La missione Herring

Uomini dell’operazione Herring – Fonte: Qui news Cecina.it cit. infra

[… L’operazione Herring [ndr: Aringa] (19-23 Aprile 1945) fu un’azione di infiltrazione e sabotaggio effettuata alla vigilia dello sfondamento della Linea Gotica da parte alleata, per ritardare la ritirata delle truppe tedesche e facilitare l’avanzata delle forze angloamericane. 226 paracadutisti tratti dallo Squadrone Folgore e dalla Centuria Nembo, del ricostituito Esercito Italiano agli ordini del legittimo governo Badoglio, tutti volontari, partirono a bordo di velivoli alleati la sera del 20 aprile 1945 dall’aeroporto di Rosignano, nei pressi di Vada, per lanciarsi sulla Pianura Padana occupata dai tedeschi, precisamente nelle province di Bologna, Ferrara, Mantova e Modena con l’ordine di resistere almeno 36 ore in attesa dell’arrivo delle forze alleate.
L’operazione Herring, che rappresenta l’ultima missione di lancio di guerra sul teatro europeo della II^ Guerra Mondiale, è stata per la prima volta commemorata dal Comune di Rosignano Marittimo nel 2016 a seguito di prezioso lavoro di ricostruzione storica portato avanti della sezione locale Anpi Mario Tarchi con la collaborazione della sezione livornese dell’Associazione Nazionale Paracadutisti. In seguito il 185° Reggimento RAO Folgore ha deciso di celebrare la propria Festa di Corpo il 20 Aprile di ogni anno nel Comune di Rosignano Marittimo, in località Il Casone di Vada, dove nel 2018 è stato inaugurato un Monumento a tutti i caduti dell’operazione Herring.
Così dunque è stato stabilito: “Considerato che l’Operazione Herring affianca ed esalta il rilevante contributo dato da tanti cittadini e cittadine di Rosignano alla Resistenza e alla Guerra di Liberazione, sia in ambito locale e nazionale che all’estero, dimostrando il carattere al tempo stesso unitario e plurale di forze diverse ma concordi nell’obbiettivo di restituire alla Patria le libertà vilipese dal fascismo e di cooperare insieme per la rinascita democratica del paese, il Consiglio Comunale, all’unanimità di voti, ha deliberato, di conferire la cittadinanza onoraria del Comune di Rosignano Marittimo a tutti gli uomini che presero parte all’operazione Herring e al 185° Reggimento R.R.A.O. Folgore, come degno erede di quei valorosi”.
Redazione, Così si ricorda l’operazione Herring, Quinews Cecina.it, 7 maggio 2021

Fonte: Patria Indipendente cit. infra

Al pari di tutte le altre attività dello SOE <71, anche per l’invio di missioni di collegamento era necessaria una notevole preparazione organizzativa, che risentiva della scarsa disponibilità di mezzi della Special Force, trovando ostacoli per la pianificazione e l’esecuzione, e che costringeva a scegliere le priorità <72. A titolo di esempio possiamo portare l’operazione Herring, condotta da militari italiani incaricati di disturbare e sabotare la ritirata tedesca. La missione venne ventilata durante una conferenza tenuta negli ultimi giorni del marzo 1945. Nella quale molti erano cauti per le problematiche tecniche che questo progetto avrebbe sollevato. Venivano obiettate la mancanza di
attrezzature per il contemporaneo addestramento dei membri e la lontananza della base dove si sarebbe svolto il training. Inoltre, altre preoccupazioni venivano proprio dall’utilizzo combinato di soldati della Folgore con quelli dello Squadrone Recce. In sostanza «la collaborazione con i partigiani non era praticabile» <73. Un funzionario dello SOE, Antony Beevor considerava l’operazione come un’anomalia che ibridava le missioni tipiche della Special Force con quelle aeree tradizionali. Era dell’opinione che richiedesse un addestramento particolare, una decisione assieme ai Comandi della V Armata dei luoghi di lancio e per ultimo l’uso degli S-Phone, visto che non potevano essere inviati i W/T74. In definitiva rimandava la decisione finale a consultazioni successive <75.
Un suo collega, Madden, aggiungeva che la dislocazione di aerei a favore di Herring avrebbe messo a repentaglio i partigiani di altri settori « […] che potrebbero averne bisogno in questo periodo oltre che mettere a rischio la resistenza in Austria e in Cecoslovacchia che sono in un momento cruciale» <76. Un primo passo in avanti fu la scelta di utilizzare la Folgore e la Nembo <77, mentre l’esercito si dimostrò favorevole ad addestrare degli italiani per la missione <78. Solo quando venne risolta anche la questione del morale degli ufficiali, che si sentivano diretti verso un’impresa suicida, grazie alla disponibilità del maggiore Ramsay a fare da guida <79, il progetto venne finalmente effettuato dal 20 aprile 1945 <80.
71 Importanza del segreto relativo ai lanci in 6/781 12 del 14-1-44, Norrison-Rumbold; relativo sull’antiscorch in HS 6/776 27 del 20-3-45, A/CD-CD; circa Pickaxe in HS 6/799 7 del 9-4-44, XA/2-AM2.
72 HS 6/902 1 del 3-9-44, anonimo, Progress Report. Italian Section.
73 HS 6/792 93 del 24-3-45, anonimo, Minute of Conference.
74 HS 6/792 99 del 25-3-45.
75 HS 6/792 86 del 25-3-45, Beevor-?.
76 HS 6/792 57 del 27-3-45; HS 6/792 91 del 29-3-45, Madden-?.
77 HS 6/792 42 del 29-3-45, ?-Ramsay, Operation Herring brief for Italian Special Air Service.
78 HS 6/792 61 del ?-3-45, anonimo, Operation Herring.
79 HS 6/792 28 del 12-4-45, Brann-Franck.
80 HS 6/792 2, undated, anonimo.
Mireno Berrettini, Le Missioni dello Special Operations Executive e la Resistenza Italiana in QF Quaderni di Farestoria, 2007 – n°3 , Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Pistoia

I Parà della Herring mentre ritirano i paracadute – Fonte: Patria Indipendente cit. infra

Il figlio del valoroso comandante di questa operazione è oggi presidente dell’Associazione di cavalleria mentre suo padre, Francesco Carlo Gay, da giovane capitano, fu il mitico comandante dello squadrone “Folgore” l’unità italiana inquadrata nella 6a Armata inglese, nella campagna d’Italia, protagonista dell’impresa.
Proprio a Francesco Carlo Gay venne assegnata quella ardita missione di guerra, negli ultimi giorni del conflitto, denominata “Herring” e consistita nel lancio di 226 parà sul pieno dello schieramento tedesco in ritirata, lungo le rive del fiume Po.
L’episodio, che ora raccontiamo ha dell’incredibile e va considerato come il risultato della ostinata volontà dei paracadutisti della “Folgore” e del “Nembo” di tornare, da unità terrestri, a quello che era il loro vero ruolo.
La missione, invano interdetta dagli inglesi, per gli effetti che avrebbe potuto avere sulla popolazione civile, era intesa a spargere distruzione e scompiglio sulle truppe tedesche, lungo un corso d’acqua inguadabile, ma ancora determinate e spinte dalla volontà di porsi in salvo verso la Germania e l’Austria senza peraltro rinunciare ad effettuare crudeli ritorsioni contro chiunque, partigiani e no, osava contrastare quella loro ultima speranza di salvezza.
In quella occasione i 226 parà vennero lanciati lungo i principali itinerari di Modena-Mirandola-Verona e Ferrara-Poggio Rusco-Ostiglia, per distruggere il maggior numero di postazioni difensive ed impedire la fuga al Nord della enorme massa di tedeschi che si era andata via via accatastando, armi e materiali, sulle rive del fiume.
Una missione che rasentava la follia, da attuare con leggere pattuglie di 10-12 uomini ciascuna, equipaggiate solo con armi ed esplosivo, fidando, per il resto, nel sostegno logistico dei partigiani del luogo (che risultò pronto ed efficace).
Ma come sempre accade in ogni operazione di aviolancio, anche questa volta i salti nel buio della notte, gli errori di direzione dei piloti inglesi e la reazione furiosa delle unità contraeree, particolarmente numerose lungo le rive, contribuirono al verificarsi di atterraggi spesso distanti e diversi dai luoghi prefissati.
Di conseguenza avvennero fatti imprevisti e perfino grotteschi, come la caduta sul cassone di un automezzo pieno di nemici o nel bel mezzo delle aie contadine, affollate di civili e tedeschi, gli uni e gli altri sorpresi e atterriti da quelle improvvise apparizioni.
La reazione dei parà – là dove non venivano uccisi ancora in volo contro ogni convenzione internazionale – avvenne rapida, valorosa e spietata, a colpi di mitra e bombe a mano, sostenuta da un sovrumano coraggio, controllato con atti di astuzia, per occultarsi meglio e sfuggire alla loro ricerca, utilizzando fossi, canali e, spesso, le stesse case in cui erano alloggiati i nemici.
In quei frangenti i tedeschi non esitarono a compiere crudeli atti di ritorsione verso quelli che dimostravano il minimo sostegno a quei valorosi combattenti, tanto che, una successiva missione di lancio, già programmata, venne cancellata all’ultimo momento dagli inglesi, informati di quelle barbare vendette, specie sui partigiani catturati.
I risultati dell’Operazione Herring parlano di 44 mezzi distrutti; sette strade di grande comunicazione minate nelle province di Ferrara, Modena, Reggio; tre ponti fatti saltare, un deposito di munizioni esploso, decine di linee telefoniche interrotte, duemila prigionieri – poi consegnati agli inglesi in arrivo – e 544 tedeschi uccisi contro 31 caduti italiani e 26 feriti.
Ma delle tante che potrebbero ancora essere raccontate, certamente la storia più toccante ed emblematica di tutta l’Operazione Herring è quella del “piccolo balilla” (come veniva chiamato per l’età e la statura) Amelio De Juliis, figlio di contadini di Pizzoferrato (Chieti). Aveva appena 16 anni quando, nel novembre del ’43, in una notte di tormenta, si offrì di guidare attraverso la montagna, che ben conosceva, una pattuglia dello Squadrone Folgore comandata dal Capitano Gay, aggregata alla I Divisione Canadese. Fu preso in simpatia dai paracadutisti ed avendo chiesto ed ottenuto di poter restare con loro, partecipò all’avanzata verso il nord espletando umili incombenze. Non contento volle anche conseguire il brevetto di paracadutista divenendo così l’amico inseparabile del Caporalmaggiore Aristide Arnaboldi. Poiché la sua giovane età gli era di ostacolo alla partecipazione del lancio di guerra, occorse tutta l’insistenza ed il convincimento dell’Arnaboldi per poterlo includere nel novero dei partecipanti all’Operazione Herring. Sia lui che l’Arnaboldi vennero inquadrati nella pattuglia “O” dello Squadrone “F”, comandata dal Sottotenente Angelo Rosas.
Accerchiati da una pattuglia nemica, fu proprio nella disperata difesa del suo comandante, già colpito a morte, che il giovanissimo paracadutista, a sua volta ferito al braccio destro, aveva continuato a lanciare bombe a mano con la sinistra; intanto anche l’amico Arnoboldi, nel tentativo di difenderlo, veniva abbattuto.
Arnoboldi e De Juliis sono stati trovati uno accanto all’altro, amici inseparabili nella vita e nella morte, ma anche dopo, perché uniti nel massimo riconoscimento per un soldato: la Medaglia al Valor Militare, alla memoria.
Amelio De Juliis, senza alcun dubbio resterà a perenne testimonianza dell’onore e del valore del soldato italiano.
Ilio Muraca, Per l’Operazione Herring il coraggio di 226 parà, Patria Indipendente, 26 settembre 2010