La presenza dell’OVRA non ridusse mai l’attività repressiva delle questure

La Divisione polizia politica fu istituita con il regio decreto legge 9 gennaio 1927, n. 33, in essa furono concentrati i servizi di investigazione politica e di informazione confidenziale. Alla divisione erano trasmesse le note e le informazioni raccolte dagli Uffici Politici di Investigazione, dai fiduciari e dall’OVRA. Il controllo riguardava l’attività pubblica e la vita privata sia degli oppositori del fascismo sia di personalità del regime fascista sia di società, banche e altri enti, istituti e associazioni che svolgevano attività politica, culturale e economica. La divisione fu soppressa nel 1944.
Francesca Nemore, Guida alle fonti sussidiarie per la storia del Ministero delle Corporazioni, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Roma La Sapienza, 2013

Nell’Italia fascista l’istituto dell’internamento civile, come misura di guerra, trovò nuova disposizione del proprio strumentario normativo – concertata tra il ministero dell’Interno e i ministeri militari – nel corso degli anni Trenta, nell’ambito di una serie di provvedimenti, inaugurati nel 1925 dall’approvazione del piano generale di Organizzazione della nazione per la guerra, volti a regolare la mobilitazione militare e civile <443 in caso di conflitto, portando a compimento, nel giro di un quindicennio, i lavori preparatori per la definizione di una nuova legge di guerra e dei provvedimenti da adottare nei confronti di quanti potevano essere considerati pericolosi nelle contingenze belliche <444.
Parallelamente, dopo la fase di potenziamento che nel decennio precedente aveva interessato la Divisione affari generali e riservati con l’istituzione di una nuova sezione e la ridistribuzione delle rispettive aree di competenza che videro assegnata la gestione del movimento sovversivo alla prima sezione – da cui dipendevano gli uffici Casellario, Confino politico e Ovra -, l’ordine pubblico alla seconda e il controllo dei cittadini stranieri alla terza, nella complessiva riorganizzazione dell’intera Direzione generale di Pubblica sicurezza affidata il 23 settembre 1926 alla guida di Arturo Bocchini <445, uguale sforzo normativo si indirizzò verso una più accurata operazione di schedatura e vigilanza del movimento sovversivo e delle persone pericolose, per un’efficace applicazione delle misure di pubblica sicurezza, così come erano state definite nel Tulps e nei nuovi codici nell’ambito dell’opera di trasformazione dell’ordinamento a firma Rocco.
[NOTE]
443 Il piano generale dell’Organizzazione della nazione per la guerra fu approvato l’8 giugno 1925 con legge n. 969 pubblicata in «Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia», n. 144, 23 giugno 1925, parte prima, pp. 2640-2641.
444 Sullo sviluppo della normativa inerente all’internamento civile fascista si faccia riferimento a Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), cit., pp. 56-84, Carucci, Confino, soggiorno obbligato, internamento: sviluppo della normativa, cit., pp. 15-39, Tosatti, Gli internati civili in Italia nella documentazione dell’Archivio centrale dello Stato, cit., pp. 35-50, e Antoniani Persichilli, Disposizioni normative e fonti archivistiche per lo studio dell’internamento in Italia (giugno 1940-luglio 1943), cit., pp. 77-96.
445 Si faccia riferimento a P. Carucci, L’organizzazione dei servizi di polizia dopo l’approvazione del testo unico delle leggi di Pubblica sicurezza nel 1926, in «Rassegna degli Archivi di Stato», 1976, XXXVI, n. 1, pp. 82-11
Matteo Soldini, Fiori di campo. Storie di internamento femminile nell’Italia fascista (1940-1943), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2017

Particolarmente gravi erano i fatti accaduti a New York nel settembre 1926, in occasione di un comizio antifascista, quando vicino al raduno esplodeva una macchina con a bordo tre simpatizzanti fascisti. Le prime indagini della polizia attribuivano la disgrazia allo scoppio del serbatoio dell’autovettura. Tuttavia, Carlo Tresca riusciva a far pubblicare su alcuni giornali americani la notizia che l’esplosione era dovuta a una bomba trasportata in macchina dai tre fascisti con l’intento di lanciarla contro i partecipanti al comizio. Quest’accusa era respinta dai dirigenti fascisti che, al contrario, accusavano gli antifascisti di essere stati gli autori del gesto. Nonostante il tentativo di Umberto Caradossi, agente dell’OVRA negli Stati Uniti, di depistare le indagini e far ricadere la colpa sugli antifascisti, le successive analisi dei periti confermavano la versione di Tresca <122. In seguito, le autorità diplomatiche venivano a conoscenza di inquietanti retroscena sulla pianificazione dell’attentato e sul ruolo avuto dallo stesso Thaon di Revel. Quest’ultimo, secondo le informazioni fornite da una fonte al console di Boston, in occasione di una sua visita nella capitale del Massachusetts aveva incontrato James V. Donnaruma, editore del giornale «La Gazzetta del Massachusetts». In un successivo incontro, riferiva l’informatore, i due decidevano di organizzare delle “bande fasciste indipendenti”, composte di persone “decise” scelte da Donnaruma e pronte a eseguire i suoi ordini. La natura e il tipo di missioni che queste bande erano chiamate a svolgere avevano indotto Thaon di Revel a tenerle del tutto distinte dai fasci. A tre membri di una di queste bande era stato infine affidato il compito di lanciare una bomba contro il comizio antifascista. Secondo l’informatore, l’attentato era stato pianificato nella sede del fascio di New York dallo stesso Donnaruma che, però, a seguito di alcuni dissensi lasciava la guida dell’attentato a qualcun altro e tornava a Boston. Meno chiaro è il comportamento di Thaon di Revel, che in parte appoggiava e in parte temeva le azioni degli elementi più estremisti <123.
[NOTE]
122 Cfr. ASMAE, AW 1925-1940, Busta 63, fasc. 632, Auxerio a ministero degli Esteri, 13 settembre 1926 e 17 settembre 1926. I tre fascisti coinvolti nell’esplosione erano: Francesco Esposito, Giuseppe Paciocco e Antonio Di Nardo. I primi due erano già noti alla polizia per le loro attività illecite nei campi della prostituzione e del gioco d’azzardo, mentre il terzo era stato addirittura arrestato qualche anno prima dallo stesso Caradossi a Marsiglia per truffa ai danni degli emigranti. Sulla figura di Umberto Caradossi cfr. M. CANALI, Le spie del regime, Il Mulino, Bologna, 2004, pp. 139-141, 376; M. FRANZINELLI, I tentacoli dell’Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, p. 172.
123 Cfr. ASMAE, AW 1925-1940, Busta 63, fasc. 632, consolato generale di Boston a De Martino, 19 novembre 1926 e 24 novembre 1926.
Francesco Di Legge, L’aquila e il littorio: direttive, strutture e strumenti della propaganda fascista negli Stati Uniti d’America (1922-1941), Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise – Campobasso, Anno Accademico 2013/2014

Ben prima dell’avvento del fascismo iniziò il reclutamento dei cosiddetti fiduciari all’estero, tramite funzionari di polizia appositamente dislocati nelle rappresentanze diplomatiche italiane, con particolare riferimento alle sedi di Berna, Zurigo, Parigi, Berlino e Londra (in Italia erano attivi a Roma, Milano, Firenze, Ancona, Torino, ecc…). I fiduciari erano vere e proprie spie a pagamento che avrebbero proseguito la loro attività anche durante la dittatura, dalla quale avrebbero ricevuto un regolare stipendio mensile concordato tramite contratto. Fra i funzionari di PS che più si distinsero all’estero nel periodo prefascista vanno ricordati Ettore Prina a Londra (1901), Umberto Molossi a New York (1900), Antonio Genovesi in Argentina (1909). Dal 1920 al 1926 cominciò a perfezionarsi il ruolo della polizia politica in Italia e all’estero, di pari passo con il consolidarsi del potere da parte di Mussolini. Agitando lo spauracchio della rivoluzione rossa, il duce non ebbe alcuna difficoltà nel far proliferare la polizia politica e la nuovissima OVRA, appositamente creata. Perciò, mano a mano che lo squadrismo fascista collaborava con il Governo nel costringere all’emigrazione gli oppositori, venivano sviluppati gli uffici esteri della polizia politica, con stretta dipendenza dalla DAGR. La nomina a capo della polizia di Arturo Bocchini e l’emanazione delle leggi «fascistissime», con la riforma del Testo unico delle leggi di PS e la messa fuori legge dei partiti politici fecero il resto.
[…] La polizia durante il Ventennio è inestricabilmente legata al nome e all’opera di Arturo Bocchini che rimase a capo della Direzione generale della pubblica sicurezza (DGPS) dal 1926 al 1940, anno in cui improvvisamente morì, proprio alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, contro cui aveva manifestato a Mussolini, in maniera anche plateale, il proprio dissenso. Dal punto di vista amministrativo, Bocchini aveva posto sotto il diretto controllo delle questure e delle prefetture tutto lo svolgersi dell’attività dei cittadini con la riforma del Testo unico delle leggi di PS all’inizio della sua nomina e successivamente con il nuovo TULPS del 1931.
[…] Fin dai suoi esordi la polizia politica cercò di rendersi autonoma il più possibile dalla Direzione affari generali e riservati (DAGR), da cui pure formalmente dipendeva. Le sue competenze consistevano nella investigazione e repressione del movimento antifascista, con una particolare cura per l’organizzazione comunista. Per meglio identificare le competenze e le differenze degli uffici politici provinciali delle questure da quelli regionali dell’OVRA, diremo che la polizia politica operava all’estero, nelle grandi città francesi, svizzere, tedesche, laddove i dissidenti andavano rifugiandosi. L’OVRA e gli uffici politici mantenevano il controllo del territorio metropolitano. Accadeva però che diversi funzionari della polizia politica ritornassero alternativamente in patria seguendo i propri vigilati, collaborando con gli uffici centrali per il loro arresto e per le più complessive indagini che portavano all’individuazione di organizzazioni antifasciste.
Ma anche all’estero la POLPOL (polizia politica) tenne propri contatti privati con le altre polizie, sia nei paesi democratici che in quelli a regime dittatoriale (tutti accumunati dalla paura della rivoluzione comunista). Questi contatti permisero lo scambio, pur fra mille diffidenze e difficoltà, di favori ed informazioni fra le varie polizie europee, soprattutto in direzione degli antifascisti fuoriusciti, nei cui confronti, sempre con l’idea fissa di infiltrarvisi per creare nuove spie e confidenti, venne agitato lo spauracchio dell’espulsione dallo Stato di accoglienza contro quanti non si lasciavano adescare. La stessa GESTAPO, che gode di fama meritatamente ben più sinistra, chiese scambi di informazioni e di esperienze, attribuendo alla polizia italiana importanti spunti didattici cui attingere i metodi investigativi.
Ma andiamo con ordine. La divisione Affari generali e riservati fu integrata, all’arrivo di Bocchini alla direzione della PS, con la costituzione di una sezione speciale: la 1^, denominata POLPOL (polizia politica). Ad essa fu affidata in via prioritaria la repressione e la lotta al comunismo. Poiché i comunisti, gli anarchici e i dissidenti in genere si trasferirono quasi subito all’estero per sottrarsi alle persecuzioni interne, la POLPOL operò prevalentemente all’estero: negli stati immediatamente confinanti, ma anche in Belgio e negli Stati Uniti, seguendo i fuoriusciti ovunque si stabilissero. Ereditò i fiduciari della DAGR e ne ampliò il numero. Le informazioni sarebbero dovute essere filtrate attraverso gli Affari generali e riservati, ma gli eventi e la personalità di Bocchini e dei suoi collaboratori fecero sì che la sezione la operasse autonomamente e la usasse solo per fare affluire le informazioni al Casellario politico centrale (CPC). La POLPOL creò un proprio archivio parallelo a quello del CPC istituendo i cosiddetti “fascicoli verdi» intestati ai controllati della PS e i “fascicoli rossi» intestati ai fiduciari, con un numero in codice anziché con il nominativo per ovvie ragioni di riservatezza <1.
Per quanto riguarda il controllo dei sovversivi, la polizia riteneva utile mantenere in libertà un certo numero di oppositori per sorvegliarne continuamente le mosse e meglio perseguitare i militanti e i dirigenti in modo spietato, non appena percepiva un pericolo per il regime. Il sistema più efficace, utilizzato sia dalla polizia sia dall’OVRA e, nei dovuti limiti di mezzi, dagli uffici politici, consisteva nell’individuare l’elemento più facilmente aggregabile e meglio introdotto, le sue debolezze di carattere ed eventuali motivi di ricatto, nel fermarlo temporaneamente nelle camere di sicurezza delle questure e nel convincerlo a collaborare. Qualora questi, nonostante il tentativo di ricatto, non avesse accettato le offerte di aiuto dimostrandosi più duro del previsto, lo si assicurava di rimetterlo in libertà platealmente e pubblicamente facendo intendere ai suoi compagni ed all’opinione pubblica che avesse fatto la spia in cambio della libertà. Lo stratagemma funzionava quasi sempre, tanto che Bocchini aveva diramato apposite direttive di massima che consigliavano agli agenti di fermare il sospettato in segreto ed isolatamente, evitando che si potesse sapere del suo arresto nell’ambiente in cui viveva, anche tra i parenti più stretti; di trattenerlo poi pochissimi giorni in modo che si potesse pensare ad una sua assenza per motivi personali (viaggio d’affari, vicende familiari, ecc…) e di liberarlo il più presto possibile, dopo aver raggiunto gli accordi necessari e steso il contratto di collaborazione. A quel punto si creava un rapporto strettissimo fra il funzionario di PS ed il suo referente il cui apporto si basava essenzialmente sulla fiducia reciproca fra confidente e poliziotto. Per una più proficua intesa e per mantenere attiva ed attenta la fonte d’informazione, Bocchini ritenne saggio pagare ogni informazione ricevuta. Grazie a questo compenso anche i confidenti possono essere ritenuti parte integrante dell’apparato di sicurezza fascista, tenuto conto anche che, a volte, alcuni di essi avevano al loro servizio un certo numero di sub-fiduciari e sub-confidenti.
Le operazioni di sorveglianza degli elementi ritenuti meno pericolosi erano affidate al Servizio di osservazione delle questure, ai comuni ed ai commissariati; attraverso il sistema delle carte d’identità, gli uffici passaporti, le licenze per gli esercizi pubblici (soprattutto le tipografie), i permessi per gli spettacoli pubblici e degli altri uffici che si occupavano dell’ordine pubblico. L’osservazione degli elementi più pericolosi era affidata agli agenti dell’OVRA che, unitamente alle questure, si occupava del controllo del territorio attraverso una propria rete spionistica, distinta da quella dei fiduciari della polizia politica.
Si ricordino la già menzionata importanza che aveva assunto l’intercettazione telefonica, l’estesa rete dei fiduciari, ammontante per difetto ad un numero di 815 (come accertato dopo il 1945 dall’Alto commissariato per l’epurazione), il funzionamento centralizzato del CPC. Tutto ciò faceva pensare ad un’enorme piovra tentacolare e Mussolini lasciò che l’immaginazione collettiva attribuisse all’OVRA proprio l’equivoca somiglianza lessicale fra la piovra mafiosa e la sua polizia segreta; in effetti significava Organizzazione volontaria repressione antifascismo.
In linea di massima si può affermare che la polizia politica svolse sempre un ruolo di intelligence in Italia e all’estero, mentre le questure dirette dalla DAGR e le zone (ispettorati regionali) OVRA, ispirate dalla polizia politica, rappresentavano gli organismi che concretamente operavano sul territorio nazionale.
Per meglio delineare che fine facessero a livello di intelligence le informazioni così raccolte, si tenga presente che esse confluivano nel Casellario politico centrale gestito dalla DAGR. Detto schedario si componeva di fascicoli verdi creati dopo che era stato impiantato il fascicolo semplice, in cui la persona era tenuta sotto osservazione e vagliate le prime informazioni fornite; vi erano poi i fascicoli rossi che venivano impiantati quando la spia era stata ritenuta degna di affidamento ed in cui veniva conservata tutta la documentazione dei periodici «stipendi» con le relative ricevute. La capillare ed intelligente gestione delle notizie faceva sì che fosse quasi inutile il ricorso all’uso di mezzi coercitivi violenti e sadici, tanto che solo pochissimi funzionari vi fecero ricorso, quasi sempre con risultati controproducenti data la necessità di istituire un clima di fiducia ed anche a volte di vera dipendenza psicologica con gli individui che si volevano utilizzare come infiltrati.
Alcune delle persone reclutate fornivano la loro collaborazione per brevi periodi, molti altri furono attivi fino al 25 aprile 1945; oltre a questi confidenti devono aggiungersi quelli diretti del capo della polizia e quelli di alcuni funzionari del ministero dell’Interno, che se ne servivano per verificare la fondatezza delle notizie divenendo di fatto i controllori dei controllori. Altri ancora erano dei sub-fiduciari permanenti oppure confidenti occasionali <2.
[…] A stimolare i funzionari di professione a scegliere la carriera «spionistica» a scapito di quella tradizionale, provvedeva un miglior trattamento economico del personale impiegato unitamente ad una progressione di carriera che
avveniva con il cosiddetto «merito comparativo» di valutazione; metodo che permetteva una più rapida via per ottenere promozioni meno burocratiche ed anche più gradi di promozione in pochi anni per la stessa persona, con formule generiche espresse dal capo della polizia, senza le pratiche delle dimostrazioni di professionalità legate ai concorsi, poiché vigeva per i funzionari politici l’assoluta segretezza sull’attività esercitata. La presenza dell’OVRA non ridusse mai l’attività repressiva delle questure e si può affermare che, sul piano quantitativo, la somma degli anni di galera o di confino politico inflitti dal Tribunale speciale o dalle commissioni provinciali agli antifascisti arrestati dalle questure fu decisamente superiore alle condanne ottenute grazie all’attività della prima. Per il suo carattere specialista e l’assenza di vincoli alla sua attività investigativa, effettuò gli arresti più importanti mentre le questure svolsero il compito di bonificare periodicamente il territorio dall’attività dei militanti di base.
Il compito di raccordo e coordinamento fra le due istituzioni poliziesche venne affidato al funzionario della DAGR Guido Leto.
Le zone OVRA operanti in Italia dal 1927 al 1943 variarono da nove a undici e raggruppavano funzionari nella più assoluta segretezza in genere, che non avevano vincoli familiari ed erano vulnerabili solo quando viaggiavano, prevalentemente in treno, consegnando nelle biglietterie dei buoni o biglietti di vigilanza, ottenuti dal ministero dell’Interno. Nata con funzioni prevalentemente anticomuniste, fu costretta negli anni Trenta ad evolversi in una struttura di controllo del territorio e del dissenso interno, dopo lo scompaginamento del PCI e degli altri movimenti antifascisti. Una situazione che portò ad un aumento dei funzionari impiegati a diffondere il sistema dei cosiddetti «osservatori», cui non era richiesta l’infiltrazione, ma solo di riferire sugli ambienti abitualmente frequentati. Infiltrò propri fiduciari anche nelle carceri e nei luoghi destinati al confino politico. Per l’infiltrazione in quest’ultimo ambiente il campo d’attività si presentava molto vasto: l’inevitabile promiscuità in cui vivevano i confinati, soprattutto nelle isole, rendeva facile l’attività di spionaggio, che poteva limitarsi alla raccolta delle voci che circolavano fra i detenuti o più semplicemente al controllo di qualche condannato politico, magari sospettato di mantenere rapporti con la propria organizzazione, sottraendogli la corrispondenza clandestina o entrando a far parte dell’organizzazione stessa. Un infiltrato nel gruppo di Ventotene, nel quale fu rinchiuso per un certo periodo anche Sandro Pertini, riferiva puntualmente al direttore della colonia Marcello Guida (questore di Milano negli anni ’70).
Come si vede la polizia con la propria rete informativa aveva l’intero controllo del territorio ed anche la vigilanza dei fuoriusciti. Anche i carabinieri, come polizia militare, e parte di rilevanza fondamentale nel Servizio informazioni militare (SIM) avevano una propria rete spionistica attraverso gli uffici leva delle varie stazioni e gli uffici legionali, ma, non avendo i mezzi e gli uomini, sia per quantità che per qualità, non potevano concorrere con la polizia, cui avevano comunque l’obbligo formale di riferire, anche se non sempre tale adempimento fu rispettato. Erano inoltre guardati con sospetto dal regime, osservando l’Arma una stretta fedeltà alla dinastia sabauda, che le consentì, in compenso, di mantenere una rilevante autonomia dal Governo e dal Partito fascista.
Una polizia tira l’altra
I rapporti fra il SIM e la polizia politica consistevano nello scambio quotidiano d’informazioni fra funzionari ministeriali ed ufficiali del servizio a livello centrale, ma poche volte vi fu effettiva collaborazione a livello periferico. Con lo scoppio della guerra prevalsero le più immediate esigenze belliche e si riconobbe quasi naturalmente una sorta di gerarchia e leadership del sistema investigativo che finì per guastare definitivamente i rapporti fra i due servizi informativi.
La MVSN ebbe anch’essa degli uffici politici investigativi (divenuti tristemente noti durante l’epoca repubblichina) istituiti nel 1926 ed operanti presso ogni comando di legione, con compiti investigativi indipendenti dall’azione degli altri organi di polizia. Sebbene posti inizialmente alle dipendenze delle questure, presero tuttavia molto presto a riferire all’ufficio politico del comando generale della milizia. Tale autonomia si pose inevitabilmente in contrasto con la polizia, rimanendo ad essa affidata la sola funzione informativa. Le novità acquisite dovevano essere riferite alle questure ed alle prefetture che procedevano alle operazioni vere e proprie inoltrando le denunce all’autorità giudiziaria e procedendo ai relativi fermi ed arresti. Gli UPI attivi erano centosettanta, vale a dire uno per ogni legione della MVSN ed erano guidati dai comandanti delle legioni, coordinati da un ufficiale e composti da alcuni sottufficiali e militi (da uno a sette). L’ufficio politico del comando generale era diretto da un console (generale) ed era diviso in due sezioni. Gli uffici legionali svolgevano i loro compiti a mezzo di scolte, funzionari e informatori. Le scolte, in genere operai di sicuro affidamento politico, erano attive sui posti di lavoro, spiavano i sentimenti politici dei colleghi e ne riferivano ai funzionari, generalmente dirigenti di fabbriche o tecnici che a loro volta informavano il comando di legione. La genericità delle informazioni così assunte, l’impossibilità di portare a termine le relative indagini (poiché arresti e denunce non erano di competenza della milizia) ed il poco apprezzamento da parte della polizia e dell’OVRA stessa, limitarono decisamente l’attività e l’efficienza degli uffici politici gestiti dalla milizia.
Anche il PNF (evidentemente non pago degli UPI, della POLPOL e dell’OVRA) cercò ripetutamente di dotarsi di un apparato investigativo autonomo. Achille Starace fu il più attivo fra i segretari politici in questo ambito e dotò a sua volta il partito dell’OCI (Organizzazione capillare investigativa), attraverso la quale tutti gli iscritti erano tenuti a fornire informazioni sui movimenti e sulle attività dei conoscenti. Quest’organo, pur non avendo mai avuto alcuna rilevanza ai fini di eventuali indagini, nell’immaginario collettivo fu importante quanto l’OVRA che si servì spesso del suo contributo come spunto investigativo <3.
La polizia di frontiera, anch’essa organizzata da Bocchini a completare la struttura preventiva e repressiva della PS, venne creata con la costituzione della divisione polizia di frontiera e trasporti, staccata da un altro reparto. Posta ai confini per vigilare sugli espatri clandestini, dopo la messa fuori legge dei partiti antifascisti, si articolava negli uffici di PS di confine dipendenti direttamente da Roma (in precedenza il controllo dei confini era stato di competenza delle prefetture e dei commissariati delle province di confine). Si autorizzò l’uso delle armi da fuoco e si inasprirono le pene per chi tentava l’espatrio clandestino. Per il controllo delle frontiere di terra e di mare fu previsto l’impiego della milizia con comandi autonomi e con arruolamenti a ferma determinata. Per colpire i favoreggiatori degli espatri venne istituita con il TULPS del 1931 una licenza, rilasciata dalle autorità di pubblica sicurezza per le guide, interpreti e portatori alpini con evidente carattere intimidatorio nei confronti di chi, all’atto della richiesta di autorizzazione, non avesse potuto garantire la sua fedeltà fascista e la buona condotta politica. Le funzioni esecutive di vigilanza delle frontiere vennero attribuite ai militi ed ai carabinieri: i primi controllavano le zone più facilmente percorribili e i nodi di comunicazione, mentre l’Arma provvedeva al controllo dei passaporti ai valichi di frontiera e vigilavano le zone di confine più arretrate. La guardia di finanza tornava ai tradizionali compiti di vigilanza fiscale. La direzione del servizio era affidata a funzionari che avevano compiti di coordinamento e di raccordo. I cinque funzionari di frontiera, cui tutti i prefetti delle province comprese nelle cinque zone di frontiera dovevano fare ricorso per i servizi di controllo, avevano sede presso le prefetture di Genova, Torino, Como, Bologna e Trieste. La milizia provocò non lievi inconvenienti al servizio perché non perse mai occasione di riaffermare in ogni iniziativa l’autonomia della propria condizione (come sostiene Mauro Canali) e questo la relegò sempre ad un ruolo marginale, sia rispetto alla vigilanza sia per l’azione investigativa. Il controllo ai valichi ferroviari e stradali di particolare importanza venne affidato agli uffici della pubblica sicurezza, integrati da un’apposita milizia stradale (antesignana dell’odierna polizia stradale), mentre quelli di minore importanza erano affidati ai carabinieri. I commissariati di polizia, la cui azione venne integrata dalla milizia ferroviaria, esercitavano la vigilanza sui treni, attraverso il controllo passaporti. Venne impiantato presso un servizio “Rubriche di frontiera” presso il ministero dell’Interno, tuttora esistente, aggiornato coi dati forniti dalle questure, dai consolati e dalla polizia politica e contenente i provvedimenti da adottare nei confronti di eventuali sospettati (fermo, arresto, perquisizione, pedinamento, respingimento alla frontiera, identificazione). Per sorvegliare le frontiere marittime furono creati tre Uffici mare a Genova, Livorno e Trieste; un altro commissariato fu successivamente perto a Brindisi. Nel 1936 erano in tutto sette. La direzione generale di pubblica sicurezza cercò anche di piazzare agenti e fiduciari a bordo dei mercantili, poiché era noto che molto materiale vietato riusciva ad entrare nel paese grazie anche collaborazione degli equipaggi. Anche i responsabili delle frontiere marittime costruirono una propria rete di fiduciari, ma sovente, per meglio controllare l’ingresso in Italia, soprattutto dal nord America, il commissario in servizio presso l’ufficio genovese (il più importante di tutti) si recava ad attendere l’arrivo dei transatlantici a Gibilterra, dove saliva a bordo coi suoi collaboratori per effettuare controllo sulla base della rubrica di frontiera.
[NOTE]
1 Mauro Canali, Le spie del regime, Mulino, Bologna, 2004.
2 La lista completa degli 815 fiduciari è stata pubblicata nel volume di Mauro Canali, op. cit.
3 Mauro Canali, Le spie del regime, cit., p. 106.
Raffaele Ponzetta, In difesa dell’ordine costituito: breve storia e funzioni della polizia in Italia dall’Unità alla fine della seconda guerra mondiale, RS, Ricerche storiche, Anno XLI, N. 104 – ottobre 2007, Istoreco, Reggio Emilia

Nel 1944, il capo del controspionaggio dell’Oss Italia, Jesus James Angleton, invió un nucleo di agenti italiani e statunitensi nei territori di Saló, per prendere contatti con Guido Leto, dirigente dell’Ovra <20, che aveva fatto sapere “ad alcuni ufficiali statunitensi di essere disposto a fornire all’Oss l’intero archivio dell’Ovra, composto da oltre seimila documenti”. Federico Umberto D’Amato, che divenne poi il più importante dirigente dell’Uar <21, partecipò alla spedizione di aggancio di Leto e di altri agenti della Rsi. Tra questi, Riccardo Pastore, ex capo della zona Ovra di Napoli e Ciro Verdiani, ex capo della zona Ovra di Zagabria, che all’indomani del 25 aprile venne reintegrato nella polizia repubblicana come secondo questore di Roma libera <22. Ad ogni modo l’Oss provvide a mettere in salvo tutto il gruppo di poliziotti con cui D’Amato era stato in contatto nella spedizione del 1944 <23.
[NOTE]
21 G. Pacini, Il cuore occulto del potere
22 G. De Lutiis, op. cit., pg. 45
23 G. De Lutiis, op. cit., pg. 45
Claudio Molinari, I servizi segreti in Italia verso la strategia della tensione (1948-1969), Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2020/2021

Nello studio dei tre questori di Roma nel periodo da me analizzato – Pòlito, Musco e Marzano -, raccogliendo un’interessante suggestione di Mimmo Franzinelli, cercherò quindi di tenere insieme la «continuità delle carriere» – i primi due avevano ottenuto i loro principali successi professionali, durante il regime fascista, all’interno della polizia politica <65, anche se poi Pòlito era stato incaricato di arrestare Mussolini e Musco aveva collaborato con la Resistenza militare – e la loro discontinuità <66.
[NOTE]
65 Tra i funzionari della polizia politica del regime, l’Ovra, si ebbero numerosi casi eclatanti di funzionari che nell’Italia repubblicana furono promossi a incarichi di responsabilità e considerati tra i migliori elementi della Pubblica sicurezza. Un esempio è quello di Guido Leto, che ne fu a capo, e che, dopo aver prestato giuramento anche al governo fascista repubblicano, nel dopoguerra fu collocato nella Direzione generale di pubblica sicurezza come direttore tecnico delle scuole di polizia repubblicane. Un altro esempio è quello di Gesualdo Barletta, proveniente dai servizi di informazione del regime e capo della zona del Lazio per l’Ovra dal 1939 al 1944, che dal 1948 al 1958 fu posto a capo della divisione affari riservati del ministero dell‘Interno. Cfr. Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra, cit., pp. 472-84 e M. Canali, Le spie del regime, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 471-555. Canali afferma che «quasi tutti i funzionari della POLPOL, della DAGR e dell’OVRA terminarono la loro carriera senza aver sofferto per la loro adesione al regime fascista e alla RSI. Coloro che erano già commissari o commissari capi alla caduta del fascismo andarono in pensione col grado di questore o di vicequestore. Si può senz’altro affermare che la PS repubblicana, almeno fino agli inizi degli anni sessanta, fu nelle mani degli ex funzionari della polizia fascista, sia al ministero sia alle questure. Esemplare al riguardo il caso della importantissima questura romana, diretta successivamente da Pòlito, Barletta e Musco, tre ex funzionari dell’OVRA» (Ivi, p. 512: in realtà, Barletta non fu mai questore di Roma). Sulla continuità dello Stato all‘interno dei ministeri, cfr. Melis, La cultura dello Stato tra continuità e discontinuità, cit., pp. 215-27.
66 M. Franzinelli, Sull’utilizzo (critico) delle fonti di polizia, in “Percorsi Storici”, 0 (2011) [http://www.percorsistorici.it/compo nent/content/article/10 numeri rivista/numero 0/20 franzinelli]. Sulla necessità di tenere insieme, nello studio delle diverse formazioni politiche e istituzionali, «il significato dei vari momenti di continuità, senza tuttavia perdere il senso dei momenti di svolta che caratterizzarono la storia unitaria», si è espresso anche Raffaele Romanelli in Introduzione in Id. (a cura di), Storia dello Stato italiano , cit., p. XVI.
Ilenia Rossini, Conflittualità sociale, violenza politica e collettiva e gestione dell’ordine pubblico a Roma (luglio 1948-luglio 1960), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 2014-2015