La missione Beriwind

Vette Feltrine – Fonte: www.difesa.it

“Missione Beriwind in Cansiglio” [Harold William Tilman, Missione Beriwind in Cansiglio ( a cura di Pier Paolo Brescacin), ISREV, Vittorio Veneto, 2011, p. 131] ripropone le memorie che l’inglese Harold William Tilman, comandante della missione alleata Beriwind meglio nota anche come Simia (dal nome in codice della radio) redasse giornalmente su un piccolo taccuino durante la campagna di guerra nel 1944-1945 nell’ Italia settentrionale , e in particolare nel Vittoriese e nel Cansiglio. Essa e’ “una preziosa e autorevole testimonianza – come giustamente sottolinea il curatore Pier Paolo Brescacin – di un osservatore neutrale, direi quasi privilegiato, per capire cosa sia stata veramente la resistenza nel Vittoriese e in Italia.” Questa edizione delle memorie di Tilman dal titolo “Missione Beriwind in Cansiglio” presenta per la prima volta, a fronte della traduzione italiana, il testo originale in lingua inglese, unitamente a tutta una serie di apparati iconografici (foto dei luoghi e dei personaggi) e testuali (note al testo, note biografiche, cronologia, una testimonianza inedita del comandante della Divisione Nannetti Milo, un itinerario storico-naturalistico in Cansiglio sulle orme del maggiore Tilman), che rendono maggiormente intelligibile al lettore la comprensione del testo e delle vicende narrate da Tilman.
Redazione, Missione Beriwind in Cansiglio, ISREV – Istituto per la Storia della Resistenza e della Societa’ Contemporanea del Vittoriese Onlus

31 agosto/1 Settembre 1944: Piana di Granezza (Altopiano 7 Comuni).
Lancio missioni Alleate.
I fatti:
Nella notte sono paracadutate nella Piana di Granezza due delle tre nuove missioni Alleate collegate alla Missione “Ruina” guidata dal maggiore John Wilkinson “Freccia”: una è destinata all’Altopiano del Cansiglio e la seconda al Monte Grappa, per un totale di 9 persone, 5 inglesi e 4 italiani: La Missione “Simia” (o anche Com o Scorpion, o ancora Beriwind), al comando del maggiore Harold Tillman (famoso alpinista), il capitano John Ross e l’interprete italiano, il tenente Vittorio Gozzer “Gatti”, con destinazione iniziale il Cansiglio. La Missione “Gela” (o anche Fra, o Gela Blue, o ancora Bitteroot), al comando del capitano rodesiano Paul Britsche “Bridge”, il tenente John Orr-Ewing “Dardo”, l’operatore radio, caporale Antonio Carrisi “Mario Morabito”, il caporale W. J. Ball e due guastatori italiani, Costante Co. Armentano “Conte – Quercia” e Giovanni Querzè “Pio II”, con destinazione il Monte Grappa.
A causa del cattivo tempo, il loro equipaggiamento radio non viene però lanciato; inoltre, nei giorni successivi, non viene paracadutata neppure la terza missione inglese, la Missione “Blackfolds” destinata al Veronese e attesa in zona Recoaro.
Il 2 settembre, Ross e Gozzer (Missione “Simia”), partono da Granezza per l’Altopiano del Cansiglio, e Britsche e Ball (Missione “Gela”) per il Massiccio del Grappa.
Il maggiore Thilman (che si è fatto male ad un braccio nell’atterraggio) e parte della Missione “Gela” (“Dardo”, “Mario”, “Conte”, “Pio” e l’ex prigioniero e operatore radio neozelandese, Bill Deugnan), si allontanano da Granezza solo la notte tra il 5 e il 6 settembre, poche ore prima nell’inizio del rastrellamento nel Bosco Nero; sono trasferiti più a nord, in zona Marcesina, sede della Compagnia della “7 Comuni” guidata da Giulio Vescovi “Leo”, e il trasferimento avviene con uno dei camion della Speer che da poco hanno raggiunto i partigiani a Granezza.
Il maggiore Thilman riesce sucessivamente a riunirsi agli altri della Missione “Simia” (Ross e Gozzer) nel Feltrino, ma non riesce a raggiungere l’Altopiano del Cansiglio e la Divisione “Nanetti” a causa del grande rastrellamento che lì si scatena dal 31 agosto.
Gli altri componenti della Missione “Gela” (“Dardo”, “Mario”, “Conte”, “Pio” e Bill Deugnan) tentano invano di raggiungere il Massiccio del Grappa: non riescono ad attraversare la Val Brenta sempre a causa dei rastrellamenti legati all’Operazione “Hannover”; “Dardo” e i suoi compagni sono successivamente aggregati alla Missione “Ruina” guidata da “Freccia”.
Pierluigi Damiano Dossi Busoi, I grandi rastrellamenti nazi-fascisti dell’estate-autunno ’44 nel Vicentino, Studi Storici Giovanni Anapoli, Montecchio Precalcino (VI), 30 agosto 2017

A destra Tilman – Fonte: ANPI Voghera

Tra le formazioni partigiane dell’arco alpino, la divisione Garibaldi “Nannetti” operante nel Bellunese e Trevigiano, è quella che riceve la più nutrita fornitura di armi dagli aviolanci alleati, sempre dalla N. 1 Special Force britannica. Il maggiore inglese Harold William Tilman (2) (esponente conservatore inglese) paracadutato nella zona in agosto, sopravvive al feroce rastrellamento autunnale combattendo con i partigiani, rendendosi conto che sono infondate le preclusioni ed i timori nei confronti dei garibaldini.
Il suo ruolo sarà fondamentale per rifornire di armamento adeguato i reparti della “Nannetti”.
Nelle conclusioni dei due rapporti “top secret” (resi noti solo anni dopo) stesi per il Comando di Londra dal colonnello K. H. Hewitt nei mesi di giugno e luglio 1945 e tesi a riassumere le operazioni in Alta Italia dalla N. 1 Special Force britannica, si legge: “il contributo dei partigiani alla vittoria alleata in Italia fu assai notevole e sorpassò di gran lunga le più ottimistiche previsioni (…). Ciò fu dovuto non solo alla forza delle cose, ma al realismo, all’intelligenza politica del CLNAI (Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia) e del CVL (Corpo Volontari della Libertà): soprattutto nel salvaguardare dinnanzi agli alleati, la loro unità, pure nelle dispute che la prepararono e nella dialettica non sempre limpida che la sostanziarono, una volta raggiunta”. (2) Il maggiore Harold William Tilman (“Bill”) in forza all’unità Force 133 svolse, tra il 1943 ed il 1944, il ruolo di ufficiale di collegamento dietro alle linee nemiche in Albania, Jugoslavia e nel Veneto, precisamente nella zona del Bellunese, con la missione Com-Simia (Soe-Sim), detta anche missione “BERIWIND”, vivendo con i partigiani della “Nannetti” e con i garibaldini della Brigata Garibaldina Antonio Gramsci (Feltre).
Dopo la guerra si dedicò alle sue passioni quali l’alpinismo e l’esplorazione geografico-naturalistica. Le “Memorie” del periodo passato con i partigiani italiani sono stati descritti da Tilman in due suoi libri: «Missione Beriwind in Cansiglio» e «Uomini e montagne dall’Himalaya alla guerra partigiana sulle Alpi». Per il suo valore fu insignito della “DSO” (Distinguished Service Order) ed inoltre si meritò la cittadinanza onoraria di Belluno.

ANPI Voghera

Il nome di Nino Nannetti – un bolognese caduto nella guerra civile spagnola – fu dato nell’estate del 1944 ad un gruppo di brigate che operavano tra Belluno, Trento e Treviso. Chiamato Gruppo di brigate Garibaldi Nannetti, assunse il nome di divisione il 2 agosto 1944.
Presso la divisione operarono due missioni alleate. Dopo i durissimi combattimenti dell’estate la divisione fu divisa in due: la Belluno alla destra del fiume Piave con le brigate Gramsci, Pisacane, Fortunato Calvi, Fratelli Fenti e alcuni battaglioni autonomi e la Nannetti, sulla sinistra Piave, con le brigate Tollot, Cacciatori delle Alpi, Vittorio Veneto e alcuni battaglioni autonomi.
In seguito furono costituite numerose altre brigate che entrarono a far parte delle due divisione.
La divisione Belluno ebbe un giornale, “Dalle vette al Piave”, diretto dal bolognese Duilio Argentesi.
Oltre 100 furono i partigiani bolognesi che militarono nella Nannetti, perché tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944 il PCI bolognese aveva deciso di inviare nel Veneto i giovani che volevano partecipare alla lotta di liberazione, ritenendo inadeguato l’Appennino.
Il trasferimento avvenne in forma organizzata e per piccoli gruppi, in accordo con le organizzazioni antifasciste di Padova. Si trattò del più massiccio trasferimento di armati avvenuto nella Resistenza italiana.
Una cinquantina di combattenti rientrarono nel bolognese e gli altri furono inseriti nelle formazioni partigiane di Padova.
Redazione, Divisioni “Nannetti” e “Belluno” Garibaldi. estate 1944 – aprile 1945, Storia e Memoria di Bologna

Quando il sole sfiorò l’orizzonte, sottili strati di nubi iniziarono a trattenere l’ultima luce rossa di quella giornata estiva, il 31 agosto 1944. Tre aerei, atterrando, avevano sollevato un densa nuvola di polvere, mentre il Douglas, lì di fianco all’hangar della base di Brindisi, se ne stava in attesa con i motori al minimo. Il pilota aprì il finestrino, si accese una sigaretta e togliendosi gli occhiali scuri guardò alla sua sinistra. In quel momento, dentro un paesaggio di luce obliqua e ombre, apparvero i quattro uomini.
Un pesante fardello
Camminavano come automi, impacciati nelle loro tute Sidcot e sotto il peso del paracadute. Portavano grossi zaini tenuti sul petto con tutto il necessario per superare l’autunno e poi l’inverno in territorio nemico: armi, viveri, indumenti pesanti, coperte. Avevano anche una potente radio-trasmittente ultimo modello, insieme alla lunga antenna ripiegata, che li avrebbe tenuti in contatto con il mondo libero. Ma la cosa che più pesava nel bagaglio di quegli uomini ormai giunti a pochi metri dal Douglas – l’essenza di tutto il loro carico – lo portava uno solo di loro. Era il tesoro in banconote di piccolo taglio, due milioni di lire tondi tondi per finanziare la guerriglia, ora al sicuro nelle tasche del capo missione, il grande esploratore Bill Tilman.
Avevo letto per la prima volta il nome di Harold William Tilman, detto Bill, quando da adolescente, avido di libri di alpinismo, mi buttavo tra le pagine degli eroi delle alte quote (sperando – senza risultato – di diventare un giorno anch’io come loro). Nato nel Cheshire nel 1898, era il continuatore di quella tradizione tutta britannica che aveva portato a sventolare l’Union Jack nei quattro angoli del mondo. Tilman era un inglese tutto di un pezzo, non molto alto, ma ben piantato, con grossi baffi dai quali spuntava la pipa. Va immaginato imperturbabile, di poche parole, sempre con il bocchino della pipa tra i denti. Diciassettenne, si arruola come volontario per partecipare alla Grande Guerra e si butta nel fuoco della battaglia della Somme, rimanendo ferito.
Poi un’altra ferita arriva nel 1917. Ritorna con due medaglie al valore militare, che gli aprono la via a quel genere di vita «da libri d’avventura». Ancora giovane, si butta nell’impresa di bonificare un terreno in Kenya per farci una piantagione di caffè. Nel 1933 attraversa da solo l’Africa da est a ovest in bicicletta, dormendo ai bordi delle piste in una tenda di tulle per ripararsi da insetti e serpenti. Scala il Kilimangiaro, il Monte Kenya, il Ruwenzori. All’epoca della nostra storia ha toccato i 7816 metri della cima più alta mai raggiunta dall’uomo: il Nanda Devi. Più tardi troverà la via per la cima dell’Everest sul versante Nepalese, traverserà lo Hielo Continental in Patagonia, e per festeggiare i suoi 80 anni si spingerà verso l’Antartide con uno dei suoi giocattoli galleggianti: un cutter che lui stesso ha comprato con poche sterline salvandolo dalla discarica per adattarlo alla navigazione d’altura. Non lo rivedranno più, sparito per sempre nei mari più tempestosi del mondo.
Alta tensione
I quattro giunsero al Douglas in attesa di fronte all’hangar. «Eccoci: missione Beriwind. Siamo pronti a partire?» chiese Tilman indicando l’aereo. Il pilota, affacciato al finestrino, diede un ultimo tiro della sigaretta e tenendola tra indice e pollice la fece volare via a qualche metro di distanza. «È ovvio» rispose sgarbato soffiando il fumo contro l’ultimo spicchio di sole, «che ci starei a fare io. Salite! Più tardi, quando vi darò il “Pronti al lancio” aprite lo sportello. Ma solo alla luce verde vi lanciate. E dovete farlo subito, è chiaro?». «Deve essere più abituato a lanciare bombe che uomini» pensò Tilman appoggiando lo scarpone sul primo gradino della scaletta. Fece tre passi e sparì nel ventre dell’aereo. Lo seguirono John Ross (il vice di Tilman), il marconista Marini, e infine l’interprete, il trentino Vittorio Gozzer.
La notte, volando verso il Nord Italia, arrivò presto. I finestrini divennero neri e gli uomini, al buio per non farsi notare da terra, si sentivano ancora più soli. Sapevano bene cosa li stava attendendo: tre ore rannicchiati nello spazio angusto della carlinga, con il frastuono nelle orecchie. Lo sapevano bene, perché già in due precedenti tentativi avevano attraversato la Penisola da sud a nord, entrando in territorio nemico verso il luogo convenuto. Ma giunti sull’obiettivo, i fuochi segnaletici attesi non si erano avvistati. I partigiani non li avevano accesi, o forse la nebbia li aveva tenuti nascosti. E la tensione, lì nel frastuono, ogni volta era salita fino al colmo. Inoltre, durante il secondo tentativo, dal buio dei finestrini era apparso dapprima un fascio di luce che pattugliava il cielo, e poi schegge arancioni che schizzavano tutt’intorno: era la contraerea di qualche città intenta a sparare verso di loro, sibilo indistinto nella notte.
Ma ora non c’era nebbia, solo città semioscurate e infinite stelle che davano le vertigini. «Questa deve essere la volta buona – pensò Tilman annuendo tra sé – altrimenti la squadra si sfalda: è troppo chiedere a dei volontari di subire ancora questa tensione».
Una estenuante attesa
Passarono tre ore, e il momento stava per arrivare. Il luogo convenuto sull’Altopiano di Asiago doveva essere da qualche parte lì sotto. Il Douglas virò leggermente sulla sinistra. Poi verso destra. Gli uomini scattarono in piedi. «Bene, ora controlliamoci a vicenda l’aggancio del paracadute. Forza!».
Vittorio Gozzer tradusse le parole del Maggiore Tilman al marconista Marini. «A posto, pronto!». «A posto, pronto!». «Ok!». «Ok!». E tutti con il cuore in gola, alzando il pollice, si portarono verso il portellone.
[…]
Il lancio nel buio
Intorno alla mezzanotte del 31 agosto 1944, il pilota del Douglas gridò nel microfono «Pronti al lancio!». Tilman aprì il portellone e il vento furioso invase la carlinga. I quattro si guardarono negli occhi annuendo uno all’altro per darsi coraggio nel rumore assordante. Tilman, per primo, si voltò verso il vuoto. Afferrò le maniglie ai lati del portellone.
[…]
Marco Albino Ferrari, Trekking sulle tracce di Tilman il guerriero inglese che vinse anche le montagne, La Stampa, 5 agosto 2015

Fonte: www.difesa.it

[…] Nell’autunno del 1944 Lacchin viene raggiunto in Cansiglio, alla Casera Ceresera, dai rappresentanti delle missioni alleate ‘Scorpion-Bitteroot” e ‘Beriwind”. Con il maggiore inglese Tilman, ‘Chirurgo-Glucor” si assume un compito fondamentale per tutto il movimento partigiano, quello di tenere aperto e funzionante il campo di lancio a Col dei Scios. Il primo rifornimento paracadutato avviene il 26 dicembre 1944, l’ultimo, di una serie di 17, arriva il 16 aprile 1945. I partigiani, non solo in Cansiglio, ma in Piancavallo e nelle valli Cellina e Meduna, ricevono armi, munizioni, viveri e generi di conforto, indispensabili per superare i rigori invernali e riprendere la lotta, fino allo scontro finale.
Dopo l’ultimo lancio, le scadenze diventano incalzanti, e la brigata Ciro Menotti, forte di oltre 550 uomini suddivisi in cinque battaglioni (Manin, Peruch, Kirov, Nievo e Bixio) si appresta a insorgere per liberare i vari paesi della Pedemontana.
Il 20 aprile atterra in Pian Cansiglio un bimotore alleato Lysander che imbarca alcuni rappresentanti delle missioni alleate provvisti di mappe delle fortificazioni tedesche sul Piave […]
(s.c.), Lacchin, il “Chirurgo” che conquistò Sacile, Messaggero Veneto, 23 aprile 2005

Presso la brigata era dislocata anche la missione militare “SIMIA” con il maggiore inglese Harold William Tilman, comandante, il capitano John Ross, il tenente Vittorio Gozzer “Gatti” (interprete) e il radiotelegrafista Benito Quaquarelli “Pallino”. Le missioni, composte da personale in uniforme, avevano il compito di collegare le formazioni partigiane con i comandi alleati, per trasmettere e avere informazioni, coordinare i rifornimenti di viveri e armi con lanci dagli aerei. La missione SIMIA comunicava direttamente con Brindisi e con Londra. Era stata paracadutata sull’altopiano di Asiago al terzo tentativo il 31 agosto ’44, proveniente dall’aeroporto militare di Brindisi. Il lancio fu effettuato con la nebbia e nel cadere a terra il radiotelegrafista Marini si slogò un piede e fu sostituito da “Pallino”.
Giuseppe Sittoni, Il Battaglione Gherlenda, it.cultura.storia, 30 luglio 2002

Belluno, nei giorni della Liberazione. La missione alleata Berrywind (meglio conosciuta come Simia), al completo. Da sinistra: Vittorio Gozzer “Gatti”, interprete; Harold William Tilman, comandante; John Ross, vicecomandante e Benito Quaquarelli “Pallino”, radiotelegrafista. Fonte: Centro di Ateneo per la Biblioteche – Università degli Studi di Padova

Il 31 agosto del 1944 Tilman ed i suoi uomini furono paracadutati sull’altipiano di Asiago. Aveva inizio l’operazione “Beriwind”, una delle molteplici missioni alleate di supporto alle forze partigiane.
La squadra era composta dallo stesso Tilman, il suo connazionale John Ross Capitano d’artiglieria, il Tenente Vittorio Gozzer ex Ufficiale degli Alpini ed interprete della missione ed il radiotelegrafista Antonio Carrisi, il quale aveva prestato servizio a bordo di sommergibili. Atterrati sull’altipiano di Asiago, in località Granezza, gli ordini prevedevano di dover raggiungere la Divisione “Nino Nannetti”, il cui quartier generale si trovava sull’altipiano del Cansiglio. Tilman fu accolto dal suo connazionale, il Maggiore Wilkinson, capo missione inglese per l’altipiano. Dopo una breve sosta forzata, necessaria per ristabilirsi dal trauma subito atterrando col paracadute, la sera del 5 settembre Tilman lasciò il rifugio di Granezza e, dopo aver attraversato il fiume Brenta, si accinse a raggiungere il Monte Grappa che rientrava nella zona di competenza della “Nanetti”. Carrisi, a seguito di una distorsione alla caviglia, non potè unirsi al gruppo. Fu sostituito dal radiotelegrafista Benito Quaquarelli, il quale, a differenza del Marini, aveva prestato servizio nell’Aeronautica ed era veramente abile sull’uso della radio. Raggiunto il rifugio sul Grappa, si aggregarono alle forze partigiane che controllavano le valli del Brenta e del Piave. Due settimane dopo l’arrivo di Tilman la scarsa coesione d’intenti tra partigiani ed una scarsa valutazione della situazione, dovuta anche alla diversa estrazione ed orientamento politico, favorirono le forze tedesche decise a ripulire la zona. Tilman ed i suoi uomini riuscirono a stento a mettersi in salvo dai rastrellamenti tedeschi, passando diverse notti all’addiaccio tra le rocce del Monte Ramezza.
L’8 settembre [1944] dopo estenuanti marce forzate, cercando di non incappare nella rete dei controlli tedeschi, Tilman ed i suoi uomini erano pronti a guadare il Piave. Ma quando le staffette partigiane li informarono di un massiccio rastrellamento tedesco nella zona, decisero di dirigersi verso le Vette Feltrine, ove si trovavano le principali basi della Brigata partigiana “Gramsci”.
Sulle vette feltrine
Vi erano insediati circa 300 partigiani ed un distaccamento di undici inglesi che si erano autonominati “Churchill Company”. Gli inglesi erano ex prigionieri di guerra evasi dai campi di prigionia italiani dopo l’8 settembre del 1943. Comandante la Brigata “Gramsci” era Paride Brunetti “Bruno” ex Ufficiale dell’Esercito Italiano e reduce dalla Campagna di Russia. La Brigata “Gramsci”, a seguito di continue azioni di sabotaggio ai danni della guarnigione SS accasermata in Feltre, il 29 settembre subì la reazione tedesca che si concretizzò con un blocco degli accessi alla Vette Feltrine, violenti bombardamenti di artiglieria seguiti dai rastrellamenti della fanteria. Tilman consigliò al Comandante “Bruno” di abbandonare le posizioni ed evitare uno scontro che fin dai primi momenti si era dimostrato impari. Le sue osservazioni rimasero inascoltate. Ancorché le perdite inferte dai tedeschi fossero lievi, la “Gramsci” si disperse e cessò di esistere.
Tilman, giunto in Cansiglio verso la metà del mese di ottobre, non perse tempo e cercò di organizzare con solerzia alcuni lanci di armi e materiali a favore dei partigiani. Nei mesi di ottobre e novembre furono tentati sei lanci, ma fallirono tutti a causa del maltempo o per la difficoltà di individuazione della zona da parte dei piloti degli aerei alleati. Verso la fine del mese di ottobre fu organizzato, nei pressi di Vittorio Veneto, un incontro con i funzionari del C.N.L. (Comitato Nazionale di Liberazione). L’oggetto dell’incontro concerneva l’organizzazione di atti di sabotaggio agli impianti di erogazione di energia elettrica. Era però importante evitare danni irreparabili alle strutture evitando così disagi eccessivi e danni collaterali alla popolazione. L’imperativo era di non perdere il consenso dei valligiani i quali, a rischio delle proprie vite, supportavano le formazioni partigiane e nascondevano i soldati alleati in fuga. Qualche giorno dopo il termine della riunione, le condizioni climatiche, resesi avverse, ricordarono a Tilman l’approssimarsi dell’inverno.
Non si sperava più nell’avanzata degli alleati. Il Generale Alexander, in un messaggio radiofonico rivolto ai partigiani, aveva caldamente consigliato di assottigliare le file, di non reclutare altri uomini e rimanere nascosti in vista della campagna di primavera. Le condizioni climatiche peggiorarono ulteriormente verso la metà del mese di novembre quando cadde la prima neve sul Cansiglio. Le condizioni di vita dei partigiani si resero più difficili a causa delle temperature più rigide. I movimenti si facevano difficili poiché le tracce che si lasciavano sul terreno diventavano un invito allettante per il nemico. Durante il soggiorno in Cansiglio, Tilman si recò insieme a Gozzer, in Val Cellina per agevolare il passaggio in Jugoslavia di prigionieri di guerra alleati evasi dai campi di concentramento e di aviatori abbattuti con i loto velivoli. I suoi tentativi fallirono miseramente sia a causa delle condizioni meteorologiche sia a causa delle attività nemiche.
Il 2 dicembre gli alleati effettuarono due lanci sopra una guarnigione nemica a quindici chilometri dall’altipiano del Cansiglio. Tutto il carico andò perduto. Il giorno dopo il Natale, Tilman fu avvisato via radio dell’imminente lancio di rifornimenti. Approntati i fuochi di segnalazione, il primo aereo lanciò il suo carico a soli duecento metri dal bersaglio. La medesima cosa avvenne anche per il secondo lancio.
Questa volta non ci furono errori. Ricevuta l’autorizzazione per raggiungere la divisione “Belluno”, venne il tempo per Tilman e la sua squadra di lasciare anche la “Nanetti”.
Con la Divisione “Belluno”
Lasciarono l’altipiano del Cansiglio il 29 dicembre ma riuscirono a prendere contatto con la “Belluno” soltanto undici giorni dalla loro partenza a causa degli assillanti attacchi da parte dei tedeschi che avevano disseminato, nella zona, piccole ma numerose ed agguerrite guarnigioni.
A Tilman fu chiesto di adoperarsi affinché fossero effettuati dei lanci di rifornimenti, ma la breve distanza da Belluno e la presenza di una guarnigione di SS, rese Tilman contrario alle pressioni dei partigiani.
Si preferì allora Forno di Zoldo, una zona che non avrebbe compromesso il tessuto organizzativo a favore delle unità partigiane. Tilman si mise in cammino la sera del 30 gennaio 1945 e raggiunse la valle dopo quattro giorni attraversando con molta attenzione le località di Agordo e di Cencenighe. Il primo lancio avvenne nella notte del 13 febbraio, dieci giorni dopo il loro arrivo, mentre quattro notti dopo due aerei effettuarono altri lanci altrettanto ben riusciti. Avendo così ottenuto un discreto rifornimento di armi ed esplosivo, Tilman era ansioso di tornare. Dopo aver avvisato il comandante della divisione attesero dieci giorni prima di poter rientrare. Il tragitto di rientro, grazie alle temperature più miti ed alla rapida scomparsa della neve, consentì a Tilman ed ai suoi uomini di percorrere un percorso più sicuro.
La liberazione di Belluno
La città di Belluno aveva già subito l’occupazione austriaca nel 1917 e 1918 ed aspettava con ansia l’ora della liberazione. L’offensiva finale degli alleati iniziò con lentezza. I tedeschi non cedettero fino alla prima settimana di aprile quando gli americani sfondarono il fronte e si diressero verso l’importante nodo ferroviario di Verona. Il 30 aprile tutte le piccole guarnigioni tedesche a sud del Piave si erano ritirate o arrese, ma Belluno rimaneva ancora sotto il controllo tedesco. Mentre elementi del C.N.L. cercavano di convincere il comandante tedesco ad arrendersi, una colonna dell’8^ Armata Britannica entrava in Treviso. Gli alleati si trovavano a meno di cento chilometri da Belluno. Il 2 maggio 1945, incalzati dai partigiani e dalle forze alleate, i tedeschi si arresero. Nello stesso giorno Tilman entrò in Belluno assieme ai comandanti delle Brigate Partigiane. Per il servizio reso alla città di Belluno, il 26 maggio al Maggiore Tilman fu concessa la cittadinanza onoraria.
Bibliografia
H.W. Tilman. 1946. Titolo originale “When men and mountains meet”. Cambridge – London. Traduzione di Mary Archer “Uomini e Montagne. Dall’Himalaya alla guerra partigiana sulle Alpi”. Centro Documentazione Alpina.
E. Opcher, L. Morello, G. Toaldo. 1986. “Il rastrellamento del Grappa (20-26 settembre 1944)”. Marsilio Editori R. Mezzacasa. 2002. “La via Tilman”. Nordpress Edizioni. Comune Di Belluno – Istituto Storico Bellunese Della Resistenza.
“Missione SIMIA” H.W. Tilman un Maggiore inglese tra i partigiani.

Antonio Melis, Harold William Tilman. Un maggiore inglese tra le Dolomiti, Informazioni della Difesa, 5/2010