La Missione Chrysler Mangosteen ed il lago dei misteri

La spiegazione ufficiale che gli Alleati diedero alla diminuzione, nel numero e nel quantitativo, degli aviorifornimenti per l’Italia nei mesi di settembre e ottobre 1944, fu la seguente: in settembre tale rifornimento era stato assorbito da Varsavia, in ottobre – e questo in modo particolare per l’Ossola – le avverse condizioni atmosferiche avevano impedito i lanci.
Altre spiegazioni possono essere dedotte da una più ampia osservazione complessiva degli eventi bellici di quel periodo.
La liberazione dell’Ossola coincise con l’inizio della grande offensiva di Alexander che sembrava dovesse coronare le vive speranze dell’estate. Ma verso la fine di settembre, e nella prima decade di ottobre, Alexander, indebolito per aver dovuto inviare precipitosamente forze in Grecia, a controbilanciare la rapida avanzata russa nei Balcani, venne arrestato nei pressi di Bologna; la sua offensiva fallì, e la liberazione dell’Alta Italia fu rimandata alla primavera.
Il 26 ottobre infatti venne emanato il triste proclama che esortava i partigiani italiani a starsene tranquilli, passando l’inverno alla meno peggio, tornando alle loro case nell’attesa della primavera. In questo quadro anche l’Ossola non interessava più e fu abbandonata al suo doloroso destino.
Anita Azzari, I rapporti tra l’Ossola e gli Alleati nell’autunno 1944, Atti del 3. Convegno di studi sulla storia del movimento di liberazione ‘Momenti cruciali della politica della Resistenza nel 1944’, Rete Parri

I componenti della Missione ÒMagosteeen & ChryslerÓ 26 settembre 1944In prima fila, accovacciati da sinistra: Capitano Landi, partigiano addetto ai servizi segreti italiani; Sergente Artur Ciarmicola; Red ÒIl RossoÓ radio operatore.In seconda fila, in piedi da sinistra: maggiore Willliam V. Holohan, capo missione Mangosteen; Tenente Aldo Icardi, capo missione Chrysler; sergente Carl Lo Dolce; Gianni, partigiano addetto ai servizi segreti militari Italiani; Tenente Victor Giannino. Fonte: Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola

La missione R.T. si sposta, alla fine d’agosto, e dopo qualche giorno arrivano i tedeschi all’Alpe Formica e la bruciano. Installatisi in un’alpe vicino alla galleria del piombo sono costretti, il 12 settembre, a spostarsi nuovamente in seguito all’arresto di Bruno, nei pressi di Gignese. Per fortuna i tedeschi non scoprono che questi è un R.T. tanto che dopo 5 giorni viene liberato con altri partigiani in uno scambio di prigionieri organizzato da Renatino e Tom Mix. In questo periodo l’Ossola si è liberata e si intensifica la collaborazione di Renatino con Di Dio. I partigiani al Mottarone sono molto aumentati e Renatino ha chiesto agli americani un rifornimento di armi. Di Dio manda al Mottarone il tenente G.P. Tagliamacco, Belli, ad organizzare la brigata “Paolo Stefanoni”. La missione R.T. si è spostata alle “2 casette”, sopra Coiromonte, perché si è in attesa di un importante aviolancio sul monte Falò. La prima volta il lancio non viene effettuato a causa di un forte vento: finalmente, il 24 settembre, le sospirate armi giungono a destinazione. Due giorni dopo, un nuovo lancio paracaduta altre armi e sette persone. La gioia e l’emozione di tutti è indescrivibile. Gli arrivati sono: la missione Chrysler (Magg. Holohan, Ten. lcardi e Sergente Lo Giudice, americani); la missione di Tullio Lussi, “Landi”, con l’R.T. Gelindo Bortoluzzi, “Red”, e la missione del tenente Giannini con un altro R.T. Questi ultimi dopo due giorni partono per altra zona. Molte armi e munizioni sono per la divisione “Valtoce” e vengono portate in Ossola. Elio Malizia segnala da Stresa che i tedeschi hanno saputo dell’aviolancio e stanno preparando un grosso rastrellamento. Parri scrive a Renatino che abbiamo la responsabilità di proteggere la missione del magg. Holohan e raccomanda di metterla al sicuro. Viene chiesta la collaborazione di Giorgio del Sip e quando si scatena il rastrellamento la missione è al sicuro sull’altra sponda del Lago d’Orta. Tino Vimercati, La Missione Boeri, Resistenza Unita, Marzo 1984, ripreso in lacorsainfinita

William Holohan pronto a partire per il Nord Italia – Fonte: Aldo Icardi
Aldo Icardi – Fonte: Aldo Icardi

Il 9 aprile arrivò a Firenze “Giorgio” (Aminta Migliari) il partigiano cui il Maggiore Holohan a suo tempo aveva affidato la sicurezza della missione Mangosteen, e mi si offriva così per la prima volta l’opportunità di parlare con qualcuno che aveva informazioni di prima mano sulla sparizione del maggiore. “Giorgio” era magrissimo, con il profilo affilato come un rasoio, le labbra strette e tirate, occhi neri penetranti: non avrei mai scelto un tipo simile per quell’incarico così delicato. Evidentemente, tuttavia, era capace di operare in un ambiente clandestino e sapeva sopravvivere in un territorio occupato da nemici. Aveva contribuito alla missione per mezzo di una catena di spie denominata SIM-­NI, che inviava voluminosi rapporti attraverso i circuiti del Tenente Icardi, “Diana” e “Westwood”, e i corrieri dell’ufficio di Lugano.
Prima di interrogare “Giorgio”, analizzai attentamente i rapporti che Icardi aveva fatto pervenire dalla Svizzera. Oltre alle relazioni c’era anche una mappa del Lago d’Orta, ovvero del posto in cui s’era verificato l’attacco conclusosi con la sparizione del maggiore. Dopo aver studiato il materiale, chiesi a “Giorgio” di stendere una relazione su quello che era successo. Egli si mise subito al lavoro, e quando quella sera tornai da Firenze, trovai che il suo rapporto era pronto. C’era anche una mappa dell’area, simile a quella contenuta nella documentazione che era arrivata dalla Svizzera. La lettura del testo ed il confronto delle mappe non lasciavano dubbi: erano stati redatti dalla stessa persona. Il fatto in sé non era significativo, in quanto “Giorgio” era stato incaricato della sicurezza della missione. Quando accennai alla somiglianza dei due rapporti “Giorgio” non esitò ad ammettere di esser stato lui a stendere anche la prima relazione e la prima mappa.
Quando la traduzione fu pronta la passai a Suhling [Maggiore Bill Suhling], suggerendo di verificare tramite la Croce Rossa Internazionale se Holohan era stato catturato e si trovava in qualche campo di prigionia. Avevo la sensazione che ci fosse stata qualche negligenza nella sicurezza e, dal momento che la missione si muoveva in divisa, si sarebbe dovuta aggregare ad una delle bande partigiane della zona. Intorno a Domodossola e Val Sesia le bande erano numerose.
[…] Non so se Suhling fece mai un tentativo di recuperare notizie su Holohan attraverso la Croce Rossa, né come l’assenza di Holohan era stata registrata negli archivi del reggimento; di certo so che dopo quell’incidente le relazioni tra Suhling e me non recuperarono serenità. Quando il Colonnello Glavin e il Generale Donovan vennero a conoscenza della spaccatura, il generale mi volle parlare, in occasione di una mia visita al comando di Firenze. Poco più tardi informarono Suhling che era stato promosso e sarebbe diventato consigliere militare di Allen Dulles.
Max Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani 1942-1945, Libreria Editrice Goriziana, 2006, p. 344, 345

Tra le numerose missioni di collegamento con il Comando dei patrioti dell’Italia del nord, la missione Mangosteen–Chrysler era destinata ad assurgere a contatto ufficiale del SI dell’OSS con la Resistenza italiana.
Il leader della missione fu il maggiore William (Bill) Holohan, ufficiale superiore in seconda del comandante Suhling. La squadra, composta altresì, dal tenente Victor Giannino, il tenente Aldo Icardi e i sergenti radiotelegrafisti Carlo Lo Dolce e Ciarmicola, fu paracadutata con successo nell’area del Mottarone, nel Piemonte nord–occidentale, dove lo attendeva una squadra di partigiani organizzata da Renato, fratello di Enzo Boeri, e Tullio Lussi (nome in codice “Landi”), entrambi reclutati da Raimondo Craveri per l’ORI.
Il 6 dicembre 1944 la missione, mentre era intenta a trasferirsi in un’area più sicura, fu attaccata dalle forze nemiche e alcuni suoi membri furono dispersi, tra cui lo stesso maggiore Holohan, la cui sparizione costituì, come noto, uno degli episodi più oscuri della storia dell’OSS in Italia <57.
La sparizione del capitano Holohan non impedì, comunque, alla missione di continuare a lavorare sotto il comando del tenente Aldo Icardi e, escluso il periodo dal 6 al 14 dicembre durante il quale non se ne ebbe alcuna informazione, la missione riprese a trasmettere regolarmente <58.
[NOTE]
57 Si sospettò che il maggiore William Holohan fosse stato assassinato ‹‹non da mano nemica›› sulle rive del Lago d’Orta, sul cui fondo fu rinvenuto nel 1950 con due pallottole in testa. Per alcuni Holohan fu assassinato dai suoi stessi compagni di missione per rubargli i sedicimila dollari che l’OSS gli aveva affidato; per l’OSS invece il maggiore fu probabilmente ucciso dai partigiani. Negli anni cinquanta il caso provocò un acceso dibattito e portò a un processo che vide imputati il tenente Aldo Icardi e il sergente Lo Dolce, i quali furono condannati. Negli Stati Uniti, invece, il caso fu archiviato. Per Corvo, fu semplicemente un ordinario ancorché ‹‹spiacevole incidente››. M. Corvo, La campagna dei servizi segreti americani cit., pp. 302 e 303.
58 Si veda la testimonianza di M. Corvo, Ivi, pp. 266, 301 e 302; nonché il Secret Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence cit., alla sezione Other Team Progress, p. 6.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012

Un libro e una nuova testimonianza riaprono il controverso caso dell’omicidio del maggiore Bill Holohan, capo della più importante missione angloamericana paracadutata nel Nord Italia durante la seconda guerra mondiale. Holohan, responsabile dell’ operazione Oss «Mangosteen-Chrysler», nel dicembre 1944 fu assassinato sulle rive del lago d’Orta dal suo vice, il tenente italoamericano Aldo Icardi, condannato all’ ergastolo in contumacia dalla Corte d’Assise di Novara nel novembre 1953. La testimonianza proviene da Diana Bonazzi, responsabile di una casa di produzione cinematografica che filmò l’ insurrezione a Milano. Bonazzi, 80 anni, in quelle settimane dell’ immediato dopoguerra, lavorò in stretta collaborazione con gli americani, raccogliendo confidenze che aprono uno squarcio inedito sulla vicenda della morte di Holohan. Uno spiraglio che permette di raccontare il lato oscuro di una «guerra tra spie». Quanto al libro, si tratta della riedizione delle memorie del maggiore Max Corvo, responsabile della Secret Intelligence Section del Settore italiano dell’Oss, l’attuale Cia. Il volume, pubblicato di recente negli Usa da Enigma Books (Oss in Italy: 1942-1945. A personal memoir by Max Corvo), contiene un’ introduzione firmata dal figlio di Corvo, William, che aggiunge peperoncino a una pietanza già abbastanza piccante. Corvo junior, infatti, non solo respinge la tesi, ricorrente e documentata, dello stretto legame tra il padre e gli ambienti della mafia siculoamericana interessata a conquistare posizioni di dominio nell’ Italia liberata dal fascismo, ma fornisce materiale utile alla ricostruzione della sanguinosa lotta di potere che ebbe luogo all’ interno dell’ Oss nel teatro di guerra europeo. William Corvo mette in chiaro che il primo atto dello scontro al calor bianco, iniziato nel 1943 e continuato nel dopoguerra, vide contrapposti il generale Bill Donovan, capo dell’ Oss, e il responsabile dell’ Oss in Europa, Allen Dulles. Per essere più precisi, fu la gerarchia di derivazione americana e di stampo tradizionale, rappresentata tipicamente dagli ufficiali di origine irlandese, a entrare in collisione con l’ elemento italo-americano, promosso da Donovan con la selezione di elementi come Vincent Scamporino, un avvocato del Connecticut, patrocinatore di mafiosi, cui venne affidata la Sezione italiana dell’ Oss. Il vice di questi, il ventenne Corvo, divenne reclutatore, nella sua contea di Middletown, di agenti da paracadutare in Italia. La reazione conservativa dei militari di carriera non tardò ad arrivare. Allen Dulles resse le fila della controffensiva, cercando pretesti o buone ragioni per lanciare siluri agli avversari. William Corvo insinua il sospetto che Dulles, il quale si assunse il merito storico di aver negoziato la resa dei tedeschi in Europa, fosse in realtà colluso con la Germania hitleriana. Dulles ricorse ai servizi di James Jesus Angleton, capo in seno all’ Oss della sezione del controspionaggio nella zona di operazioni italiana, per liquidare la fazione avversa di Scamporino e Corvo, divenuta molto potente grazie alla mafia, ma non solo ad essa. Il mistero della morte del maggiore Holohan, promosso in extremis capo della missione Mangosteen-Chrysler mentre l’ aereo stava praticamente già rullando sulla pista dell’ aeroporto di Algeri, servì proprio a questo. Sebbene la giustizia americana assunse una posizione ambigua sulla vicenda, insabbiando il processo contro l’ esecutore materiale del delitto Holohan, il sergente Carl Lo Dolce, e contro il regista dell’ omicidio, il tenente Icardi, fu grazie al pronunciamento di una Corte italiana che Dulles poté reclamare la testa di Corvo, di Scamporino e dei loro protetti. Nominato dal presidente Eisenhower, nel 1953, direttore della Cia, Dulles, in piena epoca maccartista, condusse in porto, con la collaborazione di Angleton, capo del controspionaggio, la definitiva liquidazione degli italoamericani. Una campagna di stampa, sapientemente orchestrata dai repubblicani, mise alla gogna Corvo attraverso la persecuzione mediatica del suo subordinato, Aldo Icardi, dapprima incriminato con l’ accusa di falsa testimonianza, per aver mentito a una commissione parlamentare d’ inchiesta davanti alla quale aveva deposto in merito al caso Holohan, e infine assolto grazie all’ intervento dell’ avvocato dei boss mafiosi, Edward Bennett Williams. A parte la gestione strumentale delle vicende processuali, ciò non toglie che esiste una verità giudiziaria sul caso Holohan, stabilita da una corte italiana. Appare perciò ridicola, sessant’ anni dopo, la versione dei fatti che il libro di Corvo (morto nel 1994) fornisce. Nel volume, infatti, non soltanto si nega che il maggiore americano sia stato vittima della faida interna all’ Oss, ma si ritrovano echi di quella ideologia maccartista cui Max Corvo dovette il suo definitivo allontanamento dalla Cia. La libera corte di un Paese sovrano che giudicò Icardi reo di omicidio premeditato, viene definita con sprezzo «kangaroo court», un tribunale illegale dominato da un pubblico accusatore bollato come «persecutore comunista». Dietro la scena macabra dell’ omicidio Holohan si staglia la figura inquietante di Max Corvo, come ebbe a testimoniare nel processo di Novara il sanguigno comandante partigiano «Albertino», alias Giovanni Marcora, fondatore dalla corrente di Base della Dc e, negli anni Settanta, ministro dell’ Agricoltura. Marcora invitò a ricercare ai massimi livelli dell’ Oss i veri responsabili dell’ accaduto, e ruppe la crosta d’ omertà ambientale con un intervento appassionato che impressionò la corte: «Si dica una buona volta la verità sulla morte del maggiore William Holohan – denunciò l’ esponente cattolico – . Egli fu ucciso da un ufficiale del servizio segreto americano, con il consenso più o meno esplicito del suo comando. Non è quindi da escludersi che siano stati o il maggiore Corvo, del Quartier generale dell’ Oss di Siena, o addirittura il generale Donovan, comandante dell’ Oss, ad approvare la soppressione di Holohan». Marcora indicò nel tenente Icardi il vero capo della missione alleata, l’ uomo di fiducia della branca operativa dei servizi segreti, cioè di Corvo, e aggiunse: «A liberazione avvenuta, la polizia militare americana si occupò del fatto, e stava per giungere alla verità, se ne parlava apertamente, quando un ordine superiore insabbiò l’ inchiesta. Quando i carabinieri di Arona scoprirono il delitto, e la notizia si diffuse rapidamente nel mondo, Icardi venne mandato prudentemente a Lima. La verità sul caso Holohan è negli archivi dell’ Oss». La nuova testimonianza giunge a completare il mosaico. Racconta Diana Bonazzi: «Nell’ immediato dopoguerra, a Milano, ero ben introdotta nella sede dell’ Oss, situata in via Telesio, di fronte a casa mia. Un giorno di maggio-giugno del 1945, alcuni agenti dell’ Oss mi invitarono a una gita: meta era il lago d’ Orta. Durante il percorso in automobile, seppi della misteriosa morte del maggiore Holohan. L’ ufficiale aveva con sé una grossa somma in monete d’ oro che non fu mai ritrovata. Gli americani, per fare luce sull’ accaduto, aprirono sul lago d’ Orta una rivendita di legna e carbone affidandola a un loro collaboratore italiano. Mesi dopo sentii collegare il caso del maggiore Holohan ai nomi di Scamporino e Corvo, che avevo conosciuto in via Telesio». Sulla base delle indagini svolte nel luogo dov’ era avvenuto il delitto, fu istruito il processo che si celebrò a Novara dopo il ritrovamento dei resti del capomissione statunitense. In tal modo, soffiando sotto la cenere, la Cia di Allen Dulles ottenne il risultato sperato: spingere gli italiani a indagare sull’ accaduto, in modo tale da poter avviare un processo «pilotato». Esso poté giungere soltanto a una parziale verità, tale da soddisfare comunque la fazione dominante nell’ Intelligence Usa, che non reputava opportuno né desiderabile fare piena luce sulla torbida vicenda.
Roberto Festorazzi, Un cadavere nel lago, la Repubblica, 16 marzo 2006

William Bill Holohan – Fonte: Azzurro blog
Fonte: Aldo Icardi
Sergente Carl Lo Dolce, operatore radio di Mangosteen – Fonte: Aldo Icardi

Era il 19 ottobre del 1953, quando a Novara -in Corte d’Assise- si svolse un famoso processo. A quel tempo il vecchio tribunale era acquartierato a Palazzo Orelli o palazzo del Mercato, davanti all’attuale Martiri.
Il processo riguardava la tragica scomparsa, durante la guerra, del maggiore americano William B. Holohan.
Storia inquietante. Il 26 settembre 1944, nella zona del Mottarone, veniva paracaduta da un aereo “C-7” una missione di controspionaggio, la cosiddetta “Missione Chrysler (oppure “Mangoosteen”).
La missione era composta da due gruppi di corpi speciali USA, uno al comando del maggiore William “Bill” Holohan; l’altro guidato dal tenente Giannino, di evidenti origini italiane.
Il gruppo Holohan aveva il compito di collaborare con la Resistenza nel Cusio e nell’Ossola, in appoggio ai movimenti partigiani, molto vivaci e combattivi.
Il gruppo Giannino invece fu incaricato di tenere i collegamenti con i centri dei Servizi Strategici USA in Svizzera.
La missione Holohan si fermò poco tempo sul Mottarone, installandosi poi nei pressi di San Maurizio d’Opaglio, centro che allora con Pella e Pogno formava il comune dei Castelli Cusiani. La missione si installò nella villa dell’industriale lombardo Castelnuovo, protetta dai partigiani di “Renatino” Boeri e assistita dall’attivissimo parroco di Arona don Carlo Berrini.
Dopo la caduta della Repubblica dell’Ossola (ottobre 1944), la missione Holohan si ridusse a tre unità: lo stesso maggiore, poi il tenente Aldo Icardi e il sergente Carlo Lo Dolce, nomi di chiara origine italiana. I partigiani inviarono due aiutanti Giuseppe Mainini di Pettenasco e Gualtiero Tozzini di Lagna. Teneva i collegamenti il geometra Giorgio Migliari di Gozzano.
Compito principale di Bill Holohan era quello di appoggiare i partigiani, di rifornirli di materiale sia alimentare che bellico, attraverso i lanci con il paracadute.
Ben presto Holohan palesò la sua netta antipatia per i partigiani comunisti. Mentre il tenente Icardi, 23enne, oltre che dalle ragazze, sembrava affascinato da idee di “sinistra”
Dalle dichiarazioni rilasciate al processo di Novara, fu confermato che il maggiore Holohan nonostante si trovasse in un territorio controllato dagli uomini di “Cino” Moscatelli, continuasse a mantenere un atteggiamento ostile, evidenziato dal fatto che in quel periodo venne effettuato un solo “lancio” dal cielo.
Finchè un giorno il maggiore Holohan scomparve…
Non se ne seppe più nulla per cinque anni.
Il “mistero” fu ricostruito e reso pubblico il 21 giugno del 1950 dalla puntigliosa inchiesta tenente dei carabinieri di Arona, Elio Albieri. Il suo dettagliato rapporto raccontava che il 6 dicembre 1944 il maggiore americano del controspionaggio OSS William Holohan era stato assassinato.
Albieri, dopo indagini condotte con il maggiore Henry Manfredi del comando americano di Trieste, raccontò come venne ucciso il povero Holohan. Le confessioni decisive furono quelle dei partigiani Mainini e Tozzini che consentirono anche il recupero del cadavere.
Il 16 giugno del 1950 fu ripescato Holohan dalle profonde acque del lago d’Orta, ove l’ufficiale americano era stato barbaramente gettato sei anni prima. Malgrado fosse rimasto nell’acqua ad una profondità di circa 35 metri, il corpo del maggiore appariva ancora intatto e mostrava le ferite mortali.
Portava ancora l’orologio al polso sinistro. Dopo gli esami legali, la salma venne inviata ai famigliari negli Stati Uniti.
I due partigiani raccontarono nei particolari l’ultima sera trascorsa in vita dal maggiore americano, E’ il 6 dicembre 1944 siamo a Villa Castelnuovo ai Castelli Cusiani. E’ l’ora della cena. Nel risotto (o minestrone?) servito al maggiore qualcuno ha aggiunto del cianuro di potassio. Questo veleno e stato richiesto -e negato- dal farmacista di Orta dottor Lapidari; quindi fornito al Mainini da un industriale di Pettenasco espatriato nel 1951 negli Stati Uniti.
Il maggiore Holohan non trova di gradimento il risotto (o il minestrone?), ne mangia un paio di cucchiai… Avverte uno strano malessere e si ritira nella sua camera da letto. I due accusati del delitto, e poi condannati, gli americani Icardi e Lo Dolce, per loro motivi abbietti, decidono di accelerare i tempi. Tirano a sorte a chi deve toccare il compito di eliminare definitivamente il maggiore. L’asse di picche lo “pesca” Carlo Lo Dolce.
Munitosi di pistola calibro 9, Lo Dolce sale nella camera di Holohan, che è semi-assopito. Lo fredda brutalmente con due colpi sparatigli a bruciapelo alla testa. In seguito si provvederà a fasciare il capo dell’ucciso con uno straccio. Il corpo di Holohan viene chiuso in un sacco a pelo, appesantendo il macabro fardello con zaino e armi.
Il fagotto è poi caricato su una barca, guidata dai due partigiani, che si allontana dalla riva una cinquantina di metri, mollando nel lago il suo triste carico.
Siamo in piena notte. Buio completo sul lago d’Orta. Intanto, per giustificare la versione che il maggiore Holohan fosse perito in un’imboscata viene inscenato un finto attacco alla villa Castelnuovo. Qualche sparo….
Il tenente Icardi assume il comando (lungamente agognato) della Missione e il giorno dopo dopo, insieme al partigiano Tozzini, si unisce a Pella al partigiano Migliari. Gli altri due, Lo Dolce e Mainini, si aggregano alla divisione “Nello”. Particolare importante: in quei giorni il sergente Lo Dolce viene colpito da un tremendo collasso nervoso…
Chi aveva interesse ad eliminare il maggiore Holohan?
Il processo di Novara fece luce su molti avvenimenti e anche su particolari inquietanti, come il persistente silenzio mantenuti dagli alti comandi americani, quasi a voler tenere segreta la vicenda. Sparirono anche numerosi rapporti inviati dal partigiano Migliari a diverse competenti autorità. Misteri di una vicenda intricatissima.
Il processo in Corte d’Assise di Novara durò una quindicina di giorni e fu seguito, in aula e fuori, da una folla immensa. Erano presenti anche alcuni giornalisti provenienti dagli Stati Uniti.
I due militari americani risultarono assenti: fu infatti respinta la richiesta di estradizione avanzata dalle autorità italiane. Ebbero come difensori d’ufficio gli avvocati Falcioni di Domodossola, Tito Chiovenda di Premosello, Cantoni e Cocito di Novara.
Il partigiano Mainini venne difeso dal novarese Giuliano Allegra e dal torinese Del Fiume. Il partigiano Tozzini dal novarese Roberto Di Tieri e dall’omegnese Macchioni. Infine il partigiano Aminta Migliari era difeso dagli avvocati Borgna di Borgomanero e Quaglia di Torino.
Furono ascoltati ben 61 testimoni, la maggior parte dell’accusa. Furono escussi anche due testi importanti: il maggiore Henry Manfredi della Criminal Investigation Division e il famoso giornalista americano Michael Sterm.
Il procuratore generale Alessandro Casalegno presentò una serrata e documentata requisitoria, chiedendo l’ergastolo sia per Lo Dolce che per Icardi, accusati di omicidio, rapina (avevano sottratto anche i dollari della Missione) e soppressione di cadavere.
Pene pesanti furono richieste anche per i tre partigiani coinvolti, con la concessione delle attenuanti generiche. In piazza Martiri la gente tumultuava chiedendo la liberazione dei partigiani… La Corte restò in camera di consiglio soltanto un’ora, poi il presidente aronese Sicher, che diresse con fermezza e scrupolo ogni fase del lungo e faticoso dibattimento, lesse i verdetti: ergastolo per il tenente Aldo Icardi considerato il regista del delitto; 17 anni per il sergente Carlo Lo Dolce esecutore materiale. Assolti i tre partigiani italiani, ritenuti non punibili per aver agito in stato di “necessità”.
Uno scroscio di applausi salutò la sentenza. Ovviamente Icardi e Lo Dolce non scontarono alcuna condanna. Erano rimasti negli Stati Uniti…
A questa tragica vicenda si ispirò il cinema di Hollywood “affamato” di storie forti. Una grande casa, la Paramount, produsse infatti nel 1950, tre anni prima del processo, il film “La spia del lago” (titolo originale “Captain Carey, USA”), tratto dal romanzo di Martha Albrand “Disonorato”.
Quel film avventuroso, con la guerra come sfondo, fu interpretato da un attore allora celebre, Alan Ladd, con la bionda Wanda Hendrix, Francis Lederer e un giovanissimo Russ Tamblyn. Regia del veterano Mitchell Leisen.
La storia assomiglia a grandi linee alla vicenda Holohan, il film è di livello commerciale pur se professionalmente corretto […]
Gianfranco Capra, Il lago dei misteri, Azzurro blog, 24 aprile 2012

[n.d.r.: almeno una persona, Luciano Vignati, come si sarà notato dalle immagini sopra pubblicate, ha cercato di difendere ad oltranza l’innocenza di Aldo Icardi: con diverse missive – e non solo quelle qui riportate a titolo di esempio – indirizzate a diverse autorità]