La conquista dell’adesione contadina fu in queste zone più lenta e graduata nel tempo

Uno scorcio di Imola – Fonte: Wikipedia

Sino alla tarda primavera 1944 non esisteva in Italia un comando unico che dirigesse la lotta di liberazione, ma solo un centro politico come il CLN.
Le formazioni partigiane dipendevano dai partiti, quando non erano autonome, anche se il CLN si sforzava di dare un minimo di coordinamento. Fu solo con la nascita del CVL che l’esercito partigiano ebbe un comando militare unificato, anche se dipendeva politicamente dal CLN Alta Italia. Contestualmente, in ogni regione fu istituito un comando unico, il quale doveva curare la formazione di comandi provinciali incaricati di coordinare l’attività di quelli comunali. In Emilia-Romagna ogni attività militare fu affidata al CUMER, 91 il quale dipendeva dal CLNER. In ogni città fu costituito un Comando piazza. A Bologna nacque l’1.8.1944 in un appartamento di via Procaccini. I suoi primi dirigenti, quasi tutti ufficiali dell’esercito, furono:
col. Mario Trevisani “Guido” comandante;
col. Mario Guerman “Guerra” e col. Michele Imbergamo vice;
Giacomo Masi “Giacomino” commissario politico e col. Giuseppe Bonino vice;
ten. Col. Giovanni Pascoli capo di stato maggiore.
Trevisani, ufficiale di carriera, era stato nominato perché indipendente. Guermani era del PSIUP, Imbergamo d’area cattolica e Masi del PCI. Qualche giorno dopo nel Comando entrarono Cleto Benassi “Vecchietti” del PSIUP ed Edo Godoli del PRI, anche se, in quel periodo, questo partito non aderiva al CLN, come non vi aderiva la DC.
In seguito alcuni esponenti furono sostituiti, ma la struttura non mutò. Il Comando piazza – sostenuto dal CLNER – iniziò subito un vasto lavoro per indurre tutte le brgg ad accettare la guida del CUMER. Non fu facile perché ogni formazione voleva mantenere le proprie caratteristiche di partito. La Matteotti città, ad esempio, non rinunciò ad avere quale emblema la falce e il martello, in luogo della stella a cinque punte del CVL.
Il Comando piazza preparò il piano insurrezionale dell’autunno 1944, in previsione di quella che si riteneva l’imminente liberazione della città. Suo – in accordo con il CUMER – è il piano per il concentramento in città della maggior parte delle brgg partigiane. Quando l’esercito alleato si fermò alle porte di Bologna, dopo il proclama d’Alexander, dovette improvvisarne un altro per fare uscire dalla città i partigiani, senza sciogliere le brgg.
Al tempo stesso, fu predisposto un piano per la guerriglia nei mesi invernali, sia in città sia nei comuni della pianura, mentre la collina era stata parzialmente liberata. Nei primi mesi del 1945, con la riorganizzazione delle forze partigiane, il Comando piazza fu ribattezzato in Divisione Bologna pianura “Mario”.
Comando piazza di Imola.
Nella provincia di Bologna, oltre al Comando piazza di Bologna, fu costituito quello di Imola nel settembre 1944. Aveva il compito di coordinare l’attività dei 3 btgg, Montano, Città e Pianura, che poi saranno unificati nella brg SAP Imola-Santerno.
Operava in stretto collegamento con il CUMER e predispose i piani per l’insurrezione dell’autunno 1944 e di quella della primavera 1945. Dopo l’arresto dell’avanzata alleata, ridusse la propria attività per riprenderla in primavera, quando, per l’insurrezione del 14.4.1945, coordinò l’attività della brg SAP Imola-Santerno e del dist imolese della 7a brg GAP Gianni Garibaldi.
Questo il gruppo dirigente: Luigi Spadoni “Gigetto” comandante; Natale Tampieri “Bianco” responsabile militare; Ezio Serantoni “Mezzanotte” presidente del CLN; Elio Gollini “Sole” capo di stato maggiore e SIM; Primo Ravanelli intendente; Emilio Fuochi “Nico” ufficiale di collegamento con le brgg. In ottobre il comando fu assunto da Amedeo Ruggi e in dicembre da Ercole Felici.
Aveva sede in un appartamento in via Fratelli Cairoli 9.
BIBLIOGRAFIA. Momenti partigiani imolesi in collina e città; Imola medaglia d’oro; E. Gollini, N. Tampieri, Sole, Bianco e Mezzanotte. Imola tra guerra e ricostruzione (1940-1950); Sui luoghi della memoria. Guerra e Resistenza nel territorio imolese; E. Gualandi, Il contributo di Imola alla guerra di liberazione, in “Resistenza oggi”, n.5, giugno 2004, pp.51-4.
Redazione, Comando piazza di Bologna e di Imola. 1944-1945, Storia e Memoria di Bologna

Il movimento partigiano delle squadre SAP nella zona imolese era strutturato su tre battaglioni, Pianura, Città e Montano, i cui responsabili costituivano il comando SAP di zona.
Nel settembre 1944 i tre battaglioni furono uniti in una brigata riconosciuta dal CUMER col nome di SAP Santerno, anche se fu comunemente chiamata SAP Imola.
Le SAP imolesi, fin dal loro sorgere, si dedicarono alla propaganda murale o a mezzo stampa; alla distruzione dei cartelli indicatori e di linee telefoniche e telegrafiche; ai sabotaggi d’automezzi; ad attacchi alle trebbiatrici per non fare cadere nelle mani dei tedeschi il raccolto; al ricupero d’armi; ad azioni armate contro l’invasore. Esse sono state la continuità, il tessuto connettivo tra Resistenza e società civile.
L’ambiente in cui operarono era quanto mai ristretto e ad alto rischio per la presenza continua dei nazi-fascisti.
Non ebbero grandi mezzi di sostentamento economico e non furono aiutate dai “lanci” alleati. Le armi di cui erano dotate, erano state strappate al nemico con ardite azioni.
Nel settembre 1944, in previsione di quella che si riteneva l’imminente insurrezione partigiana, il battaglione Montano disperse l’accampamento fascista a Cà Campaz e mezzi da trasporto tedeschi a Fabbrica e Codrignano.
Nello stesso periodo l’altra compagnia, sulla destra del Santerno, difese il territorio dalle razzie tedesche nella zona di Toscanella (Dozza).
Il 6 ottobre a Cà Genasia di Ghiandolino avvenne un duro scontro in cui caddero due partigiani.
Il 14 settembre 1944 il battaglione Pianura occupò Sesto Imolese e il presidente del CLN tenne un discorso alla popolazione. Analoghe operazioni avvennero nel centro cittadino. Dopo l’arresto dell’avanzata alleata, la brigata fu ristrutturata. Il battaglione Pianura mantenne il controllo di numerosi centri della pianura e proseguì la guerriglia sino alla liberazione. I battaglioni Città e Montano integrarono la loro attività con i gruppi gappisti che operarono per tutto l’inverno e la primavera. Il 14 aprile 1945, in base alle direttive del Comando piazza partigiano di Imola, la brigata insorse prima dell’arrivo degli alleati e liberò la città e i principali centri della pianura. Questa la struttura di comando della brigata: Natale Tampieri “Bianco” comandante; Elio Gollini “Sole” vice comandante; Aldo Afflitti commissario politico; Emilio Fuochi “Nico” vice commissario; Luigi Spadoni “Gigetto” e Domenico Rivalta “Minghinè” stato maggiore; Ezio Serrantoni “Mezzo”, Gino Cervellati, Gianfranco Giovannini, Natale Landi, Walter Tampieri, Emilio Zanardi ispettori e ufficiali di collegamento. Era inquadrata nella divisione Bologna pianura “Mario”. I partigiani riconosciuti furono 767 e quattro i patrioti; 47 i caduti e 15 i feriti.
Redazione, Brigata SAP Imola-Santerno, Storia e Memoria di Bologna

Divisione Bologna pianura Mario era la divisione che raggruppava le brigate che operavano in città e nei comuni della pianura. Il nome Mario le fu dato per onorare Sante Vincenzi “Mario”, l’ufficiale di collegamento tra il CUMER e la divisione, caduto il 21 aprile 1945. Di fatto, questa divisione era il vecchio Comando piazza di Bologna – operante sin dall’1 agosto 1944 – al quale era stato mutato nome. Nell’inverno 1944-45 Aldo Cucchi “Jacopo” fu nominato comandante della divisione, con Carlo Zanotti “Garian” capo di stato maggiore e Giacomo Masi “Giacomino” commissario politico. Araldo Tolomelli “Ernesto” era l’ufficiale di collegamento con le brigate della pianura e Vincenzi con il CUMER. Il 10 marzo 1945 nuovo comandante della divisione fu nominato Giulio Trevisani “Guido”, con Cucchi vice. Queste le brigate inquadrate nella divisione: Ia Irma Bandiera Garibaldi, 2a Paolo Garibaldi, Matteotti città, 4a Venturoli Garibaldi, 5a Bonvicini Matteotti, 6a Giacomo, 7a GAP Gianni Garibaldi, 8a Masia GL, 9a Santa Justa, 63a Bolero Garibaldi. La brigata SAP Imola-Santerno era praticamente autonoma pur essendo inquadrata nella divisione pianura. Nell’inverno 1944-45 il comando della divisione, in accordo con le brigate della città e della pianura, predispose il piano insurrezionale per la liberazione di Bologna.
Nazario Sauro Onofri, Divisione Bologna pianura Mario, Storia e Memoria di Bologna

Anche nelle zone di montagna, nelle quali prevalevano la proprietà coltivatrice diretta e la mezzadria povera, lo sviluppo del movimento, per quanto più compatto, non fu uniforme. In alcune formazioni (la 36a Brigata Garibaldi, operante nell’alto Imolese), i comandanti e i commissari riuscirono ad equilibrare abilmente l’aspetto politico e quello militare della lotta giungendo rapidamente ad ottenere il consenso dei contadini, delle popolazioni e del clero locale e in più casi persino l’adesione di proprietari. In altre (la 62a e la 66a Brigata Garibaldi, operanti nelle alte valli del Sillaro e dell’Idice) prevalsero fin dall’origine, anche per la spiccata personalità dei comandanti, gli aspetti militari, sempre però temperati da un’azione politica paziente e prolungata; considerazioni analoghe possono valere, di massima, per le Brigate « Matteotti » e « Giustizia e libertà », operanti nell’alto Porrettano, anche se per qualche tempo i dirigenti di queste formazioni dovettero dedicarsi al recupero della fiducia delle popolazioni colpite all’inizio da azioni coercitive che avevano lasciato il loro segno; in altre ancora (è il caso della « Stella rossa », operante nelle valli del Setta e del Reno), una certa accentuazione militare, accompagnata da una sottovalutazione, talora esplicita, della funzione equilibratrice dei commissari politici, porteranno invece a dissensi che daranno luogo a divisioni e si tradurranno anche in difficoltà nei collegamenti operativi, specie nella fase di massima espansione della lotta.

Porretta Terme, Frazione di Alto Reno Terme (BO) – Fonte: Wikipedia

I caratteri indicati risultano ampliamente da molte testimonianze e in alcune di esse non si sottacciono episodi di diverso segno che meglio chiariscono le difficoltà incontrate nello sviluppo dei rapporti con le popolazioni nelle diverse fasi della lotta nelle zone di montagna <36.
Nei comuni della pianura i rapporti con le popolazioni si pongono fin dall’inizio in modo e forme diverse ed originali e tali rapporti meglio possono essere chiariti seguendo il tracciato percorso dalle formazioni sappiste, d’impianto ed origine contadina, dal momento della loro costituzione alla fase dello sviluppo estivo, dalla lotta invernale alla liberazione. L’originalità è data dall’esigenza di operare in campo scoperto, privo di qualsiasi protezione naturale e per di più in zone saldamente controllate e gestite dai fascisti e largamente presidiate dalle forze tedesche d’occupazione.
L’apporto esterno alla formazione del movimento sappista, se pure importante, non fu pari alla forza interna del movimento stesso, almeno nella fase dellamassima dilatazione. La composizione demografica e sociale dei sappisti risulta inoltre assai diversa da quella dei gappisti della città e dei partigiani della montagna.
Fra i sappisti si ritrovano infatti uomini e donne di ogni età, con una presenza femminile particolarmente estesa. Il movimento tendeva infatti, proprio per la sua natura, a comprendere non tanto o non solo singole unità quanto interi nuclei familiari. La tecnica adottata era quella dell’esercizio del lavoro nei campi durante il giorno e della lotta politica ed armata nelle ore dal tramonto all’alba. Per assicurarsi la necessaria copertura legale, i sappisti, quand’era necessario, accettavano lavoro dalle imprese gestite o controllate dai tedeschi in tal modo accrescendo la loro mobilità, favorita del resto dalla disponibilità di un’estesa rete di « basi » contadine, condizione questa indispensabile per compiere le azioni in zone distanti da quelle di residenza. In generale si trattava di gruppi ristretti che si componevano e si scomponevano attorno a gruppi più compatti formati e guidati dagli elementi migliori che esercitavano di fatto la direzione di un movimento in continua espansione, dal quale trarranno poi vita, nel Bolognese, la 2a Brigata «Paolo» e la 4a Brigata « Venturoli » e, nell’Imolese, la Brigata SAP «Santerno» <37.
Anche il movimento sappista si sviluppò in modo diseguale nel territorio e di ciò si è fatto cenno discutendo la questione dei rapporti tra vecchio antifascismo e Resistenza.
La zona di più intensa attività corrisponde di massima ai comuni dell’asse ferrarese e alle zone bracciantili di Medicina e Baricella. A Granarolo, Castenaso, Calderara di Reno e, in particolare a Castel Maggiore ed Anzola Emilia, il movimento sappista trovò un notevole supporto nel movimento gappista locale, inquadrato nella 7a Brigata GAP e collegato al capoluogo. Nell’Imolese le formazioni sappiste operarono con ampia autonomia nelle campagne, dilatando la loro presenza in zone di collina, a contatto con reparti della 36a Brigata Garibaldi, e anche nel centro urbano in collegamento col distaccamento locale, anch’esso ampiamente autonomo, della 7a Brigata GAP.
La distinzione del campo d’attività tra GAP e SAP corrisponde naturalmente ad esigenze del tutto particolari del comportamento politico e militare in zone diverse. Nella città il movimento gappista doveva necessariamente conformarsi alle regole, assai rigorose e severe, della lotta urbana; in campagna l’elemento decisivo per la vitalità delle formazioni era invece quello della conquista del consenso e del sostegno attivo delle popolazioni locali e dei contadini in particolare.
Nel Bolognese non si verificheranno, se non nell’ultimo inverno di lotta e nella fase preinsurrezionale di primavera, contrasti meritevoli di segnalazione tra GAP e SAP, a differenza di quanto accadde in altre parti del territorio regionale <38. Non si verificheranno comunque nella base operativa del movimento, mentre al vertice politico-militare peseranno in qualche modo i vincoli e i limiti che, nello schema ideologico già indicato, si traducevano nell’affidamento al movimento sappista di compiti complementari e subalterni <39.
Si deve però osservare che nella piena consapevolezza dell’importanza del problema, la direzione politica del movimento, considerando oltreché l’ampiezza anche il significato della mobilitazione contadina e delle manifestazioni di massa che ad un certo momento giunsero persino a rappresentare l’aspetto prevalente e caratterizzante della lotta politica e militare armata in vasta parte della provincia, adotterà la decisione di costituire un Comando provinciale delle SAP dal quale verrà l’iniziativa di formare le brigate sappiste già indicate, anch’esse dotate, al pari delle altre formazioni, di organi propri e di un’ampia autonomia operativa.
Ma poiché il CUMER non potè mai giungere, sia per i vincoli della clandestinità, sia per la limitata disponibilità di mezzi, e anche per incomprensioni e dissensi a proposito delle sue funzioni rappresentative, ad esprimere compiutamente la sua autorità alcuni, peraltro non rilevanti contrasti, continuarono a ripetersi e a prolungarsi nel tempo anche nel Bolognese.
In ogni documento del Comando provinciale delle SAP si insiste sul carattere unitario e popolare dell’organizzazione e non mancano indicazioni utili al fine della dilatazione della rappresentanza <40. L’indicazione, che corrispondeva del resto all’indirizzo politico ed ideologico della Resistenza nel suo insieme, poteva valere, come in effetti è accaduto, come orientamento generale; sul terreno concreto il movimento contadino non poteva però che esprimere, caso per caso, i suoi caratteri di originalità e l’azione unitaria direzionale potè giungere al suo massimo grado di efficienza laddove questo insieme cosi vario di esperienze riuscì ad elaborare una strategia politico-militare, espressione e sintesi a un tempo di una multiforme e mutevole realtà.
L’osservazione può essere estesa, pur con le necessarie varianti, al movimento nelle zone collinari e montane, in presenza di aggregati sociali caratterizzati, oltreché da particolari condizioni di arretratezza economica, anche dalla presenza di una popolazione notevolmente più vecchia, depauperata da anni di spopolamento delle forze più giovani, costretta a vivere nell’interno di comunità chiuse e sovraccariche di vincoli giuridico-formali che avevano istituzionalizzato rapporti di subordinazione consolidati in comportamenti consuetudinari rigidi e ripetitivi.
La conquista dell’adesione contadina fu in queste zone più lenta e graduata nel tempo anche a causa del relativo isolamento delle formazioni operanti nella montagna con le quali il CUMER potè stabilire collegamenti operativi non occasionali soltanto alla fine del luglio 1944.
È certo comunque che in vaste zone di montagna l’adesione contadina non avvenne né spontaneamente, né automaticamente, ma rappresentò l’esito di una conquista politica, non sempre e ovunque agevole, prolungata nel tempo.
Non si deve dimenticare inoltre che in molte zone pesava la preoccupazione per le conseguenze dei rastrellamenti e per le possibili rappresaglie, fattore questo che contribuì a mantenere sospesi molti dubbi e antiche paure derivanti dalla lunga abitudine alla soggezione, alla rassegnazione e all’osservanza delle regole della violenza, con conseguenze anche, se pur in altre zone della regione, di atti di disimpegno e di ostilità <41.
Sono queste le barriere storiche che la Resistenza ha trovato sul suo cammino nelle zone più povere e chiuse dell’Appennino. Ed è impensabile che potessero essere superate per l’effetto immediato, folgorante, di un solo evento, come l’improvvisa scoperta dei valori della libertà o l’attesa di un nuovo ruolo economico nell’ordinamento democratico proposto dal movimento di liberazione. Se così, per assurdo, fosse stato, allora tutte le discriminanti storiche, politiche, sociali, culturali, nonché quelle, in gran parte cognite, dell’assetto economico e produttivo, la stessa presenza del fascismo non rappresenterebbero affatto variabili di fondamentale importanza nella caratterizzazione delle forme di aggregazione umana e la figura del « contadino » ritornerebbe ad assumere i caratteri di una pura e semplice astrazione, un’immagine della fantasia che può essere composta e ricomposta nell’interno di modelli concettuali variamente costruiti, anch’essi peraltro affidati alla varietà dei gusti e delle mode ricorrenti.
La realtà dimostra invece ampiamente che l’incontro tra il mondo contadino e la Resistenza, oltrecché verificarsi, come si è detto, in modi, forme, gradualità diverse nel territorio in presenza di vincoli, condizioni e contraddizioni determinate ed accertabili, non dà luogo neppure sempre e ovunque ad un fronte compatto, verificandosi non di rado flussi e riflussi nelle forme e nell’intensità della partecipazione, manifestandosi questa secondo modalità assai diverse, anche se egualmente interessanti, persino in aree contigue relativamente omogenee per caratteri economici e produttivi. La stessa diversità della composizione sociale delle varie formazioni ci sembra debba indurre a più attente riflessioni in questo campo.
Sono indubbiamente molti i fattori esterni, gli eventi improvvisi che intervengono a mutare, in un periodo più o meno lungo, talora assai breve, il sistema dei rapporti in determinate fasi e stadi dell’evoluzione della lotta: oltre ai rastrellamenti, alle rappresaglie individuali e di massa, alla distruzione e al saccheggio delle case, fatti questi di maggiore gravità, si devono aggiungere i prelievi forzati, specie di giovani, per il lavoro coatto, le deportazioni di adulti in Germania, le requisizioni predisposte ed attuate dai tedeschi, con procedimento « scientifico », per impossessarsi del raccolto e del bestiame fino alla militarizzazione della trebbiatura e ad un insieme di altre misure che rappresentano espedienti intimidatori volta a volta introdotti dall’autorità fascista locale ormai consapevole di aver perduto l’appoggio contadino e delle popolazioni delle campagne <42.
[NOTE]
36 Si vedano le testimonianze dei commissari e dirigenti politici delle formazioni citate, pubblicate nel volume III della presente raccolta: in particolare quelle di Guido Gualandi (36a Brigata Garibaldi), pp. 285-288, Libero Romagnoli (62a Brigata Garibaldi), pp. 322-325, Umberto Crisalidi (Brigata «Stella rossa») pp. 307-312, Fernando Baroncini (Brigata «Matteotti»), pp. 367-369, Renato Frabetti (Brigata « Giustizia e libertà »), pp. 374-392. A proposito della 66a Brigata Garibaldi, si veda la testimonianza del commissario politico Aldo Bacchilega riprodotta nel terzo capitolo del presente volume.
37 Sulla costituzione e sull’attività delle SAP si veda, nel volume III, la testimonianza di Giacomo Masi, commissario provinciale delle SAP e commissario politico della Divisione « Bologna ». Per aspetti particolari dell’attività sappista si vedano, sempre nel volume III, le testimonianze di Elio Magri, Enzo Biondi e Arleziano Testoni (2a Brigata « Paolo »), p. 480 sgg; Enrico Mezzetti, Elio Cicchetti, Orialdo Soverini (4a Brigata «Venturoli»), p. 501 sgg. Per quanto riguarda l’attività delle SAP nell’Imolese, si vedano le testimonianze di Natale Tampieri, Aldo Afflitti, Renzo Ravaglia, p. 426 sgg. Una dettagliata rassegna dell’attività sappista nel comuni dell’asse ferrarese risulta nell’opera di E. Cicchetti, // campo giusto, Milano, 1970.
38 Espliciti riferimenti ad attriti che giunsero persino a forme di non collaborazione tra GAP e SAP si verificarono nel Modenese, come risulta da un documento del comando della 65^ Brigata Garibaldi, datato 19 ottobre 1944 e indirizzato ai comandi delle formazioni dipendenti. Nel documento, richiamata l’esigenza dell’unità e di una più intensa collaborazione tra «tutte le formazioni militari che lottano per la liberazione», si definisce tuttavia «naturale» la
«supremazia» dei GAP e il giudizio su quella che è indicata come l’arretratezza politica (oltreché militare) delle SAP deriva dalla «loro caratteristica di massa». Il documento è riprodotto integralmente in, M. Pacor, L. Casali, Lotte sociali e guerriglia in pianura, cit., p. 332. In tale documento quindi l’aspetto politico fondamentale consistente nella conquista del consenso popolare, è considerato addirittura come un fatto negativo. Questa profonda contraddizione,
già in essere nell’estate in più parti della regione, non sfuggi all’osservazione di Amendola il quale, attribuendo alle SAP proprio la funzione politica della mobilitazione di massa, scriveva che «in questo modo si eliminerà la concorrenza che si sta sviluppando, con le solite conseguenze di incidenti, attriti, lotta per i quadri e i migliori elementi» (G. Amendola, Lettere a Milano, cit., p. 395). Ritornando sull’argomento all’inizio di settembre e con riguardo sempre alla situazione regionale in generale, Amendola annoterà ancora che « la concorrenza tra SAP e GAP ha avuto per effetto di restringere la base del reclutamento delle SAP, per cui neanche tutti i compagni si sono inquadrati » (id., p. 411).
39 Una delle cause fondamentali di questo comportamento è da ricercarsi, secondo Aroldo Tolomelli, vice comandante delle SAP (volume III, p. 576) nel fatto che prevaleva «nel giudizio generale il ricordo del modo come il fascismo – specie al suo sorgere – era riuscito ad incidere su gruppi consistenti di fittavoli e di piccoli proprietari e, in minima parte, anche di mezzadri, con la conseguenza della grave rottura che si era determinata con i braccianti e gli operai dell’industria e le loro organizzazioni di classe. Qui era forse la causa del dubbio di un concorso di massa alla lotta antifascista di queste categorie contadine. La realtà era invece che la parte fondamentale del ceto contadino era composta di mezzadri i quali, su vasta scala, nell’immediato dopoguerra avevano partecipato ai grandi scioperi nelle nostre campagne, contribuendo in modo determinante allo sviluppo della coscienza socialista e dello spirito di solidarietà e contro i quali, com’è noto, si era rivolta la violenza fascista e l’azione terroristica delle prime squadracce. Ciò che forse non si avvertiva, ripeto, era in ogni modo il profondo e tormentato risveglio dell’intera componente contadina di fronte alla tragica esperienza della guerra, alla ormai certa sconfitta del fascismo e della sua rovinosa politica. L’esigenza di accelerare i tempi di questa sconfitta era quindi intesa dai contadini non più soltanto come un atto di grande liberazione, ma anche come un fatto possibile per la stessa azione che noi da tempo svolgevamo».
40 Il documento più completo ed organico sulle funzioni politiche e militari e sul carattere unitario del movimento delle SAP è il « Prontuario del sappista », integralmente riprodotto nel volume III della presente raccolta, pp. 598-603. A proposito del carattere unitario del movimento stesso e sulla posizione dei comunisti si veda in G. Amendola, Lettere a Milano, cit., il documento « PCI. Triumvirato insurrezionale Emilia Romagna. Per l’organizzazione delle SAP »
(luglio 1944) pp. 367-368, nonché il documento della Sezione Militare federale del partito comunista (1 febbraio 1945) intestato « A tutti i compagni del partito comunista membri delle SAP » (volume III, pp. 603-604).
41 Un particolare interesse rivestono al riguardo alcune relazioni di dirigenti militari e politici di formazioni partigiane, dirette o pervenute al CUMER nell’estate 1944. In esse risultano tentativi notevoli di approfondimento dell’analisi dei rapporti tra partigiani, contadini e popolazioni locali, in corrispondenza con avvenimenti particolari. In alcune di queste relazioni si giunge persino a parlare di « ostilità » dei contadini nei confronti di brigate di altre province della regione. Un particolare significato assumono al riguardo i rapporti del comando della 12^ Brigata Garibaldi e del comandante della delegazione Nord Emilia del comando delle Brigate Garibaldi ai delegati della provincia di Reggio Emilia, in cui si legge: «da notizie indirette risulta che i montanari cacciano via i partigiani minacciandoli (per ora solo minacciandoli) di denunciarli ai tedeschi». In un «rapporto sulla visita fatta dall’ufficiale di collegamento del CUMER all’8a Brigata Garibaldi», in data 2-7 agosto 1944, si legge che «i contadini, pur non essendo contro i partigiani, fanno però comprendere molto bene che non vorrebbero che capitasse qualche cosa nelle loro vicinanze, affermandolo ogni volta che i partigiani vanno a casa loro per chiedere qualche cosa, con la risposta: “vi diamo tutto quello che volete, ma ci raccomandiamo, non fate nulla qui”». In un rapporto della 61a Brigata Garibaldi al comando della delegazione Nord Emilia, si legge: «la popolazione teme di essere decimata dai nazifascisti come sostenitrice della causa partigiana». I citati documenti sono compresi nella raccolta dei «Bollettini del CUMER », disponibile presso la biblioteca della Deputazione Emilia Romagna per la storia della Resistenza, Bologna.
42 Un’ampia documentazione sulla crescente sfiducia nelle popolazioni contadine da parte fascista risulta dai «Notiziari» e da relazioni delle GNR conservati presso l’Istituto storico della Resistenza di Modena. Nel «Notiziario» della GNR del 14 ottobre 1944 risulta al riguardo una significativa annotazione: «I contadini, che hanno sempre goduto della particolare benevolenza del Duce, il quale li aveva innalzati al primo piano della vita nazionale, e che avevano beneficiato di provvidenze e protezioni superiori a tutte le altre categorie di lavoratori, sono quelli che si dimostrano i più accaniti avversari e demolitori del fascismo». Estese notizie sull’attività partigiana volta a sottrarre ai tedeschi bestiame e frumento risultano anche in numerosi rapporti di questori trascritti nel saggio di I. Masulli, L’Emilia Romagna nelle carte del governo di Salò, cit., pp. 429-477. Un elenco delle azioni sappiste contro le trebbiatrici è trascritto in La lotta armata, cit., p. 240 sgg; a proposito del saccheggio del raccolto e delle scorte alimentari, con riguardo anche alla regione e alla provincia, nonché dei rastrellamenti per il lavoro coatto in Germania, si veda l’ampia documentazione riprodotta nell’opera di E. Collotti, L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata 1943-1945, cit.; si veda anche, di E. Collotti, L’occupazione tedesca nelle carte dell’amministrazione militare (ottobre 1943-settembre 1944), cit., pp. 351-427.
Luciano Bergonzini, La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti. Volume V, Istituto per la Storia di Bologna, 1980

La Brigata Stella Rossa fu una delle più importanti formazioni partigiane della provincia di Bologna.
Chiamata in un primo tempo Stella rossa Leone – dal nome di battaglia del caduto Gastone Rossi – fu in seguito ribattezzata Stella rossa Lupo, dal nome di battaglia del comandante Mario Musolesi. Era indipendente, pur aderendo al CUMER e al CLN.
Operò prevalentemente nella zona di Monte Sole, dal quale controllava le linee ferroviarie e due delle tre strade che da Bologna portano in Toscana: la Porrettana e la Val di Setta.
Costituita nell’autunno 1943, raggiunse una notevole consistenza nella primavera 1944, quando ricevette aviolanci alleati. Era inquadrata nella divisione Bologna montagna “Lupo”.
La brigata ebbe vari organigrammi di comando, l’ultimo dei quali così composto: Musolesi comandante; Gianni Rossi vice; Umberto Crisalidi commissario politico; Ferruccio Magnani “Giacomo” vice commissario”; Giovanni Saliva “Gianni” capo di stato maggiore; Giuseppe Castrignano “Peppino” ufficiale addetto al comando; Agostino Ottani “Sergio” responsabile del PCI.
Era strutturata su quattro battaglioni e una squadra d’assalto. Il I° era comandato da Celso Menini, il II° da Walter Tarozzi, il III° da Otello Musolesi e il IV° da Alfonso Ventura e successivamente da Cleto Comellini. Dante Palchetti “Lampo” comandava la squadra d’assalto.
Musolesi ebbe grossi contrasti con il CUMER e il CLN perché non approvava i criteri per la nomina dei commissari politici né il piano preparato nel settembre 1944 per l’insurrezione.
Ebbe contrasti anche all’interno della brigata sul modo di condurre la guerriglia. Per questo, il 27 giugno 1944, mentre era a Monte Ombraro (Zocca – MO), dalla brigata si staccò il battaglione di Sugano Melchiorri.
Dopo quella che fu chiamata la “scissione”, la brigata tornò a Monte Sole e Musolesi respinse l’ordine del CUMER di spostarsi verso Bologna, in previsione dell’insurrezione ritenuta imminente.
Dopo l’eccidio di Marzabotto – consumato dalle SS tedesche tra il 29 settembre e il 4 ottobre 1944, durante il quale Musolesi cadde a Cadotto – la brigata si frazionò in vari gruppi.
Circa 200 partigiani, dopo avere attraversato le linee, furono riarmati dagli americani. Altri restarono in zona per proseguire la guerriglia e altri ancora raggiunsero Bologna e si aggregarono alle brigate cittadine.
La brigata ebbe 227 caduti e 184 feriti. I partigiani riconosciuti furono 1.538 e 161 i patrioti.
Nazario Sauro Onofri, Brigata Stella rossa Lupo, Storia e Memoria di Bologna