La Missione Appomatox

Esempio di messaggio cartaceo realizzato dal Servizio Informazioni Militari del CUMER e inviato mediante staffetta oltre le linee alla centrale di ricezione della V Armata USA prima a Siena poi a Firenze: una rilevazione (18 marzo 1945) sulla dislocazione di truppe tedesche nella direttrice della provinciale San Donato tra San Sisto, Quarto Inferiore, Granarolo – Materiale di Ferruccio Trombetti – Fonte: Resistenza cit. infra

Nell’estate del 1944, più esattamente nella notte tra il 17 e il 18 agosto, da un aereo militare americano si lanciarono tre uomini col paracadute sulle alture modenesi, e con essi i grandi ombrelli di seta fecero calare preziosi involucri. Il luogo, località Selva di Puianello, nell’Italia occupata dall’esercito tedesco, ma con grande presenza delle formazioni partigiane. Il terzetto era composto da italiani cui veniva affidato un importantissimo compito: la ricetrasmissione di messaggi da e per la Resistenza.
Iniziava così la ”Operazione Appomatox”, organizzata da una branca speciale dell’Office of Strategic Services della Quinta Armata statunitense ed affidata ad un responsabile, il bolognese Ferruccio Trombetti (alias Ferruccio Michelangeli), avente come supporto l’aiutante Servi (“Mario”) e il radiotelegrafista De Carlo (“Mannaia”).
L’impresa avveniva alle ore 0,30 coordinate S 14 SEET 86, dopo poco più di una dozzina di tentativi, ostacolati di volta in volta da bufere di vento, visibilità scarsa a causa di spessa nuvolaglia, nebbia e pioggia scrosciante. Ma non fu un inizio positivo, giacché gli involucri contenenti l’apparecchio radio e il materiale accessorio subirono danni non immediatamente riparabili, che anzi comportarono l’avvio del collegamento con la centrale OSS, prima in Siena poi in Firenze, dopo un non breve ritardo.
La vicenda “Appomatox”, contenuta in numerosi appunti di Ferruccio Trombetti e da lui testimoniata in vari, seppur succinti modi, è ora raccolta in forma organica dal ricercatore Marco Minardi, direttore dell’Istituto Storico della Resistenza dell’età contemporanea di Parma, dal cui lavoro è uscito, nel maggio scorso, un interessantissimo libro, con l’introduzione di Maurizio Fabbri, nipote di Trombetti.
[…]
Vedremo dopo il tipo di lavoro affidato, ma è estremamente interessante sapere perché e come la scelta è caduta sul bolognese (di Minerbio, per l’esattezza).
Ferruccio Trombetti è stato chiamato alle armi di leva, inviato (per sorteggio) nella guerra civile in Spagna (1936-1939), al rientro trattenuto alle armi nei granatieri, spedito in Jugoslavia a Italia entrata nel conflitto al fianco della Germania, tornato a Roma con la caduta del fascismo, nei combattimenti dell’8 settembre 1943 nella difesa della Capitale. Rifiuta il “tutti a casa” e si unisce ai primi gruppi partigiani nella zona dei Castelli romani. Qui fu uno dei capi della Resistenza ad Albano, Civitavecchia, Viterbo.
[…]

Esempio di messaggio cartaceo realizzato dal Servizio Informazioni Militari del CUMER e inviato mediante staffetta oltre le linee alla centrale di ricezione della V Armata USA prima a Siena poi a Firenze: piantina di campi minati tedeschi a margine della via Emilia (17 febbraio 1945) tra Castel San Pietro e l’intersezione per Dozza – Materiale di Ferruccio Trombetti – Fonte: Resistenza cit. infra

Tutte notizie che venivano raccolte e fornite incessantemente dalla rete clandestina della Resistenza essenzialmente delle province di Modena, Reggio Emilia, Bologna, raccolte in ogni dove e verificate ed avallate dai CLN e dal CUMER, Comando Unico Militare Emilia-Romagna.
Ferruccio Trombetti accettò di buon grado, in qualche maniera “tornava” verso casa”. Non a caso era stato valutato come indice preferenziale anche la sua conoscenza del dialetto. Dal canto suo apprezzò il tratto biografico dei due ufficiali: erano stati anche loro in Spagna, ma dalla parte degli antifranchisti quali componenti della Brigata Lincoln composta di statunitensi.
Perché i comunisti nel delicatissimo servizio di intelligence? Marco Minardi riporta un giudizio di Irving Goff contenuto nell’intervista da lui concessa ad un giornale sindacale americano dopo la guerra: “L’esperienza ci insegnò che i comunisti rappresentavano di gran lunga il gruppo più numeroso, il più forte, il meglio organizzato del paese e scoprimmo che erano assolutamente affidabili e degni di fiducia. Essi erano pronti e desiderosi di lavorare con noi. Ci rifornirono di personale estremamente capace che potemmo addestrare e dirigere, riuscendo a contattare i gruppi di partigiani presenti nei territori occupati dai nazisti”.
Non solo un’attività a senso unico, quella della radio di Trombetti: attraverso i messaggi correvano anche i rifornimenti di armi e munizioni, equipaggiamento, viveri per la Resistenza. Ed inoltre – di notevole importanza politica – la possibilità per il Pci di canalizzare a sua volta comunicazioni tra la sede centrale di Roma libera (Togliatti, alias Ercoli) e il centro clandestino nel Nord Italia (Longo, alias Gallo). Oltre che via etere, cartine topografiche, disegni, foto, documenti, venivano inviati oltre le linee del fronte al referente alleato mediante staffette particolarmente versate.
L’addestramento al lancio col paracadute avvenne ad Algeri e fu lo stesso capitano Goff a istruirlo di persona. Tra l’agosto 1944 (ovvero nelle settimane seguenti dopo la riparazione della radio) e l’aprile 1945, “Ermete”, uno dei nomi di copertura di Ferruccio, con la “Radio Mele”, così indicata, trasmise 374 messaggi e ne ricevette 155.
[…]
Marco Minardi, Oltre la linea del fronte. Ferruccio Trombetti e la missione alleata “Appomatox”, Marsilio Editori in Venezia 2008, pagg. 201
R.B., “Attenzione, qui radio Mele…”, tutte le notizie sui nazifascisti, RESISTENZA, Organo dell’ANPI Provinciale di Bologna – Anno VI – Numero 4 – Settembre 2008

Il 18 agosto 1944 Ferruccio Trombetti fu paracadutato sull’Appennino modenese unitamente ad altri 2 tecnici, con l’incarico di impiantare una stazione radio. Il compito del gruppo – uno dei tanti che operavano sull’Appennino, da Piacenza al mare – era quello di trasmettere al comando americano informazioni sull’attività e i movimenti dell’esercito tedesco e di tenere i collegamenti tra il CUMER e lo stesso comando. Il gruppo di Trombetti fu denominato “Operazione Appomatox”. La missione – organizzata dall’OSS – durò dall’agosto 1944 al 24 aprile 1945. La sua area d’operazione andava dall’Appennino reggiano a quello bolognese. Complessivamente trasmise 374 messaggi e ne ricevette 155.
Nazario Sauro Onofri, Storia e Memoria di Bologna

Il 18 agosto 1944 un gruppo dell’ORI-OSS, il servizio segreto americano, guidato dal sergente Ferruccio Trombetti di Minerbio, viene paracadutato al di qua delle linee tedesche a Selva di Puianello, sull’Appennino modenese.
La missione, denominata Appomatox, è nata dall’iniziativa di due ufficiali dell’OSS (la futura CIA) nella sede romana del Partito comunista.
Il suo scopo è controllare i movimenti delle truppe tedesche, informare su obiettivi militari e inoltre trasmettere messaggi tra le direzioni di Roma e Milano del Partito comunista e tra il CUMER, il CLN emiliano e il CLNAI.
Nel complesso trasmetterà e riceverà circa 500 messaggi via radio. I contatti col CUMER saranno diretti solo dal dicembre 1944.
Altre missioni alleate, americane dell’ORI-OSS o inglesi della N. 1 Special Force, avranno difficoltà nel rapporto con il Comando unico, mentre troveranno maggiore collaborazione con brigate quali la Modena di Armando e la 28a di Bulow.
La missione Santini (Victory 1 e Victory 2), guidata da Ennio Tassinari e destinata ad accompagnare la discesa della Divisione Modena verso Bologna, avrà contatti solo indiretti con il CUMER tramite ufficiali di collegamento. Lo stesso sarà per la missione inglese Wilcockson, presente a Bologna nell’ottobre 1944. biblioteca.salaborsa

Fonte: E-Review, cit. infra

Il giorno 26 [4] a Ca’ Bonucci arriva l’agente dell’Oss “Mario Santini” (Ennio Tassinari) [5] col compito di fermare la discesa delle formazioni partigiane in pianura, il quale incontra Armando e riesce a convincerlo a non scendere a Bologna perché gli Alleati stanno avendo grosse difficoltà e non riusciranno a sfondare il fronte, tanto che l’offensiva su Bologna sicuramente verrà rinviata [Angeli e Tassinari 2012, 49]; infine, richiede insistentemente un lancio di rifornimenti. Nella notte del 27 settembre (verso le ore 22,30-23) al Lago di Pratignano avviene il lancio, ma alcuni contenitori scoppiano e, non solo i partigiani ricevono pochi rifornimenti, ma lo stesso lancio ha l’effetto di segnalare ai tedeschi la loro presenza. Infatti, al mattino vengono subito attaccati, dapprima da avanguardie tedesche, poi, nel pomeriggio, arrivano ingenti rinforzi e si scatena una vera e propria battaglia. I partigiani sono a corto di munizioni, ma resistono. Lo scontro termina sul far della sera, quando i tedeschi si ritirano, mentre i partigiani, col favore del buio e favoriti dalle avverse condizioni meteorologiche, riescono a sganciarsi: dal Passo della Riva scendono a Madonna dell’Acero, infine arrivano a Pianaccio dove la popolazione li accoglie calorosamente e dove trascorrono la notte nella ex-casa del Fascio. Il giorno seguente (29 settembre) la marcia riprende verso Monteacuto, fino a giungere a Castelluccio di Porretta, frazione già occupata dalla Brigata bolognese Matteotti, che proprio quel giorno sta respingendo un attacco tedesco; un gruppo di partigiani modenesi si unisce ai matteottini per respingere tale attacco. Armando insedia il proprio comando nella località Pennola (Porretta Terme) [Angeli e Tassinari 2012, 48-50; Tassinari 1996, 86-90; Bellelli 1966, 60; Cotti 1999, 6-7; Cotti 1994, 64-6; Cotti (ed.) 2013, 47-8].
4 Anche se Tassinari nel suo libro [Tassinari 1996, 86] scrive che incontra Armando il 27 settembre, in quello scritto con Angeli, rettifica la data, anticipandola al giorno 26 [Angeli e Tassinari 2012, 48].
5 Ennio Tassinari, “Mario Santini”, agente Ori, in carico all’Oss, dal 18 settembre 1944 sta svolgendo la missione “Team Medlar II radio Victory” con il compito di «comunicare la consistenza e la dislocazione delle forze militari nemiche, e nell’organizzare e coordinare le forze partigiane con le forze alleate per sferrare l’offensiva su Bologna» [Tassinari 1996, 80].

Massimo Turchi, La Zona libera del Belvedere. I rapporti tra i partigiani, le amministrazioni locali e gli Alleati (settembre 1944-aprile 1945), E-Review, Rivista degli Istituti Storici dell’Emilia Romagna in Rete, 3, 2015. DOI: 10.12977/ereview103

<…> Il primo problema risiedeva nell’individuazione di ufficiali preparati per questo tipo di lavoro. I British Liaison Officers dovevano avere una grossa preparazione ed un background particolare <46, tale da permettere loro di operare facilmente in Italia <47. Inoltre un BLO « […] doveva essere un buon giudice, doveva saper distinguere fra attendisti ed attivisti, fra chi si sarebbe servito di esplosivo e chi l’avrebbe accantonato; doveva sopportare isolamento, fame e maltempo», insomma, «non aveva altra guida che se stesso» <48. Ma nonostante questo per l’«esercito privato di sua Maestà»49 non era facile capire le sottili sfumature che distingue- vano la realtà politica italiana dell’epoca50. Data la grande varietà d’impostazione delle formazioni le direttive ribadivano che non l’invio di aiuti sarebbe stato subordinato al ricevimento dei «rapporti dai BLO» e le loro valutazioni. Un compito molto difficile che implicava la massima cura nella scelta tra i graduati Alleati.
Venne preso in considerazione anche l’invio di italiani, ma solamente dopo « […] un’attenta selezione» e solo con funzioni ridotte, come l’interpretariato, «come mera missione di contatto designata per preparare la strada per il lancio immediato di ufficiali britannici o americani» oppure «per uno specifico obiettivo di sabotaggio» <51.
Nel settembre del 1944 le missioni dello SOE sul campo erano complessivamente 17, di cui 9 britanniche: Flap/ Fin [?], Ferulla, B[?], Envelope (che si era divisa in seguito ad un rastrellamento tedesco in Envelope, Envelope Blue e Silentia), Turdus, Blundell Violet, Col[?], e Floodlight, ed 8 italiane Flare, Decolage, Beinstone, Pluma, Winchester, Ant[?], Canopy, e Beacon. Si tratta comunque di una partizione artificiosa perché derivava dalla nazionalità del comandante. Gli inglesi optarono per questa presenza mista perché la presenza di soli italiani era considerata potenzialmente destabilizzante. L’americano Office of Strategic Service invece utilizzava molti ufficiali italiani <52, che agivano in maniera scoordinata rispetto alle missioni britanniche, duplicando i contatti ed inasprendo la latente rivalità con lo SOE <53. Si caricava di difficoltà notevoli in virtù della loro scarsa professionalità, eccessiva apprensione in merito alle difficoltà <54, o a causa della loro politicizzazione <55. Proprio per questo, e considerata « […] la tendenza di ciascuna [missione] ad agire indipendentemente», la Special Force ipotizzò più di una volta il coordinamento di tutte le operazioni di «un area sotto lo stesso BLO» <56.
La seconda difficoltà era stata già incontrata durante la collaborazione con il SIM: localizzare il luogo dove i Liaison Officers avrebbero operato, e non solo perché « […] ci voleva tempo per preparare i campi di paracadutaggio»<57. Essi avrebbero ottenuto il massimo risultato solo se impiegati nei centri di comando militare <58, i quali teoricamente ne sarebbero usciti rinforzati e ne avrebbero facilitato le mansioni di coordinamento<59. La situazione italiana però era caratterizzata da una variegatura militare assimilabile a quella politica, i « […] gruppi locali hanno [ciascuno] i propri comandanti» mentre le uniche unità direttive di una certa rilevanza, presenti nelle città più importanti come Milano, Torino e Padova, non erano « […] Quartier Generali simili a quelli di Tito», e spesso si trovavano in competizione gli uni con gli altri. Era noto infatti che i responsabili militari piemontesi, al pari dei loro omologhi politici del CLN, non riconoscevano l’autorità del Comitato Militare del CLN milanese. Non mancavano esperienze positive, in Piemonte operava la Franchi ed in Lombardia le Fiamme Verdi, ma il era difficile inquadrarne la natura, esse erano considerate sia come dei casi riusciti di collaborazione interpartitica, o per- cepiti come dei veri e propri centri direttivi. Per questa serie di ragioni venne deciso di inviare gli ufficiali presso le singole formazioni. «[…] Dal nostro punto di vista è importante inviare personalità di carattere con una conoscenza del lavoro e degli obiettivi dello SOE e capaci di assumere la leadership», agenti che sarebbero stati affiancati da un gruppo selezionato ed addestrato di italiani, alcune volte un operatore W/T, un esperto di esplosivi ed un addestratore, i quali gli avrebbero assistiti nelle loro funzioni <60.
La scelta dei settori presso cui inviare i Liaison Officers correva parallela alla selezione delle aree da rifornire. Una valutazione basata sulle esigenze della strategia militare alleata, cui contribuiva la rilevanza numerica o operativa delle formazioni con cui lo SOE sarebbe entrato in contatto 61, e la sicurezza dell’area geografica. Un criterio quest’ultimo che generalmente escludeva le pianure 62, ma coinvolgeva anche quelle collinari e montuose. <…>
48 M. SALVADORI, Sul cammino verso il CLNAI (25 ottobre 1943 – 5 marzo 1945), in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, p. 91.
49 G. BOCCA, Storia dell’Italia…cit., p. 187.
50 M. SALVADORI, La Resistenza: luci e ombre della collaborazione italo-britannica, in AA.VV., Italia e Gran Bretagna nella lotta di liberazione, Firenze, 1977, p. 112; ID, Gli Alleati e la Resistenza italiana…cit., p. 501 e ss.
51 HS 6/843, Appendix B. Some Operations on Liaison with Partisans.
52 HS 6/835 del 27-5-45, Brown-. Secondo Brown il capitano Formichelli, nome in codice Bob, sembrava avere un solo compito: quello di «tenere i partigiani ben armati». Le sue formazioni erano «troppo ben vestite e troppo ben armate». Inoltre non conosceva le direttive Rankin e non mostrava alcun interesse a riguardo. Le sue formazioni ave- vano «fatto un buon lavoro ma senza dubbio avrebbero potuto fare meglio con tutto il materiale che avevano».
53 HS 6/843 del 26-5-45; HS 6/835 del 27-5-45; HS 6/856 del 22-3-45; HS 6/849 del 24-11-45; HS 6/850 del 27-11-44,
N. 1 Special Force-. Report on situation in the field in the Carnia/Friuli zone. La missione americana nell’area non era riuscita a stabilire nessun contatto con i partigiani.
54 HS 6/864 del 26-5-45, Irwin-. Il rapporto di collaborazione tra la missione Genesse e le italiane Savoia e Sirio era
stato sempre positivo, anche se queste erano eccessivamente apprensive in merito alle difficoltà dei loro compiti.
55 HS 6/841 del 22-6-45, Bell-. Il maggiore giudicava che l’invio della missione italiana composta da due operatori
radio, Armando e Amici, era stato un «errore […] perché erano influenzati politicamente e non volevano aver niente a che fare con i garibaldini».
56 HS 6/830 del 2-6-45, Henderson-, Blundell Violet.
57 M. SALVADORI, A proposito di una missione…cit., p. 43.
58 HS 6/775 11 del 31-5-44, J-Maryland.
59 [HS 6/775 30 del 3-3-44, ?-Maryland. Una serie di messaggi provenienti dall’Italia e «altri rapporti indicano fortemente che un serio movimento esiste anche se le unità sono al momento disgiunte e una leadership centrale potrebbe essere difficoltosa. L’essenziale appare essere l’invio presso il Quartier Generale di operatori W/T».]
60 HS 6/827 2 del 10-12-44, anonimo. Il documento era frutto dell’interrogatorio dell’italiano Contri che aveva lavorato nella zona intorno a Siena nell’aprile del 1944; HS 6/829 22, undated, anonimo, ci testimonia la missione del capitano Otto.
61 HS 6/858 del 4-6-45, King-?. Missione Bandon VII nell’area di Torino.

Mireno Berrettini, Le Missioni dello Special Operations Executive e la Resistenza Italiana, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Pistoia, QF, 2007, n° 3

Il relativo isolamento del CUMER nei confronti delle brigate stanziate in Appennino e delle missioni di collegamento con i comandi alleati, produrrà incertezze e incomprensioni sullo svolgimento delle operazioni militari dei partigiani durante l’attacco alla Gotica e nell’imminenza della liberazione della città.
Nel febbraio 1945 il comandante del CUMER Barontini e il vice comandante Cavazzuti stabiliranno contatti diretti con la missione Sihaka, guidata dal “Capitano Bilancia” (Ferruccio Mazzara) per conto dello Stato Maggiore dell’Esercito italiano e collegata al comando britannico N.1 Special Force.
Interruzioni e contrattempi – ad esempio i ripetuti trasferimenti della base radio, tra via Saffi, via d’Azeglio e via Belle Arti – renderanno comunque i rapporti precari e insicuri nei momenti di massima urgenza, alla vigilia dell’attuazione del piano insurrezionale.
biblioteca.salaborsa

Il libro di Marco Minardi [Marco Minardi, Oltre la linea del fronte. Ferruccio Trombetti e la missione alleata Appomatox, Marsilio, 2008] ricostruisce la vicenda di Ferruccio Trombetti e della missione alleata Appomatox, operante nell’Appennino modenese nei mesi finali della seconda guerra mondiale a sostegno della Resistenza locale, missione che fu concordata tra i servizi segreti americani (OSS) e il PCI. In cambio delle informazioni militari sui movimenti tedeschi, gli alleati consentirono l’uso della radio della missione (Radio Mele) per trasmettere messaggi tra la direzione romana capeggiata da Palmiro Togliatti e quella clandestina diretta da Luigi Longo. Il volume contiene un inserto fotografico realizzato da Trombetti durante e dopo la lotta partigiana e la trascrizione di tutti i messaggi inviati e ricevuti dalla missione Appomatox.
Ferruccio Trombetti, resistente fin dall’8 settembre 1943, prese parte al primo episodio della Resistenza italiana, la battaglia di Porta San Paolo a Roma contro l’avvio dell’occupazione tedesca e successivamente collaborò con l’Oss ad una delle più importanti missioni in Italia, nota come Appomatox. La recente desecretazione negli Usa degli archivi dei servizi segreti e segnatamente della Cia e dell’ Oss ha messo a disposizione degli studiosi documenti, relativi all’Italia negli anni della guerra e del dopoguerra. Trombetti classe 1916, di famiglia contadina di Minerbio, operaio canapino fece un lungo periodo di guerra a partire da quella di Spagna a quella Mondiale, nel II° granatieri a Roma. Dopo l’8 settembre e gli scontri di Porta S. Paolo si unisce alla Resistenza Romana ai Castelli ed è qui che secondo testimonianze è fra i protagonisti de LA NOTTE DI FUOCO del 20-21 dicembre 1943
– Nella notte la banda dei Castelli Romani porta a termine una spettacolare azione. Vengono fatti saltare quasi contemporaneamente il ponte Sette Luci della ferrovia Roma-Formia a circa 25 km da Roma mentre vi transita un treno carico di militari tedeschi (con circa 400 tra morti e feriti) e tra i caselli 14 e 15 della Roma-Cassino, nei pressi di Labico, un treno carico di esplosivi. L’attentato era stato preceduto un mese prima da una operazione perfetta nella sua esecuzione: anzi era sembrato troppo facile collocare 3,5 kg di esplosivo sotto le traversine …così ricordava Cesare Passa
“Tu non puoi immaginare neanche lontanamente, Severino, che spettacolo impressionante e spaventoso nello stesso tempo e ciò che si prova sentire con un fortissimo boato e vedere al tempo stesso il locomotore tutto avvolto dalle fiamme e sollevato per più di un palmo dal binario e ricadere già sopra i binari e riprendere ad andare. Noi che credevamo di avercela fatta, rimanemmo esterefatti, come è possibile che non sia avvenuto nulla, come è possibile che il treno abbia potuto riprendere la corsa come se nulla fosse avvenuto?!”. Su quel ponte si esercitava una strettissima vigilanza: ogni mezz’ora vi passavano due pattuglie. Per giorni e giorni, notte e giorno i nostri compagni, Ferruccio Trombetti, sostituito ogni tanto da Giuseppe Mannarino. Il tempo in cui si vedevano che spuntavano le due pattuglie, quanto tempo impiegavano a percorrere il ponte, quanti minuti impiegavano per allontanarsi e il tempo preciso in cui ricomparivano le altre due pattuglie. Non si poteva fare in tempo a mettere a posto tutto l’approntamento dell’apparato della mina in 15 minuti, tempo massimo che potevano restare i nostri compagni allora, dovevamo lasciare il lavoro fatto, coprire bene ciò che avevano fatto affinché le pattuglie passando non si accorgessero di nulla, e quando erano passate ritornare in fretta sul ponte e proseguire il lavoro con la massima calma, mettere bene i detonatori, le capsule al fulminato di mercurio che avrebbe schiacciato il locomotore perché dopo tanti secondi, calcolato al decimo di secondo, sarebbe successo il disastro. Certo, il lavoro dei compagni che stavano approntando la mina era protetto dai compagni di squadra che erano armati di mitra, di pistole e di bombe.
20/12/1946 Ponte delle 7 luci.
Due squadre, l’una composta da Ferruccio Trombetti, Alfredo Giorgi; l’altra da Enzo D’Amico, Giuseppe Mannarino e Pino Levi Cavaglione questa volta di esplosivo ne misero 28 kg. Questo sulla linea Roma. Napoli, via Formia. Sulla Roma-Napoli, via Cassino lo stesso giorno e circa dopo mezz’ora dalla prima, nel tratto Frascati-S. Cesareo, dopo qualche chilometro da Frascati, operò la squadra diretta da Marcaurelio Trovalusci di Marino minatore. Erano stati impiegati qui Kg. 32 di esplosivo simile a quell’altro.L’eroe dell’impresa fu giustamente Ferruccio perché le mine erano state preparate sotto la sua direzione.
Facciamo un salto e veniamo all’estate del ’44 (17-18/8) quando a Selva di Puianello in una notte chiara tre ombrelli scendono dal cielo: Mario Mannaia, Michelangeli alias Servi, De Carlo, Trombetti agenti dell’OSS con le radio. Tutto bene per gli uomini un po’ meno per le attrezzature che dovettero subire un restauro. Era il 6 giugno 1944 quando lo chiamano in federazione a Roma ed un signore con i gradi di capitano che si scoprirà poi essere Irving Goff gli dice che lui è la persona adatta per quello che ha in mente di fare al Nord. Tornare dalle sue parti con un apparato radio per tenere i contatti fra la resistenza e gli alleati. Segnalare ogni più piccolo movimento di truppe, simboli dei reparti, mezzi, stabilimenti militarizzati, campi minati etc…
Ferruccio Trombetti accettò di buon grado, in qualche maniera “tornava” verso casa”. Non a caso era stato valutato come indice preferenziale anche la sua conoscenza del dialetto. Dal canto suo apprezzò il tratto biografico dei due ufficiali: erano stati anche loro in Spagna, ma dalla parte degli antifranchisti quali componenti della Brigata Lincoln composta di statunitensi. L’addestramento al lancio avvenne ad Algeri sotto la supervisione di Goff stesso.
Radio Mele trasmise 374 messaggi e ne ricevette 155 negli ultimi 8 mesi di guerra. Molti dei messaggi erano in funzione più che dei fatti contingenti della futura sistemazione di militari combattenti o feriti nella zona di Bologna che si presumeva di liberare nella primavera del 1945 (La fine della guerra è ipotizzabile e basta). Notizie concernenti alloggi militari con disponibilità idrica ed elettrica, disponibilità sanitarie (ospedali), officine e piazzali, rete ferroviaria (danni e strutture) etc. tutte cose che per l’esercito italiano o per gli italiani stessi erano nuove come necessità. Noi usavamo il metodo dell’arrangiarsi. Minardi poi racconta le vicende non sempre lineari che contraddistinsero l’attività delle varie missioni alleate. Difficoltà anche gravi si riverberarono spesso in negativo nei rapporti politici interresistenziali.
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Allo stato attuale delle ricerche e della raccolta, ci sembra che la maggiore disponibilità di documentazione si abbia nel settore più strettamente militare della lotta. Si sono potuti recuperare i bollettini militari emessi dal CUMER fra il marzo 1944 e il marzo 1945; si hanno a disposizione i diari delle Brigate, ricostruiti nell’immediato dopoguerra sulla base delle informazioni e dei rapporti originali inviati periodicamente al CUMER; inoltre, si è potuto recuperare da Missioni-radio alleate, specie dalla Missione «Appomatox», un ampio materiale, quasi sempre di specifico interesse militare, riguardante gli scambi di notizie ed informazioni, a fini di collegamento operativo, fra le varie branche dell’«Office Strategie Service», il Servizio Informazioni del CUMER e i Comandi delle principali Brigate dell’Appennino.

Una mattina, all’inizio di marzo 1990, mentre mi preparavo per fare colazione, suonò il telefono e sentii qualcuno che tentava di parlare inglese. Dopo che gli risposi in italiano la sua voce ebbe un sospiro, come per dire «meno male, ho trovato uno con il quale posso comunicare».
Era Giambattista [Lazagna] che mi trasmetteva l’invito del sindaco di Rocchetta Ligure di partecipare all’inaugurazione di un museo dedicato alla Resistenza nella Val Borbera.
Mi chiese di invitare anche il Cap. Leslie Vanoncini, capo missione dell’OSS Operational Group “Peedee”, lanciata nel gennaio 1945 con l’obiettivo di assistere i partigiani della Sesta Zona Operativa Ligure.
Mi comunicò che un giorno prima ci sarebbe stato un convegno all’Università di Genova su Gli Alleati nella Guerra di Liberazione in Liguria.
Il curriculum e gli scritti di “Carlo” sono ben documentati nella storia della Resistenza come risulta dall’Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza. Quando si ritirò a Rocchetta Ligure, egli divenne attivo nella creazione di un Centro di Documentazione per il comune e scrisse due altri libri: Rocchetta, Val Borbera e Val Curone nella guerra e Intervista a “Minetto”, il suo amico intimo, il Prof. Erasmo Marré che durante la guerra era membro dell’ORI, capo della missione OSS “Meridien” e comandante della Brigata Arzani.
Roberto Botta ha scritto un articolo (Patria, febbraio 2003) intitolato “Addio Gibì”. Il mio scopo in questo tributo è di testimoniare che senza quell’invito, senza i suoi aiuti e consigli, difficilmente mi sarei interessato allo studio della Resistenza.
Nel periodo in cui mi preparavo a partire per Genova eravamo spesso in contatto.
Egli mi chiese di trovare per il museo documenti ed esempi d’emblemi usati nella guerra clandestina, e il modello di una radio TR 2. Prima del 1985 tutti gli scritti sulla storia del primo servizio d’intelligence, l’Office of Strategic Services (OSS) dipendevano da ricordi personali e testimonianze orali. Tutti i documenti erano classificati e tenuti nell’archivio della CIA. Il grande contributo che l’OSS diede alla liberazione dell’Italia non era a disposizione degli storici. Adesso i documenti si trovano nel National Archives and Records Administration (NARA) ed è facile consultarli.
Cominciai ad andare lì, e con l’aiuto degli archivisti feci una selezione che portai a Gibì.
Tornato in America, incoraggiato e con il suo aiuto, scrissi un piccolo libro Americani dell’OSS e partigiani nella Sesta Zona Operativa Ligure in inglese. Il Professor Lamberto Mercuri lo tradusse e lo fece pubblicare.
Per la prima volta gli storici italiani vedevano documenti americani inediti, per trentacinque anni tenuti segreti.
Questi documenti, con altri che mandai, sono stati depositati all’Istituto Storico della Resistenza di Alessandria nel “Fondo Materazzi”.
Adesso simili fonti esistono negli Istituti di Belluno e Treviso.
Sto preparando documenti per Bolzano e per il Centro di Documentazione dell’ANPI a Roma.
Ho aiutato e fornito documenti per le tesi di laurea di sei studenti.
Ho risposto a richieste di non ricordo quanti ricercatori e storici.
Alcuni sono venuti per visitare il NARA e sono stati assistiti ed ospitati da me e da mia moglie.
Non ho tenuto il conto, ma il numero di copie mandate in Italia si avvicina a mille.
Nell’ottobre 1994, in collaborazione con colleghi italiani, i Veterani dell’OSS organizzarono una visita d’amicizia a quattro città con conclusione a Venezia. I vari membri hanno partecipato al convegno preparato dall’ANPI sul tema “Gli Americani e la guerra di liberazione in Italia”.
Siamo stati ricevuti ovunque con grande ospitalità ed amicizia.
Nel 1998 un gruppo italiano contraccambiò la visita e venne in America per un convegno al Trinity College in Hartford, Ct. e brevi visite a New York, Filadelfia e Washington.
Spesso, quando mi serviva un consiglio o qualche informazione particolare, potevo rivolgermi a Giambattista.
Se non ci fosse stata quella telefonata tredici anni fa, chissà se mi sarei interessato alla Resistenza […]
Albert R. Materazzi, Giambattista Lazagna, Patria Indipendente, 15 giugno 2003