La nuova generazione operaia era nata e cresciuta sotto l’ala del fascismo

Si era aperto infatti, il 19 agosto 1936, il primo grande processo contro i vecchi compagni del Partito bolscevico: contro Grigory Zinoviev e Lev Borisovič Kamenev e altri quattordici imputati, tutti accusati dell’assassinio di Kirov, vale a dire Sergej Mironovic Kostrikov, membro del Comitato Centrale e sostenitore del leader georgiano.
L’omicidio, avvenuto il 1° dicembre 1934 in circostanze misteriose (sembra, su mandato di Stalin, secondo le dichiarazioni di Chruscev del 1956, ma non fu realmente provato), servì da pretesto per l’avvio delle grandi “purghe”. Gli imputati furono accusati di far parte di un gruppo controrivoluzionario, lo stesso che aveva armato la mano dell’assassino di Kirov e che minacciava di uccidere altri dirigenti sovietici e lo stesso Stalin. Nella ricostruzione artificiosa degli inquisitori, l’attività del gruppo, reo confesso sotto tortura, si era svolta in stretto accordo con il «rinnegato» Trotsky. Tutti gli accusati, tuonava “L’Unità”, erano pertanto «nemici giurati dello Stato Sovietico», nemici del socialismo, «una banda di provocatori e di assassini». Non solo terroristi capeggiati da Trotsky, ma traditori, strettamente legati alla polizia tedesca che «si serviva di loro per la sua nefanda azione antisovietica». I sedici imputati furono condannati alla pena capitale. <174
Cauto il “Nuovo Avanti” definiva «sconcertante» il processo di Mosca e si chiedeva come fosse possibile che i condannati dopo il verdetto avessero potuto fare addirittura «dichiarazioni di lealismo staliniano chiedendo, persino, che la sentenza fosse eseguita immediatamente, perché potessero, così, espiare subito la loro colpa». <175 Se nell’articolo in questione si rilevava che le affermazioni degli imputati rendevano «oscuro» il processo,176 e ponevano degli interrogativi, nel numero seguente, il foglio socialista, non esprimeva condanne e si limitava a definire le sedici esecuzioni «un grosso errore politico». <177
“Prometeo”, che intendeva far cadere il velo che copriva la realtà sovietica, scriveva che i processi inscenati a Mosca acquistavano «una luminosa chiarezza» nel momento in cui si veniva a conoscenza di come la Russia avesse ormai raggiunto il suo posto «sul fronte della repressione capitalistica contro il proletariato mondiale». <178
Di rimando, “L’Unità” spiegava invece alla base ignara, e a tutti coloro che riponevano fiducia nel partito e nelle sue parole, come i trotskisti fossero riusciti a introdurre ovunque, nel movimento operaio, «la provocazione, le lotte intestine e, infine, la disgregazione. E dove, come nell’Unione Sovietica ogni via di penetrazione in seno alle masse era preclusa», non avessero esitato a «mostrare i loro volti assassini». <179 Fortunatamente, l’occhio vigile di Mosca aveva “vegliato” sul proletariato internazionale, e Togliatti lo confermava, scrivendo che il processo e le condanne avevano inferto «un colpo al fascismo, agli istigatori della guerra, ai nemici della libertà e della pace dei popoli proprio nel momento in cui questo colpo era necessario.
«Il processo di Mosca è stato un atto di difesa della democrazia, della pace, del socialismo, della rivoluzione.
«È in ciò che sta la sua importanza internazionale». <180
Puntualmente, numero dopo numero, il quotidiano comunista riportava la cronaca dei processi in corso, ribadendo costantemente che la lotta contro il trotskismo era parte integrante della lotta contro il fascismo, poiché era proprio il trotskismo che realizzava «le parole d’ordine del fascismo». <181 “Lo Stato operaio”, la rivista teorica del PCI, dall’alto della sua autorità presentava in modo chiaro e articolato, le trame, la tattica, gli intrighi e gli obiettivi della cosiddetta “organizzazione criminale”, ramificata a livello internazionale. <182 Un manifesto del partito, pubblicato nel marzo 1937, esprimeva quindi la convinzione di «interpretare la indignazione della classe operaia e del popolo italiano contro gli avanzi dei gruppi controrivoluzionari trotskisti-zienoviefiani che, in accordo con gli agenti della “Gestapo” […] hanno cercato di abbattere i capi venerati del popolo della grande Unione Sovietica». <183
I trotskisti, o meglio, i bordighisti nella versione italiana (gli aderenti alla Frazione della sinistra comunista, eredi della sinistra che guidò il Partito comunista d’Italia nei suoi primi anni e di Amadeo Bordiga), un binomio costantemente usato, cacciati a suo tempo dalle file del partito, continuavano a compiere – avvisava “Lo Stato operaio” – «un’opera deleteria ai margini della classe operaia». Essi si presentavano ancora «come comunisti, anzi come i comunisti “puri”» e ciò facilitava il loro compito «di portatori delle parole d’ordine del fascismo tra gli operai». Essi facevano ciò che voleva il fascismo e la polizia li lasciava procedere indisturbati, perché erano i loro «agenti». <184 Alcuni, quelli che davano voce al dissenso riunendosi attorno alla rivista “Prometeo”, che difendeva i “malfattori” di Mosca, cioè gli imputati delle purghe staliniane, avevano – assicurava “L’Unità” – «delle ramificazioni misteriose (ma non troppo!) in certi ambienti non lontani dalle autorità consolari italiane». Alla luce di questa rivelazione, la difesa «degli assassini trotskisti-zinovievani», che il periodico della Frazione assumeva e che la stampa italiana riproduceva con grande clamore, era «strettamente nella linea dei provocatori bordighiani-trotskisti, alleati della polizia internazionale».
Era dal centro di “Prometeo”, proseguiva il foglio comunista, che si erano levati «gli incitamenti ad uccidere i capi del Partito comunista italiano e i comunisti italiani che “osano” lavorare in Italia per il pane, la libertà e la pace del nostro popolo». Era dal centro di “Prometeo” che erano partiti alcuni «provocatori» che, secondo il giornale, avevano fatto arrestare dei compagni in Italia. Era presso il centro di “Prometeo” che aveva trovato appoggio Guido diffamato dal partito e che, per reazione, aveva sfogato il suo sdegno, sparando su Camillo Montanari, un compagno incontrato per caso sul metrò, considerato tra i responsabili delle diffamazioni diffuse nei suoi confronti. Era ancora il giornale “Prometeo” che sosteneva, assieme ai trotskisti, la «necessità rivoluzionaria (!) della rottura del fronte popolare repubblicano in Ispagna e al cui obiettivo lavorano i trotskisti di tutti i paesi». <185
La Frazione della sinistra comunista, dalle colonne del suo giornale, aveva infatti messo in guardia i propri lettori contro la politica dei fronti popolari, che rispondeva – nella sua visione – alla politica del fronte borghese, e aveva di conseguenza dichiarato che il governo repubblicano spagnolo era il governo del capitalismo e, in quanto tale, avrebbe combattuto la rivoluzione proletaria. Andando controcorrente rispetto al sentire comune, enunciava quindi che sostenere il governo del fronte popolare, per impedire la vittoria di Franco, equivaleva sostenere la macchina statale dell’oppressione.
Poiché il governo repubblicano era uno strumento del capitalismo, il proletariato doveva «impiegare le sue forze non ad una impossibile sua trasformazione», ma nella difesa dei propri interessi. <186
«Dalla Francia alla Germania, passando per la Russia, – si legge nello stesso numero – tutti sono uniti per far massacrare gli operai di Spagna attorno alle bandiere borghesi. Ed in tutti i paesi i tentativi dei proletari di volare in soccorso del proletariato spagnolo sono trasformati in un movimento di sostegno dei regimi democratici contro i regimi fascisti o inversamente.» <187
Il Partito comunista nella sua serrata campagna contro la sinistra, si servì anche della tragica fine di Camillo Montanari, poc’anzi ricordata – avvenuta in un clima di sospetti e di tesa contrapposizione politica – per ribadire che in Italia i gruppi «trotskisti-bordighisti» se non erano passati «all’attentato contro i comunisti» si davano «allo spionaggio ed alla lotta contro il Partito comunista d’Italia». I comunisti della vecchia guardia, «i Bordiga, i Damen, i Repossi e i loro amici emigrati» non avevano altra cura che «spiare» il lavoro dei compagni del partito, «tentare di disgregarlo e di comprometterlo, dare le sue file alla polizia, calunniare l’URSS». Ora però il trotskismo era stato smascherato e il proletariato di tutti i paesi era grato ai compagni sovietici dell’aiuto dato «per liberare i campi della lotta mondiale per la pace e la libertà dai trotskisti, agenti abbietti del fascismo».188
“Lo Stato operaio”, rilevava con preoccupazione che il ruolo svolto dal troskismo e dal bordighismo, «la sua speciale forma italiana», non era ancora popolo dell’Unione Sovietica, né ai popoli degli altri paesi». Il Partito bolscevico e il governo di Mosca avevano «un tale amore della verità» che invano si sarebbe cercato, «in quasi 20 anni di potere proletario, un solo caso» in cui non avesse mantenuto un impegno o «affermato una cosa non vera», e l’atteggiamento assunto nei confronti della guerra di Spagna ne era un esempio. Solo i trotskisti e la destra di Bucharin – proseguiva Montagnana – facevano uso dell’ipocrisia e della menzogna, assomigliando nel metodo totalmente ai fascisti. <193
Condizioni sociali e agitazioni popolari
Nella Penisola, un rapporto confidenziale del 26 agosto – riportato con altri, da Simona Colarizi, che si avrà in seguito ancora occasione di citare, – segnalava, da Milano, che le «classi operaie erano quelle sulle quali gli avvenimenti spagnoli» avevano fatto maggior presa. Nonostante il regime avesse provveduto ad accordare a numerose categorie di lavoratori sensibili aumenti salariali, c’era in certuni «un inconfessato senso di solidarietà coi comunisti spagnoli». L’eco della rivoluzione in Spagna aveva risvegliato in loro «la sopita “lotta di classe”, malgrado tutte le previdenze del Regime». Erano degli isolati ai quali tuttavia si univano «gli scontenti, i disoccupati, gli ex confinati ed ex detenuti politici, tutti quei sovversivi che sognano la riscossa, tutti gli elementi torbidi che vivono ai margini della società. […] E’ questa una minoranza che non si può trascurare, in un momento come l’attuale, nel quale la follia diviene contagiosa e la propaganda comunista che trova presa solo tra le classi operaie, accentua la sua azione dissolvitrice e sobillatrice». <194
In realtà, gli aumenti dei salari accordati non avevano garantito il potere d’acquisto delle fasce più deboli, con la conseguente diminuzione dei consumi alimentari e di ogni genere di beni. I salari agricoli, sempre più bassi rispetto alla media dell’industria, avevano subito una consistente decurtazione: le mondine, per esempio – accusava “Il Seme”, supplemento de “L’Unità” – avevano sopportato una riduzione superiore al 55 per cento e nelle regioni in cui le masse agricole erano più numerose come la Puglia, l’Emilia e la Lombardia, i tagli salariali imposti dal fascismo variavano «dal 30 al 60 per cento». In Sicilia, in Calabria e in Puglia i salari agricoli si aggiravano intorno alla misera somma di «4 lire giornaliere per gli uomini e a 2 lire per le donne e per i giovani». <195
La guerra contro l’Etiopia aveva aggravato, in particolar modo, le condizioni di vita nelle campagne; il regime per poter condurre la sua aggressione in Africa aveva assorbito tutti i fondi di cui poteva disporre, arrestando l’esecuzione dei lavori pubblici. Inoltre, il decreto che aveva stabilito il blocco di nuove costruzioni aveva colpito anche la manodopera della campagna, inducendola a trovare occupazioni provvisorie «come manovali fornaciai ed edili in generale. Ancora: i miserabili soccorsi che venivano distribuiti in natura, di tanto in tanto, ai disoccupati agricoli» erano stati sospesi «o ridotti ad una miseria incredibile», perché i fondi raccolti venivano «quasi tutti destinati agli scopi di guerra […], invece che servire a sfamare i disoccupati». <196
Da un rapporto di un operaio meccanico della Fiat di Bologna del febbraio 1939, riportato da Ruggero Zangrandi, emerge che per un certo numero di operai, assunti regolarmente, non esisteva una paga minima giornaliera, poiché era in vigore un sistema che impediva un’occupazione continuativa nel reparto. Se mancava il lavoro il capofficina faceva uscire dallo stabilimento gli operai in esubero, che all’esterno aspettavano spesso invano di poter rientrare in fabbrica. Per quel giorno non avrebbero guadagnato nulla. <197
I metodi applicati dalle imprese per lucrare sul lavoro salariato, accentuando lo sfruttamento, erano (e sono) più o meno sempre i medesimi: dalle stesse pagine si apprende infatti, che in seguito a una inchiesta condotta presso varie sedi della Rinascente-Upim, numerose ragazze, assunte come apprendiste, «al momento del passaggio di categoria, venivano sostituite con altre e messe in mezzo a una strada, per non pagare i salari contrattuali». <198 Ricorrendo a una pratica molto diffusa, l’Ilva di Porto Marghera, per esempio, assumeva impiegati qualificandoli come operai; non pagava loro il lavoro straordinario e li occupava a «quindicina fissa e, di 15 in 15 giorni», si andava avanti negli anni, con sempre aperta la possibilità di licenziamento. <199
Di fronte ad un sistema di abuso continuo e radicato, anche per i responsabili sindacali, funzionari imposti dall’alto e vincolati alle gerarchie superiori, le possibilità di incidere sulle situazioni di sfruttamento e di prepotenza erano bassissime, quelle poi dei fiduciari d’azienda, che si trovavano a diretto contatto con i lavoratori, erano «addirittura drammatiche». <200 Nel caso avessero dimostrato di voler sostenere con eccessiva convinzione le richieste operaie, tenendo conto delle rivendicazioni di classe, o in caso di denuncia presso le autorità competenti, presto o tardi essi avrebbero pagato il loro ardire con l’allontanamento dall’organizzazione. Era pertanto una conseguenza naturale che il mondo del lavoro ponesse nei sindacati scarsa fiducia. Nei centri industriali, dove più radicato era il sindacalismo prefascista, la maggioranza dei lavoratori mantenne perlopiù un atteggiamento ostile o indifferente verso gli organismi di regime; lo rilevava, nel 1936, un informatore del Partito fascista, soffermandosi sulla situazione alla Fiat di Torino, dove, a suo avviso, la grande maggioranza delle maestranze era rimasta socialista e comunista. <201
I partiti della sinistra, seppure avevano il centro organizzativo lontano dal Paese, avevano compreso che il disagio nel ménage quotidiano della popolazione poteva essere il terreno favorevole a una sotterranea campagna di denuncia e di protesta, tanto più che nelle grandi fabbriche l’antagonismo di classe non pareva essersi mai completamente sopito. Sino a tutto il 1938, i rapporti degli informatori e della polizia erano «unanimi nel mettere in guardia dal considerare la massa operaia vicina al regime (e non di rado con toni assai allarmati)». Non fu così nel 1939, dopo gli aumenti salariali di marzo: non pochi allora furono i lavoratori che, in occasione della riapertura delle iscrizioni al PNF diretta agli ex combattenti, «ne approfittarono per entrare nel partito». La nuova generazione operaia era nata e cresciuta sotto l’ala del fascismo che, attraverso un’incisiva propaganda, si dichiarava contro la borghesia e assicurava di operare a favore dei lavoratori. <202
[NOTE]
174 Sandrinelli, La rivoluzione si difende, “L’Unità”, n. 10, 1936.
175 Lo sconcertante processo di Mosca, “Nuovo Avanti”, 29 agosto 1936.
176 Ibidem
177 Le esecuzioni di Mosca, “Nuovo Avanti”, 5 settembre 1936.
178 L’orgia di sangue del Centrismo. Le esecuzioni di Mosca, “Prometeo”, n. 135, 28 agosto 1936.
179 Il trotskismo brigata d’assalto delle forze di reazione e di guerra, “L’Unità”, n. 11, 1936.
180 P. Togliatti, da “L’Internationale comuniste”, n. 10-11, oct.-nov. 1936, rip. in R. Mieli, Togliatti. 1937, Milano, Bur, 1988, p. 326.
181 La lotta per l’annientamento del fascismo…, “L’Unità”, n. 3, 1937.
182 Cfr. Il troskismo, agenzia del fascismo internazionale. Il processo contro il centro parallelo trotskista e il suo significato internazionale, “Lo Stato operaio”, n. 2, febbraio 1937, p. 90-104.
183 Il Partito comunista d’Italia contro i traditori trotskisti, “L’Unità”, n. 11, 1936.
184 La lezione di un processo, “Lo Stato operaio”, n. 2, febbraio 1937.
185 Agenti del nemico di classe, “L’Unità”, n. 12, 1936. “Prometeo” aveva cercato di spiegare politicamente l’assassinio di Camillo Montanari, avvenuto il 9 agosto 1935 sul metrò di Belleville di Parigi, dichiarando che Guido Beiso aveva sparato contro il compagno, spinto dall’esasperazione per la pubblicazione di una diffida nei suoi confronti, apparsa sul numero 32 di “Azione popolare”, che lo presentava come un «provocatore sospetto». «Beiso aveva cercato invano di ottenere una smentita al comunicato che lo infamava e quando per caso egli incontrò Montanari, in un eccesso di indignazione, tirò su di uno di quelli che egli considerava come il responsabile della diffida». (L’attentato di Guido Beiso, “Prometeo”, 25 agosto 1935).
186 Per una base di classe, “Prometeo”, n. 135, 29 agosto 1936.
187 La situazione internazionale e gli avvenimenti in Spagna, “Prometeo”, n. 135, 29 agosto 1936.
188 Il processo contro il Centro parallelo trotskista, “L’Unità”, n. 2, 1937.
193 M. Montagnana, Menzogne fasciste e verità bolscevica, “L’Unità”, n. 4, 1937.
194 Rapporto del 26 agosto 1936, in ACS, PNF, Situazione politica per province, Milano, rip. in S. Colarizi (a cura di), op.cit., t.2, p. 439-440.
195 La lotta dei braccianti contro il carovita e la fame, “Il Seme” supplemento al n. 3 de “L’Unità”, 1936.
196 Ibidem.
197 Cfr. R. Zangrandi, op. cit., p. 175.
198 Ibidem, p. 157.
199 Ibidem, p. 177. Allo stesso modo un’altra ditta (Ditta Lavorazione Leghe Leggere), sempre di Porto Marghera, assumeva personale impiegatizio con la qualifica di manovale e come tale lo retribuiva, lo licenziava, lo liquidava (Ibidem). Per uno sguardo sulla situazione lavorativa dell’epoca, cfr. anche il Cap.: L’incontro con gli operai (R. Zangrandi, op. cit., p. 167-179).
200 Ibidem, p. 178. Cfr. inoltre A. Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1978. «I dirigenti sindacali, a tutti i livelli – scrive Aquarone –, erano non tanto i rappresentanti dei lavoratori e dei loro interessi, quanto delegati del governo e del partito, incaricati della sorveglianza dei sindacati» (Ibidem, t. 1, p. 224).
201 A. Aquarone, op. cit., p. 228.
Mirella Mingardo, Il Partito Comunista Italiano e la guerra civile spagnola tra processi staliniani e disagio popolare. La stampa clandestina (1936-1939), Giornalismo e Storia