La destinazione della “Bamon” doveva essere la Valcamonica

Il Castello di Mongivetto in una fotografia d’epoca

[…] Gli interrogatori per gli arruolamenti si svolsero nelle stanze del comando militare del Partito d’azione, che dall’ottobre 1943 era sede del comando militare azionista a Roma. In una breve corrispondenza del gennaio 1945 tra Emma Fano, militante azionista, ed il tenente britannico Donaldson si legge tra le altre cose: «[…] la conoscemmo grazie al fatto che era la segretaria del quartier generale del Partito d’azione, con cui abbiamo frequenti contatti visto che, nel periodo immediatamente seguente la liberazione di Roma, lavorammo negli stessi uffici con Conti e Bauer» 6.
«Fui convocato al Comando alleato – ha raccontato Bauer – dove un gruppo di generali stava discutendo delle operazioni partigiane che andavano svolgendosi nell’Italia centrale e settentrionale. Mi dissero di essere informati di quanto avevo fatto organizzando il movimento armato del Pda nella Giunta militare del Cln e mi posero alcuni quesiti relativi all’aiuto che credevo potesse essere più utilmente offerto alle formazioni clandestine operanti al Nord» 7.
Giorgio Marincola si presentò dagli ufficiali del Soe il 19 giugno 1944, quindici giorni dopo l’ingresso delle truppe angloamericane a Roma, insieme ad alcuni altri membri del Partito d’azione. Si trattava di Eugenio Bonvicini, Attilio Pelosi e Lionello Santi 8.
Durante le ultime settimane dell’occupazione tedesca a Roma, il settore in cui operava Marincola, la terza zona, strinse il suo collegamento con il comando militare azionista.
Non è un caso che gran parte dei militanti azionisti arruolati al Soe provenissero da quella zona. In particolare, oltre a Marincola, la figura di Gianandrea Gropplero di Troppenburg, pilota dell’aeronautica friulano d’origine e giunto a Roma nell’ottobre 1943, è centrale in questo avvicinamento 9.
La sera di sabato 3 giugno 1944, nella squadra azionista che partecipò all’occupazione della redazione de “Il Messaggero” troviamo Gropplero e Marincola ed anche Bonvicini e Santi 10.
Bonvicini, Marincola e Santi di lì a poco diventeranno membri della missione militare denominata “Bamon”.
Eugenio Bonvicini (Massa Lombarda, Ravenna, 1922 – Bologna, 2008) era giunto a Roma nell’ottobre 1943 ed aveva iniziato a collaborare alla produzione di documenti falsi con Guido Bonnet.
Introdotto al Soe, come gli altri, dal capitano in congedo Antonio Conti, principale collaboratore militare di Bauer, risulta vicino ad alcuni elementi dell’ala liberalsocialista romana. Il giudizio espresso nei suoi confronti dagli ufficiali britannici non è lusinghiero, dal momento che lo stimarono «Young and keen but gave the impression of having a rather slow brain. Somehow immature. Would best be used working under a leadership of another more dominating
personality» 11.
Lionello Santi (Portoferraio, Livorno, 1918 – Roma, 1955) era membro del Pda fin dalle origini ed era giunto a Roma da Bergamo negli ultimi giorni del 1943. Contrariamente a Bonvicini, venne fatto immediato affidamento sulla sua esperienza e modo d’essere: «Made a very good impression, as a cool and capable leader type. Appears to [be] very keen to go into action again with the bands. His previous experience and knowledge of resistance work and of the area N of Bergamo should be useful» 12.
In una memoria personale, Santi ha raccontato, con una certa ironia, la sua decisione di estendere il suo percorso resistenziale dopo la liberazione di Roma (nonché le motivazioni di questi arruolamenti) in seguito ad un colloquio con Bauer: «Verso il 15 di giugno [1944] mi recai a trovare Riccardo Bauer che mi aveva convocato con una certa urgenza. Mi raccontò un episodio che io peraltro già conoscevo: pochi giorni prima della liberazione si era paracadutato nei dintorni di Roma Aldo Garosci noto con lo pseudonimo di Magrini. Garosci aveva riferito delle difficoltà in cui si trovava a Milano lo “zio” Ferruccio Parri, capo unico del Corpo Volontari della Libertà, per mancanza di quadri. Infatti in quel periodo purtroppo le perdite erano enormi.
Erano le 9 di sera circa e Riccardo Bauer terminò il suo discorso dicendomi: “Caro Nello, bisognerebbe che qualcuno tornasse su”. Ne convenni immediatamente, lungi dal pensare che si riferisse a me. “Certo, bisognerebbe che qualcuno andasse su!”. “Tu per esempio”. “Io?!” Sobbalzai. Dopo un attimo di stupore cercai di prendere tempo. Non ne avevo molta voglia» 13.
Santi, che sarà messo a capo della “Bamon”, risulta arruolato il 20 giugno 1944 14, cioè il giorno seguente il suo interrogatorio.
Complessivamente il Partito d’azione romano, grazie a Bauer e Conti, fornì ai servizi segreti di sua maestà diciotto partigiani delle sue formazioni. Un numero inferiore, probabilmente, alle aspettative del Soe, tant’è che nonostante i tentennamenti iniziali a suo carico, Marincola risulta arruolato nella missione “Bamon” dal 25 giugno 1944 15.
Nel suo dattiloscritto, Santi ricostruisce le fasi successive. «Ci dissero – scrive – che avremmo dovuto intraprendere un viaggio. Salimmo su di una grossa jeep. Non conoscevamo la destinazione, non avevamo la minima idea di cosa dovessimo fare e di quanto saremmo dovuti rimanere. Ciascuno di noi avanzava ipotesi e faceva congetture» 16.
Il trasferimento conduce le nuove reclute da Roma in Puglia, sulle colline di Monopoli, nella liberty Villa Indelli. Scrive ancora Santi che «proveniente da tutta Italia e da altri paesi, si era raccolta una sorta di Brigata Internazionale 17.
Scopo del soggiorno in Puglia era l’addestramento dei novelli agenti britannici, consistente in un corso di sabotaggio e sopravvivenza, al castello normanno di Santo Stefano, sulla zona costiera, ed uno di paracadutismo, questo invece all’aeroporto di San Vito dei Normanni a Brindisi.
È di nuovo utile riferirsi alle parole di Lionello Santi, oltre che per la piacevolezza della narrazione, anche per i dettagli che forniscono.
«Il corso fu molto intenso, un vero corso di sopravvivenza: ci fu insegnato ad orientarci con la bussola, a trovare il cibo nascosto, a montare e smontare ad occhi bendati armi chiuse in un sacco e molte altre cose. Tra queste armi ricordo lo Sten, fucile mitragliatore rudimentale che si inceppava sempre, il Marlin, la Beretta, la Liama Extra calibro 9, la Colt 45. Queste erano le armi standard che noi dovevamo abituarci a maneggiare ad occhi chiusi e che erano in dotazione ai sabotatori. Dovevamo conoscere bene anche la Mauser tedesca» 18.
Questo rapido resoconto dell’addestramento dà un’idea chiara di come partigiani che provenivano dalla realtà della Resistenza cittadina (prevalentemente nel Lazio ed in Toscana) dovessero adattarsi in fretta ad una situazione del tutto nuova. Siamo del parere che, in questo senso, l’esperienza dell’addestramento abbia contribuito a creare alcune basi della convivenza, che si sarebbe realizzata di lì a un mese, con donne e uomini che da qualche mese erano in collina
ed in montagna. Se non da un punto di vista necessariamente comunicativo, quanto meno sotto l’aspetto più “operativo” di scambio di esperienza. E questo per quanto sommari fossero questi tirocini, come si legge ancora nelle parole di Santi: «[…] tre settimane per il corso di sabotaggio e solo due giorni per quello di paracadutismo. La cosa mi sorprese molto perché io avevo sentito dire che per il corso di paracadutismo occorrevano molti mesi: noi invece dovevamo fare tutto in 23 giorni, compreso il paracadutismo […] consistente in un giorno di teoria ed un secondo giorno di pratica: quattro lanci in dieci ore, di cui uno notturno» 19.
Questo passaggio è segnato anche dall’assunzione di falsi nomi di battaglia, anche questa un’esperienza nuova per i partigiani azionisti romani e che, sempre nelle parole di Santi, assume toni molto pregnanti: «[…] fui anche battezzato […]. Era l’ossessione della Security: dovevamo da quel momento dimenticare il nostro nome, le nostre origini, tutto ciò che fino ad allora ci aveva identificato» 20.
Non è banale, né semplice drammatizzazione del ricordo, quello che qui scrive Lionello Santi. Quella che definisce “ossessione” per le regole di segretezza era qualcosa di nuovo per loro, ed il cambiamento di nome gli appariva come una sospensione della propria identità. Nei mesi della Resistenza romana l’uso dei nomi di battaglia non era diffuso tra le fila azioniste, a parte qualche caso (uso cui invece da subito si abituarono i gappisti del Pcd’I o elementi del Fronte militare clandestino di resistenza).
Inoltre non sono poche le memorie partigiane che ricordano la fine della vita clandestina come una riappropriazione identitaria, e tale tematica è presente anche in alcuni canti partigiani. Ne sia un esempio la canzone della Resistenza francese “La complaint du partisan”, scritta nel 1943 da Emmanuel d’Astier de la Vigerie e Anna Marly (ripresa da Leonard Cohen nel 1969, col titolo di “The Partisan”), che all’inizio della terza strofa recita: «J’ai changé cent fois de nom» 21.
Giorgio Marincola, che scelse come nome di battaglia “Mercurio”, per la sua passione per la corsa, mantenne lo pseudonimo fino al suo arresto, quando ne assunse un altro, “Renato Marino”, che con i compagni aveva concordato avrebbe usato in caso fosse finito in mano nemica. È significativo il fatto che sul registro del carcere di Biella sia riportato il nome di Renato Marino, il falso nome di Giorgio, ma i suoi reali luogo e data di nascita, così come i veri nomi dei genitocome a segnare, a nostro avviso, la volontà di riappropriazione di sé 22.
Santi come pseudonimo scelse “Sciabola”, mentre Bonvicini scelse “Carmagnola”.
Concluso l’addestramento, fu formata la missione “Bamon”, i cui altri componenti, oltre a Bonvicini, Marincola e Santi, furono Gabriele Ricci (“Gabory”) ed il radiotelegrafista Sergio Angeloni (“Amici”). Furono dotati di armi, divise, documenti falsi (approntati da altri due azionisti che, dall’organizzazione militare presente a Roma, si erano messi a disposizione del Soe, Guido Bonnet ed Alberto Giordano 23) e di denaro («un milione ciascuno, una cifra enorme all’epoca – ricorda Santi – più alcune sterline d’oro per l’emergenza» 24).
La destinazione della “Bamon” doveva essere la Valcamonica, tuttavia un incontro, decisivo, impose un cambiamento di programma: l’incontro tra Santi ed Edgardo Sogno 25.
Sogno, o “Franchi”, se si vuole usare lo pseudonimo che dava il nome alla formazione partigiana autonoma da lui comandata, fu scambiato dal gruppo della “Bamon” per un ufficiale inglese 26 e con loro condivise il viaggio che li portava al Nord. «L’obiettivo principale – ricorda Sciabola – era […] quello di lanciare lì Edgardo Sogno ed un rilevante quantitativo di materiale bellico» 27. “Lì” era il territorio del Biellese, che divenne la nuova meta della “Bamon”, all’insaputa dei suoi stessi componenti che, ha scritto lo stesso Sogno, «erano all’oscuro perfino del campo su cui sarebbero stati lanciati» 28. I cinque della “Bamon” ne erano all’oscuro («una volta saliti sull’aereo scoprimmo di essere [lì] destinati invece che a Bergamo» 29), ma la variazione di destinazione era stata annunciata due giorni prima dallo Stato maggiore dell’esercito con un telegramma che invitava a tenersi pronti ad accogliere un emissario speciale accompagnato da una missione in partenza, oltre che il materiale bellico 30. Destinatari del telegramma erano i comandi della brigata “Colonnello Cattaneo” della VII divisione di “Giustizia e libertà”, al cui vertice era Felice Mautino, formata il 5 agosto 1944 con diciassette uomini provenienti dalla valle di Champorcer, nella Val d’Aosta sudorientale, come riportato nello “stato giuridico” della brigata stessa 31.
Il lancio avvenne nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1944 sul campo “Adstone”, che corrispondeva ad un’area nei pressi di Zimone, a sud di Biella. Il gruppo si sistemò nel castello di Mongivetto, dove installò una sorta di quartier generale, insieme agli uomini della “Cattaneo”.
Le vicende della “Bamon” possono essere divise in tre periodi distinti: dall’arrivo fino alla metà del novembre 1944, di lì fino alla metà del gennaio 1945, infine di lì fino alla Liberazione. Gli eventi periodizzanti di questa suddivisione furono l’arrivo della missione inglese “Cherokee”, la notte tra il 16 e il 17 novembre ’44, e l’arresto del capo operativo di quest’ultima il 17 gennaio ’45.
Pochi giorni dopo l’approdo della missione nel Biellese, Bonvicini, che aveva il ruolo di vice di Santi, si ritrovò a capo del gruppo.
Questo perché Santi, fin dal viaggio del 20 agosto, come lui stesso testimonia, aveva ricevuto da Sogno l’offerta di entrare a far parte della “Franchi”. In un suo telegramma ricevuto dall’ufficio informazione dello Stato maggiore il 25 agosto 1944, infatti, si legge: «Sciabola arrivato bene alt materiale radio distrutto difettosità paracadute alt materiale industriale mancante alt […] proseguo per Milano con Franchi alt missione inizia istruzioni zona Biellese gruppo Monti et seconda Garibaldi» 32.
Con lui nelle fila della “Franchi” passò anche il radiotelegrafista Sergio Angeloni; il suo posto nella “Bamon” fu preso da Lucio Spoletini, col nome di battaglia “Armando” 33. Lucio Spoletini era giunto nel Biellese da Brindisi il 24 aprile 1944 insieme all’altro telegrafista Renato Bambino (“Lupo”). Quest’ultimo aveva raggiunto nell’agosto del 1944 le formazioni di Cino Moscatelli in Valsesia, ove era rimasto fino al dicembre successivo. Spoletini continuò invece ad operare nella zona 34.
Buona parte dell’attività della “Bamon” in questa prima fase è dunque ricostruibile sulla base delle relazioni di Bonvicini: «[…] i tedeschi non disturbano. Ne colgo motivo per intensificare, da settembre a metà novembre 1944, addestramento dei reparti con particolare cura al sabotaggio ed uso di mine contro autocolonne. Operazioni nelle quali Mercurio è maestro con viva soddisfazione dei partigiani. Contatto il Gl Alimirio [Mario Pelizzari], uomo e partigiano straordinario […]. Ho anche ottenuto collaborazione di distaccamenti della 75a e della 76a Brigate Garibaldi. Mercurio e Gabory, per la loro capacità e per il notevole lavoro, ottengono il grado di Tenente sul campo. Con loro conduco azioni contro linee ferroviarie ed un colpo di mano contro un treno tedesco nei pressi del Canale Cavour sulla linea Torino-Milano 35. I primi atti di sabotaggio contro quella linea ferroviaria furono degli ultimi giorni dell’agosto 1944, come riportato dalla citata relazione riassuntiva riguardo alla costituzione della brigata “Cattaneo”. In essa infatti si fa riferimento a due attacchi con l’uso di esplosivi e la conseguente distruzione delle locomotive, il primo condotto da Bonvicini e Marincola insieme ad un gruppo di giellisti della “Cattaneo”, il 26 agosto 36 ed il 30 agosto, e ad un altro, il 28 agosto, in cui «veniva fermato il treno Biella-Torino alla stazione di Brianco. Perquisito e catturati due militi della Gnr. Alla fine veniva fatto saltare due vagoni sugli scambi della stazione» 37.
Bonvicini sottolinea per questa azione la cooperazione tra i gielle e i membri della “Bamon”, annotando nella sua relazione che «il tenente Gabory cattura un furgone delle ferrovie con un tedesco e due militi della Polizia Ferroviaria, poi liberati» 38.
Anche Sogno fa un accenno a questa azione: «I compagni di Nello e i ragazzi della banda di Monti erano stati molto attivi. Gabory, della Bamon, con due compagni soltanto, aveva fermato il diretto di Torino, fatto scendere tutti i passeggeri e derivata la locomotiva. I militi di scorta erano stati disarmati e condotti prigionieri a Mongivetto» 39.
Gabriele Ricci infine conferma la sua presenza e quella di Marincola nell’azione del 28 settembre 40.
Le azioni della “Bamon” portate a termine in collaborazione con la brigata “Cattaneo” sono menzionate anche nelle relazioni inviate con una certa regolarità da Mautino al comando centrale delle formazioni gielliste e a quello della zona del Biellese, al Cln di Biella ed al comando della “Franchi”. […]
6 TNA [PRO], Hs 6/808, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations, Fano Emma.
7 RICCARDO BAUER, Quello che ho fatto. Trent’anni di lotte e di ricordi, in “Rivista milanese di economia”, quaderno n. 13, Milano, Cariplo-Laterza, 1986, p. 191.
8 Cfr. TNA [PRO], Hs 6/807-811, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations.
9 Cfr. CARLO COSTA – LORENZO TEODONIO, Razza partigiana. Storia di Giorgio Marincola (1923-1945), Roma, Iacobelli, 2008, pp. 86-90.
10 Idem, pp. 89, 96.
11 TNA [PRO], Hs 6/807, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations, Bonvicini Eugenio, letteralmente: «Giovane ed entusiasta ma ha dato l’impressione di essere lento di comprendonio. In qualche modo immaturo. Sarebbe meglio che fosse messo a lavorare sotto la leadership di un’altra personalità, maggiormente dominante».
12 TNA [PRO], Hs 6/811, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations, Santi Lionello, letteralmente: «Ha fatto una gran buona impressione, come il tipo di leader scaltro e capace. Sembra essere entusiasta di andare in azione con le bande. La sua precedente esperienza e la conoscenza dell’attività di Resistenza nell’area N di Bergamo potrebbe esserci utile».
13 LIONELLO SANTI, Giugno 1940 – aprile 1945, dattiloscritto, pp. 2-3, per gentile cortesia della signora Franca Santi Invernizzi.
14 Cfr. TNA [PRO], Hs 9/1304/1, “Santi Lionello”, Agent’s Particulars, 3 settembre 1945.
15 Cfr. TNA [PRO], Hs 9/989/2, “Marincola Giorgio”, Record sheet, 19 luglio 1946.
16 L. SANTI, op. cit., pp. 3-4.
17 Idem, p. 4.
18 Idem, p. 5.
19 Idem, pp. 4-5.
20 Idem, p. 5, corsivi nostri.
21 Letteralmente: «Ho cambiato nome cento volte», che Cohen ha riadattato in «I have changed my name so often».
22 Cfr. C. COSTA – L. TEODONIO, op. cit., p. 130 e Archivio Casa circondariale di Biella, Carceri giudiziarie, Matricola detenuti dal n. 1 del 12 settembre 1943 al n. 1173 del 12 febbraio 1945.
23 Cfr. GUIDO BONNET – ALBERTO GIORDANO, Un anno con la n. 1 Special Force, in N. 1 Special Force nella Resistenza italiana: atti del convegno di studio tenutosi a Bologna,
28-30 aprile 1987 sotto gli auspici dell’Università di Bologna, Bologna, Clueb, 1990, pp. 445-448.
24 L. SANTI, op. cit., p. 7.
25 Cfr. EDGARDO SOGNO, Guerra senza bandiera, Bologna, Il Mulino, 1995 (1a edizione Milano, Rizzoli, 1950) pp. 260-261.
26 L. SANTI, op. cit., p. 6.
27 Idem, p. 7.
28 E. SOGNO, op. cit., p. 263.
29 L. SANTI, op. cit., p. 7.
30 Cfr. RENZO AMEDEO (a cura di), Missioni alleate e partigiani autonomi. Atti del convegno internazionale. Torino 21-22 ottobre 1978, Cuneo, L’Arciere, 1980, pp. 98-99, telegramma in partenza n. 44, 18 agosto 1944.
31 Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea (d’ora in poi IPSRSC), fondo Mautino, Bm 1, fasc. a, Cvl, Formazione “Gl”, Distaccamento del Biellese, Relazione e comunicazioni a firma del comandante Monti, 23 agosto 1944.
32 Cfr. Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito (d’ora in poi USSME), H2, faldone 25, telegramma in arrivo senza numero, 25 agosto 1944.
33 EUGENIO BONVICINI, Le missioni Cherokee e Bamon nel Biellese, in N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, cit., vol. I, p. 103.
34 TNA [PRO], 9/1403/4 “Spoletini Lucio”, Interrogation report on Bambino, Renato alias Lupo, Renato. Spoletini, geniere radiotelegrafista, era nato a Treia, in provincia di Macerata, nel 1922. Cfr. anche Cfr. R. AMEDEO (a cura di), op. cit., pp. 91, 98, 146.
35 E. BONVICINI, op. cit., p. 103.
36 La presenza di Bonvicini e Marincola in questo attacco fu testimoniata da Gabriele Ricci nel corso dell’interrogatorio cui fu sottoposto dal Soe dopo la Liberazione, il 2 maggio 1945; cfr. TNA [PRO], Hs 6/810, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations, Ricci Gabriele.
37 IPSRSC, fondo Mautino, Bm 1, fasc. a, Comando, Stato giuridico della Brigata Biellese “Colonnello Cattaneo”, relazione inviata dal comando della VII divisione alpina “Gl” alla commissione di controllo per il titolo di partigiano di Torino, 9 settembre 1946.
38 Relazione redatta da Carmagnola, citata in ANTONIO CONTI, Missione Bigelow. Ori, Sez. Ant., Roma, se, 1993, p. 303.
39 E. SOGNO, op. cit., p. 290.
40 Cfr. TNA [PRO], Hs 6/810, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations, Ricci Gabriele.
Carlo CostaLorenzo Teodonio, Giorgio Marincola e la missione “Bamon”, l’impegno, rivista di storia contemporanea aspetti politici, economici, sociali e culturali del Vercellese, del Biellese e della Valsesia, a. XXIX, nuova serie, n. 1, giugno 2009, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli

11. Il Tenente Mercurio [48]
Il lancio coi paracadute avvenne dopo la mezzanotte del 20 agosto, nei pressi di Zimone, a sud di Biella.
Ad accoglierci, la brigata “Cattaneo”, della settima divisione “Giustizia e libertà”.
La prima notte dormimmo al castello di Mongivetto e il mattino dopo ci preoccupammo del materiale lanciato assieme al gruppo e consistente in armi, munizioni ed esplosivi, una radio trasmittente, oltre ai nostri bagagli.
M’avviai con Mercurio per la stradetta di campagna che avevamo percorso la notte per andare al castello.
In cinque minuti sboccammo sulla radura dove la sera prima erano accesi i fuochi. Era il campo del nostro atterraggio. Vedevo bene la macchia bianca dei paracadute, ma quando fummo sul posto non trovai che un container. Tutto il resto era soltanto corde e seta.
Dopo inutili e affannose ricerche, un partigiano della Cattaneo venne ad avvisarmi che in un casolare vicino, alcuni partigiani garibaldini del distaccamento “Bixio” stavano aprendo un collo lanciato con tutta evidenza durante la notte
Raggiungemmo allora la cascina, per chiedere la restituzione del materiale. I garibaldini erano armati di Sten nuovissimi, ancora unti di grasso. Spiegammo loro che le armi e il resto appartenevano alla missione Bamon, arrivata quella stessa notte, ma fummo cacciati con violenza, da due o tre energumeni che molto a fatica si potrebbero dire partigiani.
Nel pomeriggio seguente, ci recammo di nuovo alla sede del distaccamento garibaldino, ma non trovammo né i partigiani, né il materiale. Tornati al castello di Mongivetto lo scoprimmo circondato da una cinquantina di garibaldini armati di Sten, tutti senza sicura e pronti per il fuoco. Come condizione per poter trattare ottenni dai loro capi che ponessero fine all’accerchiamento, e solo allora i membri della missione riuscirono a chiarirsi con il commissario Renati e lo convinsero a consegnare le armi, gli esplosivi, l’apparecchio radio e quant’altro fosse in loro mano.
[48] Il testo che segue è una rielaborazione a partire dalla testimonianze di Edgardo Sogno – che venne lanciato su Zimone insieme alla missione Bamon – e di Felice Mautino, detto Monti, comandante della brigata “Cattaneo” di Giustizia e Libertà.
WU MING 2, BASTA UNO SPARO. Storia di un partigiano italo-somalo nella Resistenza italiana

Di particolare rilievo fu l’organizzazione del Gruppo GL di Eric-Bora a Santhià che, collegato con la missione, eseguì su vasta scala il sabotaggio dei treni militari con mine magnetiche ed altri mezzi ed impiantò entro le officine ferroviarie di Santhià una fabbrica clandestina dove costruì mitragliatrici, Sten, trappole per il sabotaggio e persino un’autoblindo, ed inoltre istituì un’efficiente rete d’informazioni militari su vasto raggio sugli spostamenti delle truppe nemiche. Vennero effettuati diversi aviolanci sulla Serra (campo Adstone 1 ed Adstone 2 a Magnano) di armi e di paracadutisti destinati ad altre zone e fra questi venne paracadutato anche il capitano Burns, polacco, già nostro istruttore alla base, che si appoggiò alla nostra missione per il suoi particolari compiti verso i polacchi impiegati dai tedeschi nella Todt (in seguito Burns venne raccolto ferito mentre superava le linee del fronte con la Francia, sostituito poi da un tenente polacco paracadutato).
Partecipai a numerose riunioni dei CLN di Biella, Ivrea, Aosta, Vercelli e dei comandi partigiani, collaborando per gli accordi che condussero alla istituzione del Comando unificato di zona fra le varie componenti della Resistenza.
Il 12 novembre vennero alla mia sede il maggiore Peters Churchill, Franchi e Santi, ai quali consegnai un rapporto sulla zona; essi mi prean­ nunciarono l’arrivo di una missione britannica.
Nella notte fra il 17 e il 18 novembre 1944 sulla Serra (campo Adstone 1) venne paracadutata la missione britannica Cherokee al comando del maggiore Alastair Macdonald, con i capitani Pat Amoore e Jim Bell ed il sergente radiotelegrafista Tony Birth. Amoore, altissimo, lo trovammo aggrovigliato nel paracadute dentro un porcile che aveva sfondato, fortunatamente illeso.
La missione Bamon venne incorporata nella Cherokee.
[…] Nella notte del 23 aprile 1945 i reparti partigiani occuparono Biella e la missione pose il suo comando all’albergo Principe.
Il 24 aprile il maggiore Readhead riunì a Biella i capi partigiani dell’Alto Piemonte per esaminare il piano E27, d’insurrezione ed attacco alle città della pianura Padana.
In tale occasione il maggiore Readhead mi ordinò di entrare a Vercelli, ancora occupata dal nemico, assieme al sergente radiotelegrafista Giuseppe ed al caporale australiano Jones, con il compito di mantenere il collegamento radio con la base e con il radiotelegrafista Birth presso il capitano Amoore, di trasmettere ogni notizia riguardante le forze nemiche, di rappresentare la missione presso il CLN di Vercelli, e mi munì di un documento del Comando alleato che mi autorizzava a raccogliere la resa di truppe nemiche. Nel pomeriggio del 24 aprile, in uniforme di tenente inglese, partii per Vercelli su un automezzo militare tedesco scoperto – al quale avevamo cancellato i segni distintivi nemici sostituiti da una scritta British Military Mission e posto sul cofano una bandiera inglese – con il radiotelegrafista Giuseppe ed il caporale Jones, pure in divisa della missione, e due partigiani vercellesi di scorta. Nei pressi della città, abbandonato l’automezzo che recuperammo in seguito, guidati da una staffetta, ci incamminammo per strade deserte. Ad un incrocio ci imbattemmo in una pattuglia nemica e, dopo un breve scontro a fuoco, riuscimmo a sganciarci ed a raggiungere una fabbrica vicino alla stazione ferroviaria, occupata dagli operai armati, dove trovammo riuniti i membri del CLN di Vercelli ed il comandante Spada della brigata SAP. Trasmisi via radio le informazioni ricevute.
Il 25 aprile, con i comandanti Spada e Renato, trattai la resa del presidio tedesco, che venne accettata, solo per le truppe tedesche, per il giorno successivo. Si arresero circa mille uomini.
[…] Il 28 aprile ci giunse notizia che i tedeschi avevano attaccato in forze le linee partigiane a Cigliano, Trenzano ed altre località, cagionando molti morti e, d’accordo con il comandante Mastrilli, richiesi alla base un mitragliamento.
La base confermò e con il comandante partigiano mi recai ancora a parlamentare, mentre tre caccia mitragliavano nei pressi di Cavaglia, rioccupata dai tedeschi. La tregua venne ancora prorogata per 12 ore e si cominciò a discutere di resa.
Il 29 aprile la base mi comunicò che dal mattino successivo una pattuglia della Quinta Armata, che nel frattempo era giunta a Genova già in mano partigiana, era disponibile per raggiungere Vercelli al fine di rafforzare i tentativi di indurre i tedeschi alla resa, ma, per assicurare la sicurezza delle strade, avrei dovuto raggiungerla oltre Novi Ligure, dandomi le coordinate sul punto d’incontro. All’alba del 30 aprile partii da Vercelli, percorrendo strade secondarie, sull’automezzo col quale ero partito da Biella, sempre con la bandiera inglese sul cofano. Il sergente Jones era alla guida e due partigiani stavano sdraiati sui parafanghi per controllare che sulla strada non vi fossero mine, il comandante partigiano Lungo era al mio fianco.
[…] Dopo una sosta in prefettura a Vercelli, con il comandante di piazza ci recammo a parlamentare con i tedeschi. Pur mostrando che si trattava di un reparto della Quinta Armata, ci dissero che avrebbero trattato la resa solo con un ufficiale americano di grado superiore e venne riconfermata la tregua.
Il tenente americano ripartì per riferire al suo comando. All’alba dell’1 maggio 1945 un reggimento corazzato della 5^ divisione americana giunse a Vercelli ed i carri armati si attestarono sulle linee partigiane di San Germano, mentre altri proseguirono per Biella, dove nel frattempo il capitano Amoore concordava con i tedeschi le modalità della resa.
Il 2 maggio 1945 raggiunsi la missione all’albergo Principe di Biella, mentre giungevano, tra grida ostili della folla, il generale tedesco ed il suo stato maggiore, scortati da partigiani e soldati americani.
[…] Alla missione Cherokee vennero assegnate le funzioni di AMG per le città di Biella, Ivrea, Vercelli, ed ottenni di dividere tali compiti con il capitano Amoore per Biella ed Ivrea dove maggiormente avevo operato.
Il 25 giugno partii per Siena per rendere il rapporto sulla missione svolta al comando della Special Force.
Durante il periodo del “governatorato” mi recai oltre Trento per recuperare e portare a Biella la salma del tenente Marincola della nostra missione, che, liberato dalla prigionia, si era aggregato ai partigiani trentini ed era caduto il 4 maggio 1945 – dopo la resa delle truppe tedesche in Italia – in un ultimo combattimento con SS tedesche.
Eugenio Bonvicini, Le missioni Cherokee e Bamon nel Biellese, Milano Libera