La Resistenza può adesso rivendicare un ruolo determinante nella costruzione del nuovo Stato democratico

In quel quadro sconfortante si aggiunse poi il proclama del generale Alexander rivolto alla Resistenza.
Il proclama, emanato il 13 novembre durante una trasmissione della emittente “Italia combatte” (la stazione radio attraverso la quale il comando anglo-americano manteneva il contatto con le formazioni del Cln), informava le formazioni partigiane che “la campagna estiva, iniziata l’11 maggio e condotta senza interruzione fin dopo lo sfondamento della linea gotica, è finita: inizia ora la campagna invernale. In relazione all’avanzata alleata, nel periodo trascorso, era richiesta una concomitante azione dei patrioti: ora le piogge e il fango non possono non rallentare l’avanzata alleata, e i patrioti devono cessare la loro attività precedente per prepararsi alla nuova fase di lotta e fronteggiare un nuovo nemico, l’inverno. Questo sarà molto duro per i patrioti, a causa delle difficoltà di rifornimenti di viveri e di indumenti: le notti in cui si potrà volare saranno poche nel prossimo periodo, e ciò limiterà pure la possibilità di lanci; gli alleati però faranno il possibile per effettuare i rifornimenti. In considerazione di quanto sopra esposto, il generale Alexander ordina le istruzioni ai patrioti come segue: cessare le operazioni organizzate su larga scala; conservare le munizioni ed i materiali e tenersi pronti a nuovi ordini (…) sarà cosa saggia non esporsi in azioni arrischiate; la parola d’ordine è: stare in guardia, stare in difesa (…) i patrioti siano preparati e pronti per la prossima avanzata”.
La certezza che gli alleati non sarebbero entrati nella pianura padana prima della primavera del 1945, con la concomitante richiesta ai partigiani di cessare le operazioni su larga scala e di porsi sulla difensiva, sembrò ai più un vero e proprio abbandono della Resistenza, quando non venne vissuta come un tradimento. Infatti, se nella sostanza il contenuto del proclama era una realistica constatazione delle sconfortati prospettive militari che la situazione bellica in Italia concedeva alla Resistenza, il tempo, il modo e soprattutto il mezzo scelto dimostravano una sospetta indifferenza, foriera peraltro di un prevedibile deprimente effetto psicologico sulle bande partigiane. Come ha scritto Battaglia: “le cose hanno valore non solo per il modo, ma per il momento in cui sono dette. Il modo era il più infelice: un proclama radio che annunciava non solo ai partigiani, ma anche al nemico l’intenzione di rinviare ogni azione offensiva a primavera e di lasciarlo indisturbato sul fronte. Riguardo al momento, non si poteva sceglierne uno meno adatto, poiché il proclama giungeva nel pieno della controffensiva tedesca” <356. Esso coincise con l’ultimo grosso sforzo da parte tedesca e delle Brigate nere di spazzare la Resistenza con vaste operazioni di rastrellamenti. Inoltre coincise con il secondo bando di clemenza voluto dal duce in occasione dell’anniversario della marcia su Roma (28 ottobre) che concedeva l’amnistia per i reati di renitenza alla leva, di mancata presentazione alla chiamata alle armi e di mancata presentazione al servizio obbligatorio di lavoro.
Se l’amnistia di Mussolini, che indusse oltre 70.000 disertori e “sbandati” ad approfittare dell’occasione per non affrontare nelle peggiori condizioni un inverno che si annunciava sotto ogni profilo terribile <357 ebbe successo, fu anche responsabilità del proclama che agli occhi di quei giovani svaniva ogni speranza di un’imminente fine della guerra. L’arresto poi dell’offensiva alleata sul fronte appenninico indusse Mussolini a studiare i mezzi per la controffensiva invernale. In una lettera al Führer del 14 novembre 1944 il duce scriveva che bisognava riprendere l’iniziativa militare sul fronte italiano e che “tale operazione deve essere fatta in questo inverno, cioè quando la superiorità nemica in mezzi corazzati e in aeroplani non può dispiegarsi in tutta la sua efficacia. Una massa italo-tedesca di 80-100.000 uomini rovescerà la situazione (…) i 22 milioni di italiani della Liguria, Piemonte, Emilia, Lombardia, Veneto non attendono più i liberatori. Gli stessi antifascisti non li attendono più con l’entusiasmo di una volta. Grazie alle azioni compiute dai reparti germanici e italiani il fenomeno del partigianesimo è in decadenza e la mia recente amnistia ha condotto alle caserme o al lavoro parecchie migliaia di giovani” <358. Ma le eccessive ambizioni del duce riposte sulla nuova situazione creatasi sul “fronte interno” si dovettero scontrare con il silenzio di Hitler. Morivano quindi le speranze di Mussolini di poter creare un esercito italotedesco in grado di rovesciare la situazione bellica italiana. La Repubblica sociale poteva contare solo sull’esercito di Graziani.
[NOTE]
356 Battaglia, Storia della Resistenza italiana, cit., p. 457
357 De Felice, Mussolini l’alleato, p. 314
358 Deakin, Storia della repubblica di Salò, cit., p. 718
Marco Pollano, La 17a Brigata Garibaldi “Felice Cima”. Storia di una formazione partigiana, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2006-2007

Il 13 novembre 1944, il generale Alexander, comandante delle forze alleate sul fronte del Mediterraneo, impartisce le “Nuove istruzioni ai patrioti italiani”. Le operazioni militari su vasta scala devono essere sospese. Riprenderanno quando saranno superate le difficoltà, soprattutto di ordine logistico, che il sopraggiungere dell”inverno comporta.
La diffusione del proclama provoca reazioni contrastanti: stupore, disorientamento, rabbia <852. C’è il rischio di non riuscire a gestire le ripercussioni politiche e psicologiche che potrebbero allentare la tensione morale, fino a rinunciare a combattere in attesa di “tempi migliori” o, all’opposto, c’è il rischio di intraprendere iniziative tanto ardite quanto dannose e controproducenti.
Il 2 dicembre giunge la risposta da parte del comando generale partigiano che “interpreta” le direttive alleate e rilancia la parola d”ordine “La battaglia continua” <853. È un segnale di volontà e determinazione, nel momento di maggiore difficoltà per la resistenza italiana.
Negli ultimi mesi del 1944 si avverte una sensazione di crisi anche a Roma dove, dopo la liberazione, si è insediato il Governo Bonomi, espressione dei partiti del CLN. La crisi è profonda e si manifesta nei diversi settori della vita politica e sociale. Dopo appena pochi mesi dalla liberazione della città. Certo, i problemi da affrontare sono complessi e non si può pretendere di risolverli in poco tempo. Occorre ricostruire le strutture fondamentali del Paese, ritornare alla normalità, dopo quattro anni di guerra e vent’anni di privazione della libertà. Eppure, proprio i partiti, una delle più alte espressioni di democrazia, appaiono strumenti inefficaci, limitati nella loro azione di governo, appesantiti da discussioni, polemiche, divergenze continue. La lotta tra le forze che spingono verso il cambiamento (sia pure con motivazioni, programmi, tempi diversi) e le forze schierate a sostegno della conservazione (di privilegi, di posizioni di potere, di un sistema di valori fatto di interessi personali, piccoli espedienti, inamovibilità nei ruoli e nelle funzioni, fino ad arrivare alla collusione e alla corruzione) è continua e sistematica. A volte è evidente; altre volte, invece, è nascosta. Si basa su un sistema di allusioni, ricatti, minacce. Spesso utilizza l’arma efficace dell’ostruzionismo. È una lotta condotta per affermare ideali e virtù morali necessari per ricostruire e rafforzare la coscienza civile degli italiani, in gran parte corrotta dal conformismo, dall’indifferenza, dal disinteresse pubblico e dall’interesse privato, da una immoralità diffusa <854.
I problemi da affrontare sono tanti. Sono vecchi e nuovi problemi e appaiono tutti difficili da risolvere. C”è il problema dell’epurazione, della rottura con il passato, della riforma della pubblica amministrazione, dei ministeri, dei luoghi in cui si riproduce quella continuità che ostacola il cambiamento <855. Il lavoro delle commissioni è incessante. Si susseguono studi, indagini, proposte ma anche dimissioni e rotture, in un apparente continuo ritorno al punto di partenza. E poi, ci sono i problemi contingenti, quelli legati all’inflazione, ai rifornimenti alimentari, alla borsa nera, alla micro criminalità, alla prostituzione, alla scuola, ai separatisti, all’occupazione delle terre, agli scioperi. Roma è stata liberata ma continua a combattere su altri fronti, tutti i giorni. È assediata dalla fame, dalla miseria, dalle malattie, dalla delinquenza, dalla promiscuità. Ed è invasa da profughi, sfollati, disoccupati, prostitute e “figli della guerra” <856.
C”è, inoltre, il problema istituzionale, formalmente accantonato dai partiti di governo ma ancora in grado di provocare polemiche e contrapposizioni. L’ultima occasione è costituita da un”intervista concessa da Umberto al New York Times e pubblicata il 1° novembre 1944. Il luogotenente, venendo meno alla “tregua istituzionale”, dice che il modo migliore perché il popolo italiano possa decidere il futuro assetto dello Stato è il referendum. Il Consiglio dei ministri, riunitosi qualche giorno dopo, non può fare altro che ribadire quanto previsto dal Decreto Legge Luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944 in base al quale “le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, una Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato”. La puntualizzazione da parte del Governo non basta a placare le polemiche, soprattutto interne ai partiti, e il 26 novembre si arriva alle dimissioni di Bonomi. Il presidente del Consiglio, pur essendo stato designato dal CLN, rimette il proprio mandato nelle mani del Luogotenente.
Si tratta di una scelta che rende ormai evidenti e inconciliabili le divergenze tra le forze politiche che devono guidare il Paese verso il cambiamento. Ma, soprattutto, di una decisione che accentua le distanze tra chi governa a Roma e chi ancora lotta per dare all’Italia una nuova prospettiva di vita.
Lo ha già percepito, con amarezza e disillusione, Alfredo Pizzoni, il presidente del CLNAI, giunto nella capitale insieme a Parri, Pajetta e Sogno.
“Il 20 novembre fummo ricevuti dal presidente del Consiglio Bonomi: gelido, e nella ignoranza più completa di quanto facevamo. Questo incontro fu un vero disastro: ne uscimmo due avviliti (Parri e io) e due che proferivano male parole (Mare e Sogno). Eravamo entrati in quella sala con la commozione di incontrare il Capo dell’Italia nuova, al cospetto del quale eravamo arrivati dopo tante sofferenze e tante peripezie; trovammo un vecchio signore il quale ci ricevette con mentalità di “ordinaria amministrazione”. […] La mia prima sensazione fu di irrealtà; ed effettivamente l’atmosfera di Roma era per noi irreale. A Roma non avevano lottato, si erano semplicemente preparati alla conquista del potere politico, si erano attribuite tutte le possibili cariche pubbliche e senza avere il minimo potere effettivo e senza nessuna autorità presso gli Alleati (questo è un fatto preciso) giocavano, si trastullavano a fare i ministri, i sottosegretari, i più o meno alti commissari, ecc. Che noi si combattesse, che noi si morisse, facevano finta di non sapere e, comunque, per la loro mentalità politica, non aveva nessuna importanza” <857.
La stessa amarezza si avverte, il 7 dicembre, in occasione della sottoscrizione dei protocolli di Roma. Grazie agli accordi raggiunti, gli Alleati si impegnano a sostenere, economicamente e militarmente, le forze della resistenza italiana; il CLNAI, da parte sua, si impegna a consegnare le armi a liberazione avvenuta. Qualche anno dopo, Parri rievocherà la “solennità” del patto: “Da un canto, imponente, maestoso come un proconsole, Sir Maitland Wilson; dall’altro noi quattro. Un bicchiere di qualche cosa, qualche parola, una stretta di mano: poi la firma. Mi domando se quando i proconsoli britannici firmano protocolli con qualche sultano del Belucistan o dell’Hadramauth non sia un po’ la stessa cosa” <858.
Il 26 dicembre, anche il governo Bonomi <859, sia pure in ritardo, sottoscrive un accordo con il CLNAI. Il governo riconosce il ruolo politico e militare del Comitato quale organo dei partiti antifascisti nei territori occupati dai tedeschi; il CLNAI riconosce il governo italiano come unica autorità legittima e si impegna ad agire come suo delegato. È un altro duro colpo per la Resistenza.
Il 1944 volge al termine. Forse, però, non si percepisce solo la fine decretata dal calendario.
Tra febbraio e marzo 1945 i partigiani riprendono in pieno la loro attività. Il movimento si consolida e si estende verso la pianura. C”è una rinnovata fiducia e una maggiore consapevolezza nella capacità di condurre fino in fondo la lotta di liberazione. La Resistenza può adesso rivendicare un ruolo determinante nella costruzione del nuovo Stato democratico. È riuscita a superare momenti difficili, l’estate delle stragi e l’inverno rigido del 1944; le nebbie e il grigiore dei contrasti interni, soprattutto nel complesso rapporto con il Governo di Roma; la cautela e la diffidenza degli alleati; la forza d’urto di un esercito, quello nazista, organizzato e spietato; la reazione rabbiosa delle formazioni militari della RSI; gli arresti, le torture, le rappresaglie, le delazioni, i tradimenti. Ha affrontato con fermezza i conflitti interni, i reati commessi dagli stessi partigiani, puniti anche con la morte. Ha anche commesso degli errori. Eppure, nonostante tutto, rappresenta il punto più alto di idealità e moralità; l’esperienza necessaria per costruire, su nuove basi, un Paese migliore. È questa la grande occasione storica. La guerra sta per finire. È questo il momento più difficile.
Nelle giornate frenetiche dell’aprile 1945 si intensificano le iniziative per attuare un passaggio dei poteri che garantisca gli interessi dei principali protagonisti che da anni si affrontano da posizioni diverse. La sconfitta militare del nazifascismo è ormai questione di tempo e non viene messa in discussione. Preoccupa, invece, il “finale di partita”: cosa faranno i tedeschi? Distruggeranno tutto, al momento della ritirata, così come è stato ordinato da Hitler? Cosa faranno i fascisti? E Mussolini, che nel frattempo, dal 18 aprile, si è trasferito nella Prefettura di Milano? Cosa faranno i sovietici che ormai avanzano rapidamente verso Berlino? E, infine, quale sarà la reazione dei partigiani italiani? Ci sarà una resa dei conti? Attueranno la “rivoluzione proletaria”?
I motivi per cui preoccuparsi sono tanti. Di questo sono consapevoli inglesi e americani, non sempre d’accordo sulle modalità dell’intervento politico e militare ma concordi sulla necessità di contenere il pericolo comunista. È consapevole il Vaticano, per gli stessi motivi, e perché ha sempre rappresentato, per l’Italia, una guida solida e sicura. Adesso, non può non inserirsi in questa fase delicata di cambiamento. Sono consapevoli i grandi gruppi industriali e finanziari i quali devono ormai liberarsi definitivamente del passato ma all’interno di un processo di continuità che consenta loro di svolgere, ancora e più di prima, un ruolo importante nella gestione del potere e degli affari. Sono consapevoli, infine, tutti coloro che in passato hanno ricoperto un incarico. Adesso, si apprestano a “riposizionarsi” come se niente fosse, come se non ci fosse stata una guerra lunga e sanguinosa.
Anche i partigiani sono preoccupati. Ma, per altri motivi. L’approssimarsi della fine sta facendo emergere “una rete di intrighi, un vero e proprio nido di vipere che deve essere schiacciato decisamente se non si vogliono rendere vani i sacrifici della lotta di liberazione” <860. Occorre, pertanto, agire con forza e determinazione. Non si può più aspettare.
I piani operativi per l’insurrezione generale sono stati delineati già da tempo. Il Piano per la liberazione di Torino è del 20 febbraio 1945. È stata prevista la dislocazione dei reparti e sono stati individuati gli obiettivi da conquistare e quelli da difendere. In primo luogo gli impianti industriali e le vie di collegamento. È stata prevista anche l’assunzione legale dei poteri da parte del CLN per garantire il funzionamento delle strutture e delle istituzioni ordinarie: ordine pubblico, amministrazione della giustizia, settore alimentare. Sono stati elaborati, con uno schema simile, anche i piani per la liberazione di Genova e di Milano. Sono stati previsti i tempi. Non bisogna muoversi in anticipo e rischiare che l’insurrezione fallisca. Occorre, però, agire prima che gli Alleati arrivino in città. Non è solo una questione di prestigio e di visibilità, ma una necessità politica e militare.
Il 10 aprile, il Partito Comunista dirama la Direttiva n. 16. È arrivato il momento di passare all’azione, di concentrare tutte le forze e le energie per predisporre l’insurrezione nazionale, ritenuta ormai imminente. Occorre iniziare gli “attacchi in forze ai presidi nazifascisti e spingere a fondo la liberazione di paesi, vallate e intere regioni” e iniziare lo sciopero generale che “non dev’essere concepito come uno scoppio improvviso d’ira popolare, ma come una progressione accelerata di movimenti popolari, di fermate, di manifestazioni e di scioperi” <861.
L’insurrezione è l’atto finale dopo anni terribili di guerra, distruzione, terrore ma può fallire, anche a causa degli accordi sotterranei e trasversali dell’ultimo momento che potrebbero vanificare ogni sforzo e ogni speranza di cambiamento. Su questo punto, la direttiva è chiara e perentoria: “Per nessuna ragione il nostro partito e i compagni che lo rappresentano in qualsiasi organismo militare o di massa, devono accettare proposte, consigli, piani tendenti a limitare, a evitare, a impedire l’insurrezione nazionale di tutto il popolo […] Quando sia utile dobbiamo fare tutte le concessioni necessarie, purché esse non compromettano sostanzialmente lo scatenamento e la vittoria dell’insurrezione. Dove dobbiamo essere intrattabili è sul punto della necessità dello scatenamento della lotta insurrezionale di tutto il popolo” <862. La necessità dell’insurrezione è vista come obiettivo finale e come azione unitaria: “Ma se, nonostante tutti i nostri sforzi non riuscissimo, in simili casi, a dissuadere i nostri amici e alleati, noi dobbiamo anche fare da soli, cercando di trascinare al nostro seguito quante più forze possibili ed agendo sempre, però, in nome dei CLN e sul piano politico dell’unione di tutte le forze popolari e nazionali per la cacciata dei tedeschi e dei fascisti e mettendo bene in chiaro che con la nostra attività non ci proponiamo affatto degli scopi e degli obiettivi di parte” <863.
Il CLNAI condivide questa impostazione ed emana una serie di decreti <864 che incitano alla lotta finale: “Della resa delle formazioni fasciste” (13 aprile); “Direttive per l’insurrezione nazionale” (16 aprile); “Invito allo sciopero dei ferrovieri” (17 aprile); “Arrendersi o perire” (19 aprile).
Gli avvenimenti, ormai, si susseguono rapidamente. Il 21 aprile Bologna viene liberata. Negli ultimi due giorni ci sono stati duri scontri tra partigiani e fascisti e numerosi bombardamenti alleati. I tedeschi sono costretti a ripiegare. Una dopo l’altra, le città emiliane vengono liberate dalle forze partigiane che ingaggiano gli ultimi decisivi scontri con i fascisti e ostacolano il ricongiungimento dei reparti germanici in ritirata. Dopo aver trovato il territorio in gran parte liberato, gli americani oltrepassano il Po e avanzano verso i principali centri del Nord. Per il CLNAI è arrivato il momento di lanciare l’ordine dell’insurrezione generale: “A tutti i comandi di zona. Comunicasi il seguente telegramma: ALDO DICE 26 X 1. Stop. Nemico in crisi finale. Stop. Applicate piano E 27. Stop. Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga. Stop. Fermate tutte macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone sospette. Stop. Comandi zona interessati abbiano massima cura assicurare viabilità forze alleate su strade Genova – Torino et Piacenza – Torino. Stop. 24 aprile 1945” <865.
L’ordine in codice prevede che l’insurrezione inizi il 26 all’una di notte. In realtà, in molte località inizia prima. A Genova durante la notte tra il 23 e il 24 aprile. Dura pochi giorni e viene condotta con successo, nonostante la superiorità numerica e organizzativa dei tedeschi. Le forze partigiane riescono a occupare rapidamente i principali obiettivi strategici, a difendere il porto, a coordinare i reparti e a guidare lo slancio di tanti cittadini che si uniscono ai partigiani. Lo scontro è cruento e l’esercito tedesco, ormai battuto, è costretto a firmare la resa.
A Milano, l’insurrezione inizia il 25 aprile […]
[NOTE]
852 “Il proclama è un madornale errore psicologico, esso fa precipitare le stanchezze, le ansie, i dubbi che il partigianato si porta dentro, accentua il vittimismo comunista giunto in alcuni dirigenti garibaldini a forme maniache. Si riascoltano le romanzesche supposizioni di diabolici intrighi. A prova del dolo, della volontà alleata di esporre a rischi mortali l’esercito partigiano, si dice: “Vedete, il proclama poteva essere comunicato ai reparti tramite il comando generale. Invece lo si è ripetuto alla radio per alcuni giorni per rendere edotti i nemici”. Ma la trasmissione per radio è una necessità, l’unico mezzo per far giungere subito e a tutti l’ordine; e non rivela al nemico cose che già non conosca”, Giorgio Bocca, Storia dell’Italia partigiana, cit., p. 444.
853 “La battaglia continua e deve continuare per gli eserciti alleati e anche per le forze partigiane. Le istruzioni di Alexander si sono proposte solamente, come del resto è stato precisato in successive dichiarazioni alla radio, di adeguare la lotta partigiana al ritmo delle operazioni militari alleate […]”, in ivi, p.445.
854 Nell’ottobre 1944, Riccardo Bauer scrive a Gaetano Salvemini: “L’avvenire si presenta in Italia come estremamente difficile. Non hai idea esatta dello stato di anarchia spirituale in cui si trova il paese disabituato a pensare, senza abito critico, uso a tutto aspettare dal centro, a soltanto riecheggiare parole d’ordine piovute dall’alto […] La navigazione politica in Italia è difficile e pericolosissima; si svolge tra gli scogli infiniti, i peggiori dei quali sono l’abulia delle masse, la sostanziale diseducazione politica, la corrosione operata dal fascismo negli animi, la esiguità dei nuovi quadri preparati alla libera lotta politica fuori di ogni abitudine di sopraffazione”, Riccardo Bauer a Gaetano Salvemini, 15 ottobre 1944, in Gaetano Salvemini, Lettere dall’America 1944-1946, a cura e con la prefazione di Alberto Merola, Editori Laterza, Bari 1967, pp. 42-43.
855 Nel febbraio 1945, Ernesto Rossi scriverà a Gaetano Salvemini: “La situazione in Italia è tale che non si vede cosa si possa fare per gettare le basi di una rinascita democratica. Quel che avviene nell’Italia “liberata” lo immagini facilmente. Non si sa dove poggiare la mano. L’esercito, la burocrazia, la magistratura, tutto è putrefazione. Come “epurare” se la maggior parte degli epuratori andrebbe essa pure epurata? Come far eseguire gli ordini antifascisti da una burocrazia fascista, corrotta al punto che mette tutto in vendita? Come costruire un esercito quando tutti i quadri sono composti di ufficiali che se non sono nazisti, sono monarchici? A tutto ciò aggiungi la monarchia sostenuta dagli Angloamericani; l’equivoco del Vaticano; i comunisti che, per ordine di Mosca, si presentano come democratici nazionalisti e si metton d’accordo con i reazionari; il freddo e la fame che non lasciano pensare ad altro; la disorganizzazione di tutti i servizi, le devastazioni, le abitudini prese dalla Resistenza fuori legge”, Ernesto Rossi a Gaetano Salvemini, in ivi, p.100.
856 Il settimanale “Cosmopolita” realizza una serie di servizi su “Roma sotto inchiesta”: Profughi e sfollati (n.11, 14 ottobre 1944); Ospedali (n.12, 21 ottobre 1944); La città ha fame (n.13, 28 ottobre 1944); Prostituzione (n.14, 4 novembre 1944); Disoccupazione (n.17, 25 novembre 1944); Delinquenza (n.21, 23 dicembre 1944). Qualche accenno in Ludovico Incisa di Camerana, L’Italia della luogotenenza, Casa Editrice Corbaccio, Milano 1996, pp.65-71.
857 Alfredo Pizzoni, Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli, il Mulino, Bologna 1995, p.108.
858 Maurizio (Ferruccio Parri), Il movimento di liberazione e gli Alleati, in “Movimento di Liberazione in Italia”, n. 1, luglio 1949. In ivi anche il testo dei Protocolli.
859 Il 12 dicembre 1944 si ricostituisce il Governo Bonomi senza il Partito Socialista e il Partito d’Azione. Quasi tutti i ministri vengono riconfermati. Due sono le novità di rilievo: Alcide De Gasperi diventa, in qualità di Ministro degli Esteri, l’uomo-chiave nei rapporti con gli Alleati; si consuma la rottura dell’unità dei partiti che compongono il CLN. Governo Bonomi 12 dicembre 1944 – 21 giugno 1945. Presidenza del Consiglio: Bonomi avv. prof. Ivanoe, presidente del Consiglio dei ministri (Democrazia del lavoro ). Ministri senza portafoglio con funzioni di vicepresidenti del Consiglio dei ministri: Rodinò di Miglione nob. avv. Giulio (Democrazia cristiana); Togliatti dott. Palmiro (Partito comunista italiano). Ministro senza portafoglio: Brosio avv. Manlio (Partito liberale italiano). Affari esteri: De Gasperi dott. Alcide (Democrazia cristiana). Interno: Bonomi avv. prof. Ivanoe. Africa italiana: Bonomi avv. prof. Ivanoe, interim. Grazia e giustizia: Tupini avv. Umberto (Democrazia cristiana). Finanze: Pesenti prof. Antonio (Partito comunista italiano). Tesoro: Soleri avv. Marcello (Partito liberale italiano). Guerra: Casati conte sen. Alessandro (Partito liberale italiano). Marina: De Courten conte amm. Raffaele. Aeronautica: Scialoja avv. Carlo, fino al 14 gennaio 1945 (Democrazia del lavoro); Gasparotto avv. Luigi, dal 14 gennaio 1945 (Democrazia del lavoro). Pubblica istruzione: Arangio Ruiz prof. Vincenzo (Partito liberale italiano). Lavori pubblici: Ruini avv. Bartolomeo, detto Meuccio (Democrazia del lavoro). Agricoltura e foreste: Gullo avv. Fausto (Partito comunista italiano). Trasporti: Cerabona avv. Francesco (Democrazia del lavoro). Poste e telecomunicazioni: Cevolotto avv. Mario (Democrazia del lavoro). Industria, commercio e lavoro: Gronchi prof. Giovanni (Democrazia cristiana). Italia occupata: Scoccimarro dott. Mauro (Partito comunista italiano), Aldo G. Ricci, Aspettando la Republica, cit., pp.229-230.
860 Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana, cit., p.530.
861 Partito Comunista Italiano, Per la libertà e l’indipendenza d’Italia. Relazione della Direzione del Partito Comunista Italiano al 5. Congresso. Roma, 29 dicembre 1945, Società editrice l’Unità, Roma 1945, pp.273-277, citato in Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945, cit., p.531.
862 Ivi, p.532.
863 Idem.
864 Vedi: Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, Verso il governo del popolo. Atti e documenti del CLNAI 1943-1946. Introduzione e cura di Gaetano Grassi, Feltrinelli, Milano 1977.
865 Testo del telegramma diffuso dal Clnai indicante il giorno [26] e l’ora [1 di notte] in cui dare inizio all’insurrezione, in Ricordate quel 25 aprile?, n.10 Liberazione, p.21, Supplemento a “il manifesto”, sd [1995].
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011

La guerriglia, alimentata e appoggiata dalle lotte popolari, con i suoi successi, dava a sua volta impulso a quelle lotte di massa e partigiane che allargandosi sempre più impetuosamente sarebbero sfociate nell’insurrezione nazionale.
La guerra partigiana assunse in Italia una così grande ampiezza proprio perché fu sempre, sin dal primo giorno, accompagnata, alimentata, sostenuta dalle centinaia e centinaia di scioperi, dal sabotaggio della produzione bellica nelle fabbriche, dall’azione dei “gappisti” nelle città e dalle rivolte dei contadini nei villaggi. Senza i grandi scioperi nei centri industriali, senza l’azione dei contadini e delle masse popolari, l’avanguardia eroica dei combattenti sarebbe rimasta isolata, i distaccamenti partigiani non si sarebbero moltiplicati e trasformati in brigate e poi in divisioni.
La guerra partigiana ebbe in Italia carattere diverso che in altri paesi d’Europa, non soltanto per la particolare situazione politico-sociale (un paese occupato dallo straniero e oppresso da vent’anni dalla tirannia fascista), ma anche per le diverse condizioni dell’ambiente, del “terreno” per usare una parola del gergo militare.
Basta pensare ai grandi centri industriali italiani, alla loro ubicazione, alle numerose linee ferroviarie e stradali che collegano rapidamente i più importanti centri del nostro paese, ai numerosi valichi facilmente raggiungibili anche da autocolonne e dai carri armati per comprendere come la guerra partigiana che si combatteva in Italia fosse diversa per molti aspetti ad esempio da quella della Jugoslavia.
Pietro Secchia, Introduzione in (a cura di) Pietro Secchia, La guerriglia in Italia, Feltrinelli, Milano, 1969