La strage nazifascista di Calvi dell’Umbria

Tra la fine di marzo e la prima quindicina del maggio 1944 tutto il settore appenninico umbro-marchigiano è interessato da una serie successiva di rastrellamenti, effettuati dai tedeschi con l’appoggio di forze della RSI e con il supporto di fascisti locali operanti come informatori e spie. Obiettivo di questa offensiva è l’annientamento delle formazioni partigiane presenti in queste zone, da ottenere anche attraverso la diffusione del terrore tra la popolazione civile, così da troncare qualsiasi legame con i resistenti.

E’ in questo contesto che si inserisce l’operazione “Osterei” (Uova di Pasqua), rastrellamento effettuato dal 12 al 14 aprile nella zona montuosa tra le province di Terni e Rieti, comprendente centri come Vasciano, Configni, Vacone, Montebuono, Calvi dell’Umbria, dove operano i partigiani del battaglione “Manni” della brigata “Gramsci” e della banda “Strale”.

Il 12 aprile uomini del 1. battaglione del 20. Reggimento SS Polizei rastrellano il territorio di Calvi: nelle frazioni di Santa Maria della Neve e Santa Maria Maddalena del Soccorso, tre agricoltori (Pielicè, Pettorossi, Carofei) vengono arrestati e uccisi dopo la perquisizioni delle abitazioni o perché si rifiutano di seguire i tedeschi; altri due agricoltori (Fabbri e Sernicola) sono condotti a Calvi, nella piazza del paese vengono concentrati insieme a un centinaio di abitanti maschi e si procede alla loro identificazione. Sulla base di una lista, preparata quasi certamente con l’aiuto di delatori, vengono individuate dodici persone, le quali sono condotte nella locale caserma dei carabinieri e, per tutta la notte, sottoposte a un violento interrogatorio: all’alba del 13 aprile, tutti gli arrestati sono fucilati nella piazza. Compiuta la strage, i tedeschi abbandonano il paese portandosi dietro animali e viveri saccheggiati nelle case dei fucilati. Il giorno stesso nei pressi di Calvi viene ritrovato il cadavere di un altro uomo ucciso nel corso del rastrellamento (si tratta probabilmente di Londei).
Elenco delle vittime decedute:

  1. Carofei Lorenzo, nato a Calvi dell’Umbria il 23/10/1885 e ivi residente, coniugato, agricoltore.
  2. Fabbri Fabrizio, nato a Calvi dell’Umbria il 23/07/1902 e ivi residente nella frazione di Santa Maria
    in Neve, coniugato, agricoltore.
  3. Guglielmi Adolfo, nato a Calvi dell’Umbria il 16/12/1896 e ivi residente, coniugato, albergatore.
  4. Guglielmi Emilio, nato a Calvi dell’Umbria il 23/02/1900 e ivi residente, coniugato, autista.
    Carabiniere sbandato legato ai partigiani.
  5. Guglielmi Ernesto, nato a Calvi dell’Umbria il 20/03/1927 e ivi residente, studente.
  6. Guglielmi Genesio, nato a Calvi dell’Umbria il 12/01/1928 e ivi residente, studente.
  7. Guglielmi Igino, nato a Calvi dell’Umbria il 04/07/1912 e ivi residente, coniugato, autista.
  8. Lieto Antonio, nato a Casapulla (Caserta), il 25/08/1924 e ivi residente. Sbandato.
  9. Londei Olindo, nato a Senigallia (Ancona), il 09/08/1924, residente a Cottanello (Rieti). Sbandato.
  10. Montecaggi Liberato, nato a Calvi dell’Umbria il 04/09/1887 e ivi residente, barbiere. Antifascista.
  11. Pettorossi Angelo, nato a Calvi dell’Umbria il 14/11/1916 e ivi residente, agricoltore.
  12. Pielicé Pacifico, nato a Montebuono (Rieti) il 17/10/1909 e ivi residente in frazione Santa Maria
    Maddalena, coniugato, agricoltore.
  13. Ranucci Mario, nato a Greccio (Rieti) il 27/08/1925, ivi residente, operaio. Sbandato.
  14. Salvati Domenico, nato a Rossano Calabro (Cosenza) l’08/01/1905, residente a Calvi dell’Umbria,
    medico condotto.
  15. Sernicola Ernesto, nato a Calvi dell’Umbria il 13/04/1902, residente nella frazione di Santa Maria
    Maddalena del Soccorso, coniugato, agricoltore.
    Altre note sulle vittime:
    Partigiani uccisi in combattimento contestualmente all’episodio:
    Il 12 aprile 1944, nel corso dell’operazione “Osterei”, il battaglione “Giovanni Manni” della brigata
    garibaldina “Antonio Gramsci” e la banda “Strale”, entrambi operanti sul Monte San Pancrazio, a cavallo tra le province di Terni e di Rieti, vengono attaccati da reparti tedeschi (probabilmente la sesta compagnia, del battaglione, del 6. reggimento della divisione “Brandenburg”) e della GNR. Mentre la banda Strale e una parte dei componenti del battaglione Manni riescono a sganciarsi, un’altra parte dei partigiani garibaldini accettano lo scontro ma vengono accerchiati. Questi ultimi dopo un violento combattimento vengono sopraffatti, alcuni riescono a disperdersi, nove uomini rimangono invece sul terreno:
  16. Bettini Umberto, 27 anni, di Narni.
  17. Blacket George, statunitense di Philadelphia.
  18. Cecchetti Vincenzo, di San Rocco di Terni.
  19. Fossatelli Alvise, di Terni.
  20. Mauri Vincenzo, 17 anni, di Narni.
  21. Ostili Luigi, di Greccio (Rieti).
  22. Poggetti Terzilio di Otricoli (Terni).
  23. Schiavello (o Schiavelli) Antonio di Reggio Calabria.
    Sembra che Bettini, Blacket e Mauri, rimasti feriti, vengano finiti con un colpo di pistola all’occhio sinistro.
    Elenco reparti responsabili
    I./SS-Polizei-Regiment 20
    Tipo di reparto: Polizei
    Elenco persone responsabili o presunte responsabili
    Bruno Proietti
    Giunio Faustini
    Sconosciuto Herrmann
    Sconosciuto Leigh
    Sconosciuto Wagner
    Vittorio Faustini
    Werner Wilcke
    Nelle settimane successive all’arrivo degli Alleati, sulla strage di Calvi indagarono i Carabinieri e gli uomini dello Special Investigation Branch britannico. I resoconti delle loro indagini costituiscono parte essenziale del fascicolo processuale aperto nel dopoguerra dalla Procura generale militare del Regno contro Giunio Faustini, il figlio Vittorio, Bruno Proietti e ignoti militari tedeschi, per il reato di omicidio e, gli imputati italiani, di aiuto al nemico. Tuttavia tale procedimento non ebbe conseguenze per gli imputati, il fascicolo costituisce infatti uno di quelli archiviati illegalmente nel 1960 nel cosiddetto “Armadio della vergogna” (fascicolo 871 del Registro generale, doc. 9/11 della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti). Ciononostante, nel 1994 a seguito del clamore suscitato dalla scoperta di tale documentazione, vennero riaperte le indagini e, con decreto del pubblico ministero della Procura militare di Roma del 1 dicembre 1994, tutti gli imputati identificati nel procedimento penale originario vennero iscritti nel Registro delle notizie costituenti reato per il reato di violenza con omicidio continuato ed altro in danno di cittadini italiani ed alleati. Tuttavia il procuratore militare il 30 giugno 1995 richiedeva al giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma l’archiviazione del procedimento, poiché alla data di ricezione degli atti il reato era considerato estinto per effetto di prescrizione a causa di decorrenza dei termini previsti dalla legge. Così il giudice delle indagini preliminari, con sentenza del 18 aprile 1996, accoglieva la richiesta del pubblico ministero, ritenendo «irrilevante un più puntuale accertamento in ordine alla individuazione dei responsabili», in quanto il reato era ritenuto estinto per prescrizione, ne disponeva quindi l’archiviazione. rnProprio le vicende processuali che hanno riguardato coloro che furono imputati per le responsabilità avute in questa strage, sono state prese come esempio emblematico della mancanza di volontà di perseguire e punire tali violenze da parte della giustizia militare italiana e, più in generale, dei Governi italiani nel dopoguerra. Con riferimento alla strage di Calvi, nella Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti si evidenzia infatti come: «Sia dallo Special Investigation Branch Alleato sia dai Carabinieri che svolsero subito le indagini, vengono indicati quali corresponsabili della preparazione dell’eccidio il col. Giunio Faustini, Comandante del Presidio repubblicano di Terni e il figlio Vittorio, sergente Maggiore dei paracadutisti della R.S.I. Il fascicolo contiene quindi la precisa indicazione dei presunti corresponsabili del crimine ma nonostante ciò l’inerzia della Procura generale militare non consentì l’avvio di alcuna indagine. Non vi è agli atti un decreto di “archiviazione provvisoria” ma comunque il fascicolo non risulta essere stato trasmesso alle competenti Procure territoriali e restò con gli altri nello “stanzino”. La Commissione ritiene quindi di dover rilevare che, anche in presenza dell’identificazione certa o quasi certa degli imputati, era ormai venuta meno, e in modo molto marcato dall’inizio degli anni cinquanta, ogni seria volontà di condurre a buon esito le indagini relative agli episodi anche gravissimi i cui atti erano stati occultati presso la Procura generale militare».
    Annotazioni: Tutti i fucilati furono accusati di essere antifascisti, favoreggiatori o, comunque, in contatto con i partigiani. Ciò vale per i cinque componenti della famiglia Guglielmi (i fratelli Adolfo, Emilio, Igino; il figlio di Emilio il diciasettenne Ernesto; il figlio di Adolfo, Genesio sedicenne) che conducevano l’unico piccolo albergo esistente nel paese, ritenuto luogo frequentato dai partigiani, anche perché Emilio, carabiniere richiamato sbandatosi dopo l’8 settembre, si era dato alla macchia e forniva cibo ai partigiani della zona. Montecaggi, conosciuto a Calvi come antifascista, era accusato di avere accolto nel suo negozio di barbiere prigionieri inglesi. Salvati era stato ufficiale medico nei campi di concentramento per prigionieri alleati di Vetralla (Viterno), Colfiorito (Perugia) e Passo Corese (Rieti); dopo l’8 settembre tornò a Calvi dove era medico condotto, a lui veniva imputato di aver prestato cure a partigiani e prigionieri britannici e di svolgere propaganda antifascista e antitedesca. Fabbri, piccolo proprietario terriero, fu accusato di non aver voluto fornire viveri alle truppe tedesche, le quali nel corso della perquisizione della sua abitazione trovarono delle cartucce di fucile, per questo venne ritenuto connivente con i partigiani. Ciò vale anche per Sernicola, a cui si imputava di aver nascosto prigionieri inglesi e di avere rifornito di viveri i partigiani. Allo stesso modo, Carofei, Pettorossi e Pielicè, tutti contadini abitanti nelle campagne di Calvi, vennero accusati di nascondere e assistere i partigiani della zona; inoltre, nell’abitazione di Carofei i tedeschi nel corso del rastrellamento avrebbero trovato una pistola. Infine, Ranucci, Lieto e Londei sarebbero stati uccisi in quanto sprovvisti di documenti o perché, presenti nel territorio di Calvi senza motivo furono considerati, a torto o ragione, partigiani. Nel dopoguerra, sembra che abbiano ottenuto il riconoscimento di partigiano, inquadrato nella brigata “Antonio Gramsci”, solo Lorenzo Carofei e Fabrizio Fabrizzi (errore, probabilmente si voleva intendere Fabbri), nella brigata dal 24 settembre 1943 al 12 aprile 1944; Liberato Montecaggi, facente parte della formazione garibaldina dal 29 settembre 1943 al 13 aprile 1944; Mario Ranucci (errore, probabilmente per Ranuzzi) nella brigata dal 1 al 12 aprile 1944.
    Nella lapide, posta sulla piazza di Calvi dell’Umbria nel luogo dove avvenne la fucilazione, tra i caduti è inserito il nominativo di Antonio Lieto, che però è anche presente nel monumento dedicato ai partigiani caduti sul Monte San Pancrazio. Anche il nome di Olindo Londei è presente nel monumento ai caduti di Monte San Pancrazio. Tuttavia, secondo il rapporto del Comando generale dei carabinieri di Roma, inviato al ministero della Guerra il 30 dicembre 1944, presente nel fascicolo 871 del Registro Generale, tra i fascicoli del cosiddetto “Armadio della vergogna”, Londei risulterebbe tra gli arrestati e fucilati a Calvi.
    Tra il 12 e il 14 aprile, nell’ambito dell’operazione “Osterei”, nell’area compresa tra Vacone, Rocchette, Santa Maria Maddalena, Montebuono, a cavallo tra le province di Terni e Rieti, si verificano una serie di violenze commesse dallo stesso reparto responsabile della strage di Calvi dell’Umbria. Il 12 aprile a Vasciano, frazione di Stroncone, i militari tedeschi del 20. reggimento SS Polizei arrestano e mettono al muro otto persone del paese, tra cui il frate francescano Placido Sartucci guardiano del convento francescano “Speco” di Narni. Il religioso riesce però a convincere l’ufficiale che guida il reparto a desistere dall’azione. Il convento viene però minato, tuttavia solo una mina tra quelle armate esplode danneggiando solo la parte esterna dell’edificio. Nella zona vengono incendiati il Romitorio, almeno venti abitazioni, oltre a numerose capanne che sorgono nella zona. Anche a Vacone, in provincia di Rieti, sono bruciate alcune abitazioni di civili; sono inoltre seviziati e uccisi il ragioniere Amilcare Baldoni di 51 anni e il trentunenne allievo sottufficiale della Guardia di Finanza Beniamino Minicucci, in quanto si rifiutano di fornire informazioni sulla presenza dei partigiani e di prigionieri alleati, è inoltre distrutta la Chiesa di S. Orsola posta sulle pendici del Monte Cosce. A Rocchette, frazione del comune di Torri in Sabina, in provincia di Rieti, è ucciso il sessantenne Cesare Rossi, affetto da sordità, che non sente gli ordini impartiti dai militari tedeschi che rastrellano il paese. All’alba del 13 aprile, presso l’eremo di San Benedetto, nel territorio del comune di Montebuono, sempre in provincia di Rieti, otto prigionieri americani, un ufficiale e sette sottufficiali (Charles Dy, Paul Valdes, Clarence Moody, Thomas Wodax, Robert Carnatham, Ben Espinosa, George Kerr, Robert Kavk) vengono sorpresi nel sonno da una pattuglia tedesca, che agisce in seguito a una delazione, e immediatamente fucilati sul posto in quanto accusati di avere rapporti con le bande e di essere in abiti borghesi. Nel rapporto conclusivo dell’operazione, inviato il 16 aprile dal comando della 14. Armata al Comando supremo del feldmaresciallo Albert Kesserling, viene segnalata l’uccisione di 38 nemici (cifra comprendente partigiani e civili uccisi nel rastrellamento), la cattura di 42 prigionieri e un bottino di due mitragliatrici pesanti, una mitragliatrice leggera, 19 fucili, 6 pistole, munizioni, esplosivi e infiammabili.

Padri e Madri della Libertà rielaborazione parziale del documento stilato da Angelo Bitti, Episodio di Calvi dell’Umbria, 12 aprile 1944 – 13 aprile 1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

[…] A questa prima fase conclusasi solo con un parziale successo per i tedeschi, in quanto molta parte dei partigiani erano riusciti a sottrarsi all’accerchiamento (205), ne seguì una seconda che coinvolse più direttamente la provincia di Terni.
Dal 12 al 14 aprile ad essere interessata al rastrellamento fu la zona montuosa comprendente la parte meridionale della provincia di Terni, a sud e sud-est di Narni, oltre all’area nordovest di quella di Rieti (206). A guidare il rastrellamento non c’era più il colonnello Schanze ma il maggiore Herrmann, il quale rispondeva direttamente al Generale SSPolizei, Jurgen von Kamptz (Bandenkampfstab von Kamptz, Mittelitalien), in conseguenza della modificazione delle strutture di comando e, in parte, della strategia nella conduzione della repressione dell’insorgenza partigiana, avvenute all’inizio del mese di aprile con l’affidamento di tale azione alle forze delle SS e di polizia (207).
L’operazione, denominata “Osterei” (Uova di Pasqua), si concluse il 14 aprile e, come risulta da un rapporto segreto inviato dal comando della 14a armata al comando supremo del Feldmaresciallo Kesserling, risultavano uccisi 38 nemici, catturati 42, a cui si aggiungeva la distruzione di almeno venti abitazioni e il recupero di un certo numero di armi (mitragliatrici, fucili, pistole, bombe a mano). Anche in questo caso la maggior parte delle vittime non erano resistenti ma semplici civili e prigionieri alleati non aggregati in formazioni partigiane. Tutto ciò appare tragica conseguenza di quanto viene affermato in un rapporto del maggiore Herrmann con riferimento alla popolazione delle località di Calvi dell’Umbria, Vacone, Rocchette, S. Maria Maddalena: «la popolazione delle località rastrellate a sud della sacca è simpatizzante in gran parte con i banditi ed è comunista» (208). Al termine del rastrellamento le unità
rientrarono al comando di Perugia da dove, il 17 aprile, ripartirono, sempre guidate dal maggiore Herrmann, per realizzare una nuova azione destinata a colpire il territorio compreso tra Nocera Umbra e Gualdo Tadino, investendo i reparti della 4a brigata Garibaldi. Anche in questo caso il tributo che la popolazione dovette pagare fu alto. Tra il 17 e il 21 aprile 1944, almeno 25 partigiani e 15 civili, furono trucidati nel corso del rastrellamento che si protrasse, con fasi alterne, sino ai primi giorni del mese di maggio (209). […]
204 ASP, APP, Gabinetto, Prefettura, b. 145 fasc. 6, s. fasc. d, Lettera del capo della provincia di Perugia al ministero dell’Interno, 28 aprile 1944.
205 In un rapporto segreto, compilato da un ufficiale del Comando Supremo della 14a armata, si ammetteva che le zone principali dove operavano le bande dovevano essere considerate ancora pericolose, rilevando che un gruppo di “banditi” era riuscito a sottrarsi al rastrellamento e sottolineando come fossero circa mille i “banditi”, i complici e abitanti simpatizzanti, uccisi o fatti prigionieri. In questo rapporto si faceva quindi esplicitamente riferimento, caso raro nei documenti tedeschi, al coinvolgimento nel rastrellamento non solo di appartenenti alle bande partigiane ma anche di civili inermi. Cfr. Enzo Climinti, Il gruppo di combattimento “Schanze” nella grande impresa contro le bande, p. 43-44.
206 Ad essere interessate direttamente furono le località con i rispettivi territori di S. Urbano, Vasciano, Lugnola, Configni, Vacone, Rocchette, Montebuono, S. Maria, Calvi dell’Umbria, S. Lorenzo, Poggio. Cfr. Ibid., p. 45.
207 La conduzione della lotta alla bande in Italia, considerata dal comandante supremo delle SS e della polizia Heinrich Himmler: «il principale compito della polizia e il suo campo d’azione più originale», venne affidata agli inizi dell’aprile 1944 alle forze delle SS e della polizia. In risposta ai contrasti intercorsi in Italia tra il feldmaresciallo Albert Kesserling, massimo responsabile militare per la condotta della guerra in Italia con giurisdizione nelle zone del fronte e a ridosso dello stesso e sulle coste italiane, il generale Rudolf Toussaint (Bevollmächtigter General der Deutschen Wermacht in Italien) dal quale dipendevano i comandi e le truppe territoriali, e l’SS-Obergruppenführer Karl Wolff, comandante supremo di tutte le forze di polizia (Höchster SS-und Polizeiführer), in Italia, nonché rapresentante personale di Himmler, lo stesso Himmler sin dal 1 aprile 1944 aveva decretato che l’Italia settentrionale e centrale dovessero essere considerate “territorio di lotta alle bande (Bandenkampfgebiet)”. Dal punto di vista formale l’Italia venne così a trovarsi tra i territorio di competenza del Chef der Bandenkampfverbande, il generale Erich von dem Bach, mentre il generale Wolff, come osservato in precedenza, aveva già proceduto a nominare due nuovi SS-und Polizeiführer (l’SSStandartenführer Karl Bürger, responsabile per Umbria, Marche e Toscana, e l’SS-Standartenführer Ernst Hildebrandt con giurisdizione per il Veneto e l’Emilia-Romagna). Le carenze di organico a disposizione delle autorità di SS e di polizia in Italia per reprimere validamente l’insorgenza partigiana, nonostante gli sforzi fatti dal comandante della polizia d’ordine in Italia, Jurgen von Kamptz, per reperire unità anche attingendo a reparti della Rsi, spinsero ad un accordo i massimi rappresentanti della Wehrmacht e delle SS, compromesso che venne accettato anche da Himmler. Così il feldmaresciallo Kesserling assumeva la guida della lotta contro i partigiani su tutto il teatro di guerra, mentre il generale Wolff era reso: «responsabile della sua attuazione al di fuori della zona d’operazione e della fascia costiere di 30 km», di competenza dei comandi militari. In questo modo Kesserling vedeva definitivamente riconosciuta la sua funzione di guida della Bandenbekämpfung, mentre Wolff era riuscito a conservare l’autonomia della propria organizzazione. Obiettivi, modalità e direttive della lotta alle bande venivano quindi fissate dal comando supremo della Wehrmacht, mentre SS e polizia dovevano seguire tali disposizioni pur conservando un alto grado di autonomia. A livello locale la principale innovazione promossa dalle direttive di Kesserling fu la suddivisione del territorio in settori affidati a dei cosiddetti “comandanti per la sicurezza” (Sicherungskommandanten), scelti in base alla loro efficienza e decisione, senza riguardo in merito alla loro appartenenza a Wehrmacht, SS o polizia: tali figure erano considerate responsabili del mantenimento dell’ordine, della repressione antipartigiana e dell’eventuale applicazione delle misure di rappresaglia. Pertanto, in conseguenza delle variazioni intervenute nella catena di comando, nella seconda fase del rastrellamento, i reparti esploranti corazzati e le unità di allarme della 14a rimasero sotto il controllo della Wehrmacht e non parteciparono alla seconda fase del rastrellamento; le restanti forze passarono invece alle dipendenze del maggiore Herrmann, risultando direttamente coinvolte nell’azione. Cfr. Carlo Gentile (a cura di), Le stragi nazifasciste in Toscana 1943-1945. 4. Guida archivistica alla memoria. Gli archivi tedeschi, cit., pp. 68-72; Enzo Climinti, Il gruppo di combattimento “Schanze” nella grande impresa contro le bande, cit., p. 45-47.
208 Tra i 38 morti si devono considerare i sedici civili, abitanti a Calvi dell’Umbria e nelle frazioni limitrofe, uccisi il 13 aprile sulla piazza del paese (tre di loro uccisi nel corso del rastrellamento nei pressi delle rispettive abitazioni). Un altro era un giovane allievo sottufficiale della Guardia di Finanza, Beniamino Minicucci, che si era dato alla macchia dopo l’8 settembre e che, catturato nel corso del rastrellamento, si rifiutò di fornire indicazioni utili per l’individuazione dei rifugi dei partigiani, pagando con la vita questo suo rifiuto. Altri otto caduti erano un gruppo di prigionieri americani, costituito da un ufficiale e da sette sottufficiali, sorpresi nel sonno presso S. Benedetto, località vicino a Montebuono dove erano rifugiati, e immediatamente fucilati. Responsabili di queste uccisioni furono gli appartenenti al I battaglione SS-Polizei, guidato dal maggiore Wilcke. Questo battaglione fu costituito a Praga nell’estate 1943, utilizzando personale tratto dal Polizei-Ausbildungsbataillon Klagenfurt e in parte proveniente dal campo di addestramento SS di Debica. Il reparto era formato da tre compagnie, più il comando. Giunto in Italia nel settembre 1943, il battaglione fu immediatamente trasferito nell’area di Napoli dove l’intera unità o, almeno, parti di essa furono impegnate nel rastrellamento di civili a Napoli e nell’area limitrofa. Nell’ottobre 1943 la 1a e la 2a compagnia erano presenti sul fronte di Cassino, mentre la 3a compagnia era stanziata a Roma. L’attività si estese nelle aree di Pontecorvo, Cassino, Pescara e Ortona. Oltre ai rastrellamenti di manodopera e la cattura di prigionieri di guerra evasi, il reparto si specializzò nello sgombero e nella minatura dei villaggi posti sulla linea del Sangro. A metà del dicembre 1943 il comando di battaglione era segnalato a Teramo, a febbraio a L’Aquila e, successivamente, a Piediluco. Dalla primavera 1944 il battaglione iniziò a specializzarsi nella repressione antipartigiana e fu utilizzato dallo stato maggiore per la lotta contro le bande della 14a armata (Stab für Bandenbekämpfung Major Herrmann) e, successivamente, da quello della polizia (Bandenkampfstab von Kamptz, di stanza a Perugia) in una serie di rastrellamenti in un vasto territorio compreso tra Lazio, Umbria e Marche. Dall’estate 1944 alla fine della guerra il battaglione operò in Piemonte, particolarmente in provincia di Novara. Cfr. Enzo Climinti, Ibid., cit., p. 86; Carlo Gentile, Itinerari di guerra: la presenza delle truppe tedesche nel Lazio occupato, cit., pp. 40-41.
209 Sul rastrellamento che coinvolse il territorio in cui operava la formazione garibaldina folignate cfr. Anonimo, Relazione sull’attività svolta dalla brigata «Garibaldi» dal settembre 1943 al luglio 1944, in Sergio Bovini (a cura di), L’Umbria nella Resistenza, vol. II, cit., pp. 265-272; Monica Giansanti – Roberto Monicchia, Rastrellamenti e rappresaglie in Umbria: la lotta antipartigiana tra controllo dell’ordine pubblico e strategia militare, in Luciana Brunelli – Gianfranco Canali (a cura di), L’Umbria dalla guerra alla Resistenza, cit., 229-244; Pietro Rondelli, Dieci mesi a Nocera (8 settembre 1943-3 luglio 1944). Ricordi e testimonianze, Edimond, Città di Castello 2004; Dino Renato Nardelli, Grammatica della memoria. Il monumento ai caduti di Collecroce (17 aprile 1944), Isuc – Editoriale Umbria, Perugia – Foligno
Angelo Bitti, La Guerra ai Civili in Umbria (1943-1944). Per un Atlante delle stragi naziste, Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, 2007

[…] Lo scontro tra i tedeschi e i fascisti da una parte e i partigiani e la popolazione civile dall’altra ebbe una sua particolare efferatezza nella zona del narnese.
In diversi combattimenti morirono molti partigiani e in particolare sui monti di San Pancrazio, Poggio di Otricoli, Capitone di Narni, Vacone, Rocchette. In questo quadro è particolarmente emblematica la vicenda di otto soldati inglesi e americani fuggiti dai campi di prigionia di Vetralla (VT) i quali sopravvivevano eseguendo anche lavori agricoli per conto delle famiglie coloniche e che cercavano di collegarsi con le organizzazioni partigiane. Ma ritiratisi nella zona di Montebuono e in particolare nella chiesa di San Benedetto, vennero sorpresi dai soldati tedeschi e fucilati immediatamente sul posto.
La violenza degli scontri di quei giorni è testimoniata in modo emblematico da Padre Placido Santucci dello Speco Francescano di Narni protagonista tra l’altro di una trattativa con i tedeschi che impedì una violenta rappresaglia ai danni dei cittadini di Vasciano. Padre Placido racconta infatti come «nel territorio di Narni, Configni e Calvi dell’Umbria operarono per alcuni mesi due gruppi partigiani composti di giovani che cominciano a scendere armati tra la gente ed ad essi si uniscono soldati degli eserciti alleati evasi dai campi di concentramento. Sono brava gente molto educati, parlo con cognizione di causa per esperienza personale, ma quanto sta avvenendo non piace ai nazifascisti, questi sanno che i gruppi autocostituitisi e ormai operanti allo scoperto hanno come primo compito quello di battersi contro gli abusi degli occupanti nazisti e dei fascisti ed effettuano azioni di sabotaggio, abbattono tralicci dell’alta tensione, attaccano caserme». Il francescano poi racconta come la reazione fascista e nazista si sviluppò in tutto il territorio di Narni, Itieli, Sant’Urbano, Vasciano, Lugnola, Configni, Vacone, Poggio di Otricoli e Calvi dell’Umbria disponendo di un armamento di primo ordine non esclusi cannoni di media gittata.
In tutti questi scontri morirono, come detto, diversi partigiani, ma la vicenda più efferata è sicuramente la strage di Calvi dell’Umbria dove il 13 aprile 1944 vennero fucilati 13 cittadini inermi, sospettati di collaborare con i partigiani. Un episodio di una vera e propria “guerra ai civili”, in più la strage è organizzata e voluta con particolare ferocia da un colonnello fascista della Guardia Nazionale Repubblicana, Faustini Giunio, originario di Spoleto e operante a Terni e dai suoi figli di nome Franco e Vittorio, sergente, insieme ad un altro milite della Gnr.
Il 12 aprile 13 cittadini vengono arrestati su indicazione proprio del Faustini, portati nella caserma dei Carabinieri e il giorno dopo fucilati sulla piazza del paese da 20 soldati delle SS tedesche, senza alcun processo e abbandonati poi sul posto i loro cadaveri. Faustini non permise ai parenti nemmeno di seppellire i loro morti. Tra i fucilati oltre a due forestieri di cui non si conoscevano i nomi, ci furono due ragazzi di 16 e 17 anni Guglielmi Genesio e Ernesto, i parenti Adelfo, Emilio e Gino di 48, 44 e 32 anni, tutti membri di una famiglia che gestiva un albergo-trattoria a Calvi e accusati di aver ospitato alcuni partigiani. Tra i fucilati risultarono poi Montecaggi Liberato di 57 anni, barbiere accusato di aver fatto la barba ad alcuni prigionieri inglesi; Fabbri Fabrizio di 42 anni presunto rifornitore di partigiani; Pellicce Pacifico di 40 anni, Sernicola Ernesto di 36 anni, Salvati Domenico di 39 anni, Caroffi Lorenzo di 59 anni, tutti perché sospettati di aver aiutato gli inglesi o i partigiani. Il colonnello Faustini e suo figlio contribuirono ad arrestare personalmente tutti i fucilati, ad interrogarli e a depredarli dei loro averi con particolare crudeltà.
Due mesi dopo alcuni parenti dei trucidati denunciarono dettagliatamente l’accaduto agli ufficiali inglesi Sonning, Huggins e Jordans dello Special Investigation Brunch che raccolsero la testimonianza di alcuni cittadini e anche quella di Giuseppe Salomone uno dei capi dei partigiani locali.
Nel dicembre del 1944, data la particolare efferatezza dell’ accaduto, un’altra indagine sulla vicenda di Calvi fu svolta dal Comando generale dell’Arma dei Carabinieri che nella sostanza confermò i fatti e le dinamiche dell’eccidio, così come erano state rilevate dai soldati inglesi alcuni mesi prima.
I verbali relativi a queste due indagini, appena finita la guerra vennero, come purtroppo per tanti altri eccidi, inviati alla Procura militare della Repubblica presso il Tribunale di Roma, ma non ci fu mai alcun processo anche se erano particolarmente dettagliati i fatti, i luoghi, le circostanze e i nomi dei presunti responsabili. […]
Alberto Stramaccioni, Calvi dell’Umbria, strage impunita, Alberto Stramaccioni, 29 luglio 2005