Le azioni della Volante Mingo non terminarono neppure dopo la morte del Capitano

Forte del Giovo – Fonte: Wikipedia

La Volante del Gruppo Celere Autonomo (poi “Mingo”), pur avendo operato in un periodo relativamente breve (pressappoco dal febbraio ’44 al gennaio ‘45), fu probabilmente il gruppo più attivo della zona Ovadese.
In un primo tempo, cioè fino all’inizio del mese di maggio, si chiamava semplicemente “Volante Rossa”, a chiara indicazione dell’indirizzo politico imposto al gruppo dal Commissario Alfonso Ferraris “Luigi”.
Cambiò il suo nome in “Mingo” solo quando nella piccola formazione entrò Domenico Lanza.
Originariamente composta da quattro molaresi e dal Ferraris, fu autrice di numerose azioni di cui però è difficile ricostruire la cronologia precisa non esistendo in proposito alcuna documentazione.
Le azioni ebbero in un primo tempo lo scopo di aumentare l’armamento a disposizione e poi, una volta organizzata la formazione, di disturbare il nemico con ogni mezzo.
Le disposizioni che il Commissario aveva ricevuto dal CLN prevedevano il divieto di compiere azioni nella zona di Ovada in quanto era stato deciso che la zona in questione sarebbe stata utilizzata essenzialmente come luogo di “lavoro” per l’approvvigionamento delle formazioni partigiane dislocate sulle alture circostanti.
Nel caso ci fossero state azioni di un certo rilievo ai danni dei tedeschi, questi ultimi avrebbero certamente provveduto ad operare rastrellamenti e a inasprire le già frequenti confische di beni materiali e alimentari a danno della popolazione residente.
Tranne rari casi, infatti, le azioni della Volante si svolsero a decine di chilometri di distanza dal proprio Comando.
L’unica data certa riguarda due azioni risalenti alla fine dell’estate e che consistettero nell’organizzazione di un posto di blocco nell’identico modo in cui erano soliti agire i nazifascisti.
Identificato come luogo più adatto una zona appena fuori l’abitato di Molare (in direzione di Cremolino), gli uomini della Volante, travestiti da militi delle Brigate Nere con tanto di “M” rossa sul petto, incominciarono a fermare i mezzi motorizzati che transitavano.
Lo scopo era quello di bloccare qualche mezzo tedesco o fascista e disarmarne gli occupanti.
Per premunirsi contro il possibile arrivo di un camion con a bordo un grande numero di soldati tedeschi, piazzarono la loro macchina in una piccola stradina appena sotto quella principale e un uomo di sentinella in cima alla collina.
Il primo giorno fermarono un camion con a bordo un polacco e un italiano. Disarmati i due, il camion si rivelò completamente vuoto. Mentre l’italiano venne lasciato andare a bordo del camion, il polacco fu favorevole alla proposta di unirsi alla Volante, e da quel momento divenne “ufficialmente” prigioniero.
Il giorno seguente, sempre nello stesso luogo, la stessa azione si svolse a danno di due soldati tedeschi, un capitano e un maresciallo, che a bordo di una macchina stavano tornando da Acqui. Aldo Ivaldi “Dick”, il comandante della Volante, dopo che ebbe intimato l’ ”ALT” con tanto di paletta e chiesto i documenti, puntò il mitra sui due occupanti. Nello stesso istante i suoi compagni si avvicinarono e i due tedeschi vennero prontamente disarmati. Oltre ad impossessarsi della macchina, non potendo lasciare i due soldati sul posto e pensando di poterli utilizzare come mezzo di scambio con partigiani prigionieri, i partigiani della Volante portarono i due tedeschi al proprio Comando di Olbicella [Frazione di Molare (AL)] e si impossessarono della macchina, una Fiat 1100 scoperta.
Vi sarebbe stata l’intenzione di proseguire con il posto di blocco anche il giorno seguente ma, saputo da De Prà (uno degli interpreti utilizzati dal Comando di Ovada) che i tedeschi avevano disposto un servizio di mezzi civetta, “Dick” e compagni capirono che continuare sarebbe stato troppo azzardato.
Potendo contare, oltre che sulla macchina prelevata ai due tedeschi, anche su un’altra vettura (una Lancia “Aprilia” nera, donata al gruppo da un antifascista ovadese), gli uomini della Volante pensarono di tenerne nascosta una nei pressi di Pian Castagna, l’altra vicino a San Luca.
La prima serviva soprattutto per le azioni nel versante savonese, l’altra per quelle nell’Alessandrino.
L’azione più frequente consisteva nel forzare i posti di blocco (gli scontri a fuoco erano praticamente all’ordine del giorno), ma gli uomini della Volante si impegnarono nelle azioni più diverse, anche di propaganda antifascista.
È il caso di un’azione che venne compiuta a Fresonara: entrati nel cinema locale durante una proiezione, salirono sul palco e fecero un breve discorso volto a convincere i molti spettatori presenti a rendersi anch’essi autori di piccole azioni di sabotaggio ai danni dei tedeschi.
Un’altra azione ebbe lo scopo di risolvere, almeno in parte, il problema del sostentamento. Infatti, anche se molti contadini e alcune famiglie benestanti fornivano il loro aiuto (alcuni di questi ultimi forse per rifarsi una “verginità” dopo anni di sostegno al fascismo), il problema dell’alimentazione era senza dubbio serio.
Già d’accordo con i militi della “Monterosa” che erano di guardia, gli uomini della Volante entrarono in un deposito nei pressi di Predosa e si impossessarono di una cinquantina di cavalli da tiro che vi erano custoditi.
Attraverso un lungo percorso onde evitare di transitare da Ovada, i cavalli vennero poi lasciati liberi per i boschi intorno a San Luca e furono utilizzati per ricavare carne da mangiare e come merce di scambio con i contadini della zona che fornivano ogni genere di alimenti.
La zona che più frequentemente era teatro delle azioni della Volante era quella del Sassello.
In una giornata piovosa venne fermato un camion della ditta AFRA, dei fratelli Robino, che eseguiva i trasporti con l’autorizzazione dei tedeschi.
I mezzi autorizzati erano chiaramente distinguibili poiché recavano sulla parte anteriore il contrassegno “Z” (che attestava appunto la libera circolazione) ma i mezzi così contrassegnati collaboravano con le forze tedesche.
Il Capitano Mingo riuscì a salire sul predellino del camion in corsa: mentre con una mano si teneva alla maniglia della portiera, con l’altra puntò l’ombrello alla gola del conducente e gli intimò di fermare immediatamente il mezzo.
Il camion si rivelò carico di parecchi quintali di stoffa per tovaglie, materiale che venne interamente distribuito alla popolazione: nei mesi successivi moltissimi contadini, sotto la giacca, indossavano camicie ricavate da quella stoffa quadrettata.
Verso la fine di agosto la Volante organizzò una serie di posti di blocco sulla strada del Sassello e in un’occasione catturò e disarmò un gruppo di tedeschi e un tenente italiano di stanza presso il locale presidio. L’italiano implorò di aver salva la vita, promettendo di preparare un incontro tra i partigiani e i suoi superiori. Venne lasciato libero il tenente e dopo una decina di giorni, nei locali del presidio del Sassello, ebbe luogo l’incontro a cui parteciparono “Dick” e “Luigi”. Dopo una lunga discussione si giunse a un accordo che prevedeva che entrambe le parti non avrebbero fucilato uomini dell’altra eventualmente catturati. Dall’accordo venivano ovviamente esclusi i soldati tedeschi.
Un’altra azione degna di nota riguarda l’irruzione notturna che gli uomini di Mingo fecero nel Forte del Giovo, vicino al Sassello. Nell’occasione i tedeschi furono colti completamente di sorpresa. Dopo un breve scontro a fuoco i soldati furono costretti a rifugiarsi in una costruzione interna al forte, mentre alcuni partigiani rovistavano tra il materiale incustodito alla ricerca di armi che però non trovarono. Riuscirono però a impossessarsi di un buon numero di divise tedesche. <57
Le azioni della Volante Mingo non terminarono neppure dopo la morte del Capitano. Infatti, dopo la vasta azione tedesca del 10 ottobre, la Brigata Bonaria si ricostituì e entrò a far parte della Divisione Mingo, che prese appunto il nome dell’eroico Comandante.
Si assistette alla fine della Brigata solo alla fine del mese di gennaio ’45 quando, in seguito a delazione, lo Stato Maggiore della Bonaria si sfasciò <58: gli elementi che riuscirono ad evitare l’arresto confluirono in altre formazioni mentre gli altri dovettero subire l’esperienza della deportazione nei campi di concentramento. Chi riuscì a sopravvivere alla prigionia poté rientrare in Italia soltanto nell’estate 1945. <59, <60
[NOTE]
57 Testimonianza di ALDO IVALDI “DICk”, Comandante della Volante Mingo, raccolta dall’autore in VHS.
58 Per la ricostruzione delle azioni della Volante Mingo ci si è avvalsi della testimonianza di ALDO IVALDI “DICk”, Comandante della Volante stessa.
59 AA.VV., Memoria anonima depositata presso l’Istituto Storico della Resistenza di Alessandria, in 7 Maggio 1989, Inaugurazione Sacrario di Pian Castagna, Episodi e memorie della lotta partigiana, 1989, p.17
60 Nota di ANDREINO OLIVERI: Sabatino Dinello “Tino”, nato a Pacentro (AQ) nel 1915, venne fucilato a Genova Castelletto, in località Righi, il 1° febbraio 1945. Solo negli istanti precedenti la sua fucilazione confessò al Cappellano la vera identità, avendo sempre fornito il nome di Tino Silvestri (dal cognome da nubile della madre). Alfonso Ferraris “Luigi”, nato a Savona nel 1902, venne fucilato a Genova Sestri in Piazza Baracca il 15 gennaio 1945.
Andrea Barba, Il Capitano Mingo e la Resistenza nella Valle dell’Orba, ANPI Molare (AL) – Memorie dell’Accademia Urbense (nuova serie) n. 47, Ovada, 2001

Per quanto concerne il Ponente ligure ed il Basso Piemonte, si ebbero almeno tre grosse operazioni che precedettero l’attacco alle formazioni del Savonese, lasciate per ultime forse per una loro minore consistenza.
Dapprima una serie di puntate offensive compiute tra il 7 ed il 10 ottobre scompaginarono gravemente l’Ottava divisione GL “Braccini” (azionista) e la divisione “Ligure – Alessandrina” (garibaldina) e che occupavano rispettivamente la montagna acquese e l’alta valle dell’Orba, nelle immediate adiacenze della Seconda zona. Durante questo rastrellamento rimase ucciso in combattimento, tra gli altri, il savonese Domenico Lanza “Mingo” (medaglia d’oro alla
memoria, capitano di complemento degli alpini e comandante della brigata garibaldina “Bonaria”; il suo nome di battaglia fu poi dato alla forte divisione sorta sulle ceneri della “Unificata Ligure – Alessandrina”.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet – La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

Esigenze di approvvigionamento costringono la brigata Garibaldi ligure-alessandrina e la divisione Garibaldi “cap. Mingo” a sconfinare in provincia di Alessandria nel mese di novembre. Senza particolari problemi, i garibaldini trovano un accordo con la formazione presente, la VIII divisione GL, per creare un confine convenzionale tra i gruppi piemontesi e quelli liguri. <790 Gli incontri però non sempre si concludono con un accordo tra le parti. Divisioni garibaldine, secondo denunce presentate dal Comando regionale GL, minacciano e operano disarmi nei confronti delle formazioni azioniste nelle zone del Monferrato, dove il comandante della IX divisione «viene minacciato a mano armata», <791 e dell’Alessandrino, dove le Garibaldi tentano di inquadrare forzosamente i reparti dell’VIII Divisione GL durante un incontro fissato per discutere sulle delimitazioni di zona. <792 Il commissario politico della “Banda Luciano” ricorda che «all’incontro si presenta il vice comandante garibaldino, “Krasni”,» che insieme a una quindicina dei suoi uomini impone la consegna delle armi «al distaccamento GL […] motivando l’atto delittuoso con ipotetiche e cervellotiche accuse ed aggiungendo: “Tutte le formazioni G.L. della zona devono sparire. O ci consegnate le armi o sono già belle e pronte le fosse per chi resiste”». <793
[NOTE]
790 “Relazione”, Alla delegazione Ligure per le formazioni G.L., [a matita] 12.11.44 in AISRP, B 29 c. Nel documento la divisione “cap. Mingo” è indicata come appartenente alle GL, ma l’unica divisione con quel nome in quell’area è inquadrata nelle Garibaldi.
791 “Disarmi e atti di ostilità contro le G.L.”, Formazioni Giustizia e Libertà – Comando per il Piemonte alla Delegazione regionale piemontese delle brigate d’assalto Garibaldi, 11.11.44 in AISRP, B 30 b
792 «[…] il giorno 11 c.s. [novembre] si doveva addivenire ad una missione tra il sottoscritto ed il Comandante di Brigata, Mancini, appartenente alla Divisione Garibaldina di Alessandria, […] per le delimitazioni di zona», Relazione del commissario politico della Banda Luciano al Comando Alta Italia dell’esercito di liberazione nazionale, 10.12.44 in AISRP, MAT/ac 14 d
793 Allontanatosi per altri incarichi, l’ex commissario della banda denuncia un nuovo atto di disarmo compiuto dai garibaldini ai danni dei distaccamenti GL e scrive che nelle azioni dei garibaldini «lumeggia l’inganno, la malafede e la doppiezza». Il commissario conclude la relazione riportando altri due episodi, riferitigli dallo stesso Krasni, il primo al distaccamento “Cima P.”, in cui «un patriota GL ci lasciò la vita», il secondo al «distaccamento di Cava, in cui i patrioti assassinati furono tre», Relazione del commissario politico della Banda Luciano al Comando Alta Italia dell’esercito di liberazione nazionale, 10.12.44 in AISRP, MAT/ac 14 d
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013