 18 italiani, informatori del comando romano, tra i quali Coriolano Pagnozzi, segretario privato di Buffarini Guidi, e Guido Garulli, indicato come informatore di Priebke sul movimento di resistenza nella capitale. Ma in realtà il numero dei collaboratori romani doveva essere molto più alto. Era soprattutto la Gestapo ad avvalersi delle prestazioni di queste persone le quali ricevevano in cambio dei loro servizi una paga più o meno adeguata. Chi lavorava per la sezione IVb4, cioè chi denunciava e faceva catturare ebrei, poteva contare su 1000 lire per ogni ebreo consegnato e poteva arrivare a guadagnare 4-5000 lire al mese. I più, tuttavia, affiancarono alla delazione, che in genere non consentiva lauti guadagni, attività più redditizie, spesso nel campo del “mercato nero”. Guido Garulli sembra non disdegnasse lavori più sporchi e che si interessasse anche “di requisizioni e di caccia agli ebrei”.
Secondo le dichiarazioni fornite da un interprete di Kappler, il “vicequestore in pensione” Costa era un “informatore che lavorava per conto proprio e che ha denunciato tutto il gruppo delle C.N.L.  [sic] facendo arrestare Buozzi, Vassallo [Vassalli], Bonfigli e Garibaldi” insieme a molti altri. Altri, ed erano certo molti, approfittavano di essere “introdotti” negli ambienti tedeschi per trarne vantaggio personale, come un impiegato del Ministero degli Interni che trattava le pratiche relative alla concessione dei permessi di circolazione per automobili, vendendoli a 20 o 30 mila lire. Il “Gruppo Gionani” era una banda composta da italiani residenti in Francia che aveva iniziato a lavorare a Parigi per la Gestapo. Trasferita in Italia nel tardo 1944, i suoi membri approfittarono dei loro contatti con gli uffici tedeschi per dedicarsi soprattutto alla speculazione ed al mercato nero.
Una distinzione è però necessaria: quella tra chi offrì la sua collaborazione alla Gestapo, causando l’arresto e spesso la morte di perseguitati politici e razziali del nazismo, e chi invece collaborò alla raccolta di informazioni da parte del Sicherheitsdienst, senza che la sua attività causasse danno immediato ad altre persone. In molti casi, per quanto ne sappiamo, molto probabilmente le due attività non furono disgiunte e alcuni informatori furono contemporaneamente attivi per entrambe le strutture. Oggi è senz’altro difficile capire come nel contesto della catastrofe incombente sulla Germania fosse così facile per gli occupanti trovare un gran numero di persone disposte a legarsi e a compromettersi con i nazisti. I motivi che portarono persone di ogni ceto e grado di istruzione a collaborare con i servizi segreti tedeschi erano naturalmente molteplici. I classici motivi che spingono uomini e donne a svolgere attività di questo tipo come la venalità e l’idealismo erano sicuramente molto diffusi.
Ma al contempo, la collaborazione con i servizi di informazione tedeschi attirava anche avventurieri di ogni tipo. Non di rado si trattava di esponenti della nobiltà, come la baronessa Anya Manfredi de Blasiis, di origine finlandese e ritenuta una conoscente personale di Heinrich Himmler, o la contessa Novella de Savorgnan di origine slava. Tra i casi più noti quello del barone Luigi Parrilli, dirigente industriale con contatti negli Stati Uniti, ma dal 1943 al 1945 legato a doppio filo a Guido Zimmer e ad altri esponenti dei servizi come Kappler, Engel e Rauff. Agendo su incarico del Sicherheitsdienst, Parrilli fu uno degli artefici dei contatti con servizi alleati in Svizzera, dai quali prese avvio l’operazione Sunrise, la resa separata delle truppe tedesche in Italia in 2 maggio 1945. E anche altri personaggi del jetset di quegli anni facevano parte di questa cerchia di agenti. Wifredo Ricart, direttore tecnico di “Alfa Corse” alla fine degli anni Trenta e ingegnere capo dell’Alfa Romeo fino al 1945, offerse i suoi servizi al Sicherheitsdienst e fu utilizzato in primo luogo per tessere contatti politici in Spagna e Portogallo e anche come consulente dell’Ufficio tecnico del servizio segreto tedesco. Andreas “Bandy” Zoliomy, il famoso campione sportivo di pallanuoto di origine ungherese che negli anni Cinquanta allenò la squadra azzurra, guidò nel 1944 a Milano un gruppo di provocatori che, fingendosi comunisti, avrebbero dovuto fomentare disordini e azioni di sabotaggio nell’Italia liberata, dei quali si parlerà più avanti. Renato Carmine Senise, nipote dell’ex capo della polizia, che per molti anni aveva vissuto negli Stati Uniti e stretto contatti con la mafia italo-americana ed era poi tornato in Italia dopo aver sposato una attrice del cinema svedese, lavorò per Zimmer e da lui fu utilizzato in un primo tentativo di introdursi negli ambienti dei servizi segreti alleati in Svizzera.
Accanto a questi personaggi noti in quegli anni incontriamo uomini e donne comuni per i quali la collaborazione con il Sicherheitsdienst era un modo per sbarcare il lunario in tempi difficili. Un esempio è il caso di Giuseppe Zambelli, l’agente “Tre Stelle” di Zimmer, i cui appunti ci permettono di ricostruire il lato finanziario di questa collaborazione: “Z[ambelli] è sposato ed ha un figlio, ma non ha introiti fissi. Allo scopo di permettergli di mantenere il suo livello di vita abituale, nonostante l’attuale costo della vita, riceve, oltre al suo salario, 5000 lire per l’acquisto di cibo ed un fondo spese di 10000 lire del quale deve rendere conto”.
Non erano naturalmente solo privati cittadini che lavoravano con i servizi segreti nazisti, anche le numerose formazioni di polizia cercarono la collaborazione con essi, ricavandone ampi fondi e un largo margine di autonomia rispetto alle autorità della RSI. La cooperazione più stretta fu probabilmente con formazioni ufficiali come la Legione “Ettore Muti” di Milano. In questo caso specifico venivano fornite alla Sicherheitspolizei informazioni di natura politica e uomini da impiegare nelle azioni. La collaborazione tra Muti e nazisti era facilitata dai rapporti di amicizia personale che legavano Walther Rauff, Theo Saevecke e il colonnello Giuseppe Colombo. La miriade di “squadre speciali” di polizia che nacquero un po’ dovunque nell’Italia occupata sono senza dubbio uno degli aspetti più torbidi di quel tragico periodo. Seguendo metodi già messi appunto in altri paesi occupati, la Sicherheitspolizei non solo le tollerò, ma ne fece largo uso, fornendo i finanziamenti e i sussidi necessari alla loro esistenza. I confini tra normale lavoro di polizia, criminalità politica e criminalità organizzata furono sempre molto fluidi. I tedeschi si servirono abilmente di questi “corpi speciali”, evitando di apparire in primo piano e salvo poi intervenire per reprimere i casi più eclatanti di torture e abusi. A Firenze, e poi a Parma e a Padova, operò, inquadrata nei rispettivi comandi della SiPo, la cosiddetta “Banda Carità”, denominata nei documenti tedeschi italienische Sonderabteilung (“Reparto speciale italiano”). La famigerata squadra di Pietro Koch, attiva prima a Roma (“Reparto speciale del Lazio”) e poi a Milano (“Reparto speciale di polizia”), era anch’essa sotto la diretta protezione della Sicherheitspolizei e di Herbert Kappler, il quale, dopo l’arresto di Koch nell’autunno del 1944, intervenne personalmente per farlo liberare. A Milano Saevecke instaurò una stretta cooperazione anche con l’Ufficio Politico Investigativo (UPI) della GNR, diretto dal maggiore Bossi. Ma si trattava di una iniziativa personale contrastata dai vertici della GNR e dal prefetto di Milano, e che cessò con l’allontanamento di Bossi. Ben presto Bossi creò una nuova “squadra speciale” finanziata dalla Sicherheitspolizei di Milano: 10.000 lire al mese andavano a Bossi, 30.000 alla squadra. Stretta collaborazione esisteva anche con la squadra del “questore” Mario Finizio, coinvolta in ruberie e malversazioni a Roma e successivamente a Milano. A Roma, secondo i dati forniti da un interprete di Via Tasso alla polizia italiana una settimana dopo la liberazione della città, operavano vari nuclei: Un “gruppo di individui” che lavorava alle dipendenze di Koch e con la “complicità del Questore Caruso” si serviva dei documenti rilasciati dal “comando SS”, ovvero dalla Sicherheitspolizei, per commettere “sequestri, ricatti ed estorsioni ai danni di numerosissime persone”. Squadre organizzate dal PRF arrestavano sospetti e li accompagnavano in Via Tasso, sede del comando SS.
Ci furono infine – soprattutto nel primo periodo dell’occupazione – anche gruppi di fascisti che, senza fine di lucro, misero le loro conoscenze degli ambienti locali a disposizione dei tedeschi del tutto spontaneamente, come fu il caso di un certo Domenico Odasso a Sestri Ponente il quale, dopo aver denunciato numerosi antifascisti, concludeva la sua lettera al comando tedesco affermando: “Sono un vecchio fascista e rilascio queste dichiarazioni nonallo scopo di ottenere favori personali, ma perché ritengo sia mio dovere aiutare i camerati tedeschi. Sono a disposizione in qualsiasi momento per ulteriori informazioni e propongo di organizzare insieme ad alcuni vecchi amici (vecchi fascisti e squadristi) un ufficio di informazioni per la Wehrmacht. Noi conosciamo tutti i vecchi comunisti della zona”. Tutto questo non può sorprendere dal momento che in molti ambienti del fascismo repubblicano il prestigio della polizia SS nazista era molto alto.
Era ad essa e non alle autorità della RSI che molti italiani si rivolgevano per avere soddisfazione, come dimostra questo ultimo, eclatante esempio che riguarda nientemeno che Rachele Mussolini: il 6 dicembre 1943, fu arrestato dalla polizia tedesca presso Predappio, “su richiesta della moglie del Duce”, un parroco da lei accusato di aver predicato contro il fascismo nelle settimane precedenti. Conseguenza della denuncia fu che il sacerdote fu deportato nel Lager di Dachau.
Spionaggio, sabotaggio e “lotta contro le bande”
Non solo Gestapo e SD Inland, anche SD Ausland, l’”Ufficio VI”, la cui attività dedita al sabotaggio e allo spionaggio era diretta soprattutto contro le forze alleate, fu rafforzato ampiamente dopo l’occupazione dell’Italia. A Verona giunse nella primavera del 1944 ad assumere la guida del servizio il maggiore SS Dr. Klaus Huegel. Huegel, nato e residente a Stoccarda, era stato precedentemente incaricato del Sicherheitsdienst per i contatti con il movimento pantedesco e filo-nazista svizzero, poi, nell’aprile 1943, trasferito all’Amt VI a Berlino […]
Carlo Gentile, Intelligence e repressione politica. Appunti per la storia del servizio di informazioni SD in Italia 1940-1945, in Paolo Ferrari/Alessandro Massignani (Eds.), Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Milano 2010, p. 459-495

L’8 settembre Rutilio Sermonti si trovava sul fronte greco, dove era inserito nei reparti che combattevano contro le bande partigiane greche e titine <4. In quel periodo era al comando di un gruppo che operava d’accordo con la 4ª. SS-Polizei-Panzergrenadier-Division. Dopo aver appreso dell’armistizio e della nuova situazione politica italiana decise di non accettare la resa, non consegnare le armi e arruolarsi, assieme ad altri italiani, nelle Waffen SS <5. In questo periodo sarà decorato con la Croce di Ferro, nel suo caso di II classe <6.
Negli ultimi anni del conflitto, le Waffen-SS furono formate maggioritariamente da volontari non tedeschi; si stima che i volontari italiani oscillarono tra le 15.000 e le 23.000 unità <7. Come evidenziato dal professore Nicola Guerra, lo studio dei principi politici che animarono i volontari ad aderire alle divisioni tedesche delle Waffen-SS, piuttosto che alle forze armate fasciste italiane, è difficile da evincere attraverso le fonti archivistiche <8. Tra il 18 marzo 1944 e il 21 aprile 1945 fu pubblicato il periodico Avanguardia. Settimanale della legione SS italiane con l’intento di reclutare nuovi volontari ed esporre il pensiero ufficiale dei soldati italiani nei contingenti a guida tedesca <9.
[NOTE]
4 G. Sermonti, Presentazione, in Rutilio Sermonti. Una vita di pensiero e militanza, a cura di G. Della Rossa, Frattamaggiore, Diana, 2007.
5 M. Afiero, Italiani nella Waffen-SS, cit., p. 126. Secondo quel che riporta Afiero la maggior parte della divisione Pinerolo decise di non consegnare le armi ai tedeschi e di combatterli assieme ai greci: «L’8 settembre 1943, la divisione Pinerolo, comandata fin da luglio precedente, dal generale Adolfo Infante, era dislocata in Tessaglia, dove aveva condotto una feroce guerra anti-partigiana. Dopo l’armistizio, la divisione rifiutò di consegnarsi ai tedeschi e rispose con il fuoco all’intimazione di cedere l’aeroporto di Larissa. In seguito al disfacimento delle altre divisioni italiane nella zona (Casale, Forlì, Modena e Piemonte), il generale Infante decise di trasferire i propri reparti nella regione montuosa del Pindo, dove stipulò con l’avallo della missione britannica, un patto di collaborazione con i partigiani greci dell’ELAS (Esercito popolare greco di liberazione, guidato dai comunisti) e dell’EDES (Esercito nazionale democratico ellenico, guidato dai monarchici)».
6 Biblioteca della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, PIA.97,555. In questo fondo si trova il nº 10 del settimanale delle Waffen SS italiane Avanguardia. Settimanale della Legione SS italiana, dove a p. 3 si informa del conferimento di 12 Croci di Ferro al valore. Altre notizie di italiani decorati per il coraggio in combattimento erano state fornite nei numeri del 29 aprile e del 6 maggio 1944.
7 Gli studi sui reparti composti da italiani delle Waffen-SS non sono numerosi, ancor meno a livello storiografico. Di seguito si elencano alcuni riferimenti bibliografici: R. Lazzero, Le SS italiane, Milano, Rizzoli, 1982; R. Landwehr, Italian volunteers of the Waffen-SS. 24 Waffen-Gebirgs-(Karstaeger) Division Der Ss And 29. Waffen- Grenadier- Division Der Ss (Italienische nr.1), Glendale, Siegrunen, 1987; S. Corbatti- M. Nava, Sentire, Pensare, Volere. Storia della Legione SS italiana, Milano, Ritter, 2001; P. De Lazzari, Le SS Italiane, Milano, Teti, 2002; M. Novarese, La Legione SS italiana, in Storia del Novecento, dicembre 1997; N. Guerra, I volontari italiani nelle Waffen-SS. Pensiero politico, formazione culturale e motivazioni al volontariato, Chieti, Solfanelli, 2014; M. Afiero, Italiani nella Waffen-SS, Aversa, Ritterkreuz, 2019.
8 N. Guerra, I volontari italiani nelle Waffen-SS. Pensiero politico, formazione culturale e motivazioni al volontariato, Chieti, Solfanelli, 2014, pp. 5-6: «Per rispondere a tali interrogativi non risultano appropriate le fonti d’archivio disponibili che contengono informazioni operative sullo spostamento delle truppe, le operazioni effettuate nel teatro di guerra, gli organigrammi, ma che non forniscono documentazione sul pensiero e il vissuto politico, il retroterra culturale, l’ambiente famigliare, e tutta quella sfera del sentire e delle passioni individuali dei volontari che sfuggono alla reportistica militare».
9 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, P.GIO Gi.2.1987. Il primo numero portò il titolo di Avanguardia Europea e ospitò l’editoriale del prof. Giovanni Preziosi. In essa si occupò di tracciare quella che sarebbe stata la linea editoriale e gli obbiettivi. Recentemente è stato pubblicato Avanguardia. Settimanale della legione SS italiana 1944-1945, a cura di Ernesto Zucconi, Cantalupa, Novantico, 2019. Vi si trova raccolta la collezione completa del settimanale con tutti i numeri della rivista.
Juan M. de Lara Vázquez, Da Salò alla fondazione dei Far e il Msi. Rutilio Sermonti e la nascita del neofascismo nel secondo dopoguerra in Occupied Italy 1943-1947. Rivista di storia dell’Italia Occupata, volume 1, issue 1 (September 2021), Centro Studi 9 settembre, Associazione Culturale Mubat

La costruzione del mito resistenziale nelle sue varie declinazioni politiche ed ideologiche ebbe l’effetto di uniformare le narrazioni del periodo, producendo indirettamente coni d’ombra, dubbi ed aporie storiche per quanto riguarda l’esperienza del 1943-45 <21. Le organizzazioni antifasciste del biennio acquisivano così caratteristiche antistoriche, ostacolando o al più incanalando fortemente la ricerca sulla Resistenza ed il crollo del regime fascista. Dalla chiara noncuranza storiografica con la quale si trattava il periodo del consenso massimo al fascismo e dell’entrata in guerra a fianco dell’aggressore nazista, fino al “doppio voltafaccia” dell’estate del ’43, la condotta della popolazione italiana e quella della burocrazia statale furono descritte con tono assolutorio, in nome di un riscatto nazionale esemplificato dal movimento resistenziale e dalla lotta aperta al nazifascismo <22.
In opposizione a ciò, è quanto meno utile definire come il concetto di guerra fratricida venga adottato provocatoriamente dalla compagine politica neofascista, ancora emarginata dalla vita politica repubblicana, nel tacito accordo in vigore tra i partiti dell’Arco Costituzionale.
Tuttavia, l’appropriazione del termine “guerra civile” da parte di intellettuali, politici e protagonisti della Repubblica sociale deve essere contestualizzata nel suo processo di formazione e nelle sue diverse correnti. L’identificazione dell’attività militare e repressiva della RSI con il concetto di guerra interna fu infatti accettata con qualche difficoltà dai reduci saloni <23. Le reticenze a parlare apertamente di guerra interna sono palesi nella documentazione prodotta dalle strutture civili e militari della RSI e sono da mettere in relazione tanto alla debolezza di legittimazione del governo di Mussolini, quanto alla considerazione storica del fenomeno fascista in Italia <24. Il ricordo delle violenze del cosiddetto “biennio nero” <25 e la rinnovata presenza sovversiva mettevano in crisi i cardini della propaganda della RSI, non solo in riferimento al ruolo giocato dai fascisti nel ’43-45, ma anche per quanto riguardava il “significato storico” dell’intero regime, sminuito, tradito e di fatto reso inutile nei suoi sforzi volti al cambiamento dell’uomo italiano <26.
La contraddizione di fondo vissuta dalla RSI si palesava quindi nella reticenza di cui era fatto oggetto il concetto stesso di guerra fratricida, che si rifaceva, nella cultura politica del Ventennio, alla fase iniziale delle violenze squadriste e fasciste <27. Alla condotta di un popolo che, dopo il ventennale regime, non si era affatto rivoltato contro il re nell’immediatezza della destituzione di Mussolini, si aggiungeva il tema dell’instaurazione di uno Stato “fantoccio” dipendente dalle armi tedesche e da esse limitato nella propria autonomia <28. La contraddizione verrà superata in vario modo dalla memorialistica neofascista e della destra radicale: l’appropriazione del termine “guerra civile”, anche se frenata da una certa parte del MSI <29, divenne effettiva dalla fine degli anni cinquanta, in chiave di rigida opposizione al neonato Stato repubblicano e democratico <30; la responsabilità della guerra fratricida veniva gettata totalmente sui resistenti ed in particolare sulla dirigenza comunista, accusata di agire in Italia per conto di Mosca <31. In tale visione la RSI e la sua lotta contro i nemici interni del fascismo venne considerata come nuovo e necessario “bagno di sangue” per depurare la nazione dall’ignominia dell’estate del’43 <32; dall’altra parte, nel corso degli anni sessanta e settanta, la destra radicale fece proprie le posizioni inerenti al “neo-fascismo europeo” e “nibelungico” <33, maturato nella visione razzista-continentale di Julius Evola, ad esempio. La guerra civile assurge in tal senso al rango di guerra di civiltà europea <34, con una prospettiva razziale, nella quale il nazismo e, in secondo luogo, il fascismo avevano combattuto contro le orde bolsceviche provenienti da est e la schiacciante potenza delle “demoplutocrazie” occidentali <35. Tale ragionamento avrà il corollario di mitizzare le autorità e le formazioni armate più intransigenti della RSI, in una interpretazione mistica della “razza europea guerriera” che si concretizzò anche nell’esaltazione dei reparti “etnici” delle Schutz-Staffeln <36. […]
[NOTE]
21 Sulla master narrative relativa al “paradigma antifascista” si rinvia ancora a G. Corni, Fascismo, op. cit. passim. Per i rapporti tra “presente storico” e “presente degli storici”, in particolar modo in relazione alle interpretazioni del biennio 1943-45 nel 50° anniversario della Liberazione si rinvia al bel saggio di M. Legnani, Crisi e vitalità di un paradigma, in ‹‹Italia Contemporanea››, n° 213, 1998, pp. 807-816.
22 Sulle permanenze burocratiche nel periodo dei 45 giorni e del biennio della RSI, si rinvia al saggio già citato di C. Pavone, La continuità dello Stato, cit. sottotitolato significativamente, Istituzioni e uomini (sottolineatura non presente nel testo originale), pp. 70 e seg.
23 P. Corsini e P. P. Poggio, La guerra civile nei notiziari della Gnr e nella propaganda della Rsi, in M. Legnani, F. Vendramini, Guerra, Guerra civile, Guerra di Liberazione, op. cit. p. 252.
24 Ivi, p. 258, 265
25 I termini “guerra civile” e “biennio nero” sono usati variamente nella più recente storiografia per il periodo della conquista del potere da parte fascista, cfr. ad esempio, M. Franzinelli, Squadristi: protagonisti e tecniche della violenza fascista, 1919-1922, Mondadori, Milano, 2003.
26 F. Germinario, L’altra memoria: l’estrema destra, Salò, la Resistenza. Bollati Boringhieri, Torino, 1999, p. 19.
27 P. Corsini e P. P. Poggio, La guerra civile, op. cit. pp. 257 e seg.
28 Semplificando, potremmo arguire che, se la guerra civile non si fosse palesata in un atteggiamento di aperta ostilità verso l’occupante ed i suoi collaboratori, le strutture repubblicane non avrebbero avuto la stessa importanza e funzione agli occhi della dirigenza del Reich, cfr. ivi, p. 252-257.
29 Il nocciolo duro neofascista rifiutò comunque per lungo tempo il termine, rifiutando la comunanza di origine nazionale con i partigiani, visti come nulla più che servi del nemico esterno, in F. Germinario, L’altra memoria, op. cit. pp. 29, 103-109.
30 Si veda in proposito A. Staderini, Il 25 aprile dei postfascisti: «la più stupida, assurda e drammatica e orribile data della vita italiana», in P. Carusi, M. DI Nicolò, Il 25 aprile dopo il 25 aprile. Istituzioni, politica, cultura, Viella, Roma, 2017.
31 Pisanò, Storia della guerra civile, op. cit. p. 14 e passim, citato anche in ivi, p. 122.
32 P. Corsini e P. P. Poggio, La guerra civile, op. cit. p. 252.
33 M. Isnenghi, La guerra civile nella pubblicistica di destra, in ivi, pp. 236-238.
34 È interessante notare che in un ribaltamento totale di valori e ideali politiche lo stesso tema venne presentato e criticato da Claudio Pavone, nel’94. Cfr. id. La seconda guerra mondiale: una guerra civile europea?, In Ranzato, Guerre fratricide, op. cit. pp. 86-128.
35 F. Germinario, L’altra memoria, op. cit. p. 146.
36 Ivi, pg. 148. Per reparti etnici intendiamo i reparti delle Waffen-SS comandati da ufficiali tedeschi, ma composti da volontari delle nazioni occupate dalla Wehrmacht, come la Legione Italiana SS cfr. R. Lazzero, Le SS italiane, op. cit. e E. Collotti, L’Europa nazista, Il progetto di un nuovo ordine europeo (1939-1945), Giunti, Firenze, passim. Jacopo Calussi, Fascismo Repubblicano e Violenza. Le federazioni provinciali del PFR e la strategia di repressione dell’antifascismo (1943-1945), Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2018

Borghese pose al servizio dello sforzo militare e di polizia dell’occupante la propria “milizia” di volontari, inquadrati nella X Mas, palesando posizioni politiche in contrasto con le velleità totalitarie di Pavolini e delle sue dipendenti strutture territoriali, ma accettando come naturale l’adesione a quella che l’autrice chiama “Weltanschaung” fascista <544. A parte gli esempi più noti di un’adesione apparentemente “apolitica” alla lotta contro gli eserciti alleati, in minima parte dobbiamo dire, ed alla repressione del ribellismo antifascista italiano, compito svolto invece dalla maggioranza delle formazioni armate della RSI, si deve far riferimento anche alla ricostruzione dei tradizionali apparati di controllo dello Stato. Il caos di dipendenze e di legittimità della Repubblica può in parte spiegare la nascita di un insieme vario, complesso e difficilmente ordinabile di formazioni di polizia e di forze armate più o meno regolari, generalmente legate in maniera molto labile alle autorità di governo del Garda. Un insieme più che vario di “milizie” che però era composto o affiancato da un esercito di funzionari di Pubblica Sicurezza e di informatori delle polizie del regime, transitati senza problemi attraverso i 45 giorni badogliani. Un esempio lampante della continuità statale nelle strutture repubblicane dipendenti dal ministero di Buffarini è ad esempio rappresentato da Guido Leto, responsabile anche a livello materiale dello spostamento della Divisione di Polizia Politica “al nord” <545. Per converso, la ricostruzione dei servizi di intelligence militari italiani, a causa della “parallela fuga” a sud dei comandanti del SIM, si connotò per un’estensione dell’arruolamento a nuovi agenti, funzionari e anche dirigenti, tenuti assieme da un’apparente coesione ideologica iniziale, ma con un conseguente rallentamento dell’attività di spionaggio e controllo militare sulla società <546.
Il policentrismo di autorità ebbe un suo parallelo nell’anarchico insieme di polizie saloine, portando così allo sconvolgimento della struttura di Pubblica Sicurezza precedente.
[NOTE]
544 Gagliani, Brigate Nere, op. cit. pp. 55-56.
545 Borghi, Tra fascio littorio, op. cit. p. 21.
546 M. G. Pasquini, Il SID della Repubblica Sociale Italiana nei documenti inglesi, in ‹‹Annali della Fondazione Ugo La Malfa››, Storia e Politica n° XXIV, 2009, pp. 253-266.
Jacopo Calussi, Op. cit.

I compiti di queste unità, affiancate dalla polizia vera e propria, variavano dall’antiguerriglia al presidio territoriale. Ad aiutarle si erano aggiunte altre forze paramilitari indipendenti: la più famosa che operò in Lombardia fu certamente la Legione autonoma Mobile Ettore Muti con sede a Milano.
Inoltre venne costituita la 29a divisione di Waffen SS <68, composta interamente da italiani, fatta eccezione per il comandante. Oltre ad avvalersi dell‟aiuto di queste unità bisogna ricordare che i tedeschi utilizzarono anche delle vere e proprie bande composte da assassini, truffatori, delinquenti di ogni sorta che operavano come polizie private e divennero famose per i loro metodi brutali.
Queste furono una sorta di polizie parallele molto gradite ai nazisti per le torture inflitte durante gli interrogatori ai ricercati in genere ma spesso anche alla gente comune <69. Tra queste, due sono da ricordare per l’attività svolta a Milano: la squadra del dott. Ugo Modesti, alias Luca Ostéria <70, e la banda Koch <71. La banda Koch, certamente la più violenta delle due, aveva la sua base a villa Fossati, rinominata “villa Triste”, al 17/19 di via Paolo Uccello in zona san Siro e talvolta operò anche fuori sede. La banda del dottor “Ugo” invece agiva a Milano e partecipò, come vedremo, all’arresto di parte della redazione de “il Ribelle”. Ma, una volta compreso che la guerra era vinta dagli alleati, intervenne in favore della Resistenza per evitare poi ritorsioni a guerra finita <72. Nel caso specifico di OSCAR, durante la fuga in Svizzera di Indro Montanelli.
Gli alti ufficiali tedeschi di stanza a Milano che sono da ricordare per lo svolgersi degli eventi sono il generale SS Karl Wolff <73, il rappresentante diretto di Himmler colonnello SS Eugen Dollman <74, il colonnello SS Walter Rauff <75, comandante della SIPO <76 e dell’unità SD <77, il capitano SS Theodore Emil Saevekce, capo della GESTAPO <78 e da cui dipendeva direttamente la banda Koch <79.
68 Waffen sta per combattenti, quindi in italiano diventa “SS combattenti”.
69 Per la brutalità dei metodi possono ricordare le vecchie Sturm Abteilung (SA) tedesche, di ridottissime dimensioni ovviamente, le camicie brune di Rhom eliminate da Hitler per arrivare definitivamente al potere in Germania.
70 Molto interessante in questo senso visionare e confrontare i resoconti che lo stesso Ostéria lasciò nel suo fondo all’INSMLI e la testimonianza di altri protagonisti quali mons. Barbareschi sui medesimi eventi.
71 Prima di arrivare a Milano nell‟agosto 1944 la banda Koch aveva già operato a Roma. La banda Koch fu dispersa prima della fine della guerra dalla Legione autonoma Mobile Ettore Muti per via di tali atrocità, cfr. G. Vecchio, Lombardia 1940-1945, Morcelliana, Brescia 2005, p. 260.
72 Luca Ostéria è stato un personaggio ambiguo, parte della documentazione di questa tesi è tratta dal suo fondo in arch. INSMLI, resta però che i suoi memoriali sono in difetto per l’utilizzo errato di nomi e date.
73 Cfr. Lamb R., La guerra in Italia, Corbaccio, Milano 1993, pp. 22-46-68-69.
74 Cfr. ibidem, pp. 84 e 373.
75 Vedi G. Vecchio, Lombardia 1940-1945, Morcelliana, Brescia 2005, p. 271.
76 Forma breve di Sichereistpolizei che significa polizia di sicurezza.
77 Forma breve di Sichereistdienst che significa servizio di sicurezza.
78 Forma breve di Geheime Staatspolizei che significa polizia segreta di Stato.
79 Per le relazioni che intercorrevano tra il cap. T. Saevekce e la banda Koch e il loro ruolo a Milano rimandiamo a Lamb R., La guerra in Italia, Corbaccio, Milano 1993, pp. 362-364
Stefano Bodini, Gli Scout Milanesi e la Resistenza, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2009-2010

La firma di Luca Osteria sul documento cit. infra. Atto in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

Il sottoscritto, d’intesa con il Direttore Generale di Polizia presso l’ex ministero degli interni, Dr. Guido Leto, a tale richiesta tedesca manovrò in modo da convincere i tedeschi dell’opportunità di autorizzarlo a formare con elementi con elementi scelti dell’Ispettorato Generale di Polizia e con altri agenti di P.S. una squadra speciale che avrebbe dovuto operare d’intesa con le autorità naziste ma che in realtà ma che in realtà si prometteva di agire nell’interesse esclusivo dei patrioti e di tutti quanti cadevano nelle mani della polizia nazista. Il Comando germanico accettò la proposta e venne così costituita la “squadra” che a Milano e altrove fingeva di collaborare con la polizia germanica.
Tale squadra venne poi ufficialmente riconosciuta come punta avanzata del C.L.N.A.I. e del Comando Generale C.V.L. come è dimostrabile dagli uniti documenti che si allegano.
Luca Osteria (Ugo) – Roma, Via Nemorenzi 91 presso ing. Avallone -, A S.E. il Presidente della CAS di Genova, Roma, 20 agosto 1945, documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

L’ultimo atto del fascismo e della sua propaganda culturale assunsero le sembianze tipiche di un’agonia. L’iconografia della Rsi era improntata al sangue, al lutto, e recava con sè simboli funerei, insegne di morte collocate sullo sfondo di una scenografia tetra. <108
Giovanni Dolfin, ad esempio, riportò assai bene il modo in cui Mussolini guardava al Garda e alla crepuscolare repubblica che vi era sorta intorno:
«[…] così ricorda Filippo Anfuso, che pur delinea […] lo scenario del lago di Garda, “quest’acqua klingsoriana” e semi-tropicale che Mussolini non amava e chiamava un “compromesso” […] connessa alla presenza allucinante del mausoleo dannunziano detto “il Vittoriale” […] su cui infine domina […] l’universo germanico, che ai tempi recenti dell’Asse egli (Mussolini) si raffigurava in termini grandiosi […].» <109
Alcuni anni prima della caduta di Mussolini, nel 1941, sembra che alcuni diplomatici italiani avessero captato un ufficiale tedesco il quale aveva sarcasticamente definito il duce come un semplice Gauleiter italiano.
Durante gli ultimi anni di Salò, Mussolini divenne esattamente poco più di un governatore (o Gauleiter, per dirla alla tedesca) di un minuscolo e impotente stato collaborazionista. <110 Ciò significa che anche le organizzazioni di propaganda culturale, soprattutto se «delocalizzate» come la Dante da Roma alla RSI, si sarebbero dovute adeguare alle mutate condizioni politiche.
[NOTE]
108 L. GANAPINI, La repubblica delle camicie nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori, Garzanti, Milano, 1999, p. 7.
109 Ivi, pp. 463-464. Klingsor, nel Parsifal di Wagner, era un personaggio malefico che aveva incantato e fatto sedurre, nel proprio castello, i cavalieri del Graal.
110 C. GOESCHEL, Op. cit., 2018, p. 269.
Fabio Ferrarini, Italiani e tedeschi alla conquista culturale del Grande Nord (1922-1945), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2018-2019

La costituzione del SID fu formalizzata il 4 novembre 1943 e la sua prima sede fu in Via Gaeta, dove era stata una delle sedi del Centro CS di Roma del SIM.
Solamente il 25 febbraio 1944 il Maresciallo Graziani, Ministro della Difesa Nazionale della RSI, dopo alcuni mesi di effettiva attività, precisò, questa volta su carta intesta del Ministero, che il SID, Servizio Informazioni Difesa, era ““l’unico ed esclusivo organo informativo” delle Forze Armate repubblicane e che ogni altra attività nel settore condotta da altri uffici o organismi doveva essere considerata illegale e quindi il servizio di controspionaggio della RSI rimaneva di esclusiva competenza del SID.
Nel marzo 1944, con il foglio n. 1403/S.M. lo stesso Graziani aveva dato disposizioni per articolare organicamente il Servizio, creando presso gli Stati Maggiore dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica speciali organi del SID, denominati “Uffici C”; aveva poi costituito dei “Centri C” e dei “Nuclei C” presso i comandi regionali e provinciali dell’Esercito, presso i Comandi servizi della Marina e presso i Comandi di zona dell’Aeronautica. Compito “basilare” di questi organi “C” era, secondo le disposizioni impartite, quello della difesa del segreto militare nell’ambito delle Forze Armate e in quello più ampio del concorso nella difesa della nazione.
In breve, per il 90% il SID veniva ad essere, dal punto di vista organizzativo, un ‘clone’ del SIM pre-armistiziale: fu dunque molto facile per i membri del Battaglione sapere dove erano collocati i Centri di CS (dove erano stati quelli del SIM, spesso con stessi indirizzi, fin quando fu possibile nelle alterne vicende del conflitto). Anche il modus operandi dei membri del SID poco si discostava da quelli del SIM…infatti le attività del SID, la dislocazione delle varie Sezioni e i progressivi spostamenti a nord degli uffici a Volta Mantovana, a Villa Bonomi, considerata ‘sede di campagna’, a 30 km da Mantova, erano noti in breve tempo ai Carabinieri del controspionaggio. Il SID non riuscì mai ad avere molto successo, a conseguire risultati concreti di spessore.
La storia dell’Arma a nord è ancora tutta da scrivere. Leggendo molti documenti, anche della stessa RSI, si comprende come solo un minor numero di elementi, per ideologia, debolezza o ambizione, <15 aderì in piena coscienza alla Repubblica, mentre la maggior parte di essi rimase, se non fedele al Re ma almeno ai principi morali che ne avevano determinato l’ingresso nell’Istituzione, tra i quali quello di essere a fianco e a protezione della popolazione italiana, in un contesto difficile e pericoloso.
A riprova di quanto affermato, in uno dei tanti documenti della Repubblica Sociale del 19 giugno 1944, un APPUNTO PER IL MARESCIALLO [Graziani] <16 si legge che “…la creazione della Guardia Nazionale Repubblicana, quale unica forza armata di polizia, ha assorbito in un solo organismo: la M.V.S.N: e sue specialità, l’Arma dei Carabinieri e la Polizia Africa Italiana…è noto che le legioni dei Carabinieri, che mantenevano continui contatti con i vari comandi, si sentivano legati all’Esercito, in seno al quale avevano rango di primo piano, da ben compreso spirito militare e da vincoli disciplinare, assolvendo agli incarichi sopra emanati [servizio informazioni, servizi di presidio, esperire indagini e inchieste di natura delicata e idi carattere contingente nel campo militare], con premura, oculatezza e alto senso di giustizia. Sebbene qualche doloroso episodio abbia offuscato – in un periodo di triste memoria – le gloriose tradizioni di fedeltà, disciplina e correttezza dell’Arma dei Carabinieri, tuttavia tale forza armata è entrata a far parte integrante della G.N.R. rinunziando molto a malincuore alla sua caratteristica funzione militare che aveva saputo ben conservare….gli arruolamenti nella G.N.R., necessari per colmare i vuoti verificatisi dopo l’8 settembre 1943 in conseguenza dello sbandamento di carabinieri ausiliari arruolati per la guerra fra i militari di leva alle armi e del congedamento di non pochi carabinieri anziani richiamati, tarati nel fisico e quindi di scarso rendimento, hanno dato un gettito non indifferente. Ma le affrettate operazioni di arruolamento non hanno evitato, contrariamente agli intendimenti superiori, l’immissione nella GNR di elementi moralmente non a posto, dando motivo ad una promiscuità di elementi non tollerabile in un corpo di polizia chiamato ad assolvere delicate funzioni. L’abolizione delle stellette e della vecchia uniforme per i carabinieri, <17 nonché la lamentata convivenza con elementi noti perché dediti ai vizi, ai bagordi, hanno concorso a deprimere il morale di questa massa su cui la Nazione in momenti critici e pericolosi aveva sempre fatto da oltre un secolo assegnamento per garantire l’ordine…a questo si è aggiunta la propaganda radiofonica del nemico [gli Alleati], che non ha mancato di mettere in risalto le virtù di pace e di guerra dei Carabinieri mettendo in evidenza che per quelli in servizio nella GNR era preferibile raggiungere i “patrioti” alla macchia, per non collaborare con i tedeschi e con la milizia fascista…”
Il lungo documento rilevava poi che nel momento in cui era stata ordinata la costituzione di alcuni battaglioni di formazione, costituiti esclusivamente da Carabinieri da inviare in Germania, si erano verificate molte diserzioni che avevano pesantemente indebolito la struttura informativa e di polizia militare della GNR. Alla luce di questi fatti, sembrava all’estensore dell’importante documento che doveva andare all’attenzione di Graziani, necessario e urgente procedere a una riorganizzazione dell’Arma con Autorità superiori da scegliersi all’interno dell’istituzione, con particolari doti carismatiche, così da riuscire a farsi seguire dai sottoposti “e orientarli subito alle primitive funzioni d’istituto, secondo gli ordinamenti, prerogative e compiti un tempo loro assegnati. Con la prospettiva ricostituzione dei carabinieri le FFAA potranno contare su tale forza per sopperire a tutte le necessità di pace e di guerra”. Peccato che nella minuta di questo Appunto agli Atti, non fosse indicato l’estensore, nemmeno con una sigla!
Nonostante alcune entusiastiche affermazioni necessarie per poter presentare l’appunto all’Autorità di vertice e non essere tacciati di ‘disfattismo’, in realtà era molto chiaro che l‘Arma non era affatto ‘fedele’ nella sua interezza al Governo di Salò: venivano ricordati episodi scarsa fedeltà, disciplina correttezza…e quindi questo documento è come il negativo di una fotografia che va sviluppata e letta una volta ‘stampata’. Quegli episodi considerati di scarsa fedeltà e correttezza e disciplina null’altro erano se non il comportamento di singoli individui o reparti a favore della popolazione italiana contro soprusi e ferocia dei nazisti e delle milizie fasciste. E non solo, perché anche dal punto di vista dell’intelligence, molte furono le informazioni passate agli infiltrati del Battaglione oltre le linee nemiche, proprio da elementi del SID, che erano spesso in posizioni ‘chiave’, ad esempio all’intercettazione o alla decrittazione di messaggi criptati. Molti ufficiali dei Carabinieri si trovarono spesso costretti ad accettare di riaprire dei Centri CS, perché in servizio nell’Italia settentrionale.
[NOTE]
15 Come il colonnello CCRR Candeloro De Leo, ad esempio, che diresse il SID fino al disfacimento della RSI: era stato Capo Centro CS a Palermo con il SIM. Verso la fine del conflitto da Milano, pose condizioni ad alcuni emissari del Battaglione per la sua resa…queste non furono accettate e il De Leo fu arrestato proprio da suoi ex-colleghi e processato. Ingloriosa fine.
16 NARA, RG226, NN3 – 226 – 90 – 3.
17 E’ ben noto che i Carabinieri non vollero sostituire gli alamari con il fascio e vi furono anche sollevazioni e tumulti al riguardo. L’estensore del documento aveva ben colto alcune situazioni ‘difficili’.
Si legge in altri documenti: …I’uniforme della GNR era stata fatta con lo stesso tessuto grigio.verde adoperato per l’esercito fascista-repubblicano. I gradi e i fregi dei gradi erano uguali a quelli adoperati nel resto dell’esercito. Sulla mostrina vi era un particolare fregio che aveva la forma di una fiamma biforcuta. Il fregio del berretto era d’oro per gli ufficiali, d’argento per i sottufficiali e rosso per i graduati e i soldati, su sfondo grigio-verde, cfr per i dettagli AUSSME, Fondo SIM, 1^ Divisione, Stato Maggiore Generale, SIM, ‘Sezione Bonsignore’, 11 marzo 1945.
Maria Gabriella Pasqualini, L’opera di controspionaggio dell’Arma dei Carabinieri dopo l’8 settembre 1943  in Carte Segrete dell’intelligence italiana. Vol.II 1919-1949, Roma, RUD, 2007