L’apprendimento della lettura è stato un fatto centrale nella vita di Teresa Noce

Il mondo descritto da Teresa Noce, che nasce a Torino nel 1900 e muore a Bologna nel 1980, è quello configurato dagli avvenimenti che precedono la prima guerra mondiale e che si spingono oltre la fine della seconda; è il mondo di chi ha sofferto la fame, il mondo della guerra di Spagna, delle persecuzioni, dei lager, ma anche delle lotte clandestine, della fondazione del PCI, dell’abbattimento del fascismo, della nascita e dell’affermazione della democrazia. Il sé è quello di una bambina poverissima, poco scolarizzata, ma dotata di intelligenza, acume e spirito di osservazione che attraversa l’esperienza della politica conquistando traguardi istituzionali come la carica parlamentare.
Il filo rosso è costituito dai valori inalienabili dell’impegno, della condivisione, della solidarietà. I fatti personali sono letti e interpretati alla luce delle dinamiche politiche, e queste ultime vengono comprese e restituite sulla pagina a partire dalla propria esperienza, riconosciute responsabili delle condizioni di vita proprie e di tante/i altre/i simili a sé.
Dal punto di vista conoscitivo, ci si trova di fronte a un movimento pendolare di andate e ritorni tra interno e esterno, dove la riflessione che il soggetto esercita su se stesso illumina le dinamiche che regolano i rapporti di lavoro e di classe e dove quelle stesse dinamiche si ritrovano rispecchiate negli avvenimenti esperienziali, in una rete continua di rinvii e reciprocità.
Si leggano la sua opera più matura e nota, l’autobiografia “Rivoluzionaria professionale” (vi trovano la loro sistemazione definitiva i vari temi e momenti della vita personale, la storia familiare, gli avvenimenti più significativi di Torino, gli scioperi alla Fiat, la storia d’Europa fra le due guerre) e i suoi romanzi. Si avrà immediata conferma che l’andare dal particolare al generale (e ritorno) è stato l’ago della bussola che ha orientato la sua esistenza di donna politica e di azione. <1
Soprattutto nei momenti più dolorosi, questa metodologia politica consente di non lasciare scorrere invano le lacrime, ma di sfruttarle ai fini del cambiamento sociale. Si vedano le pagine di “Vivere in piedi” in cui Noce ricostruisce le vicende della morte del figlio, nelle quali il proprio dolore prima si identifica con quello delle altri madri che hanno condiviso simile tragedia, poi si trasforma in lucido pensiero di rivolta contro la povertà e la struttura classista della società, responsabile di quei lutti. <2
Anche in “… ma domani farà giorno”, il libro che riassume le esperienze nei “campi di morte”, risultano dominanti due linee di narrazione: la descrizione delle atrocità da un lato, l’emergere delle espressioni di solidarietà e di aggregazione delle internate dall’altro.
Il modello è quello appreso in fabbrica, prima vera e propria palestra di relazioni interpersonali per la giovanissima Teresa:
“… mi piaceva “fare”, creare qualche cosa con le mie mani, vedere intorno a me altre ragazze intente al mio stesso lavoro, con i miei stessi problemi, che si affaticavano e pensavano come me. Capii che la fabbrica era soprattutto questo, che questo era il cemento della classe operaia”. <3
E altrove:
“… come nelle officine [le donne] lavorano accanto ad essi [gli uomini]; […] è l’officina che ha trasformato l’impiegata, la serva, la sartina […] in pugnaci proletarie”. <4
Il romanzo che meglio di altri ripercorre la progressiva consapevolezza della condizione di partenza e il superamento di essa attraverso l’attività politica è “Gioventù senza sole”, romanzo del “divenire”, se non di vera e propria formazione. <5 Il percorso – che viene narrato attraverso la crisi di identità congiunta di fratello e sorella, scelta che permette il doppio sguardo, femminile e maschile, sulla realtà – va dall’analisi, talora non priva di ingenuità, dei sentimenti dell’io narrante, al rancore, al desiderio di farsi giustizia da sé, all’approdo finale verso l’agire politico (nelle forme dell’adesione alla “società giovanile” e al partito), unica modalità attraverso cui sia possibile modificare alla radice le condizioni di vita. Importante, in questo contesto, come vedremo, il ruolo attribuito alla diffusione dell’informazione.
Numerosi i nuclei politico-ideologici su cui la Noce insiste. Accennerei a tre: il femminismo, la lettura e l’informazione.
L’idea di base del femminismo è quella della palingenesi insita nel progetto del Partito Comunista, vale a dire, la convinzione che il rinnovamento delle istituzioni, prodotto dalla rivoluzione sociale, possa mutare anche il ruolo delle donne. Così, pur non negando l’esistenza di una «questione femminile» al di là dei partiti, essa rientrerebbe nel «problema più vasto del genere umano». <6 «Non posso dire di avere avuto una coscienza femminista»; «Ho sempre agito per esigenza di giustizia generale», <7 così si esprime retrospettivamente Teresa Noce che non ha mai condiviso la posizione di chi caldeggiava le «organizzazioni differenziate per sesso», e a cui non è mai piaciuto parlare di «lavoro
femminile». <8 Tuttavia, il processo di trasformazione della condizione delle donne, dentro e fuori casa, la cui particolare complessità è riassunta nel compito di lottare «oltre che per se stesse in quanto italiane e lavoratrici, per le loro famiglie e per l’avvenire dei figli», <9 non solo non trovava sostegno, bensì incontrava ostacoli nel Partito stesso. Dunque, duplice risultava loro la lotta, dovendo esse contrastare sia l’orientamento del fascismo, che le voleva relegate «nel gineceo, tra figli e cucina», <10 sia l’ideologia dei compagni di partito.
Si situa alla fine degli anni Quaranta la denuncia dello scandalo dei più di due milioni di ragazze fra i quattordici e i vent’anni, che lavorano a un salario inferiore a quello che dovrebbe essere loro corrisposto. Le Cenerentole del mondo industriale moderno indossino il fazzoletto rosso, cessino di aspettare «nel buio, nel freddo del focolare spento» improbabili principi azzurri e escano allo scoperto, esorta Teresa Noce. Prive dei diritti all’istruzione, delle possibilità di carriera, della tutela in quanto madri, spesso sono spinte alla prostituzione, in un mondo che non riconosce loro né dignità, né diritti, né tanto meno la centralità del loro ruolo nella difesa dei valori della pace e della famiglia. <11
Alla luce delle difficoltà incontrate con il compagno di vita, padre dei suoi figli e successivamente marito Luigi Longo, e in genere a seguito delle esperienze di subordinazione femminile sperimentate all’interno del Partito, le sue riflessioni sui rapporti tra i sessi si orientano, progressivamente, nel senso di individuare nel primato maschile le responsabilità e le colpe di una situazione di disparità e ingiustizia che è sotto gli occhi di tutti:
“Mentre i compagni che venivano a casa nostra discutevano con me e chiedevano il mio parere sui problemi che ci interessavano, di fronte a qualche mia domanda Longo era capace di rispondere seccamente: “Non sono cose che ti riguardano”. Forse la colpa era anche un po’ mia e del mio carattere impulsivo che mi opponeva sovente a lui, anche di fronte ai compagni. Ma il fatto stava che io non ero più l’operaia timida e primitiva di due anni prima. […] Avevo imparato molto e mi ero maturata politicamente. Ero sempre innamorata di Longo, ma non mi sentivo affatto inferiore a lui”. <12
D’altra parte, l’insegnamento di Gramsci (che diceva «che, in famiglia, la divisione del lavoro non deve essere tra lavoro politico – tutto al marito – e quello di casa – tutto alla moglie –; ma che due compagni devono dividersi fraternamente tutti i lavori, politici, sociali e culturali, quanto quelli di casa») sembra non avere fatto proseliti e essere rimasto nei fatti inascoltato («Sì, Gramsci ha ragione. Ma Gramsci… è Gramsci»). <13
L’ambiguità dell’uomo di sinistra è rappresentata efficacemente in “Gioventù senza sole” dalla figura del caposquadra, il «vero tipo dell’operaio torinese», serio, responsabile e politicizzato che, tuttavia, non nutre grande stima per le sue compagne di lavoro. Fa eccezione Maddalena che legge, come lui, «l’Avanti!» e che spesso gli muove critiche anche pesanti:
“Non voleva che egli disprezzasse le sue compagne di lavoro […]. Cosa aveva mai fatto, lui, un uomo, un operaio istruito, qualificato; cosa avevano fatto gli altri uomini per rendere migliori le donne, per farne, invece di gradevoli amanti e di mogli ubbidienti, delle vere compagne nella lotta per la vita, per un avvenire migliore?2 <14
D’altro lato, se la scelta del PCI di confinare le donne nell’UDI «o nelle cellule femminili» è criticabile, se «certamente le donne hanno fatto per il partito molto più di quanto il partito abbia fatto per loro», le donne stesse non sono tuttavia esenti da un severo giudizio: «non hanno lottato e non lottano abbastanza come donne» – ritiene la Noce, che riassume la questione in un ordine perentorio: «Non lagnatevi! Lottate!».
E se è vero che le «manifestazioni femministe», per poter avere una funzione «dirompente, di rottura» dovevano essere «di sole donne» (e in questo senso il «movimento femminista ha infatti avuto una carica e un valore»), è anche vero che altro è il compito del Partito Comunista, il quale «deve interessarsi a questi problemi in modo generale e farli diventare propri di tutta la società».
In conclusione, «a loro compete di far esplodere le contraddizioni, a noi di trasformare istanze particolari in questioni di portata generale». <15
L’apprendimento della lettura è stato un fatto centrale nella vita di Teresa. A partire dai primi e unici anni di scuola, i libri le hanno permesso di superare la solitudine, procurandole contemporaneamente un profondo senso la libertà. Il trovarsi nell’impossibilità di leggere e reperire libri, rese l’internamento nei campi di morte doppiamente disperante.
Oltre ad alcune indicazioni di testi letti per scopi pratici (come l’intera biblioteca dei manuali Hoepli relativi alla didattica del giornalismo), <16 o per diletto (le protagoniste dei romanzi della Noce, anche se povere e ignoranti, posseggono una naturale inclinazione alla lettura: come Maddalena in “Gioventù senza sole”, che «pensava se doveva dare il soldino alla madre oppure comprarsi il Novellino Rosa», il giornaletto che ospitava fiabe così belle da «sognare tutta la settimana»; e i sogni di una casa, di una famiglia, sono in realtà rivendicazioni, ricorda Teresa); <17 oltre alle letture dei narratori russi (Tolstoj e Dostoevskij) e dei politici (Marx, Lenin ecc.) – tutte letture che rientrano nel percorso formativo di Teresa, che ce ne parla nella sua autobiografia –, sono particolarmente interessanti le riflessioni sul processo di identificazione prodotto nei suoi personaggi femminili dalla lettura dei romanzi. Non nelle eroine, come ci si aspetterebbe, ma negli eroi dei romanzi si rispecchiano le lettrici del repertorio narrativo della Noce. Le donne dei suoi racconti rifiutano l’icona della maliarda passiva e seduttrice circolante in tanta letteratura sentimentale e fumettistica destinata al pubblico femminile (che qui viene indirettamente sottoposta a critica), e prediligono la franchezza e l’inclinazione all’azione che connotano i personaggi maschili. Così, Maddalena:
“Nei suoi sogni e fantasticherie non aveva mai, beninteso, la parte passiva delle eroine dei libri, ma quella attiva dell’eroe. Di ciò che facevano le donne, in generale, le importava poco; esse non sapevano far altro che sedurre e farsi rapire dal nemico. Maddalena, invece, voleva far ben altro: combattere, assalire le navi, cacciare le tigri, domare le belve…” <18
Per quanto riguarda il giornalismo il passaggio alla lotta clandestina coincide, per Teresa Noce, con l’inizio dell’attività giornalistica, svolta con il nome di battaglia di Estella. Alla chiusura de «L’Avanguardia», foglio volante che gli operai in fabbrica – racconta la Noce – leggevano di nascosto, fa seguito la pubblicazione della «Voce della gioventù», cui è chiamata a collaborare:
“… io sono una semplice operaia, ho frequentato appena le scuole elementari e soltanto alcuni mesi or sono non sapevo neanche da dove si doveva cominciare per fare un giornale. Ma ho imparato tutto questo, come ho già imparato altre cose nella mia vita. E imparerò ancora, imparerò di più. La saggezza popolare dice: nessuno nasce giornalista. Lo si diventa. E io lo diventerò perché è necessario, perché la “Voce della gioventù” deve poter continuare a uscire e anche – perché no? – perché il lavoro giornalistico mi piace e spero di riuscire ad imparare a farlo bene”. <19
Da quella prima esperienza, innumerevoli sono stati i fogli e le testate cui Teresa Noce ha collaborato, da «Compagna» a «Fanciullo proletario», da «Il Galletto rosso» (destinato ai bambini, i comunisti del futuro), agli opuscoli clandestini compilati durante il suo soggiorno parigino, fra cui il più noto è «Azione popolare»; al «Grido del popolo», fondato durante il suo soggiorno in Spagna. Fra le collaborazioni alla stampa libera, sono da segnalare almeno «Noi Donne» (cui collaborò durante la direzione di Xenia Sereni, che si firmava con il nome di Marina), e «l’Unità».
Ma più che un excursus sulla sua lunga e intensa attività di giornalista militante, che la portò ad animare e fondare testate e a collaborarvi ovunque si trovasse a vivere, sono interessanti le pagine dell’autobiografia nelle quali racconta le modalità della nascita, composizione e diffusione dei giornali in regime di clandestinità. Lei, operaia e inesperta della scrittura, dice di avere seguito il consiglio di Leonetti e di avere comprato «tutta la biblioteca Hoepli», imparando da quei manuali il lavoro di redattrice, di amministratrice e di impaginatrice e cavandosela nel complesso piuttosto bene. <20 A suo modo di vedere, nel mestiere del giornalista, più che la professionalità e la tecnica, è il dare la parola ai giovani, agli operai, ai lavoratori, alle donne, ossia al pubblico cui i vari fogli sono destinati, ciò che produce una concreta ed efficace ricaduta politica. Tuttavia, nonostante sia sempre stata convinta sostenitrice del ruolo fondamentale della circolazione di informazioni nella militanza politica, in particolare nella fasi più rischiose della clandestinità, e nonostante in certi momenti della sua vita si sia dedicata alla propaganda giornalistica con una dedizione totale (memorabili le pagine in cui descrive la propria instancabile e pericolosa attività di diffusione delle notizie sulla condizione delle internate nei campi di morte al fine di realizzare una collaborazione interna fra le prigioniere), nonostante tutto anche il lavoro di giornalista, a un certo punto, le pare “burocratico”, perché in Estella periodicamente interviene prepotente il bisogno di azione:
“… avrei voluto dimostrare ai compagni che le donne comuniste sanno dirigere anche operativamente, partecipando a tutta l’azione del Partito, e non solo lavorare a tavolino, scrivendo opuscoli o preparando qualche numero di “Compagna” illegale. E invece dovevo limitarmi a fare proprio quel lavoro. Preparavo soprattutto le matrici di “Compagna” su una speciale carta che consentiva di riprodurre, con un solo originale, fino a 50-60 copie. In quasi tutte le valigie dei compagni mettevamo qualcuna di queste matrici preparate da me, ma per i miei gusti si trattava sempre di un lavoro piuttosto burocratico e non da rivoluzionaria professionale come intendevo essere io”. <21
Teresa era consapevole che il lavoro di militanza doveva passare anche attraverso la preparazione e la stampa di opuscoli propagandistici, ma si è sempre trattato di un’attività marginale che abbandonava non appena si affacciavano opportunità di lavoro politico più congeniali:
“… ma intanto io che mi ero impegnata a fondo per la svolta, che cosa avrei potuto fare per il lavoro in Italia? Non potendo far altro, presi a preparare articoli per la stampa clandestina e opuscoli destinati all’Italia sui più svariati argomenti: dalla rivolta torinese del 1917 all’agitazione contro i caroviveri del 1919 e dall’occupazione delle fabbriche in Italia alla situazione degli operai in Unione Sovietica. Nello stesso tempo seguivo la stampa fascista cercando di preparare qualche studio sulla situazione della classe operaia in Italia”. <22
«Rivoluzionari professionali» è la definizione data da Lenin per indicare i «comunisti che si dedicavano completamente al lavoro di partito, sia teorico che politico e operativo». <23 E Teresa Noce lo è stata, con la sua militanza, con i suoi scritti autobiografici che la testimoniano e la raccontano, con la sua attività di giornalista. Narrazione e giornalismo, scrittura soggettiva e scrittura oggettiva costituiscono i due poli di uno stesso impegno politico.
[Note]
1 T. Noce, Rivoluzionaria professionale, La Pietra, Milano 1974 [Bompiani, Milano 1977]; Gioventù senza sole, pref. di E. Sereni, Macchia, Roma 1950 [Editori Riuniti, Roma 1978], … ma domani farà giorno, pref. di P. Nenni, Cultura Nuova, Milano 1952; Vivere in piedi, Mazzotta, Milano 1978.
2 Ivi, pp. 190 sgg.
3 Rivoluzionaria professionale, cit., p. 29.
4 Gioventù senza sole, cit., p. 199.
5 Cfr. P. Bono, L. Fortini (a cura di), Il romanzo del divenire. Un “Bildungsroman” delle donne?, Iacobelli, Roma 2007.
6 Teresa Noce, in E. Scroppo (a cura di), Donna, privato e politico. Storie personali di 21 donne del PCI, Mazzotta, Milano 1979, pp. 38-56.
7 Ivi, pp. 39-40.
8 Rivoluzionaria professionale, cit., p. 339.
9 Ivi, p. 128.
10 Ivi, p. 84.
11 T. Noce, Cenerentola ha messo il fazzoletto rosso, La Stampa moderna, Roma 1949, p. 5.
12 Rivoluzionaria professionale, cit., p. 84.
13 Vivere in piedi, cit., p. 160.
14 Gioventù senza sole, cit., pp. 260, 262.
15 Teresa Noce, in E. Scroppo (a cura di), Donna, privato e politico, cit., pp. 44, 43, 38, 49.
16 Vivere in piedi, cit., p. 113.
17 Gioventù senza sole, cit., p. 5.
18 Ivi, p. 36.
19 Vivere in piedi, cit., p. 101.
20 Ivi, cit., p. 113.
21 Rivoluzionaria professionale, cit., pp. 133-134.
22 Ivi, p. 126.
23 Ivi, p. 122.
Luisa Ricaldone, Leggere il mondo a partire da sé: Teresa Noce in (a cura di) Adriana Chemello e Vanna Zaccaro, Atti del Convegno “Scritture di donne fra letteratura e giornalismo” Bari, 29 novembre-1 dicembre 2007, III, Collana del Comitato Pari Opportunità, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, 2011