La figura di Alberto Mochi va calata nel periodo particolarmente delicato e preoccupante in cui visse

Il dottor Alberto Mochi e l’idea di creare dei villaggi per alienati in Eritrea
A metà del 1916 il dottor Alberto Mochi, allievo di Antonio D’Ormea e libero docente nella Regia Università di Siena e, in colonia, direttore “del posto di medicazione della Ferrovia Eritrea in Ghinda”, tra Asmara e Massaua, presenta la sua Relazione sulla organizzazione di un servizio sanitario per gli indigeni della Colonia Eritrea <277, redatta tra febbraio e maggio 1916, al direttore della Ferrovia Puccini, con preghiera di “volerla esaminare e trasmettere all’on. Governo della Colonia” <278.
Con questo testo, il medico suggerisce al Governo come “la cura degli indigeni […] potrebbe essere con frutto e con spesa infinitamente minore organizzata in modo diverso, e cioè adoperando su larga scala l’opera degli indigeni stessi” <279, ai quali non mancherebbero le capacità per un rapido apprendimento e per l’imitazione dei metodi di cura visti applicare e insegnati dal medico bianco.
Mochi ripone fiducia nell’intelligenza degli indigeni, “tutt’altro che selvaggi” pur con una “mentalità […] diversa dalla nostra”.
[…] L’idea di Mochi ci creare una Scuola per infermieri indigeni riscuote successo, poiché i potenziali risultati prodotti dalla formazione di personale sanitario indigeno – “un certo numero di indigeni intelligenti e volenterosi” – sottoposto alla supervisione del medico europeo, sarebbero soddisfacenti non solo dal punto di vista umanitario e strettamente sanitario, ma anche da quello economico e politico <281.
La scuola verrà “istituita a titolo di esperimento” a Ghinda e resterà attiva dall’agosto 1916 all’agosto 1917, diretta in un primo tempo da Mochi stesso, poi, dal primo febbraio, dal capitano medico Enrico Scarpis.
Se quest’idea che sta al cuore della concezione di Mochi di un sistema sanitario rispondente ai bisogni della colonia è stata realizzata, altre idee o proposte di ambito e di impatto forse più limitato, ma secondo Mochi di “enorme importanza sia sociale che individuale” <282, sono rimaste lettera morta, testimoniate solo dalla relazione succitata del medico senese.
È il caso dei villaggi per l’assistenza ai malati mentali che rientrano, con i lebbrosari e gli ambulatori chirurgici, tra i “sistemi di assistenza speciali” <283.
Mochi sostiene infatti che con la creazione di appositi villaggi con annesse colonie agricole, gli alienati potrebbero essere assistiti nel modo più efficace ed economicamente virtuoso.
[…] Nelle pagine di Mochi emerge un’organizzazione articolata, che coinvolge attivamente la popolazione indigena, non solo come parte “da curare”, ma anche come forza lavoro. Riguardo alla sua ultima proposta, decisamente innovativa, di creare dei villaggi per gli alienati, possiamo rilevare un elemento di notevole interesse, ossia la circolazione dei modelli di frenocomio e delle nozioni di “tecnica manicomiale” e la loro applicabilità a situazioni coloniali. Il medico promotore della “colonia per alienati” si dimostra attento alle idee innovative (nei diversi campi della medicina, non solo in psichiatria) e alle soluzioni che si adattino nella maniera migliore alle circostanze locali.
Le sue riflessioni – le stesse per cui anche nella colonia libica si rimanderà la creazione di un manicomio vero e proprio: l’esiguità dei casi, i costi elevati – approdano a una soluzione ideale peculiare che, già adombrata per le colonie dell’Africa occidentale francese dal dottor Cazanove <285, sarà adottata in Nigeria o in Senegal nel passaggio dalla fase coloniale a quella postcoloniale <286.
[NOTE]
277 Alberto Mochi, Relazione sulla organizzazione di un servizio sanitario per gli indigeni della Colonia Eritrea, dattiloscritto, ASDMAE, Fondo Eritrea, b. 979.
278 Lettera che accompagna la relazione, datata 4 giugno 1916.
279 Alberto Mochi, Relazione, cit., p. 8.
281 “Tali infermieri a corso ultimato ed in seguito ad esame si sarebbero inviati in posti di medicazione per la cui ubicazione si sarebbero adottati criteri sanitari e politici. […] Dal lato della politica di penetrazione poi dovrebbero preferirsi le località che hanno scambi numerosi con l’oltre confine affinché le genti colà residenti potessero conoscere l’istituzione e desiderarla: inoltre posti di medicazione cogli stessi concetti potrebbero essere istituiti anche fuori dalla colonia in modo da poter servire di non disprezzabile mezzo di penetrazione pacifica giacché non v’ha chi non veda quale influenza potrebbe in ogni caso ed in ogni senso esercitare il medico sull’indigeno giacché la via più breve per arrivare al cuore di questa gente è quella della salute”, ivi, p. 26.
282 Ivi, p. 32.
283 Ibidem.
285 Dopo aver visitato la colonia di Gheel in Belgio, dove era in uso la pratica di affidare i malati mentali alle famiglie locali, Cazanove ritiene che una tale prassi potrebbe essere convenientemente applicata anche nell’Africa occidentale francese. Franck Cazanove, Compte rendu des travaux du Congrès des aliénistes de langue française de Bruxelles, «Annales de médecine et de pharmacie coloniales», 25, 1927, pp. 338-363.
286 Con Adeoye Lambo, in Nigeria; con Henri Collomb (1913-1979), ex psichiatra militare, a Dakar, in Nigeria. Questi, fondatore della cosiddetta scuola di Dakar, che aveva la sua sede l’ospedale psichiatrico di Fann, è uno dei primi psichiatri ad interessarsi alle pratiche terapeutiche praticate in Africa (lui lavora in Senegal), mosso dalla volontà di integrare tecniche e concezioni mediche occidentali con quelle locali ancestrali. Arriva nel 1958 a Dakar come primario di neuropsichiatria e titolare di quella cattedra alla facoltà di medicina, creata in quell’anno. Su Collomb: R. Arnaut, La folie apprivoisée: L’approche unique du professeur Collomb pour traiter la folie, De Vecchi, Paris 2006; M. Boussat, À propos de Henri Collomb (1913-1979): De la psychiatrie coloniale à une psychiatrie sans frontières, «L’autre: cliniques, cultures, sociétés», 3, 2002, pp. 411-424.
Marianna Scarfone, La psichiatria coloniale italiana. Teorie, pratiche, protagonisti, istituzioni. 1906-1952, Tesi di Dottorato, Università Ca’ Foscari, Venezia, 2014

Non è frequente incontrare un personaggio che, nell’esercitare l’attività professionale, nella fattispecie, di medico psichiatra, ha trovato anche il tempo per interessarsi con una certa acutezza e profondità di analisi, a problematiche di carattere internazionale e, in particolare, inerenti alla costituzione di una Federazione europea.
Ebbene, la figura di Alberto Mochi <1 va calata nel periodo particolarmente delicato e preoccupante in cui visse, caratterizzato dalle due guerre mondiali, dai notevoli mutamenti internazionali, dallo sviluppo della tecnica, dalla paura della bomba atomica e per il futuro della civiltà.
Particolarmente interessante risulta la sua dura condanna nei confronti dell’operato della Società delle Nazioni, la presa di posizione contro gli egoismi individuali e le sovranità nazionali, nonché l’opposizione alla guerra intesa come strumento di risoluzione delle controversie, ed infine, i seri dubbi sul futuro dell’O.N.U.  Così, il Mochi, arrivava ad affermare che: “Non è più il tempo in cui l’uomo può sottomettersi alle necessità naturali e lasciarsi guidare dai fatti: bisogna che si serva della sua intelligenza per piegare i fatti ai suoi fini”. Ora l’uno, ora l’altro dei fatti sociali, poteva rappresentare il pericolo e doveva essere modificato con urgenza. Al riguardo, l’autore poneva l’esempio dell’epoca di Augusto, nella quale il pericolo era costituito dalla schiavitù; la sovranità degli Stati, manifestatasi sotto tutte le sue forme, rappresentava invece il pericolo nel periodo in cui visse.
[…] Prendendo spunto dal fallimento della Società delle Nazioni, che aveva aperto uno stato di crisi nella civiltà occidentale, l’autore si mostrò alquanto scettico sia nei confronti di chi professava idee di costituzione di una Federazione mondiale, sia nei confronti dell’istituzione dell’O.N.U.
In quanto alla prima, la considerava solo “un comodo paravento per dare alla prepotenza una verniciatura morale” <11 e, quanto alla seconda, affermava: “l’O.N.U. ha ripetuti gli errori della Società delle Nazioni ed è destinata a subirne le sorti. Non si uniscono federalmente popoli che non hanno in comune le concezioni fondamentali della vita”. <12
Così, proseguendo nella critica, il Mochi diceva inoltre che “Il Patto Atlantico minaccia di divenire quello che fu la Società delle Nazioni: un organismo destinato a garantire ad una parte dei vincitori la conservazione dei frutti della vittoria”. <13
Per il Mochi, quindi, tutto questo stava a dimostrare quanto fossero gravi gli ostacoli che si opponevano ad una federazione effettiva e non soltanto nominale, “che intanto funzionerebbe in quanto potrebbe imporre la propria volontà a ciascuno dei componenti e quindi ne ridurrebbe realmente la sovranità e li terrebbe alle proprie dipendenze”. <14
Insomma, si aveva come l’impressione che nessuno volesse modificare lo stato delle cose, andando così incontro alla guerra, alla legge dei ricorsi storici, ad una condizione di crisi profonda della civiltà. Per il Mochi, l’esperienza non ha insegnato nulla agli uomini politici, poiché questi vanno ricommettendo con cieca ostinazione gli errori del passato.
[…] Sul piano internazionale, i membri del Partito d’Azione non avevano perduto la speranza di realizzare la fusione del liberalismo col socialismo. A tale proposito il Mochi fa presente che due dei più noti azionisti, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, si erano interessati della questione in un volumetto firmato con le loro sole iniziali, uscito durante la lotta clandestina ed intitolato “Problemi della Federazione europea”. <17
[NOTE]
1 Alberto Mochi – Medico psichiatra, nato a Firenze il 26 settembre 1883 da Giuseppe e Giorgia Roster e deceduto nella stessa il giorno 8 febbraio 1949. Laureatosi nel 1906, frequentò a Siena il laboratorio di fisiologia di Balduino Bocci e dedicò poi vari anni all’Ospedale psichiatrico di quella città. Fu redattore capo della Rassegna di Studi psichiatrici a Siena dal 1911 al 1914 e libero docente di clinica e malattie nervose e mentali nel 1914. In tale periodo, pare che il Mochi abbia scritto numerose comunicazioni a società scientifiche e articoli su riviste, quali ad esempio, “Le Asimbolie” in Rassegna di st. psich., Siena 1914. Trasferitosi poi in Eritrea, vi restò fino al 1918 in qualità di capitano medico. Passò poi, quale medico capo, all’Ospedale italiano “Umberto I” del Cairo. Dal 1922 fu medico fondatore della Soc. International (poi Royale) de Medicine d’Egypte e dell’Institut d’Egypte e, dal 1936, presidente dell’una e dell’altro. Fu durante il suo soggiorno africano che egli cominciò a stendere i primi frutti delle sue riflessioni sull’applicazione del metodo scientifico allo studio dei fatti sociali, con la memoria su “I fondamenti, i limiti e il valore della psicologia scientifica”, pubblicata nel Bollettino dell’Institut d’Egypte (titolo originario: “Les fondements, les limites et la valeur de la Psychologie scientifique”, Cairo 1926). Assumono un certo valore filosofico, le dottrine enunciate dal Mochi nei 3 volumi editi dalla Biblioteque de philosophie contemporaine dell’Alcan (ora Presses Universitaires de France) e precisamente: “La connaissance scientifique” del 1927; “De la connaissance à l’action” del 1928; “Science et morale dans les problemes sociaux” del 1931. Successivamente l’autore ha scritto “Perchè l’uomo è uno sconosciuto?” critica di un libro celebre (Siena 1943). Infine, scrisse: “Civiltà. I termini di una crisi” (1947) e “Oriente comunista e federazione europea. Materialismo marxista e moralismo storico” (1948), quest’ultimo pubblicato postumo nel 1950.
12 Mochi Alberto (a cura di) Oriente comunista e federazione europea. Materialismo marxista e moralismo storico, La Nuova Italia, Firenze, 1950, p. 77. Opera pubblicata postuma, scritta nel 1948.
13 Op. cit. Oriente com. p. 79.
14 Op. cit. Civiltà, p. 237.
17 A tale riguardo, vedere Op. cit. Oriente com. p. 14.
Michele Magli, Il pensiero di Alberto Mochi. Idee e prospettive per una federazione europea in FUNZIONE PUBBLICA, Periodico della Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Anno XI – N. 2 / 2005 – Nuova serie