L’ottobre del ’44 fu un mese cruento per la provincia di Rovigo. Il 5 ottobre l’U.P.I. (Ufficio Politico Investigativo, la Gestapo dell’esercito repubblichino) di Rovigo provò ad infiltrare quattro spie all’interno del gruppo partigiano, comandato da “Loris” Giorgio dall’Aglio, per stanare e sopprimere lo stesso gruppo. I partigiani scoprirono gli infiltrati ed il 6 ottobre e li giustiziarono nei pressi della cascina ‘Stongarde’ di Villamarzana, dove poi i quattro cadaveri furono sepolti. La reazione dei nazifascisti non si fece attendere. Nella notte tra il 13 ed il 14 ottobre a Bagnolo di Po, Fiesso Umbertiano, Fratta Polesine, Lendinara, Pincara, San Bellino, e Villamarzana gli uomini della 19a compagnia delle “Brigate Nere” compirono un rastrellamento catturando più di cento persone. Dopo svariate ore di tortura alcuni prigionieri confessarono l’esecuzione dei quattro fascisti, avvenuta otto giorni prima. Undici persone morirono durante le torture cui furono sottoposte. Quarantadue di questi “arrestati”, la mattina del 15 ottobre, vennero condannati a morte, trasferiti a Villamarzana e rinchiusi nella casetta del barbiere in attesa dell’esecuzione. Erano quarantadue per rispettare la legge della rappresaglia nazista dell’uno a dieci, visto che erano stati uccisi quattro fascisti. Poco dopo le 16,00 si procedette con l’esecuzione di sette gruppi composti da sei prigionieri l’uno, che volta per volta venivano fucilati alla schiena da un plotone di esecuzione composto da ventotto italiani, davanti agli occhi della popolazione di Villamarzana che assisteva senza poter intervenire perché rinchiusa La drammatica sequenza durò fino alle 17,30.
Padri e Madri della Libertà
Il 15 ottobre 1944 era una domenica. A Villamarzana, preso Rovigo, gli ostaggi rinchiusi nella bottega del barbiere furono fatti uscire a gruppi di sei e poi fucilati dal plotone d’esecuzione formato da militi repubblichini. Fascisti che forse si proclamavano italianissimi, ma che assassinarono 41 italiani, molti dei quali patrioti, partigiani. Tantissimi erano ragazzi, alcuni ragazzini, due di 15 anni, altri di 16, 17, 18 anni. Per diversi, prima della fucilazione, la tortura. Non bastavano. Il quarantaduesimo fu ucciso sulla tomba di sua sorella e l’ultimo, con calma, una settimana dopo in una caserma.
Questa fu la strage di Villamarzana.
Gli antefatti: nei giorni precedenti il colonnello Vittorio Martelluzzi, uno dei responsabili del massacro del 15 ottobre, fece infiltrare nelle file partigiane quattro spie fasciste. Scoperte, furono immediatamente giustiziate come avviene in tempo di guerra. Da ciò la rappresaglia, la logica nazista del “dieci per uno”. Anzi, oltre, visto che le vittime furono in totale 43. Agghiaccianti le testimonianze: per esempio, Lidia Munari, il cui padre fu assassinato due settimane dopo, dichiara che dopo l’esecuzione del fratello Gino i fascisti “vennero a casa a prelevare altre bottiglie di vino”; per esempio, il padre di Danilo Button, fucilato, afferma che alcuni giorni prima “picchiarono me e mia moglie a pugni: dovevano avere qualcosa nei pugni perché (…) mia moglie per via di un pugno non è ancora capace di mangiar bene”; per esempio, il parroco don Vincenzo Pellegatti, condannato a morte e poi graziato per intercessione del vescovo, scrive che i fascisti “erano solo preoccupati di far bottino da autentici ladri volgari”. Fascisti, quindi, non solo serial killer, ma anche comuni delinquenti.
Gianfranco Pagliarulo, 1944. Massacro fascista a Villamarzana, Patria Indipendente, 21 ottobre 2020
A Villamarzana in provincia di Rovigo domenica 15 ottobre 1944 vengono giustiziate 42 persone, a gruppi di sei, per rappresaglia per l’uccisione di quattro abitanti del luogo che, secondo i partigiani, erano spie dei tedeschi. L’eccidio verrà ricordato nel dicembre 1944 sul n° 14 del foglio clandestino “Fratelli d’Italia”, organo clandestino del CLN veneto.
Ecco il testo: “I quarantadue giovani sono riuniti in una casa in piazza, tra percosse, sputi, insulti di ogni genere. Entrano poi nella stessa casa (sulla quale si scrive a lettere cubitali: Primo esempio) padre Gennaro, padre Cornelio e due altri frati vestiti di bianco: evidentemente comunicano agli sventurati il loro destino, perché subito dopo si innalzano urla e pianti disperati. Sono i più giovani, sono quelli che non hanno mai fatto parte delle formazioni partigiane, che non si rassegnano alla loro sorte. Ma è splendido il contegno dei patrioti Tasso Giovanni e Mantovani Egisto, figure magnifiche di eroi popolari, che, sereni, rincuorano gli altri, dicendo che bisognava morire da forti, che non si deve temere la morte, che l’idea per la quale si muore è immortale”. Dopo aver ricordato come, nel frattempo, i gerarchi gozzovigliavano con le loro amanti in una vicina osteria il giornale prosegue: “I condannati furono fatti uscire a gruppi di sei: erano ormai tutti calmi e rassegnati. Poiché l’esecuzione era fatta a gruppi di sei, gli ultimi udirono e videro fucilare per ben sei volte i loro compagni. Avevano tutti la faccia sanguinante per le percosse. Passarono attraverso due schiere di militi che facevano ala, lanciando ai morituri gli ultimi insulti, le ultime percosse, gli ultimi sputi…Dal punto di vista dell’esecuzione a tale autocarro (quello predisposto per il trasporto delle salme) i cadaveri venivano trascinati per i piedi. Già dopo l’esecuzione del primo gruppo di sei, sul terreno si formarono larghe pozze di sangue così che tutti gli altri condannati, fino alla fine, camminarono nel sangue dei compagni che li avevano preceduti. L’ultimo gruppo era costituito dal Tasso, dal Mantovani, dal Botton, dal Boaretto; da un sesto di cui ci sfugge il nome e infine da Raule Giuseppe. Calmi, sereni, orgogliosi, non ebbero un istante di debolezza. Appunto per questo furono tenuti per ultimi, così che potessero soffrire dell’agonia di tutti i loro compagni, ma non si piegarono. Mentre passano tra i militi furono colpiti un’ultima volta dalle staffilate del capitano Zamboni. Di quest’ultimo gruppo di sette cinque furono fucilati insieme: gridarono “Viva l’Italia”. Uno gridò anche “Viva Stalin”…Il settimo, Raule Giuseppe, fu risparmiato”.
Il Postalista
Elenco delle vittime decedute (con indicazioni anagrafiche, tipologie)
- Bevilacqua Giovanni di Celio, Castelguglielmo, 1926
- Bevilacqua Luigi di Celio, Castelguglielmo, 1926
- Boaretto Bruno di Evangelista, Villamarzana, 1915
- Boldrin Carso di Michele, Bagnolo Po, 1916
- Botton Danilo di Luigi, Villamarzana, 1919
- Brancalion Rino di Matteo, Badia Polesine, 1926
- Burin Angelo fu Leopoldo, Arquà Polesine, 1916
- Castellan Tullio di Giuseppe, Castelguglielmo, 1927
- Cavalieri Ermes di Aristide, Gaiba, 1924
- Chieregatti Guerrino di Giovanni, Castelguglielmo, 1915
- Dall’Aglio Fabio di Silvio, Villamarzana, 1929
- De Stefani Luigi di Gio Batta, Villamarzana, 1920
- Donegà Giuseppe di Giovanni, Bressane, 1926
- Faccioli Ennio di Oreste, Villamarzana, 1928
- Fantinati Giovanni di Angelo, Castelguglielmo, 1925
- Feo Antonio di Rodolfo, Napoli, 1920
- Ferro Onorio di Vittorio, Bressane, 1928
- Folego Gino di Giulio, Bressane, 1925
- Galvani Ezio di Attilio, San Bellino, 1921
- Garbellini Bruno di Secondo, Runzi, 1927
- Guidetti Benito di Mario, Villamarzana, 1926
- Guidetti Vittorio di Mario, Villamarzana, 1928
- Lanzoni Ivan di Angelo, Castelguglielmo, 1921
- Mantovani Egisto di Ernesto, Povegliano (Vr), 1924
- Marchetto Gelsomino di Vittorio, Villamarzana, 1924
- Milani Wilson fu Giordano, Castelguglielmo, 1922
- Morin Umberto di Nello, Bressane, 1928
- Munari Bruno di Pasquale, Villamarzana, 1926
- Munari Gino di Primo, Villamarzana, 1921
- Prini Nerino di Carlo, Castelguglielmo, 1924
- Rizzi Mario di Gaetano, Pincara, 1927
- Sandali Ermenegildo di Angelo, Villamarzana, 1908
- Tasso Antonio di Giovanni, Bressane, 1926
- Tasso Giovanni di Valente, San Bellino, 1908
- Tinti Lido di Antonio, Fiesso, 1924
- Tosarello Nello di Tranquillo, Fiesso, 1924
- Tosarello Valentino di Tranquillo, Villamarzana, 1926
- Usan Giuseppe di Tranquillo, Fiesso, 1925
- Voltani Silvio di Raffaele, Occhiobello, 1907
- Zanella Bruno di Zosimo, Pincara, 1929
- Zuliani Nazzareno di Ernesto, Castelguglielmo, 1921
- Malanchin Attilio di Giovanni, Castelguglielmo, 1925, ferito sopravvive alla fucilazione. Morirà dopo un anno nel tentativo di disinnescare una bomba.
Durante il rastrellamento avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 ottobre perdono la vita 11 persone per la maggior parte partigiani; tra essi i fratelli Giuseppe e Pasquale Zeggio e i cugini Remigio e Italo Varliero caduti in località Bressane, Emilio Secchiero, il diciannovenne Gaetano Campion ucciso in Precona, il partigiano genovese di cui si conosce solo in nome di battaglia “Otello”, suicidatosi per non essere torturato e che oggi è sepolto nel cimitero di Rovigo.
Padri e Madri della Libertà