La prima azione contro gli occupanti tedeschi a Parigi venne fatta da tre comunisti italiani, di cui uno nativo di Pola…

Il mio articolo, “Il gruppo Rohregger. Maquis italiani a Parigi. 1940-42” <1 , nel quale ho ricostruito gli ultimi mesi di vita di Riccardo Rohregger, in Francia, dove Riccardo è un eroe, ha finora avuto uno strano destino perché piacendo molto non è mai stato pubblicato.
Gli editori transalpini hanno accampato le scuse più diverse per non stamparlo, fino a quando non è emersa la vera ragione: nella mia ricostruzione sull’attività del gruppo di comunisti italiani che faceva capo a Rohregger sostengo che già il 14 giugno 1940, proprio mentre i nazisti marciavano sugli Champs Elisèe, a Saint Denis, nelle periferia di Parigi, Riccardo stampa 987 volantini che lui, sua moglie Sonia e Antonio “Ivo” Tonussi, getteranno al di là delle mura di una caserma, proprio a Saint Denis occupata dai nazisti: compie cioè la prima azione contro gli occupanti tedeschi mentre i parigini in fuga in massa lasciano vuota la città e il PCF conduce una trattativa con i nazisti per la pubblicazione legale del quotidiano del comunisti francesi, l’Humanité. <2
Nello stesso articolo affermo che è solo a partire dall’estate del 1940 che il responsabile della MOI “Bruno” Gronowski incontra Amendola che gli confermerà che i gruppi di italiani sono già operativi.
La combinazione di questi due elementi per i francesi è semplicemente inaccettabile: la Resistenza non può essere stata iniziata da degli emigrati, italiani e comunisti per giunta.
Invece le cose sono andate proprio così. Non solo.
Questi italiani non sono un gruppo di raccogliticci ma dei veterani nel combattimento antifascista per le strade. La stragrande maggioranza di loro aveva già compiuto azioni di guerriglia in Germania, Lussemburgo e, soprattutto, Francia, in questo agevolati dalla miopia e dalla xenofobia della polizia francese, che nei suoi rapporti parla di “risse tra italiani”, mentre quasi sempre si tratta di vere e proprie azioni di guerriglia condotte dai primi reparti paramilitari, formatisi spontaneamente. Con il compito principale di difendere le riunioni clandestine che gli emigrati italiani comunisti tengono, che molto spesso si tengono di notte nei boschi attorno alle città dormitorio dove vivono. Ben presto questi gruppi di combattenti passano all’azione antifascista attiva.
[…] Mentre i compagni di base fanno esperienza nel Fronte Popolare, l’Internazionale scioglie il Comitato Centrale del PCI: “Gli anni ’34-’39 sono stati anni di lotta e di esperienza ineguagliabile per l’emigrazione politica italiana che si trovava in Francia. I nostri compagni costretti alla grama vita della emigrazione, animati da un forte spirito di solidarietà internazionale, riuscirono a stabilire un solido legame politico con il movimento democratico e comunista nel paese di residenza, a portare un solido contributo alla lotta popolare. Questo fatto permise di stabilire stretti legami con l’emigrazione economica – oltre un milione solo in Francia -, di sfuggire al pericolo di rimanere chiusi nei confini nazionali o regionali, preda delle beghe locali, sfiduciati nei loro desideri inappagati – situazione questa che li avrebbe portati ai margini della vita politica. I comunisti organizzati nei «gruppi di lingua italiana» erano oltre 10.000, e più di 50.000 italiani erano organizzati nell’Unione popolare, associazione democratica di massa che univa tutte le forze ed i movimenti antifascisti all’estero; il quotidiano di lingua italiana «La Voce degli Italiani» vendeva oltre l00.000 copie giornaliere, ed entrava in molte famiglie di italiani; tra 130.000-150.000 erano gli italiani iscritti alle organizzazioni sindacali di categoria, e portavano un notevole contributo di lotta, in categorie quali quella dei minatori e degli edili, dove prevaleva la mano d’opera straniera.”<29
Ma “Mentre migliaia di comunisti, di antifascisti italiani combattevano la loro prima grande battaglia contro il fascismo (la Guerra di Spagna, ndr), e accumulavano una grande esperienza politica e militare, mentre decine e centinaia di migliaia di italiani in Francia si attivizzavano in questa battaglia per la pace e la libertà, creando una riserva di forze inimmaginabile da utilizzare verso il nostro paese, il Centro del partito continuava a discutere se il pericolo principale era l’opportunismo od il settarismo, si andava alla ricerca di quelle formule che dovevano garantirci la purezza ideologica, approfondendo sempre più quei sintomi di crisi nel centro direzionale, crisi che interessava un ristretto gruppo di compagni dirigenti, sempre più staccati dal vivo della lotta, crisi che non aveva nessuna influenza diretta verso le migliaia di comunisti che si trovavano in Francia.” <30
È in questo contesto che nell’estate del 1938 l’Internazionale comunista scioglie il Comitato Centrale del PCI. “La crisi del centro direzionale, che maturava in un momento di grandi lotte popolari, ma anche di deterioramento della situazione internazionale ebbe il suo sbocco verso la metà del 1938. Una particolare responsabilità dell’aggravamento della situazione al Centro del partito ricade sul compagno Berti, il quale, arrivato a Parigi dopo una permanenza di alcuni anni in Unione sovietica, introduceva nella vita del nostro partito quella esperienza di lotta per la “purezza ideologica” che aveva sperimentato nella Scuola leninista di Mosca. In quel clima di “caccia alle streghe”, di vigilanza attenta contro i nemici che si infiltrano nei posti più delicati del partito, era facile trovare argomenti di critica contro ogni articolo, in ogni discussione, per dimostrare la scarsa assimilazione dello stalinismo. E questo metodo staliniano di lotta contro l’opportunismo, per la vigilanza rivoluzionaria, di cui Berti si fece allora portabandiera, ebbe modo di attecchire, non solo perché ci era imposto dall’alto, ma perché al Centro trovava un terreno adatto, già deteriorato dalle polemiche astratte precedenti dove la lotta politica si era cristallizzata su posizioni estreme, mancava la possibilità di un dibattito franco, aperto, sincero per arrivare ad una sintesi, e diventava una lotta di carattere personale… Questa situazione, che maturava da diversi anni, ebbe il suo sbocco nell’estate del 1938, dopo il dibattito della questione italiana alla Segreteria dell’Ic [Internazionale Comunista]. ” <31
La crisi del Centro del PCI, che come abbiamo visto riguarda solo la dirigenza del partito, rischia di disperdere tutto il patrimonio di lotte e militanza che è stato accumulato. Per riorganizzare la struttura del partito, nella seconda metà del 1939, Togliatti invia Giorgio Amendola e “… in breve tempo, pur mantenendo i contatti coi soli compagni fidatissimi, si arrivò ad avere l00 iscritti per ogni settore della grande Parigi (est, sud, ovest, nord e centro)” <32
Tra i compagni fidatissimi troviamo anche Rohregger e Zanelli.
L’arrivo delle truppe naziste nel giugno del 1940 complica ulteriormente l’opera tanto faticosamente avviata da Giorgio Amendola e dai suoi. Con le truppe naziste alla periferia di Parigi, molti comunisti italiani, anziché fuggire nella zona del governo di Vichy, scelgono di restare e di agire affrontando i nazisti.
Cesare Campioli, futuro sindaco di Reggio Emilia, è a Parigi all’arrivo dei tedeschi: “La Francia era precipitata in una drammatica e caotica situazione: un esercito in ritirata; circa cinque milioni di parigini si apprestavano ad evacuare la città con il disordine che si può immaginare… Parigi nello spazio di breve tempo si era fatta deserta” <33
Anche Antonio “Ivo” Tonussi ricorda bene la Parigi di quei giorni. “Incominciò così il tremendo esodo della popolazione che tentava di sfuggire all’invasore nazista, lunghe fila di uomini e donne disperati che non sapevano dove andare, trascinandosi dietro vecchi e bambini. La malvagità dei tedeschi arrivò a bombardare e mitragliare la popolazione inerme in fuga. A St. Denis insieme a Richard assistei a questa terribile tragedia che non era che il primo segnale di quanti drammi e sangue sarebbe costata al popolo francese l’invasione nazista… la paura era evidente nelle strade deserte, chi non era fuggito restava rinchiuso in casa, tutti attendevano col cuore in gola l’ingresso a Parigi delle truppe tedesche. In questa atmosfera i tedeschi entrarono a Parigi, il 14 giugno del ’40… Con Richard e la sua compagna decidemmo di recarci ad assistere a questo avvenimento storico, nell’autobus che ci doveva portare a Parigi eravamo soli, così come nel metro che ci portava a Piazza della Repubblica… Per ore con grande strazio… guardammo sfilare l’armata tedesca. A un tratto, Richard mi sollecitò a tornare a St. Denis per stampare subito un volantino da distribuire alle truppe tedesche. Richard aveva nascosto un vecchio ciclostile ed aveva a casa un rotolo di carta gialla, larga venticinque centimetri su cui potevamo stampare. Tagliai la carta insieme a Sonia, mentre Richard preparava il ciclostile. Riuscimmo a stampare ben novecentottantansette volantini, quei manifestini furono senz’altro i primi che uscirono dopo l’ingresso delle truppe tedesche in Parigi. Anche la caserma di St. Denis era stata occupata dai tedeschi, decidemmo perciò di cominciare da quella caserma, che si trovava al centro del comune. Sonia faceva da palo per avvertirci se sopravvenivano dei pericoli, io e Richard lanciammo i volantini, scritti in tedesco, lingua perfettamente conosciuta dai miei due compagni di lotta, dietro il muro che cingeva la caserma… il volantino fu discusso dalla stessa Direzione del Partito e fu comunque giudicato un’azione positiva che testimoniava la nascita della nostra organizzazione segreta. Con l’invasione tedesca il nostro lavoro politico si faceva ancora più difficile. Bisognava passare tra la fitta rete di ben cinque corpi di polizia: gli agenti, i gendarmi, la polizia politica di Petain, la Gestapo nazista e, infine, noi italiani dovevamo fare i conti con la polizia segreta fascista, l’OVRA… Stampammo altri volantini che furono distribuiti in vari punti della città. Dovetti tra l’altro nascondere il nostro prezioso ciclostile in un luogo più sicuro a tre chilometri da St. Denis dai compagni Azzola, a Panten. Qui stabilii anche il mio secondo recapito clandestino, la signora Mistica, così si chiamava la moglie del compagno Azzola, lavorava in una fabbrica di bambole e riusciva a fornirci della carta per il ciclostile… Dopo un po’ di tempo Richard e Sonia andarono a vivere a St. Oins, alle porte di Parigi per essere più vicini alla Direzione clandestina del PCF che stava creando l’organizzazione segreta, l’OS, che aveva già compiuto le prime azioni contro i tedeschi. Individuati alcuni compagni italiani che erano rimasti a Parigi, convocammo una riunione di questi nel bosco di Vincenne(s), per ricostituire il gruppo italiano… Dopo l’entrata dei nazisti a Parigi la nostra situazione era sempre più precaria non solo sul piano politico ma anche dal punto di vista economico. Le fabbriche e le officine erano ferme, i generi alimentari e di vestiario erano requisiti per essere spediti in Germania. I magazzini di abbigliamento erano presi d’assalto dagli ufficiali tedeschi che riempivano bauli di vestiario per mandarlo alle loro signore in Germania… La situazione economica era disperata, l’industria francese era totalmente bloccata e solo tre mesi dopo l’occupazione il governo collaborazionista del maresciallo Petain, in accordo con gli invasori, decise di riprendere la produzione per le armate tedesche“. < 34
Ma paradossalmente è proprio con l’occupazione che i comunisti italiani vedono aprirsi inaspettati spazi di manovra, infatti “Si seppe in seguito che i tedeschi nelle assunzioni di personale per le loro necessità davano la precedenza agli operai italiani che consideravano alleati. Fu così che una buona parte dei fuoriusciti antifascisti riuscirono ad essere assunti all’Arsenale francese di Vincennes alle porte di Parigi, ove i tedeschi fecero un centro di riparazioni e requisizioni dei mezzi corazzati e automobili per l’esercito di occupazione. Così ci trovammo insieme, compagni che l’occupazione e la guerra ci aveva disperso. Il lavoro, anche sotto l’esercito tedesco, ci aveva di nuovo riuniti, potevamo riunirci a gruppi per discutere il da farsi.” <35
L’occasione è ghiotta. I tedeschi in cambio di lavoro offrono documenti validi, che permettono di scrollarsi di dosso le varie polizie, un salario per sfamare i compagni e le loro famiglie, che già da anni vivono in condizioni di grave disagio, ma soprattutto la possibilità d’infiltrarsi nella macchina da guerra nazista.
Nel luglio 1940 Rohregger viene assunto a Vincennes <36 e, in virtù dell’ottima padronanza del tedesco, diventa addirittura caposquadra <37. Si trasferisce a Montreuil con Sonia, sempre a partire dal luglio 1940, riesce a far assumere a Vincennes altri comunisti di assoluta fiducia, come Zanelli; entrano a lavorare nel Parco di artiglieria anche Mario Buzzi, Guglielmo Marcellino, Raffaele “Lorenzo” Pieragostini, Guglielmo “Paolo” Marconi e altri ancora; non riesce invece a superare le maglie del controllo tedesco Antonio “Ivo” Tonussi.
Questo gruppo di comunisti dalla metà di ottobre del 1940 inizia a costruire bombe <38 destinate alla Resistenza francese.

Riccardo Rohregger – Fonte: Davide Spagnoli,… Quaderni… 2006 cit. infra

[NOTE]
1 Cfr. Davide SPAGNOLI, “Il gruppo ‘Rohregger’. Maquis Italiani a Parigi 1940-1942”, Quaderni del Centro di ricerche storiche di Rovigno [n.d.r.: in Istria, Croazia], vol. XVII, 2006, pp. 169-192.
2 Cfr. Roger BOURDERON, La negociation. Ete 1940: crise au PCF, Paris, Syllepse, 2001.
29 Antonio ROASIO, “Note sulla storia del Partito dal ’37 al ’43”, Critica Marxista , Marzo-giugno, n. 2-3, 1972, pp. 1 78-179.
30 Op. cit., p.l80.
31 Op. cit., pp. 180- 1 8 1 .
32 Giorgio AMENDOLA, Lettere a Milano, Roma, 1973, p. 23.
33 Cesare CAMPIOLI, Cronache di lotta, Parma, 1965, pp. 94-95.
34 Antonio TONUSSI, Ivo: una vita di parte, Treviso, 1991, pp. 116-117.
35 Guglielmo MARCELLINO, “Italiani a Parigi sotto l’occupazione nazista”, Patria Indipendente, n.7-8, 23 aprile 1972, p.17.
36 ACS, CPC, Zanelli Adamo, 1942.
37 Guglielmo MARCELLINO, ibid.
38 Adamo Zanelli, Autobiografia per l’Istituto Gramsci di Roma, 1960.
Davide Spagnoli, Riccardo Rohregger. Appunti sul ruolo degli emigrati nella resistenza francese, Quaderni del Centro di ricerche storiche di Rovigno [n.d.r.: in Istria, Croazia], vol. XIX, 2008, p. 301-347

Con l’arrivo dei tedeschi in Francia si ha l’esodo di migliaia di persone verso le zone non interessate dalle operazioni militari. Il 18 maggio del 1940 erano arrivati nella città di Bordeaux nel sud della Francia 170.000 profughi di cui 18.000 italiani, gli altri erano francesi, belgi, olandesi e del Lussemburgo. Mentre i nazisti si avvicinavano alle porte di Parigi circa 3 milioni di persone, tra cittadini francesi e stranieri, abbandonarono la città impauriti e sconcertati e fuggivano insieme all’esercito francese in completo sfaldamento. I quartieri parigini abitati dagli operai rimasero i più popolati mentre quelli della borghesia furono i primi a svuotarsi.
Di fatto avveniva la disgregazione dello Stato e di quell’apparato amministrativo di cui la Francia andava tanto fiera. Arrivarono macchine con ufficiali, soldati sbandati, si svuotarono i ministeri dal personale e dagli archivi. I combattimenti cessarono. Parigi si interrogava: la città sarebbe stata difesa? Avrebbe opposto resistenza? Si capì presto che non sarebbe accaduto niente del genere: automobili cariche di ufficiali traversavano la capitale dirette verso sud; file di camion lasciavano la città. Ogni parigino sapeva che trasportavano interi archivi di ministeri, della pubblica amministrazione e delle principali aziende. Seguirono i soldati in ritirata, sbandati, senza armi, senza scarpe, affamati e col morale a pezzi. Parigi, abbandonata a se stessa, si vuotò. Partivano tutti, con qualsiasi mezzo. Così decidemmo di partire anche noi – racconta nelle sue memorie Nella Marcellino – E facemmo l’ultima delle sciocchezze che potessimo fare! Ormai i treni non circolavano più né si trovavano altri mezzi di trasporto. Partimmo alla disperata: a piedi, con le valigie in spalla. Sulla strada di Orlèans, con noi, c’erano centinaia di migliaia di parigini; chi trascinava fagotti o carretti, chi spingeva carrozzelle o biciclette. Una lunga colonna umana che procedeva a singhiozzi.” <179
Afferma Aldo Garosci che quello che successe nella capitale francese in quei giorni del ’40 “(…) era spettacolo veramente nuovo in Occidente, coi milioni di civili, che, abbandonate le case, fuggivano agglomerandosi nelle piccole città invadendo i marciapiedi e i portoni delle località meridionali, vuotando a pagamento le botteghe come branchi di locuste. Sembrava veramente il segno tangibile del dissolvimento di una società, di un mondo storico, quella fuga verso il nulla, mossa non da un preciso bisogno di ciascuno dei fuggiaschi, ma da un misterioso panico, dal senso generale della cosa tremenda che stava accadendo. Lo stesso borghese neutralista convinto della bontà delle intenzioni hitleriane, che come tale aveva agito durante la guerra; lo stesso operaio comunista, che aveva tradotto nel fatto la parola d’ordine neutralista del suo partito, partecipavano a questa fuga panica, rivelatrice di una convinzione più profonda della politica, di un senso che stava al di qua della convinzione razionale, di ciò che era stato perduto. La classe politica non stava sopra, ma dentro questo panico; i cortei ministeriali e parlamentari muovevano entro il flotto dei fuggiaschi, impotenti a dominarlo, a frenarlo, a mettere in esso l’ordine della resistenza e quello dell’assistenza.” <180
Parigi, dall’11 giugno abbandonata dal governo che si era trasferito a Bordeaux, cadde 3 giorni dopo, e i soldati tedeschi sfilarono per la città con divise nuove e calzari puliti. <181
William Valsesia, nato in Francia da militanti comunisti emigrati a Parigi nel 1924 andò a vedere sfilare i tedeschi: “Sin dalle 9.45 della mattina (del 14 luglio) sventolava l’enorme bandiera hitleriana issata sull’Arc de Triomphe. La mia curiosità era fortissima. I reparti tedeschi stavano transitando lungo le vie principali che portano dal XIX al XX arr. Ero emozionato nel vedere sfilare davanti a me un superbo reparto di fanteria: erano tutti pressapoco della stessa statura, si trattava probabilmente di un reparto scelto, facce sul rosso in fase di abbronzatura come l’hanno i nordici, divise color pisello con gli elmetti così diversi da come li hanno i francesi, stivaletti neri con il tacco ferrato che produceva un rumore caratteristico e nuovo.” <182
Nei primi quindici giorni d’occupazione, Parigi era come paralizzata, ad eccezione del metrò che aveva ripreso a funzionare. La Todt organizzò delle cucine da campo in vari punti della città e distribuiva a mezzogiorno una minestra a tutti quelli che si presentavano, ma questa “sensibilità” dell’occupante durò ben poco, iniziò poi il saccheggio dei fondi di magazzino, dai tessuti alle scarpe, al cuoio, e dall’autunno il periodo del razionamento che fissò in 250 grammi di pane al giorno e 180 grammi di carne settimanali le razioni individuali.
Il 24 giugno fu firmato l’armistizio tra Francia e Germania, che consegnava alla diretta occupazione tedesca, insieme con Parigi e con le province Nord della Francia, tutte le essenziali zone agricole e minerarie, i porti atlantici. Aviazione e flotta dovevano essere smobilitate sotto controllo tedesco, l’intera zone libre veniva lasciata in sovranità alla Francia ma veniva a cadere anch’essa sotto l’ingerenza militare tedesca. La Francia di Pétain fu uno stato senza autonomia politica, uno stato vassallo della Germania hitleriana. Vichy, piccola città facilmente sorvegliabile a differenza di popolose città come Lione, Marsiglia o Tolosa, fu scelta come capitale della zona non occupata, divenne il simbolo di questa riduzione della Francia a stato coloniale. <183
Chi rifiutò di capitolare fu invece il generale De Gaulle che, già dal 18 giugno, il giorno stesso in cui Pétain chiese l’armistizio, fece il suo primo proclama al popolo francese, “La Francia – disse mentre si trovava a Londra – ha perduto una battaglia, non ha perduto la guerra”. <184 De Gaulle dette vita al governo della France Libre che si ispirava a motivazioni patriottiche e di esistenza nazionale più che di profondo rinnovamento democratico, e si rivolgeva ai militari rifugiatisi in Inghilterra o nell’Impero coloniale francese. De Gaulle attraverso la radio inglese porta i parigini ad accettare con rassegnazione che c’est la guerre, che le sofferenze che vengono inflitte loro dai
bombardamenti inglesi sono in definitiva per il loro bene poiché accelerano il processo di liberazione.
L’occupazione tedesca si manifestò fin da subito nella vita quotidiana delle zone occupate e fu particolarmente evidente a Parigi: l’ora venne spostata avanti di 60 minuti, il cambio fu stabilito a venti franchi per un marco, numerosi i divieti imposti quali quello di circolare con automezzi privati. Vennero requisite tutte le caserme, i Ministeri, gli uffici statali, la Camera dei deputati e il Senato, nonché i migliori hotel. Divennero collaborazionisti dei tedeschi la polizia urbana, la Gendarmerie, le Gardes Mobiles, i giornali. Numerosi cinema vennero riservati ai tedeschi.
La polizia tedesca mostrò fin da subito di essere spietata nella sua repressione contro chi si opponeva al nuovo “padrone”, essa colpì non solo gli oppositori ma anche persone a loro vicine nonché civili innocenti in modo che fossero dissuasi dall’iniziare qualsiasi tipo di attività ostile agli occupanti. La tendenza a punire coloro che sono vicini ai presunti colpevoli diviene una regola per le autorità tedesche che in un’ordinanza emessa il 12 settembre 1940 prescrivono che: “(…) gli ostaggi garantiscono con la loro vita l’attitudine corretta della popolazione, la loro sorte è nelle mani dei compatrioti”. Tale ordinanza violava la Convenzione internazionale di Tokyo secondo la quale è proibito in qualsiasi caso la condanna a morte degli ostaggi. <185
La repressione nazista si attivò subito proprio perché in zona occupata fin dal giugno 1940 si manifestarono delle azioni di protesta contro la drammatica invasione tedesca.
[…] “Nei vasti territori occupati dall’esercito tedesco, la Resistenza ha cominciato a costruirsi e a manifestarsi senza farsi attendere. (…). Se il peso e la portata di queste prime manifestazioni della Résistance, furono minoritarie nel 1940-41, le opposizioni, le disobbedienze e le trasgressioni non furono d’altronde marginali. Silenzi, gesti di rivolta, strappo dei manifesti, come quello raffigurante il soldato tedesco che aiutava le donne francesi durante l’esodo, la manifestazioni, sabotaggi, attentati sono tutti modi di esprimere diffidenza verso l’occupante.” <186
Nella regione parigina le azioni che vengono portate avanti dai “resistenti” fin dall’estate del 1940, sono dei sabotaggi ai cavi elettrici e alle linee telefoniche tedesche, attentati contro dei beni, ma anche rivolte e manifestazioni spontanee fino ad arrivare a degli scontri aperti contro i soldati tedeschi a partire dal 1941. Queste azioni si verificano oltreché nella capitale anche nelle zone del Nord-Ovest, e sono compiute da individui isolati spinti dalla delusione per la sconfitta francese nonché da gruppi che si vanno via via riorganizzando.
Un’altra azione portata avanti dai resistenti fu quella delle manifestazioni pubbliche che permettevano l’esteriorizzazione di sentimenti di malcontento, di collera, di aggressività. Tale tipo di aperta propaganda offriva anche un’occasione a quelli che la praticavano di conoscersi, di incontrarsi e in seguito di ritrovarsi. Perché l’occupante risultasse fortemente impressionato occorreva che le manifestazioni fossero numerose. La prima manifestazione che suscitò un certo clamore fu quella degli studenti. Già mobilitati da alcune settimane, sfilarono in 6.000 nell’anniversario della Grande Guerra, l’11 novembre del 1940 sugli Champs-Elysées, nei pressi della Place de l’Etoile. <187
La polizia francese reagì per prima disperdendo i manifestanti a colpi di manganello, poi intervenne quella tedesca che sparò sui manifestanti e arrestò un centinaio di studenti sia liceali che universitari della Sorbonne. Così il primo maggio del 1941 in rue des Pyramides, gli studenti cantano la Marsigliese e fischiano al passaggio degli ufficiali tedeschi, la stessa canzone è cantata ancora una volta in maniera provocatoria in Place de l’Opéra davanti alla sede della Kommandatur con 600 manifestanti. Agli Champs-Elysées la folla applaude uno sconosciuto che lancia tre palloncini di colore bianco, blu, rosso, dei fiori sono deposti ai piedi della statua di Giovanna D’Arco. Il 4 ottobre 1941, una macchina tedesca si scontra contro il Leone di Belfort, in Piazza Denfert-Rochereau, il monumento alla resistenza francese del 1870-1871; allora sfilarono ininterrottamente molti curiosi, commentando con un piacere evidente il carattere simbolico dell’incidente. Dalla BBC si diffondono appelli per manifestare durante le feste tradizionali del 14 luglio e dell’11 novembre. Per la festa del 14 luglio del ’41, Pétain ordina raccoglimento e meditazione e alcuni rappresentanti della Delegazione del Governo Francese e della prefettura depongono fiori alla Tomba del Milite Ignoto. Tuttavia anche se le manifestazioni furono proibite, ci furono molti tafferugli in varie parti della città e qualche colpo di rivoltella. La polizia prese i nomi e gli indirizzi di coloro che avevano esposto i colori nazionali, coccarde, nastri, fiori all’occhiello, (1667 arresti secondo Michel): l’esposizione del tricolore francese era infatti stata proibita durante l’occupazione.
Vennero lanciati numerosi volantini da parte dei comunisti. <188
Il 16 luglio 1941, delle affiches rosse con bordo nero annunciano ai parigini l’esecuzione di due giovani, Henri Gautherot e Samuel Tyzelman, per avere “partecipato a una manifestazione proibita”. Nel 1941, in seguito all’attacco all’URSS da parte del regime nazista, il clima di resistenza all’occupante cambia fortemente rispetto ai primi mesi d’occupazione.
[NOTE]
177 P. Spriano, Storia del partito comunista italiano, La fine del fascismo. Dalla riscossa operaia alla lotta armata, pp. 32-33.
178 G. Amendola, Comunismo, antifascismo, resistenza, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 215.
179 M.L. Righi, Nella Marcellino: le tre vite di Nella, op. cit., cit. p. 4.
180 A. Garosci, Storia della Francia moderna (1870-1946), Einaudi editore, Torino, 1947, pp. 270-271.
181 Testimonianza di Nella Marcellino nel documentario “Ciao Compagni/Salut Camarades”, regia di M. Astolfi, 2000, 52’30’’, b/n e colore, produzione: Archivio Audiovisivo del movimento operaio.
182 W. Valsesia, P. Manca (a cura di), Un antifascista europeo: dai fuoriusciti di Parigi ai partigiani del Biellese, Recco: Le mani; [Alessandria]: ISRAL, 2011, p. 22.
183 A. Garosci, Storia della Francia moderna (1870-1946), op. cit., p. 283.
184 Ivi, cit., p. 313.
185 H. Michel, Paris résistant, Editions Albin Michel, Paris, 1982, p. 205.
186 J. Blanc, Au commencement de la résistance, Du côté du musée de l’homme 1940-1941, Paris, Éditions du Seuil, 2010, p. 61.
187 Ivi, p. 52.
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013

Nel 1932 Riccardo è a Mosca alla scuola leninista <35, per un corso di tredici mesi; inviato di nuovo in Francia, diventa uno dei responsabili dei gruppi di lingua italiana del Pcf per la regione sud-est di Parigi. Nella stessa regione promuove e dirige il Comitato proletario antifascista (Cpa).
Nel 1936 lo troviamo volontario in Spagna, e nel maggio 1937 è commissario di tre batterie di artiglieria; l’8 luglio viene ferito ad una gamba nella battaglia di Brunete. Alla fine di settembre del 1937 è nominato commissario politico della brigata “Garibaldi”, in sostituzione di Ilio Barontini <36.
Dopo la sconfitta della Repubblica spagnola, Rohregger ritorna in Francia con la sua compagna Sonia Bianchi; grazie a lei riesce ad evitare la prigionia in campo di concentramento e ha così modo di frequentare un corso di scuola di partito che si tiene in Normandia <37.
Sonia Rohregger
Sempre sul finire degli anni venti Sara Sonia Pflaster (Sienawa, Polonia, 1908 – Dranem a Ris, Francia, 14 gennaio 1994) <38, futura moglie di Riccardo Rohregger, lascia la Polonia. Nasce in un piccolo villaggio della parte tedesca del paese, Sienawa, non lontano da Cracovia. Il padre, Marcus Marin, è un ebreo erudito, profondo conoscitore di yiddish e talmud.
[…] Il lavoro di costruzione degli involucri a Vincennes comporta, ovviamente, un grande rischio: «Eravamo sorvegliati da soldati austriaci che conoscevano bene la lingua francese e quando si trovavano a tu per tu con noi, maledivano Hitler e le Ss, ma appena si avvicinava un altro commilitone diventavano muti e parlavano solo del lavoro. D’accordo con alcuni compagni francesi e facilitati dalla presenza di un capo operaio come Richard cominciammo la fabbricazione di ordigni esplosivi da fornire ai Gap che agivano fuori dello stabilimento» <51.
Ivo Tonussi ricostruisce la struttura del gruppo Rohregger: «Richard intanto era riuscito a creare un gruppo partigiano nella fabbrica di munizioni dove lavorava. Nello stesso tempo, eludendo la sorveglianza dei tedeschi, fabbricava al tornio gli involucri per bombe a mano. Bisognava procurare l’esplosivo. Grazie al lavoro svolto nel passato nei gruppi di lingua del Pcf, conoscevo compagni dislocati in tutta la regione parigina. Nella cittadina di Walparisys (sic) <52, dove si trovava una polveriera, abitavano i compagni Rossetti, attraverso questi riuscivo ad avere alcuni chili di polvere da sparo. Le compagne Sonia e Raisa avevano cstruito borse col sottofondo con cui trasportavano l’esplosivo al magazzino del compagno [Ernesto] Ferrari. Questi, una volta riempite cinque o sei bombe, le nascondeva nella carrozzella del suo bambino che aveva appena un mese» <53.
I mesi intercorsi tra il luglio e l’ottobre 1940 sono spesi dal gruppo per studiare i punti deboli dell’apparato produttivo impiantato dai tedeschi a Vincennes.
Nell’estate del 1940, il responsabile della Moi <54 per il gruppo italiano, il polacco Louis “Bruno” Gronowski, incontra Giorgio Amendola <55, che gli conferma che i comunisti italiani si stanno riorganizzando: «I primi nuclei di lotta all’invasore nazista furono creati dal Pcf organizzando i nuclei dell’organizzazione segreta, le Os, molto simili ai Gap della Resistenza italiana. I compiti iniziali assunti dalle Os furono di recuperare le armi abbandonate dall’esercito francese in rotta e organizzare sabotaggi. Dalla formazione delle Os il Pcf costituì una nuova organizzazione unitaria i Franchi Tiratori Partigiani Francesi. Il termine tiratore fu assunto dal nome dei combattenti irregolari del 1870 che si erano opposti all’invasione tedesca e dai giovani rivoluzionari bolscevichi. La struttura del Ftpf era costituita da una maglia di cellule composte da tre partigiani, in modo che il membro della cellula conoscesse soltanto i due compagni a cui era direttamente collegato. I partigiani italiani assieme agli altri emigrati erano inseriti nei Ftpf con la sigla MOI, Mano d’Opera Immigrata» <56.
[NOTE]
35 Ibidem. Si veda anche ANTONIO ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977, p. 93n.
36 PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, volume III: I fronti popolari, Stalin, la guerra, Torino, Einaudi, 1967, p. 227.
37 Per maggiori notizie su questa scuola di partito cfr. S. SCHIAPPARELLI, Studenti illegali in Normandia, in “I comunisti”, a. VI, n. 1, marzo 1970, p. 32.
38 Le notizie su Sonia Bianchi mi sono state fornite da suo figlio, Serge Bianchi.
51 G. MARCELLINO, art. cit.
52 Recte Villeparisis.
53 A. TONUSSI, op. cit., p. 126.
54 Mano d’opera immigrata.
55 STÉPHANE COURTOIS – DENIS PESCHANSKI – ADAM RAYSKI, Le sang de l’étranger. Les immigres de la MOI dans la Résistance, Paris, Fayard, 1989, p. 100.
56 A. TONUSSI, op. cit., p. 119.
57 G. AMENDOLA, Storia del Partito comunista italiano, 1921-1943, Roma, Editori Riuniti, 1978, p. 481.
Davide Spagnoli, Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese, in “l’impegno”, a. XXXII, n. 1, giugno 2012, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

Giuliano Pajetta, nel 1955 dedicò molte pagine commosse del suo “Douce France. Diario 1941-1942” a tracciare un ritratto affettuoso e lusinghiero di Riccardo Rohregger.
Ne riportiamo qui un estratto per completare il profilo di questa figura: “Grande, spilungone, un passo a falcate, sgraziato, ti conquistava non appena scambiavi quattro parole con lui. Con il suo pseudonimo francese e con il suo lungo e impronunciabile cognome autentico tedesco, era il più triestino dei triestini, e come tale, un eccellente comunista italiano. […] L’avevo conosciuto a Mosca nel ’33, in Francia nel ’35 e poi eravamo stati assai vicini in Ispagna dove aveva fatto il commissario di gruppo d’artiglieria […]. Era stato tra i difensori del ‘Lavoratore’ a Trieste nel ’20, e in tutti i conflitti più aspri dei tempi eroici dell’emigrazione dal ’25 al ’31, dalla Francia al Lussemburgo, dal Belgio alla Svizzera non era mai mancato […]. Se uno doveva essere tra i primi nella resistenza armata contro i tedeschi, nel sabotaggio della loro industria di guerra non poteva essere che Richard: e così è anche caduto tra i primi […] i vecchi colleghi operai portuali che ha lasciato a Trieste, lo aspetteranno ancora: immagino la loro reazione quando sapranno che questa volta non tornerà proprio più […]” <29.
Riccardo Rohregger verrà dunque fucilato al Mont-Valérien <30 (Suresnes attualmente nel dipartimento degli Hauts de Seine, dipartimento della Seine all’epoca) con Mario Buzzi <31 il 17 aprile 1942.
[NOTE]
29 A. Rossel-Kirschen, Le procès, cit., pp.228-31.
30 Luogo posto su una collinetta al sud-ovest di Parigi, non lontana dal Bois de Boulogne, in cui ha avuto luogo il maggior numero (1007 per l’esattezza, stando alle verifiche estremamente rigorose effettuate negli anni Novanta da S. Klarsfeld e L. Tsevery in Les 1007 fusillés du Mont-Vlérien parmi lesquels 174 Juifs, Association Les Fils et Filles des déportés juifs de France, Paris 1995) di fucilazioni in seguito a condanne a morte da parte di Tribunali militari tedeschi oppure nel quadro della repressione mediante fucilazioni di ostaggi.
31 Del quale la polizia italiana aveva perso ogni traccia dopo l’espatrio clandestino. Sapeva solo che risiedeva in Francia, ma non era mai riuscita a reperirne il recapito esatto. Verrà, tuttavia, a conoscenza della sua avvenuta fucilazione poiché nel suo fascicolo personale (A.C.S. CPC, busta 918) si trova una nota della prefettura di Udine, datata 25 luglio 1942, che così recita: «Il 17.4.1942 è stato fucilato dai tedeschi, nella Francia occupata, per attività terroristica ed illegale detenzione di armi. Chiesta revoca dell’iscrizione in Rubrica di Frontiera e depennato dall’elenco delle persone pericolose da arrestare in determinate circostanze (1a Categoria). In pari data viene anche radiato dal novero dei sovversivi».
Antonio Bechelloni, Friulani e giuliani attivi nella Resistenza francese (1940-1944). Dal socialismo all’antifascismo, dall’antifascismo alla Resistenza: la coerenza di un percorso collettivo  in (a cura di Diego D’Amelio e Patrick Karlsen) «QUALESTORIA» – Rivista di storia contemporanea – 2. Collaborazionismi, guerre civili e resistenze, Anno XLIII, N.ro 2, Dicembre 2015, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia