La Resistenza vicentina nella primavera-estate 1944

Il lago di Posina (VI) – Fonte: Mapio.net

Non si può parlare per Posina di una vera e propria repubblica partigiana, anche perché il periodo di occupazione fu più breve. L’esperienza delle repubbliche partigiane in Italia si concluse con il sopraggiungere dell’inverno.
Dalla relazione operativa della divisione “Martiri Val Leogra”, pubblicata anche in “Rapporto Garemi”, di Aramin Orfeo Vangelista, si viene a conoscenza che l’occupazione “stabile” di Posina inizia ai primi di luglio 1944. Con la Valle di Posina sono occupate le zone del Laghi (poco sopra Posina), Terragnolo, le montagne dei Campi Luzi e del Pasubio.
Non mancarono le azioni, anche eclatanti in questa estate. Il 15 luglio il “Turco”, disattendendo ai piani prestabiliti che programmavano l’azione in un altro momento, decise di attaccare con una trentina di suoi compagni (a differenza dei 70 uomini che il piano prevedeva) la caserma di Tonezza, dove risiedevano circa 250 allievi ufficiali della Guardia nazionale repubblicana, le “Fiamme Bianche”. Morirono 6 fascisti e due partigiani. Tra i partigiani caduti c’era Luigi Marzarotto, nome di battaglia “Treno”, amico d’infanzia di Germano Baron. Anche Luigi era reduce dalla campagna in Russia. Proprio in memoria dell’amico il Turco darà al suo battaglione il nome di “Marzarotto”. Lamberto Ravagni, che partecipò anch’esso a quell’azione, in cui venne anche ferito, mi ha raccontato con un po’ di ironia l’eroismo di “Turco”, che pur sanguinando abbondantemente perché emofiliaco, lottava come nessun altro e non si dava un momento di tregua.
Germano Baron ricevette nel 1994 il riconoscimento della medaglia d’oro al valore militare, con la seguente motivazione: “Animato da alto spirito patriottico, fin dall’inizio saliva sui monti, ove organizzava le prime formazioni armate della zona, che raggruppava, quindi, in una agguerrita Brigata, di cui egli stesso assumeva il comando, guidandola con successo in numerose difficili e rischiose azioni. Sempre primo ove più intensa ferveva la lotta e maggiore era il pericolo, due volte ferito in combattimento, per le epiche gesta da lui compiute, per il suo indomito coraggio, per la sua bravura di comandante, per il grande senso di umanità e di giustizia che permeava ogni sua azione, era adorato dai suoi uomini e venerato dalla popolazione locale, che vedeva in lui riassunta la figura dell’eroe leggendario. Mentre già gioiva per la liberazione della Patria, cui si era votato con grande ardore, moriva in servizio nell’adempimento del suo dovere. Schio, 8 settembre 1943 8 luglio 1945” <40
La sera del 10 agosto, in contrà Lissa, situata vicino al fiume Posina e non lontana dal centro del paese di Posina, si tenne un incontro a cui erano presenti tutti i comandanti della Garemi. Si doveva appunto discutere della riorganizzazione delle formazioni, secondo quanto deciso due giorni prima a Recoaro.
C’erano Vangelista Orfeo “Aramin”, in quel momento ancora vicecommissario della Garemi, Boaretti Ernesto “Max“, Lino Marega “Lisy”, Valerio Caroti “Giulio”.
Quella sera discussero della riorganizzazione delle brigate. <41
Anche Germano Baron si portò il giorno dopo, l’11 agosto, in Contrà Lissa. “A notte inoltrata mentre stavamo ancora parlando, le vedette diedero l’allarme: stava sopraggiungendo il “Turco” con due o tre uomini e veniva da me42 per discutere dell’imminente rastrellamento. Gli chiesi se le pattuglie erano ben sparpagliate e lui me lo confermò; espresse l’opinione che i tedeschi non sarebbero arrivati fino ai Campilussi.” <43 Purtroppo si sbagliava.
Germano Baron si trova dunque qui quando la mattina, verso le 4.30, lo raggiunge la notizia del rastrellamento a Passo Coe.
I tentativi di stroncare la Resistenza erano iniziati già nei primissimi giorni dopo l’armistizio e si acuirono nella primavera del ’44, quando i bandi di reclutamento di natura fascista e nazista non diedero i frutti sperati.
Oltre alle intimidazioni alla popolazione, che sconsigliavano di dare qualsiasi aiuto ai partigiani o stabilivano delle ricompense per chi contribuisse a far catturare qualche combattente, si adottò così la tattica del rastrellamento per soffocare la Resistenza.
Dalla primavera all’autunno del 1944 i rastrellamenti nazifascisti furono feroci e molto frequenti. Uno dei primi rastrellamenti si ebbe il 5 giugno, allo scopo di eliminare ogni presenza partigiana sull’Altopiano di Asiago. Di dimensioni notevoli fu il rastrellamento che il 17-18 giugno si abbatté su Vallortigara. <44 La pattuglia di Bruno Brandellero fu qui sorpresa, ma riuscì a reagire e uccidere alcuni tedeschi. La rappresaglia nazista si scatenò sulla popolazione e solo l’intervento di Bruno Brandellero, che si consegnò spontaneamente ai nazisti, evitò la strage. Bruno (medaglia d’oro al valore militare) verrà ucciso in seguito a Marano Vicentino, dopo essere stato torturato.
Ancora il 31 luglio iniziò il rastrellamento del Pasubio. Il rastrellamento della zona di Posina rientrava dunque nel piano tedesco di rendere percorribili tutte le vie di comunicazione tra Veneto e Trentino Alto Adige. I nazisti infatti non potevano permettersi di perdere il controllo di una regione così importante quale il Veneto.
Santo Peli ha parlato dell’estate del 1944 come di un periodo molto significativo. In agosto la strategia tedesca nei confronti dei partigiani cambia. “In termini generali si può pensare al mese di agosto come ad uno spartiacque; è allora che iniziano alcune importanti controffensive tedesche tese a riprendere il controllo di zone strategicamente decisive in vista dell’attacco alleato”. <45
Ciò che avvenne a Malga Zonta si inserisce dunque nel grande rastrellamento che, iniziato la notte tra l’11 e il 12 agosto si protrasse fino al 15 agosto. Questo rastrellamento puntava ad eliminare la presenza partigiana in tutta la zona di Posina e di Folgaria. Come già detto, nella Valle di Posina era stata creata una sorta di zona libera, ovvero una zona che era sotto l’organizzato controllo della Resistenza. I partigiani delle “Garemi” inoltre l’avevano eletta a zona nella quale impiantarvi i loro “uffici” dirigenti, non temendo alcun attacco nemico, così come per la zona di Passo Coe, dove c’era la base di Germano Baron.
Per i nazisti però queste zone erano troppo importanti: la creazione di “zone franche”, come quella di Posina, era così particolarmente combattuta dai tedeschi in quest’area del Veneto.
Tutti i partigiani morti a Malga Zonta erano vicentini. La maggior parte di loro era nata a Malo e Monte di Malo, altri a San Vito, Bruno Viola a Vicenza. L’eccidio di Malga Zonta è avvenuto però a poca distanza da Folgaria, in provincia di Trento. Certo, molto vicino al confine con il Veneto. Ma in territorio trentino.
38 Sul rapporto tra partigiani e popolazione di Posina si veda l’intervista a Valentino BortolosoTeppa” in appendice
39 Santo Peli, op. cit., pag. 97
40 Documento consultabile presso il sito web del Quirinale, all’indirizzo http://www.quirinale.it/elementi/DettaglioOnorificenze.aspx?decorato=14605
41 Per le motivazioni e le conseguenze di tali decisioni si veda il libro di Ugo De Grandis Il “caso Sergio”. La ricostruzione di un movimento scissionista nel cuore della brigate “Garemi”, Edizioni grafiche Marcolin, Schio, 2008
42 Valerio Caroti “Giulio”
43 Valerio Caroti, op. cit., pag. 76
44 Ugo De Grandis, Vallortigara giugno 1944. Un episodio emblematico della Resistenza altovicentina, Edizioni grafiche Marcolin, Schio, 2010
45 Santo Peli, op. cit., pag. 102
Francesco Corniani, Un marinaio in montagna. Storia di Bruno Viola e dell’eccidio di Malga Zonta, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia, Anno accademico 2009-2010, pp. 30-33

La primavera del 1944, dopo i mesi invernali di operosa preparazione, impresse al movimento partigiano vicentino un rapido processo di aggregazione. La scelta della lotta armata contro i tedeschi e i fascisti della R.S.I. si estese dalla città ai centri maggiori e investì soprattutto le colline e le montagne della nostra Provincia. Si affermò con caratteristiche differenti da zona a zona, secondo l’orientamento politico e culturale dei gruppi dirigenti delle bande partigiane e la loro stessa composizione, ma l’impegno coinvolse un grande numero di combattenti e ampi strati di popolazione.
L’unione fra gli antifascisti di provata esperienza, i nuclei operai delle grandi fabbriche con una più marcata formazione politica, giovani ufficiali con una chiara coscienza della dignità e dell’indipendenza della Patria, studenti e intellettuali dei centri urbani e tanti contadini e montanari, gelosi difensori della propria identità e autonomia, alimentò il dispiegarsi delle formazioni della Resistenza. Lo scontro con i nazifascisti divenne quotidiano.
I tedeschi avevano posto forti presidi militari a Vicenza capoluogo e in tutti i paesi della Provincia. Dai centri mandamentali, dove avevano concentrato le forze più consistenti, esercitavano il controllo sulla popolazione, sulle industrie e sull’attività agricola dell’intero territorio circostante e dei paesi vicini.
La Provincia di Vicenza, ricca di fabbriche essenziali per la produzione bellica (Schio, Valdagno, Arzignano, Vicenza, Montecchio Maggiore, Bassano) e di campagne fertili, era molto importante per la Germania. La stessa posizione geografica, a confine con Trento e Belluno (con Bolzano e l’Alto Adige costituivano l’Alpenvorland, regione annessa al grande Reich) e le vie di comunicazione con il Trentino (Piccole Dolomiti, Val Leogra, Astico, Altopiano, Val Brenta) costituivano fattori di estremo interesse e di valore strategico.Kesselring, comandante supremo delle truppe tedesche operanti in Italia e nel sud-ovest europeo, nel settembre 1944 portò il comando proprio ai piedi delle Piccole Dolomiti, alle Fonti Centrali di Recoaro.
La stessa R.S.I. (Repubblica Sociale Italiana), dopo la liberazione di Roma, spostò “pezzi” consistenti dei suoi apparati e ministeri nel Vicentino: a Valdagno il comando generale di polizia del Ministero degli Interni, l’archivio dell’Ovra, il gruppo Gamma; a Tonezza lascuola allievi ufficiali della G.N.R.(Guardia Nazionale Repubblicana); a Thiene la Xª Mas; a Montecchio Maggiore la marina; a Longa di Schiavon la scuola delle SS italiane.
In luglio, per ordine del generale Wolff, capo delle SS e comandante di polizia in Italia, il capitano Büschmeyer, del 263° Battaglione Russo, venne nominato comandante di sicurezza del Settore Vicenza-Nord, comprendente Recoaro, Valdagno, Schio, Arzignano, Piovene Rocchette, Arsiero, Marano Vicentino, Thiene, Marostica, Bassano del Grappa e Asiago, con il compito di reprimere il movimento partigiano e di guidare la lotta alle bande; a sua disposizione furono messe tutte le unità militari germaniche del settore.
Alcuni avvenimenti avevano accelerato la crescita delle formazioni della Resistenza: in primo luogo la “svolta di Salerno” con la decisione di formare nel Sud il governo di unità nazionale, rinviando la questione della pregiudiziale antimonarchica alla conclusione della guerra; il 22 aprile 1944 entrarono nel governo Badoglio Palmiro Togliatti, Carlo Sforza e Benedetto Croce; il fallimento poi dei bandi di chiamata alle armi della R.S.I. del 7.11.1943, 18.2.1944 e 18.4.1944, che mise in luce il rifiuto della guerra del popolo italiano e la sfiducia nella R.S.I.; l’aumento della conflittualità dei lavoratori, scesi nella primavera del 1944 in sciopero generale; la liberazione di Roma il 4 giugno, che costrinse tedeschi e fascisti ad abbandonare la capitale e ad arretrare per attestarsi su una nuova linea di difesa; losbarco in Normandia il 6 giugno, che aprì in Europa il fronte occidentale di lotta alla Germania.
Il 10 giugno si formò a Roma il governo Bonomi, di netta impronta antifascista, e diventarono ministri anche Giuseppe Saragat e Alcide De Gasperi. L’unità politica dei partiti del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) a livello governativo era compiuta. Nello stesso tempo si realizzò la loro unità militare con la creazione del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà (C.V.L.). Al C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) e al C.V.L. facevano riferimento le forze armate della Resistenza.
Tutti questi elementi influirono sulla condotta delle bande partigiane del Vicentino, che nella primavera e nell’estate del 1944 conobbero uno sviluppo rigoglioso ed entusiasmante.
Nella Valle del Chiampo si era affermata la brigata “Vicenza” (divenuta brigata e divisione “Pasubio” in agosto) del comandante Giuseppe Marozin “Vero”. Assorbendo alcuni bravi partigiani del Gruppo di Malga Campetto, il 13 aprile Marozin poté iniziare apertamente la lotta contro i nazifascisti nell’alta Valle del Chiampo, estendendola poi alle valli veronesi dell’Alpone e dell’Illasi e sui monti Lessini.
Ai primi di giugno “Ciccio” impedì alle reclute della G.N.R. di partire dalla stazione di Chiampo. A maggio e giugno furono portati attacchi efficaci contro le caserme della milizia fascista di Illasi, Vestenanova e Crespadoro. I capopattuglia della brigata “Vicenza” impegnarono i tedeschi in scontri in tutta l’area. Venne assalito ed espugnato il presidio fascista di Campofontana. Il primo luglio fu invaso e dato alle fiamme il municipio di S.Pietro Mussolino, dopo la distruzione in mezzo alla piazza dei documenti anagrafici, utili per i richiami alle armi.
La virulenza degli attacchi mise in allarme tedeschi e fascisti costretti a fronteggiare nella vicina Valle dell’Agno i garibaldini della “Stella”, lanciati in molteplici azioni partigiane contro presidi, mezzi di trasporto, convogli e macchine nemiche di passaggio.
Dopo aver fucilato a Valdagno il 3 luglio sette dirigenti della Resistenza politica, catturati dai fascisti e messi nelle loro mani, i tedeschi investirono con un massiccio rastrellamento l’alta Valle dell’Agno, la Valle del Chiampo e l’alta Valle dell’Alpone. Dal 5 al 13 luglio misero a ferro e a fuoco intere contrade di Castelvecchio, Marana, Altissimo, Crespadoro, S.Pietro Mussolino e Vestenanova. L’obiettivo era duplice: agganciare e distruggere le formazioni partigiane e terrorizzare la popolazione: Gli effetti per gli abitanti dei centri montani furono devastanti: decine di vittime civili, abitazioni incendiate, stalle e fienili distrutti, animali requisiti. Fu un duro colpo per la brigata “Vicenza”. S’incrinò il rapporto con la popolazione, compromesso pure dai metodi autoritari di Marozin e da una condotta che non rispettava le direttive del C.L.N..
Nella vasta area delle Prealpi (Piccole Dolomiti, Pasubio, Novegno, Altipiani di Tonezza e Folgaria, parte occidentale e meridionale dell’Altopiano di Asiago) e nelle Valli dell’Agno, del Leogra, di Posina, di Terragnolo e dell’Astico, si erano sviluppate le bande partigiane delle Formazioni “Garemi”, dirette da Nello Boscagli “Alberto”, Lino Marega “Lisy” ed Elio Busetto “Guglielmo”, e che si chiamarono: “Stella”, “Martiri Val Leogra”, “Pasubiana”, “Pino”, “Mameli”, “Martiri della Libertà”, “Battaglione di pianura” nel Basso Vicentino e nel Padovano (divenuto poi “Martiri di Grancona 2”), “Avesani” sul Monte Baldo e dopo in Lessinia.
Tutte le vie di comunicazione (Trento-Verona, Trento-Rovereto-Schio, Trento-Thiene-Vicenza, Trento-Bassano) erano in costante pericolo di interruzione e di danneggiamento. Stessa sorte toccava alle linee ferroviarie, tranviarie, telefoniche, elettriche e alle centrali che assicuravano energia alle industrie e ai centri abitati. Innumerevoli furono gli atti di sabotaggio, di attacco a caserme e presidi, di disarmo; gli episodi di guerriglia resero poco sicura le vita dei nazifascisti, sia nelle strutture presidiate, sia nei loro spostamenti. Alcune azioni vanno citate per i risultati conseguiti e per le capacità e il valore dimostrati: il 23 maggio “Cita” con i suoi uomini provoca il deragliamento di una tradotta militare tedesca a Ala; la pattuglia di “Furia” l’8 giugno cattura i membri dell’ambasciata giapponese con documenti importanti; un’altra pattuglia fa prigionieri, sempre ai primi di giugno, 4 ufficiali superiori tedeschi con importanti piani sui lavori di fortificazione nelle Prealpi; il 15 giugno sono bloccati gli impianti industriali della zona di Schio con la paralisi dell’Italcementi; il 17 giugno Bruno Brandellero “Ciccio”, per salvare i civili di contrada Vallortigara, dona la sua vita; il 20 giugno i partigiani della Stella con 14 atti di sabotaggio fermano i lanifici Marzotto; il 15 luglio gli uomini di “Turco” sferrano l’attacco alla caserma della G.N.R. di Tonezza; il 23 luglio le pattuglie di “Dante”, “Catone”, “Armonica”, “Pompeo” e “Rosso” disarmano la marina della R.S.I. di Montecchio Maggiore; il 31 luglio e il 1 agosto i partigiani del “Tar” sul Pasubio impegnano in battaglia i nazifascisti; il 12 agosto a Malga Zonta Bruno Viola “Lampo – il Marinaio” sostiene con i suoi compagni uno scontro mortale contro i nazifascisti; il 26 agosto “Lupo” e “Pascià” a Marola di Chiuppano con il sacrificio della loro vita consentono agli uomini del battaglione “Ubaldo” di raggiungere la salvezza e l’Altopiano, diretti verso Rubbio.
Nella zona montuosa dei Sette Comuni fra il Brenta e l’Astico nella primavera e nell’estate del 1944 agirono oltre al gruppo partigiano de “I Piccoli Maestri” costituito prevalentemente da studenti vicentini e guidati da Toni Giuriolo, anche numerosi partigiani della futura divisione “Monte Ortigara”, inquadrati nelle brigate “Fiamme Rosse” e “Fiamme Verdi”, mentre nella pedemontana tra Thiene, Breganze, Marostica e nei centri abitati sulle colline verso l’Altopiano si mossero i partigiani della brigata “Mazzini”, della medesima divisione. I nomi dei loro comandanti, Giovanni Carli “Ottaviano”, Giacomo Chilesotti “Nettuno”, Rinaldo Arnaldi “Loris” e Francesco Zaltron “Silva”, sono entrati nella storia della Resistenza vicentina. Più tardi si aggiunse pure la brigata “Giovane Italia”. Le brigate della “Monte Ortigara” esercitarono un forte e continuo controllo del territorio (strade, ferrovie, ponti, lavori TODT, presidi, caserme, movimenti di automezzi e di colonne) nel Vicentino, nel Trentino orientale e nella Valsugana, operando sabotaggi, disarmi, prelevamenti, interruzioni ferroviarie e stradali, danneggiamenti delle linee telefoniche ed elettriche e movendo attacchi ai fascisti di Salcedo, Lugo, Calvene, alla caserma di S. Caterina, ai cantieri di Fontanelle, ai convogli in transito nella Val d’Assa. Rabbiose furono le reazioni dei nazifascisti con frequenti rastrellamenti e rappresaglie; nella notte tra l’8 e il 9 agosto, settantaquattro case dell’abitato di Camporovere furono date alle fiamme.
Sul massiccio del Grappa si erano organizzate la brigata “Gramsci”, la brigata “Matteotti”, la brigata “Italia Libera” di Campo Croce e la brigata “Italia Libera” dell’Archeson. Toccavano il territorio di tre province: Vicenza, Belluno e Treviso. Erano una spina nel fianco dello schieramento nazifascista, perché minacciavano le vie di comunicazione della Val Brenta, della Valle del Piave, del Feltrino, le linee ferroviarie, le strade di collegamento della fascia pedemontana, le strutture militari fisse e mobili dello schieramento tedesco e fascista repubblicano.
Nella pianura vicentina, in città e nei paesi limitrofi, nel cuore delle grandi vie di comunicazione viarie e ferroviarie con l’Italia del Nord tra Venezia e Milano, adeguandosi alle condizioni di lotta permesse dall’ambiente geografico, si era formata la Resistenza “territoriale”; la pianura era stata suddivisa dagli organi della Resistenza provinciale, C.L.N.P. (Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale) e C.M.P. (Comitato Militare Provinciale), in Settori, che cooperavano con le formazioni partigiane di montagna e si dedicavano all’opera di sabotaggio della produzione industriale, dei trasporti militari, delle cabine elettriche, delle linee telefoniche, dei ponti, delle ferrovie e delle strade principali. Non erano partigiani alla macchia i sabotatori, ad eccezione dei quadri dirigenti e dei comandanti. Mandata ad effetto l’azione di sabotaggio, eseguita di notte, essi tornavano alle loro occupazioni. Nel mese di maggio, unendo le esperienze fatte nel corso di vari colpi di mano soprattutto a Vicenza e nella sua immediata periferia, nacque il “Battaglione Guastatori” della futura divisione “Vicenza” dalla collaborazione di tre valenti dirigenti della Resistenza: Luigi Cerchio “Gino”, comunista, che aveva formato numerose squadre di gappisti, Gaetano Bressan “Nino”, capitano della Guardia di Frontiera addetto all’addestramento degli uomini, e Giacomo Prandina, cattolico, che a San Pietro in Gù aveva organizzato la raccolta degli aviolanci forniti dalle missioni alleate. Essi furono i comandanti del “Battaglione Guastatori” e misero in crisi in diverse occasioni il sistema di comunicazioni e di trasporto nazifascista. Memorabili furono alcune notti di fuoco, preparate in località lontane l’una dall’altra contemporaneamente per disorientare i nemici e neutralizzare le rappresaglie.
Nella notte fra il 23 e il 24 luglio i guastatori provocarono cinquanta interruzioni su linee ferroviarie, due sulla linea tranviaria Vicenza-Recoaro, la distruzione di due scambi a Cittadella e di un polverificio a Rossano Veneto. Nella notte fra il 26 e 27 agosto ci furono venti interruzioni su linee ferroviarie, l’attacco alla stazione di Altavilla con danneggiamento serio degli scambi e dei binari, il sabotaggio di tre linee ad alta tensione e di due tratti della linea tranviaria, l’arresto per quattro giorni della linea Bassano-Trento.
Nella città di Vicenza e nell’area a Nord-Ovest comprendente i comuni di Monteviale, Creazzo, Sovizzo, Altavilla, Brendola e Montecchio Maggiore, dal XIII Settore ebbe origine la forte brigata “Argiuna”. Dagli altri settori, nei fondovalle e in pianura, più tardi, nacquero le brigate “Rosselli”, “Martiri di Grancona”, “Damiano Chiesa 2°”, “Battisti”, “Silva” sui Berici e “A. Segato”.
La risposta nazifascista.
Abbiamo delineato il quadro delle formazioni partigiane del Vicentino, sorte e attive in una vasta regione di vitale importanza per i nazifascisti. Essi non potevano certo ignorarne l’esistenza, sottoposti com’erano ogni giorno ad imboscate, scontri e sabotaggi, La stessa prospettiva di ripiegamento in caso di avanzata alleata, ormai certa e prevedibile, per attestarsi su una linea di difesa sulle Prealpi o per disporsi ad un arretramento ordinato nell’Alpenvorland verso l’Austria e la Germania, era gravemente pregiudicata.
I nazifascisti prepararono e attuarono risposte massicce e pesanti contro i partigiani e le popolazioni, “colpevoli” di offrire loro asilo, rifornimenti, solidarietà.
Per comprendere la logica del loro agire occorre tenere presente la direttiva di Kesselring, comandante supremo in Italia, ai suoi sottoposti del 10 maggio 1944: «la lotta contro i partigiani deve essere combattuta con tutti i mezzi a nostra disposizione e con la massima severità. Io proteggerò quei comandanti che dovessero eccedere nei loro metodi di lotta ai partigiani. In questo caso suona bene il detto: meglio sbagliare la scelta del metodo, ma eseguire gli ordini, che essere negligenti o non eseguirli affatto. Soltanto la massima prontezza e la massima severità nelle punizioni saranno valido deterrente per stroncare sul nascere altri oltraggi o per impedire la loro espansione. Tutti i civili implicati nelle operazioni antipartigiane che saranno arrestati nel corso delle rappresaglie saranno portati nei campi di concentramento….» (Da “Una città occupata”, Vol. II, di Luca Valente, Schio, 2000).
Nessuna supposta legge germanica giusta e severa, dunque, ma carta bianca alle truppe della Wehrmacht e delle SS e copertura degli eccessi!
Questa direttiva fu applicata alla lettera dai tedeschi e dalle milizie della R.S.I. al loro servizio nel corso della ritirata verso la Linea Gotica e nel confronto bellico con gli Alleati in Toscana e in Emilia-Romagna. Migliaia furono le vittime civili negli eccidi e nelle stragi: ricordiamo Civitella in Val di Chiana il 29 giugno, S.Anna di Stazzema il 12 agosto, il Padule di Fucecchio il 23 agosto, Marzabotto e centri vicini il 29 settembre e giorni seguenti. La pratica del terrore nazifascista fu un’arma terribile e inesorabile, che il popolo italiano dovette subire durante la Resistenza.
Dopo la battaglia per la liberazione di Firenze, durata dal 3 agosto al 2 settembre 1944, il fronte si era assestato sulla Linea Gotica, tra Massa e Pesaro in un arco di 280 Km, con al centro la Catena degli Appennini, dove i tedeschi avevano predisposto fortificazioni favorite dalla configurazione accidentata del terreno, fosse anticarro, dispositivi di difesa e campi minati.
Quando gli Alleati passarono all’offensiva liberando con l’Ottava Armata il 2 settembre Pesaro e il 20 settembre Rimini nel settore Adriatico e, nel settore tirrenico, sferrando l’attacco con la Quinta Armata il 13 settembre che produsse il 23 settembre lo sfondamento della Linea Gotica per 50 Km sull’Appennino toscano, romagnolo ed emiliano, sembrò che la conquista della pianura padana fosse questione di pochi giorni. Il C.V.L. emanò il 18 settembre le «direttive operative per la battaglia della pianura padana». Il 20 settembre il C.L.N.A.I. chiamò alla «insurrezione nazionale, per l’onore e la salvezza dell’Italia!».
Già prima dell’offensiva alleata e poi durante il suo svolgimento e nel suo arresto e fallimento, segnato dall’ordine di porvi termine il 27 ottobre, i tedeschi pur resistendo su nuove posizioni ebbero la forza di organizzare, con l’aiuto delle varie milizie fasciste (G.N.R., Brigate Nere, truppe dell’Esercito della R.S.I., bande varie come la Muti, la Koch, la Tagliamento, la X° Mas, la Carità e altre), rastrellamenti poderosi su vasta scala in tutta l’Italia settentrionale contro i partigiani.
Nella nostra provincia e nel Veneto colpirono: dal 5 al 13 luglio l’Alta Valle dell’Agno, la Valle del Chiampo e dell’Alpone; dal 12 al 14 agosto la Val Posina e l’Altopiano di Folgaria; il 6 e 7 settembre l’Altopiano di Asiago (Granezza – Bosco Nero); dal 31 agosto all’8 settembre il Cansiglio e l’Alpago; dal 9 al 16 settembre le Valli dell’Agno, del Chiampo, dell’Alpone, dell’Illasi e la Lessinia veronese fino al Monte Baldo; dal 20 al 26 settembre il Massiccio del Grappa, dal 27 al 29 settembre l’Alta Carnia, con Nimis, Attimis e Faedi date alle fiamme; dal 2 ottobre al 20 dicembre la Carnia Meridionale.
L’arresto dell’offensiva alleata e lo svolgimento delle distruttive operazioni di rastrellamento ebbero delle serie ripercussioni sullo schieramento partigiano e sul morale delle popolazioni.
Sul Grappa le brigate furono scompaginate; dai gruppi superstiti sorse poi la “Martiri del Grappa” e intorno a Bassano e Marostica si formò la “Giovane Italia”.
La divisione “Pasubio” di Marozin fu costretta ad abbandonare la zona e il gruppo di comando riparò in Lombardia. La brigata “Stella”, delle Formazioni “Garemi”, estese l’area di influenza e di attività fino alle valli del Progno e dell’Illasi.
S’impose in tutti i gruppi partigiani un attento lavoro di riorganizzazione e di ristrutturazione delle formazioni […]
Mario Faggion, Resistenza e lotta di Liberazione – II. La lotta armata nella primavera-estate 1944, A.N.P.I. Vicenza, 9 maggio 2014