La temuta reazione, soprattutto quella degli uomini più fedeli a Mussolini e delle organizzazioni militari del regime, però, non c’è

Il periodo che intercorre tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, ricordato nella storia politica nazionale come il governo dei “quarantacinque giorni”, risulta anche alla più rapida analisi fondamentale per comprendere gli sviluppi successivi della situazione sociale e politica nonché l’evolversi degli avvenimenti bellici che interessarono il nostro paese nella seconda guerra mondiale. All’indomani del crollo del fascismo, infatti, escono dalla clandestinità quei partiti politici soppressi uno dopo l’altro dalla legge di PS del 6 novembre 1926, sui quali si fonderanno la lotta politica e, dopo l’annuncio dell’armistizio, l’organizzazione dei Comitati di Liberazione nazionale e la Resistenza.
Le ripetute sconfitte dell’esercito italiano avevano minato il già fragile fronte interno, mettendo in luce il divario profondissimo fra il regime fascista, che aveva promesso con enfasi una grandezza imperiale e militare che nei fatti si era rivelata un bluff, e le masse popolari, colpite sempre più duramente nel loro tenore di vita da restrizioni di ogni genere, ormai consapevoli della catastrofe che andava delineandosi sotto i primi bombardamenti alleati alle città del triangolo industriale. Un segno di vibrante protesta contro il regime fascista, furono gli scioperi avvenuti nel marzo del 1943 nella fabbriche dell’Italia settentrionale. Dopo l’incontro di Feltre (19 luglio 1943) tra Hitler e Mussolini, la crisi del regime si profilava sempre più come inevitabile: il re Vittorio Emanuele III, che intendeva sganciarsi dalle sorti del vacillante regime su una base politico sociale conservatrice, maturò il proposito di uccidere Mussolini e anche all’interno dei vertici del regime fascista la situazione stava degenerando, al punto che il 24 luglio nella seduta del Gran Consiglio del fascismo, Dino Grandi assunse l’iniziativa di mettere in minoranza Mussolini, proponendo un programma che convergeva sostanzialmente con quello della monarchia. L’ordine del giorno presentato da Grandi, venne approvato a maggioranza (19 si, 7 no e una astensione; fra i si anche quello di Ciano, il genero di Mussolini) impose la riassunzione immediata da parte del re delle prerogative costituzionali e del comando delle forze armate.
Il 25 luglio 1943, il re messo di fronte alla crisi del regime destituisce Mussolini e lo fa arrestare, mentre il maresciallo Pietro Badoglio viene nominato capo del governo. Il 26 luglio Badoglio forma un nuovo governo (appoggiato dalla monarchia, dalla chiesa e dall’esercito) composto da tecnici e alti funzionari della burocrazia, il quale procedette immediatamente a smantellare gli apparati della dittatura fascista e alla repressione di ogni manifestazione popolare antifascista (il bilancio finale fu di 83 morti e 516 feriti). La caduta del regime faceva pendere sull’Italia la spada di Damocle rappresentata dalla reazione tedesca. Hitler che diffidava della monarchia e di Badoglio – nonostante questi si fosse affrettato a dichiarare che l’Italia rimaneva fedele alle sue alleanze – già andava maturando il proposito di assumere il controllo militare della nostra penisola.
Il disegno governativo monarchico-badogliano ambiva a realizzare un ritorno alla situazione pre-fascista, in modo da evitare una nuova costituente, lasciando intatte le strutture conservatrici in campo economico e sociale, impedendo così che la caduta del fascismo mettesse in discussione l’ordinamento monarchico; ma per realizzare tutto questo occorreva innanzitutto sganciare l’Italia dalla Germania, inserendo il paese nella lotta delle potenze antinaziste (il programma del governo Badoglio venne appoggiato con vigore da Churchill, preoccupato di evitare che in Italia si aprisse un processo anti-monarchico, politicamente e socialmente radicale). Nel frattempo i partiti antifascisti (PCI, PSI, PdA) che erano rimasti di fatto estranei al colpo di Stato del 25 luglio, riuniti in un comitato nazionale, premevano per la costituzione di un governo di unità nazionale e per la rottura immediata con la Germania.
Le tendenze antimonarchiche insite all’interno del comitato, sfociarono in breve in un’opposizione al governo Badoglio, dal quale si dissociarono ufficialmente con un ordine del giorno approvato il 13 agosto. Mentre l’esercito tedesco si apprestava a mettere in atto l’operazione Valkiria al fine di assumere il controllo militare dell’Italia, Badoglio avviava a Lisbona (3 agosto) delle trattative segrete con gli alleati, i quali chiesero la resa incondizionata e, per esercitare una pressione maggiore, intensificarono i bombardamenti aerei sulle città italiane. L’armistizio venne agli atti firmato a Cassibile in Sicilia, il 3 settembre 1943, ma la notizia fu resa pubblica solamente alle 19.45 dell’ 8 settembre 1943, attraverso un comunicato radiofonico. La notizia colse completamente impreparati i capi militari e le truppe, lasciati colpevolmente da Badoglio senza istruzioni operative. Il 9 settembre Badoglio e il re fuggono da Roma, dirigendosi dapprima a Pescara e successivamente, via mare, verso Brindisi nella zona occupata dagli Alleati. I giorni successivi segnarono il crollo dell’intera organizzazione dell’esercito italiano. I tedeschi, nel quadro dell’operazione Alarico, catturarono e disarmarono in breve 600.000 soldati italiani (in maggioranza inviati nei campi d’internamento in Germania), dilagando su tutto il territorio italiano non occupato dagli alleati. Per quanto riguarda la sorte delle truppe italiane stanziate all’estero, essa fu tragica: la gran parte vennero fatte prigioniere dai tedeschi e quei pochi presidi che resistettero eroicamente (Corfù e Cefalonia) vennero barbaramente sterminati.
Il governo Badoglio dei “quarantacinque giorni” aveva così portato l’Italia fuori dall’alleanza tedesca, ma in modo così inefficiente da determinare una tragedia per la sorte della popolazione civile, ormai vittima del brutale regime di occupazione tedesca
Redazione, 25 luglio – 8 settembre 1943: i “quarantacinque giorni” del governo Badoglio, Archivi della Resistenza Circolo “Edoardo Bassignani”

Il colpo di Stato, “deciso” da Vittorio Emanuele III, pur tra mille paure, incertezze e ripensamenti, è stato avviato. La macchina burocratico – militare si è messa in moto. Già alle ore 20.30, Carmine Senise, di nuovo capo della Polizia, trasmette le prime indicazioni ai questori e ai responsabili dell’Ovra: “Riassumo la carica di capo della Polizia. Nell’inviare a tutti, funzionari, impiegati, ufficiali et agenti mio cordiale saluto, sono sicuro compirete come sempre tutto vostro dovere per la patria e per il re. Ordine pubblico non deve essere assolutamente turbato: provvedete pure ove occorra con debite cautele fermo quegli elementi fascisti e squadristi capaci anche a fini patriottici turbare ordine pubblico. Assicurate a vista” <408.
Nello stesso tempo, si dispone l’attuazione dei piani OP che prevedono l’istituzione di Tribunali militari e il passaggio dei poteri civili e di polizia all‟autorità militare. L’intenzione è quella di tenere sotto stretto controllo l’ordine pubblico e neutralizzare la reazione fascista, ritenuta probabile e dagli esiti imprevedibili. In realtà, vengono eseguiti pochi arresti <409. Alcuni nell’immediato (Cavallero), altri dopo qualche giorno o anche a distanza di un mese ( Buffarini-Guidi, Soddu, Starace, Muti, Bottai, Galbiati, Teruzzi, Scorza). Pavolini e Farinacci riescono invece a nascondersi nell’ambasciata tedesca.
La temuta reazione, soprattutto quella degli uomini più fedeli a Mussolini e delle organizzazioni militari del regime, però, non c’è. Sono emblematici, da questo punto di vista, i casi di Scorza, segretario del Partito, e di Galbiati, Capo di Stato Maggiore della Milizia. Dopo aver esaltato, fino a pochi giorni prima, il Duce, il Partito, il Regime, già il 27 luglio Scorza scrive a Badoglio: “Eccellenza, dopo due giorni di silenzioso lavoro, ritengo di poter considerare esaurito il compito di persuasione e di disciplina tra i fascisti impostomi dalla mia coscienza, come sacro dovere di soldato, in seguito al cambiamento di governo. Vi rimetto copia delle due dichiarazioni da me presentate al Gran Consiglio e resto in attesa delle vostre decisioni circa il Partito” <410.
Maggiori preoccupazioni desta, invece, il comportamento della Milizia. Diversi ufficiali sono orientati verso un’azione di forza ma Galbiati, dopo essersi consultato con alcuni generali, telefona, la sera del 25 luglio, al sottosegretario agli Interni Albini e gli comunica che la Milizia rimane fedele al Re e alla Patria. L’indomani, Badoglio comunica che la Milizia diventa parte integrante delle forze armate della nazione ed è posta sotto il comando del generale Armellini.
La collaborazione degli uomini del fascismo con il nuovo governo è immediata e significativa, soprattutto perché proviene da parte di chi ha ricoperto incarichi di responsabilità. E’ proprio di Albini l’idea di avvisare uno per uno i prefetti prima di diramare il comunicato relativo alle “dimissioni” di Mussolini e così fornire le prime indicazioni per il mantenimento dell’ordine pubblico.
Anche Chierici offre la propria collaborazione e ad Ambrosio e Badoglio che lo invitano a non voler creare difficoltà risponde: “Ma quali difficoltà? Voi sapete che io sono stato un fedele funzionario delle Stato, così come sono stato un leale soldato: conosco pertanto il mio dovere, che è quello di obbedire agli ordini del Governo che Sua Maestà il re ha nominato. Per le consegne eccomi a vostra disposizione! Sono pronto a passarle subito, seduta stante” <411. Poi, compila una lista di persone da arrestare e la porta a Senise, nuovo capo della Polizia.
Lo stesso Maresciallo Graziani fa pervenire al Ministro della Real Casa Acquarone un messaggio in cui conferma la lealtà e la devozione al Sovrano.
La temuta reazione fascista, dunque, non c’è <412. Il crollo del fascismo appare incruento e si manifesta solo qualche sporadico episodio di violenza. Non c’è il clima di tragedia che ci si aspetta dopo vent’anni di regime.
[NOTE]
408 Gruppo di ricerca per la “Raccolta generale di fonti e notizie e rappresentazione cartografica della storia d’Italia dal 1943 al 1945”. Coordinamento della ricerca: Luigi Ganapini, Massimo Legnani, L’Italia dei quarantacinque giorni. Studio e documenti, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione, 1969, p. 192.
409 Nel corso di un incontro, il 19 luglio 1943, Carmine Senise ed il Duca Acquarone preparano un elenco di gerarchi fascisti da arrestare al momento del colpo di Stato, “[…] elenco assai ristretto, perché vi furono compresi soltanto quei pochi che, lasciati in libertà, potevano essere realmente pericolosi: gli altri avrebbero pensato da se stessi a togliersi dalla circolazione, tanto poco sentita era la fede che in quel tempo li animava!”, Carmine Senise, Quando ero capo della Polizia, cit., p. 198.
410 La lettera di Scorza è riportata da Mario Zamboni, Diario di un colpo di Stato 25 luglio – 8 settembre 1943. Le drammatiche vicende dell’estate del ’43 che portarono alla caduta del fascismo: avvenimenti, retroscena, episodi poco noti o ignorati, raccontati fedelmente da chi li visse in prima persona. Prefazione di Renzo De Felice, Newton Compton editori, Milano 1990, p. 159.
411 Ivi, p. 146.
412 “Gerarchi grandi e piccoli, non seppero fare altro, infatti, che eclissarsi e sottrarsi così all’ira popolare, ben contenuta del resto dalla forza pubblica […] Starace dichiarò di essere da tempo contrario a Mussolini e chiamò in testimone proprio il Maresciallo Badoglio; Buffarini andò a riparare a Villa Torlonia e di lì telefonò lui stesso al Questore mettendosi a sua disposizione, forse per sfuggire alle prevedibili violenze della folla; dei Ministri, parte aveva votato contro Mussolini nel Gran Consiglio; altri, come Benini e Polverelli, vennero da me a dichiarare i loro sentimenti di fedeltà al Re e alle istituzioni; il segretario federale di Roma, Colasanti, fece altrettanto; eguale dichiarazioni mi fece il comandante dei moschettieri del duce, Marchese d’Avet; Bardi, vice segretario del fascio di Roma, fece la stessa cosa col Questore di Roma. Il famigerato Pollastrini, capo delle squadre d’azione e di tutta la delinquenza fascista di Roma, per poco non morì dalla paura: rinchiuso dentro palazzo Braschi, circondato dalla folla che voleva dare l’assalto, non fece che invocare disperatamente per telefono il suo arresto e quello dei suoi degni compagni rinchiusi con lui nel palazzo […] I prefetti fascisti rimasero tutti al loro posto, pronti a servire il nuovo Governo: non uno di essi, non uno, mostrò il più lontano desiderio di essere collocato a riposo. Moltissimi anzi fecero premura in senso opposto”, Carmine Senise, Quando ero capo della Polizia, cit., pp. 206-207.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011

Nei giorni immediatamente successivi al 25 luglio l’Italia fu percorsa da un’ondata di manifestazioni e di agitazioni. Fra le autorità pubbliche centrali e quelle periferiche vi fu uno scambio di dispacci, rapporti e istruzioni che, seppure in modo sintetico, possono fornire un’idea del clima concitato di quelle giornate. Inoltre, molti movimenti vissuti fino allora nella clandestinità uscirono dall’ombra, distribuendo alla popolazione volantini inneggianti alla libertà riconquistata. I brani qui pubblicati sono tratti da “L’Italia dei quarantacinque giorni”, per gentile concessione dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia.

Il prefetto di Milano, Uccelli, al gabinetto del ministero dell’Interno e alla direzione generale di ps. Milano
26 luglio 1943, ore 21.30

Nomina capo governo maresciallo Badoglio appresa popolazione ieri sera col giornale radio ore 23 ha provocato immediate dimostrazioni popolari che si sono protratte per tutta la giornata. Una manifestazione si è svolta dinanzi Palazzo Reale.
S.a.r. il conte di Torino affacciatosi ha rivolto alla folla brevi parole. Sono stati incendiati alcuni gruppi rionali danneggiato covo, guf et sindacato commercio. Lamentansi atti violenza contro altre sedi gruppi fascisti negozi gestiti squadristi et abitazioni alcune personalità fasciste. Tentativi invasione carceri et contemporanea ribellione detenuti comuni sono stati impediti forza pubblica et esercito. Finora sono segnalati tre morti et trentuno feriti arma fuoco et taglio durante manifestazioni odierne.
Servizi tranviari hanno dovuto sospendere circolazione nel tardo mattino per danneggiamento et imposizione dimostranti. Maggior parte industria pesante si è astenuta dal lavoro.

Il capo della polizia, Senise, ai prefetti e al questore di Roma.
Roma, 27 luglio 1943, ore 15,45

Attuali agitazioni assumono qua e là tendenza comunista. Masse operaie intenderebbero secondo notizie fiduciarie prossima notte oppure notti successive occupare mano armata uffici pubblici. Pregasi prendere opportuni accordi con autorità militare per stroncare con qualsiasi mezzo eventuali tentativi del genere.

Il ministro dell’Interno, Fornaciari, ai prefetti e al questore di Roma. Roma, 27 luglio 1943

E’ necessario agire massima energia perché attuale agitazione non degeneri in movimento comunista o sovversivo. Occorre far rispettare tutti costi ordinanze autorità militari che vietano assembramenti, impedire assalti a cittadini et abitazioni et manifestazioni sovversive in genere anche se si debba ricorrere uso armi. Occorre anche sequestrare subito giornali che eccitino comunque spirito pubblico. Impiegare tutta l’energia per il bene della patria.

Il prefetto di Milano, Uccelli, al ministro dell’Interno, Fornaciari. Milano, 27 luglio 1943, ore 16

Per giudicare situazione che va insuperbendosi (sic) Milano est inopportuno fermarsi soltanto considerare episodi cronaca nera. Elementi sovversivi vanno organizzando la caccia all’uomo, si colpiscono vecchi fascisti et gerarchi, si minacciano industriali et cellule sovversive agiscono apertamente. Si sono saccheggiate, incendiate case fascisti et privati cittadini. Il Corriere della Sera oggi fatto sequestrare con fermo su gerente contiene una prova che è il più spinto strumento alla lotta di classe e al processo al passato regime. Questo giornale ha pubblicato stamane la notizia di una riunione et di un appello dei partiti sovversivi comunismo in testa. Nelle piazze milanesi hanno ieri arringata la folla scaturita da ogni più bassa sentina uomini di fede sovvertitrice a cominciare da comunista Giovanni Roveda et dal figlio di Amendola. Vie della città sono state intitolate ai nomi di Matteotti, di Amendola et compare sugli abiti di donna in blusa rossa et sul petto di uomini emblema falce e martello. Occorre stroncare con la massima energia queste odiose dolorose congiure contro la patria.

II questore di Forli, Bentini, al gabìnetto del ministero dell’Interno e alla direzione generale di ps, Forlì.
27 luglio 1943, ore 16,35

Pomeriggio ieri trascorso questo capoluogo abbastanza tranquillo esclusione isolati atti violenza contro elementi (manca) et irruzioni qualche abitazione privata. At Cesena Rimini et altri comuni provino eia situazione quasi normale solo a Meldola est stato invaso municipio. Stamane a Forlì presso tutti stabilimenti, operai si sono astenuti lavoro et inscenavano manifestazioni piazza at carattere sovversivo recando un cartello con fotografia Matteotti e con scritte centro prosieguo guerra e contro tedeschi. Violenze dimostranti anche facendo uso armi at salve si sono potute parzialmente contenere. Grossi gruppi dimostranti sopraffatta forza pubblica si sono riversati piazza Maggiore città ove vari oratori hanno parlato. Hanno poi sostato lungamente piazza e gridato pace e via i tedeschi. Si lamenta invasione locale ospedale civile ove est stato gravemente ferito direttore amministrativo squadrista. Durante tafferuglio sono stati feriti arma fuoco at arti inferiori due dimostranti. Autorità prefettizia est impossibilitata esercitare sue funzioni perché funzionari vari enti specie alimentazione intimoriti reazione disertano uffici. Situazione est grave né vi è alcun sintomo che operai riprendano lavoro.

II prefetto di Bologna, Letta, al gabìnetto del ministero dell’Interno e alla direzione generale di ps. Bologna.
27 luglio 1943, ore 19,10

Oggi maestranze operaie si sono astenute in gran parte dal lavoro. Secondo notizie confidenziali elementi comunisti dovrebbero procedere stanotte occupazione principali uffici pubblici. Molti episodi fanno pensare ad un affiatamento sospetto fra popolazione e soldati incaricati mantenimento ordine pubblico. Agricoltori vengono invitati non consegnare più grano ammasso. Carattere comunista movimento si accentua sempre più con netta tendenza antigermanica.

Il prefetto di Milano, Uccelli, al gabinetto del ministero dell’Interno. Milano, 27 luglio 1943, ore 22,30

Situazione ordine pubblico si est oggi aggravata. Sospensione lavoro in molti stabilimenti Milano et Sesto San Giovanni, larga diffusione manifestini, assembramenti et tentativi dimostrazione avanti stabilimenti e pubbliche piazze mostrano palesemente intenso lavoro organizzazione masse per coordinare movimento con unità indirizzo sovversivo. In molti punti della città folti gruppi scalmanati hanno svaligiato appartamenti, cantine, negozi sotto pretesto rappresaglie contro fascisti. Truppa ha dovuto fare uso armi. Lamentansi diversi feriti fra cui alcuni militari. Sparatorie continuano nella sera con vivo allarme popolazione. Decorsa notte detenuti comuni carceri Milano appiccarono incendi subito domati vigili fuoco. Truppa intervenne facendo uso armi. Carcere danneggiato et affollato non può accogliere altri detenuti. Sollecitato sfollamento. Forza attualmente disposizione comando militare è insufficiente. fronteggiare eventi.

Il capo della polizia, Senise, ai questori.
Roma, 28 luglio 1943, ore 13,15

Vengono messe in circolazione con lo scopo evidente di turbare l’ordine et di deprimere lo spirito pubblico disparate notizie prive di fondamento quali quelle del suicidio del Fuhrer della avvenuta firma dell’armistizio et simili. Vi invito a procedere con la massima energia et prontezza a carico dei propagatori di dette notizie et a far rispettare rigorosamente norme relative divieto assembramenti.

Il questore di Napoli, Lauricella, al capo della polizia, Senise.
Napoli, 28 luglio 1943

Il completo capovolgimento della situazione politica interna creatasi con le dimissioni dell’ecc. Mussolini ha fatto affiorare passioni da tempo compresse. La maggioranza dei cittadini ha espresso il suo giubilo per il fatto che il comando militare degli eserciti operanti è stato assunto dalla maestà il re e che a capo della vita politica nazionale è stato chiamato il maresciallo Badoglio. Il colpo di scena ha vivamente disorientato i fascisti che vivevano più vicini ai gerarchi e alla organizzazione del partito fascista e li ha profondamente abbattuti. Non si notano fra essi segni alcuni di riscossa.
Devo subito aggiungere che all’entusiasmo del primo giorno, determinato oltre che dalla caduta del governo mussoliniano dall’immediata speranza di pace, giacché la propaganda avversaria aveva condizionata la cessazione delle ostilità alla estromissione del capo e degli esponenti fascisti, è subentrata una certa irrequietudine per il fatto che si comincia a comprendere che la guerra continuerà forse con maggiore asprezza.
Il movimento verificatosi fra i cittadini non è stato eccessivamente imponente. Si sono avute piccole manifestazioni capitanate principalmente da vecchi vigilati politici, da donne e da ragazzi. Qualche volta, specie in paesi della provincia, le case del fascio sono state raggiunte e sconvolte. La sede del giornale Il Mattino è stata oggetto di tentativo di occupazione da parte di un capitano della r. aeronautica e di tre militari della stessa arma, ma il fatto non ha avuto seguito per il pronto intervento della forza pubblica. Quello che più ha impressionato è che la stampa ha da un giorno all’altro assunto toni del tutto opposti a quelli del giorno precedente e che ciascuno si crede ormai libero di manifestare le proprie idee e di propagandare i propri principi siano essi socialisti, cattolici, liberali, comunisti, anarchici.
In complesso si nota un preoccupante disorientamento della opinione pubblica e qualcuno nota come il fronte interno sia rimasto fortemente incrinato dopo gli eventi degli ultimi giorni. A ciò contribuisce anche il fatto che l’autorità militare è stata colta alla sprovvista e per ora cerca di attuare come può le disposizioni del “bando di cui al modello prefisso dall’autorità centrale. Le prescrizioni stesse hanno avuto finora relativa applicazione.
L’approvvigionamento annonario ha subito forti scosse ed è risentita in modo sensibile la rarefazione dei generi alimentari.
Sono stati disposti servizi di prevenzione e di vigilanza su larga scala e non manco di seguire la situazione di ora in ora artiglierie contro fabbricati reparti predetti se operai non obbediscono intimazione ripresa lavoro.

Il comandante della difesa territoriale di Torino, Adami Rossi, al comando zona militare di Novara, al comando divisione « Rovigo », al comando legione CCRR, alla questura e al prefetto di Torino.
Torino, 29 luglio 1943

L’abbandono del lavoro o l’astensione dallo stesso incrociando le braccia, oltre ad essere una contravvenzione alla mia ordinanza del 26 corrente, è una forma di ostruzionismo e di boicottaggio al lavoro per la produzione di guerra ed un vero e proprio tradimento della nazione in guerra. Di conseguenza non appena tale astensione si manifesti, occorre sia stroncata. Si intimi la ripresa immediata del lavoro dando cinque minuti di tempo, avvertendo che se il lavoro non sarà ripreso, sarà imposto con la forza. Se allo scoccare del quinto minuto continuerà l’astensione , si faccia fuoco con qualche breve raffica, non sparando in aria o per terra, ma addosso ai riottosi. Dopo la raffica, ripetere per una volta l’intimazione e, non ottenendo lo scopo, sparare raffiche, a piccola distanza l’una dall’altra sino ad ottenere lo scopo, ossia l’esecuzione dell’ordine.

Il capo della polizia, Senise, ai questori e ai dirigenti zone Ovra. Roma, 29 luglio 1943

Seguito circolare 27 corrente n. 46643 comunicasi che dovranno essere immediatamente
liberati anche internati italiani sia campi concentramento sia comuni liberi cui confronti provvedìmento è stato adottato per attività politica non, ripetesi non, riferentesi comunismo et anarchia aut spionaggio aut irredentismo et non, ripetesi non, trattisi allogeni Venezia Giulia et territori occupati. Con analoghi criteri dovranno farsi cessare vincoli “ammonizione confronti ammoniti politici. Dovranno inoltre essere liberati ebrei italiani internati aut confinati che oltre non avere, svolto attività politica come sopra non abbiano commesso fatti speciale gravità.
Questori competenti per giurisdizione sono pregati comunicare presente circolare a direttori colonie confino et campi concentramento.

Il prefetto di Viterbo, Di Castri, al gabinetto del ministero dell’Interno e alla direzione generale di ps. Viterbo.
29 luglio 1943, ore 12,35

Circa ore 9,45 di oggi colonna composta quaranta autocarri con a bordo militi nazionali armati provenienti viterbese dirigevansi verso Roma al canto di inno «Giovinezza» determinando grida di «Abbasso il re».

Il prefetto di Bologna, Letta, al gabinetto del ministero dell’Interno e alla direzione generale di ps, Bologna.
1 agosto 1943, ore 13

Rinvenuti stamane manifestini a firma partito liberale partito democratico cristiano partito d’azione partito socialista movimento unità proletaria partito comunista intitolati «lavoratori del braccio e del pensiero» datati Bologna 30 luglio 1943 invitanti operai at interrompere ogni giorno lavoro ore 10 per esprimere volontà pace et libertà. Disposto opportune misure.

Redazione, I rapporti della polizia sulle “giornate calde”, Associazione Nazionale Combattenti FF.AA. Regolari Guerra di Liberazione