La DC degasperiana di Napoli e Caserta, tra avvicendamenti amministrativi e dinamiche di partito

Napoli: Piazza del Gesù; Foto: Gian-Maria Lojacono

La Democrazia Cristiana subito dopo la dura battaglia elettorale si avviò alla normale vita democratica interna celebrando il suo Congresso provinciale nel dicembre 1948. In questa assise del 14 dicembre 1948 prevalsero nel dibattito soprattutto le preoccupazioni dei quadri dirigenti locali sulle azioni da intraprendere in sede comunale e nazionale per garantire uno sviluppo economico e politiche attive per la ricostruzione di una città come Napoli, nella quale erano ancora ben visibili le ferite lasciate dalla guerra e dal lento processo di ricostruzione morale e materiale
[…] É possibile osservare come ci sia una sostanziale continuità politica in seno all’organismo provinciale, nel quale ci fu la riconferma di Emilio Rocca alla segreteria provinciale, ed in seno al nuovo comitato vennero eletti diversi esponenti di quella prima generazione di origine popolare, come Beniamino Degni, il sindaco di Napoli Domenico Moscati, il senatore non eletto Mailler, che aveva nel 1948 fallito l’elezione nel collegio di Napoli 3, il sindaco di Casoria Luigi Rocco e l’assessore e dominus di Acerra, dove discendente da una famiglia di esponenti politici locali ebbe in quell’area il suo feudo elettorale, Raffaele Russo Spena.
Come descritto nelle pagine precedenti, la situazione della Democrazia Cristiana napoletana fu assai debole in questa fase iniziale per problemi di impostazione ideologica e per il difficile radicamento sul territorio; lo stesso successo elettorale del 1948 non riuscì a placare le profonde debolezze di un gruppo dirigente ancora troppo eterogeneo nella sua composizione e senza una definita strategia politica, come osserva M. Caprara “la DC, combattuta al suo interno, divaga, ringhia, sembra inceppata tra l’assalto da destra che l’incalza per coinvolgerla e la pressione della sinistra, anche interna, che indica un comune itinerario antifascista” <23. Durante la prima giunta Moscati, che condusse la città al voto del 1948, risultò evidente come questo oscillare tra posizioni differenti ed altalenanti avesse portato ad una paralisi decisionale in seno al partito; non a caso durante la crisi amministrativa del gennaio 1949, la Democrazia Cristiana oltre a rinsaldare i rapporti con i monarchici, alleati nella giunta uscente, prese in considerazione anche l’opportunità di avviare delle trattative con il Blocco del Popolo, quegli stessi partiti che a livello nazionale furono condannati ad una conditio ad excludendum, ma che sulla scena napoletana furono ben visti da quell’area politica, ben presente in questa fase storica del partito napoletano, della corrente della sinistra DC.
Questa incertezza nella strategia da perseguire, rafforzare la componente centrista ed antifascista, oppure prestare attenzione all’area monarchica e conservatrice, toccò il punto di massima tensione con la decisione da parte del segretario provinciale della DC di Napoli, l’avv. Emilio Rocca, di presentare le sue dimissioni nel maggio del 1949. Ciò portò la Direzione Centrale del partito ad affidare l’incarico di Commissario Straordinario per la provincia di Napoli all’avvocato Francesco Selvaggi, sostituto avvocato generale dello Stato <24. L’anziano avvocato (aveva circa 65 anni) aveva già ricoperto un ruolo di primo piano nella Democrazia Cristiana fin dalla fondazione nel 1943, ed ora era stato chiamato ad indicare con decisione la linea politica da perseguire e soprattutto per portare il partito al nuovo Congresso provinciale che si sarebbe svolto nel mese di febbraio del 1950 e che avrebbe visto l’elezione del commissario straordinario Selvaggi alla carica di segretario provinciale <25.
Contemporaneamente a questo processo di definizione dell’impostazione politica, avvenne quel processo di trasformazione dei quadri dirigenti del partito, che allontanandosi dalla originaria dimensione notabilare e popolare, si andò avvicinando, anche grazie all’opera di proficui intermediari come Silvio Gava, ai poteri economici della città, dando origine a quella rete di reciproche influenze politico-economiche che avrebbero segnato gli anni a venire della città, della circoscrizione, del Paese. Su questo fondamentale passaggio politico e sulla situazione interna alla Democrazia Cristiana napoletana è utile leggere le parole di Silvio Gava in riferimento alla struttura delle diverse anime del partito, dalle origini fino a questa fase:
“Le tendenze si andarono via via delineando con l’avvento della sinistra di Fanfani e Dossetti, che diedero un forte e benefico impulso organizzativo alle forze del partito. Se ne fecero fautori e propagandisti a Napoli i giovani cresciuti intorno al “Domani d’Italia”: Barba, Galdo, Clemente (in seguito sindaco di Napoli e presidente della Regione Campania) e Barbi, più volte deputato alla Camera ed al parlamento europeo (…). Questo gruppo contribuì molto ad organizzare il Partito ed a promuovere utili dibattiti. L’altro gruppo, in sostanza di centro, era formato dagli anziani antifascisti, in gran parte vecchi popolari provveduti di una più o meno vasta esperienza politica; vi facevano capo l’avvocato dello Stato Selvaggi, già prefetto di Napoli per volontà del Comando Militare, l’ing. Mario Origo, gli avv. Mario e Stefano Riccio, Raul De Lutzemberger, Jervolino, Gava, Rubinacci ed altri. (…) Il terzo gruppo era formato da ottime persone di difficile classificazione, ma che in via orientativa guardavano piuttosto a destra, una destra tutta napoletana, che non aveva nulla a che vedere con preoccupazioni economiche e simpatie autoritarie: in essa eccelleva Giovanni Leone. Gruppo a parte faceva l’on. Colasanto, sempre impegnato con i suoi fedeli amici a difendere le ragioni dei lavoratori” <26.
Rispondendo all’esigenza di aggiornare alle moderne dinamiche economiche la vecchia concezione del partito tanto cara a don Luigi Sturzo, quella della centralità contadina, che in questa fase risultò antistorica e politicamente limitante, il nuovo atteggiamento della moderna DC fu quella di porsi come un partito cattolico interclassista, ma imperniato su di un solido blocco burocratico-industriale. Come scrisse Caprara, a questo fine Silvio Gava:
“iniziò una serie di contatti con i centri direzionali di grandi aziende private e grandi centrali pubbliche (la SME, l’Ente Volturno, la Circumvesuviana, il Banco di Napoli), i cui dirigenti prestarono prima attenzione, poi fiducia alla campagna giornalistica e politica che egli condusse. Sono l’ingegnere Giuseppe Cenzato, l’ingegnere Stefano Brun, l’ingegnere Ivo Vanzi, l’ingegnere Origo con tutto il quadro medio-alto dell’apparato pubblico e privato” <27.
Per la carriera parlamentare a Napoli – così come a Caserta – quindi la chiave del successo divenne il possedere un seguito personale, una clientela.
“La formazione di una clientela richiede ingenti risorse economiche o l’uso spregiudicato del sottogoverno. Di conseguenza, l’uomo politico che abbia delle ambizioni parlamentari deve necessariamente far parte di un’organizzazione, se vuol disporre di certe risorse. É quindi evidente che – per avere un’idea chiara dell’importanza per la lotta per le preferenze nel reclutamento degli uomini politici napoletani – occorre analizzare a fondo l’uso delle cariche pubbliche nelle elezioni a Napoli, perché l’accesso ad esse e la loro distribuzione svolgono un ruolo importantissimo nella selezione dei candidati” <28.
Allo stesso tempo occorre ricordare come il nuovo stato repubblicano avesse ereditato dal fascismo una serie numerosissima di enti pubblici come l’IRI (creato per superare la crisi economica del 1929) e l’Agip. Inoltre, il governo centrale conservò per sè il diritto di nominare il personale di certi istituti regionali, mentre concesse ai consigli locali eletti il diritto di nominare loro rappresentanti nelle banche e nei servizi pubblici municipalizzati. Alla prima categoria appartengono istituti d’importanza nazionale come il Banco di Napoli, e altri d’importanza regionale, come l’Ente Autonomo Volturno, l’Autorità portuale di Napoli, etc. La seconda categoria incluse organismi come l’ATAN (azienda napoletana degli autobus) e i Consorzi agrari locali <29.
A questo proposito risulta assai utile richiamare l’attenzione su un articolo della stampa di opposizione, e comparso precisamente su L’Unità del 22 agosto 1950, a firma di Gerardo Chiaromonte, noto esponente comunista di Napoli, avente ad oggetto questa corsa alla carica ed al posto in consigli di amministrazione, di cui vennero accusati i democristiani meridionali.
“Nonostante la canicola da noi ancora molto forte i democristiani meridionali sono molto indaffarati in questo periodo in riunioni varie a Napoli ed in altre città meridionali. Essi sono anche impegnati in una serie di viaggi a Roma ed in colloquio più o meno ufficiosi con questo e con quel ministero, con questo o con quel sottosegretario. Di che si tratta? Sono forse preoccupati tali ambienti DC del Mezzogiorno della situazione purtroppo sempre più grave in cui continuano a precipitare le nostre regioni? (…) Neanche per sogno. I poveretti sono costretti a lottare contro il caldo a non andare in meritate ferie, perché non possono essere assenti nel momento in cui si manipola la disposizione di vari consigli di amministrazione in cui sarà possibile controllare e decidere della sorte di molti miliardi. E tutti i parlamentari e gli uomini più influenti della Democrazia Cristiana nel Mezzogiorno non possono certo lasciarsi sfuggire simili rosee prospettive per un bagno a mare o per una scalata in montagna. La cosa grottesca è, d’altra parte, che essi cercano di coprire questo arrembaggio ai seggi dei consigli di amministrazione con la parola d’ordine meridionale. “La Cassa per il Mezzogiorno ai meridionali” essi dicono. “I soldi della Cassa per il Mezzogiorno sotto il controllo dei democristiani meridionali” essi pensano in effetti e per questa rivendicazione essi concretamente si stanno battendo. E non sono queste nostre illazioni. L’ultima di queste riunioni canicolare della Democrazia Cristiana è stata tenuta pochi giorni fa a Napoli su iniziativa della giunta esecutiva della DC della Campania, e ad essa hanno partecipato i rappresentanti di tutte le regioni del Mezzogiorno. Si trattava come specificava il comunicato stampa, di “affrettare i tempi della rinascita del mezzogiorno”. Nell’ordine del giorno votato alla fine della riunione, è detto che spetta ai meridionali amministrare ed attuare la Cassa per il Mezzogiorno e si invita il governo “a dare ai meridionali la pratica possibilità di assumere la responsabilità e l’onore della feconda realizzazione della rinascita del mezzogiorno d’Italia, attribuendo a competenti delle regioni le cariche amministrative e direttive della istituzione Cassa. I De Martino, i Sullo, i Selvaggi si preoccupavano molto come si vede delle cariche amministrative e direttive e sono tutti uniti oggi nel lottare, per far sì che una cosa, in cui c’è la possibilità di maneggiare tanti miliardi non vada a finire in mani forestiere. Essi non si preoccupavano del fatto che corre serio rischio tutta la parte dei finanziamenti alla Cassa legate al fondo lire per le nuove direttive venute da Washington di usare quei soldi solo per scopi di carattere militare. Essi non si preoccupano di indicare cosa invece hanno fatto e vanno facendo i vari comitati regionali per la rinascita del mezzogiorno, eletti alle Assise dello scorso dicembre, piani e programmi di opere da realizzare nel mezzogiorno nell’interesse delle popolazioni meridionali e non di ristretti gruppi di speculatori di agrari e di monopolisti. No, essi pensano alle cariche amministrative e direttive e si buttano all’arrembaggio della nuova greppia” <30.
La necessità di dare una forte scossa all’economia dell’Italia meridionale, uscita rovinosamente dagli eventi bellici, venne sentita fin da subito come primaria nelle coscienze del ceto politico italiano repubblicano. Eminenti studiosi come Saraceno, Menichella, Pescatore, Cenzato diedero vita a un rilevante corpus documentario, dove prevalsero due tesi, in primis l’aspetto non solo politico ma anche l’utilità economica di un avvio all’industrializzazione del Mezzogiorno, ed in secundis la necessità di porre questo problema come primario nell’agenda politica del Paese. Proprio Menichella, unitamente ad alcuni esponenti del primo IRI riunitisi nel dopoguerra nel pensatoio politico-economico SVIMEZ, mise a punto un innovativo progetto di intervento statale che avrebbe portato di lì a qualche tempo alla fondazione dell’ente Cassa per Opere Straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridionale <31, la famosa Casmez che prendendo a modello la Tennessee Valley Authority, ente americano sorto per risollevare le condizioni di quell’area depressa, fu un organismo pubblico di gestione pluriennale e intersettoriale, con ampia autonomia amministrativa e progettuale. Come disse anche il Ministro Pietro Campilli durante la discussione parlamentare che ne avrebbe accompagnato l’approvazione, avrebbe puntato soprattutto alla programmazione delle infrastrutture utili alla rinascita dei territori martoriati dalla guerra, ma soprattutto realizzando questi interventi attraverso una visione interregionale. Da un punto di vista istituzionale, le peculiarità dell’intervento pubblico promosso attraverso la Cassa furono essenzialmente due:
“in primo luogo, esso intendeva essere un tentativo organico di avviare a soluzione radicale il problema delle aree depresse superando, in un quadro unitario e sinergico, le diverse competenze amministrative e le suddivisioni territoriali; in secondo luogo, in virtù del suo carattere straordinario e della vasta portata degli investimenti previsti, il programma di investimenti della Cassa non si sarebbe sostituito ai normali interventi delle amministrazioni dello Stato ma si sarebbe aggiunto ad essi per integrarli, in un’azione unificante e in una graduazione delle opere da finanziare in base a criteri non solo tecnici, ma soprattutto economici e sociali, con particolare riguardo alla loro produttività, al loro rendimento, al loro impatto in termini occupazionali” <32.
Insieme alla Cassa venne varata nel 1953 una nuova legge, la 298, che formalizzò la creazione di tre istituti speciali per il credito a medio termine in favore delle industrie del mezzogiorno, l’ISVEIMER, a favore del territorio meridionale continentale, l’IRFIS per il territorio siciliano ed il CIS per il territorio sardo.
Proprio l’approvazione della norma il 10 agosto 1950, che tradusse in legge la storica iniziativa che “Il Domani d’Italia” ed i democristiani meridionali assunsero col motto di “Mezzogiorno impegno d’onore della DC” <33, diede il via a grandi opere pubbliche anche nella circoscrizione di Napoli, come la Bonifica del Basso Volturno. Questo modello di programmazione economica avrebbe cambiato totalmente la politica dell’intervento pubblico nelle realtà locali, in quanto le leve del finanziamento concesso e gestito direttamente dalla Cassa, rimasero saldamente in mano ad esponenti democristiani ed i soldi vennero dirottati verso quei personaggi del sottogoverno che avrebbero, in quelle opere, trovato terreno fertile per garantire le proprie clientele elettorali. Soprattutto nella città di Napoli, questa struttura nazionale dovette e potette condizionare politicamente l’amministrazione comunale, che come si vedrà più avanti finì ben presto nelle mani di un amico-nemico della Democrazia Cristiana, il Comandante Achille Lauro. In questi anni iniziò così quel processo di gestione politica dell’economia e dell’industrializzazione statale da parte della Democrazia Cristiana e della sua classe dirigente, e se nei centri urbani risultarono utili le reti di relazioni e connivenze con i ceti dirigenti delle grandi industrie private e delle società pubbliche, nelle aree periferiche, soprattutto per quanto riguardò la provincia di Caserta, territorio a grande vocazione agricola, questo processo avvenne attraverso il controllo politico di strutture <34 come gli Enti di Riforma Agraria, la Federconsorzi ed il controllo dei tre Consorzi di Bonifica presenti sul territorio.
Sul territorio casertano erano presenti tre consorzi di bonifica: il Consorzio di Bonifica Aurunco, territorialmente ubicato a cavallo tra le provincie di Latina e Caserta; il Consorzio di Bonifica Sannio Alifano, nel cui territorio ricadono 42 comuni della provincia di Caserta (zona di Caserta e hinterland, e area matesina), 37 della provincia di Benevento e 3 della zona avellinese; ed il Consorzio di Bonifica del Bacino Inferiore del Volturno, comprendente 58 comuni casertani, 44 napoletani, 14 avellinese e 2 beneventani. A confermare pienamente la tesi dell’occupazione politica della DC delle posizioni di rilievo in seno agli enti agricoli della provincia, utilizzati come centri di propagazione del potere clientelare, venne l’articolo pubblicato su L’Unità del 1 maggio 1948, nel quale venne denunciato l’arrembaggio portato avanti dal partito di maggioranza cattolico nella gestione degli enti di riforma attivati sul territorio per rispondere all’esigenze del ceto agricolo:
“Il Piano annunciato dal Ministro Scelba, con il suo clamoroso discorso agli attivisti romani della DC sta entrando in piena applicazione. Dai Ministeri, dagli uffici governativi giungono notizie sull’arrembaggio democristiano a tutte le cariche dove è possibile sostituire o trasferire coloro che, frontisti o non frontisti, abbiano il torto di non essersi piegati a servire gli interessi di questo o quel gruppo privilegiato, personali di questo o quel ministro. Funzionari direttamente legati ai gerarchi democristiani o indicati direttamente dai gruppi privilegiati hanno i nuovi incarichi. Sbalorditiva è la campagna di arrembaggio iniziata dal Ministro Segni nei confronti dei consorzi agrari. In meno di 48 ore sono stati sostituiti i compagni on. Raffaele Pastore, Ciro Maffuccini e l’indipendente Liguori, commissari dei Consorzi di Bari, Caserta e Lecce. (…) I sostituti sono naturalmente, secondo la chiara direttiva di Scelba, tutti democristiani. A Caserta l’incarico è stato dato al più grosso agrario del luogo, il conte Leonetti, che ha una rendita agraria di circa mezzo miliardo l’anno. Il totalitarismo DC nei consorzi agrari che anche prima del 18 aprile era sviluppatissimo è ormai quasi completo” <35.
A questi enti vanno aggiunti per la provincia di Caserta anche le importanti Comunità Montane insistenti sul territorio, rispettivamente: quella del Matese comprendente 17 comuni, quella del Monte Maggiore comprendente 9 comuni ed infine quella del Monte Santa Croce comprendete soli 8 comuni come rappresentato nelle carte delle pagine seguenti […]
[NOTE]
23 Caprara, I Gava, cit., p. 20.
24 ACS, MI, Gabinetto, Partiti politici, DC, scatola 54, Napoli, nota del 17 maggio 1949.
25 Ivi, nota del 23 febbraio 1950.
26 S. Gava, Il tempo della memoria. Da Sturzo ad oggi, Avagliano, Cava de’ Tirreni 1999, pp. 237-238.
27 Caprara, I Gava, cit., p. 25.
28 Allum, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, cit., p. 194.
29 Ivi, p. 197.
30 La Cassa è in vista, all’arrembaggio i dirigenti DC, “l’Unità”, 22 agosto 1950.
31 Sulla Casmez e la sua opera cfr. AA.VV., Intervento straordinario e amministrazione locale nel Mezzogiorno, Franco Angeli, Milano 1985; S. Cafiero, Storia dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno (1950-1993), Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma 2000; G. Pescatore, La Cassa per il Mezzogiorno. Una esperienza italiana per lo sviluppo, Il Mulino, Bologna 2008.
32 Marco Santillo, La messa in opera della Casmez, in “Quaderni Svimez”, La Cassa per il Mezzogiorno. Dal recupero dell’archivio alla promozione della ricerca, numero speciale 44 Roma 2014, p. 200.
33 Democrazia Cristiana, Mezzogiorno, impegno d’onore della Democrazia Cristiana, Edizioni Il Domani d’Italia, Napoli 1947.
34 Sull’uso degli enti pubblici a fini di consenso politico, F. Cazzola, Anatomia del potere democristiano. Enti pubblici e “centralità democristiana”, De Donato, Bari, 1979; su un caso simile relativo al territorio della provincia di Latina: S. Mangullo, Cassa per il Mezzogiorno, politica e lotte sociali nell’Agro pontino (1944-1961), Franco Angeli, Milano 2015; sul caso ciociaro si veda T. Baris, C’era una volta la DC. Intervento pubblico e costruzione del consenso nella Ciociaria andreottiana (1943-1979), Laterza, Roma-Bari 2011.
35 In 48 ore Segni sostituisce tre Commissari di Consorzi agrari, in “L’Unità”, 1 maggio 1948.
Luigi De Francesco, Gruppi dirigenti e rappresentanza parlamentare della Democrazia Cristiana nella circoscrizione Napoli – Caserta (1948-1963), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, 2017