Le carte dei comandi tedeschi in Italia sono state in gran parte distrutte

Tra il 9 settembre 1943 ed il 2 maggio 1945, date di inizio e fine dell’occupazione tedesca, furono deportati (o uccisi) dall’Italia poco più di 8.000 ebrei, su una popolazione (compresi gli stranieri), di circa 47.000, <1 una percentuale paragonabile a quella degli altri paesi dell’Europa occidentale, anche se l’Italia Centro settentrionale fu occupata per molto meno tempo. A Roma, ad esempio, i circa 750 ebrei catturati dopo la razzia del 16 ottobre 1943, furono presi in un arco di tempo di 7 mesi e mezzo: un periodo relativamente breve che conferma l’efficacia degli organi della SiPo-SD nella ex capitale del Regno, nonostante l’esiguo numero delle forze a disposizione. Lo scopo di questo saggio è di descrivere la prassi della persecuzione, per capire quali siano stati i metodi che hanno portato a risultati così tragicamente soddisfacenti per i persecutori. Questo studio verrà limitato a quattro comandi locali della polizia tedesca, gli Außenkommandos di Roma, Milano, Torino e Genova, per verificare come lavoravano sul campo i poliziotti tedeschi e i loro collaboratori italiani. Le quattro città sono state scelte perché con importanti comunità ebraiche e perché all’interno del territorio nominalmente controllato dalla Repubblica Sociale Italiana (RSI). Si è volontariamente evitato, quindi, di studiare le zone direttamente occupate dai tedeschi, l’Adriatisches Küstenland e la Operationszone Alpenvorland, e questo allo scopo di capire la prassi della polizia tedesca in un paese occupato ma anche alleato della Germania.
Le fonti rappresentano un problema notevole. Le carte dei comandi tedeschi in Italia sono state in gran parte distrutte e le poche rimaste non sono di particolare interesse per quanto riguarda la persecuzione degli ebrei. Gli ordini e i rapporti relativi all’arresto degli ebrei da parte della polizia tedesca finora ritrovati sono molto pochi, e sono soprattutto quelli provenienti da Berlino, cosa che permette di avere un quadro delle politiche generali, ma non danno informazioni su come questi ordini venivano eseguiti dai comandi locali. Altre informazioni disponibili provengono dai processi avvenuti nel dopoguerra (processi Eichmann, Boßhammer e Bovensiepen), che permettono se non altro di capire l’organigramma dei vari comandi di polizia in Italia e il funzionamento a livello generale. Le fonti italiane invece sono molto più ricche, in quanto parte delle carte della polizia fascista sono ancora disponibili, soprattutto quelle del Ministero dell’Interno della RSI, e i numerosi processi svolti nel dopoguerra contro i collaborazionisti danno informazioni dettagliate sulla collaborazione italo-tedesca. Tuttavia queste fonti sono molto frammentate, in quanto si trovano disperse nei diversi archivi di Stato locali, cosa che rende molto impegnativo questo tipo di studi. Anche per questo motivo, lo stato della ricerca è ancora allo stato embrionale e solo nell’ultimo decennio ha fatto degli importanti progressi.
Il primo lavoro di grande importanza e profondità sulla Shoah in Italia è stato quello di Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo del 1961, nel quale veniva sottolineata la cooperazione degli organi di polizia della RSI nella persecuzione. <2 Cinque anni dopo uscì il saggio di Enzo Collotti dedicato alla polizia tedesca in Italia <3 che diede un primo inquadramento, e dei numeri, sulla struttura della SiPo-SD nella Penisola. Per alcuni anni, fino alla prima edizione de “Il libro della Memoria”, di Liliana Picciotto Fargion, <4 e negli gli anni immediatamente successivi, le ricerche non hanno fatto altri passi avanti. Lo studio della storica del Cento di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) di Milano, con l’enorme mole di informazioni che forniva, poteva ritenersi sotto molti punti di vista esaustivo. Nel 2001 venne pubblicato il libro curato da Costantino Di Sante, I campi di concentramento in Italia, <5 che conteneva due importanti saggi di Enzo Collotti <6 e di Luigi Ganapini. <7 Nel 1997, nel frattempo, era uscito il lavoro di Lutz Klinkhammer, “L’occupazione tedesca in Italia”, <8 che apriva una nuova stagione di studi.
[…] Torino
Purtroppo le notizie relative a Torino sono ancora più scarne. Il comandante era Alois Schmidt, un austriaco nato ad Aggsbach nel 1896, che aveva fatto tutta la sua carriera nella polizia viennese. Nell’agosto del 1943 si trovava ad Innsbruck quando fu inviato a Milano dove conobbe Rauff. Questi lo inviò, con 28 uomini, a Torino per creare l’AK che prese la sua sede nell’Hotel Nazionale, il 25 settembre, nella centralissima via Roma. <79 Degli altri appartenenti si hanno poche notizie. Il reparto IV era comandato dall’SS Ostf. Johann Schuh (n. Rabesreith, 1910), e forse lavorò con lui anche Albin Eisenkolb. Di sicuro vi erano parecchi austriaci all’interno della Gestapo di Torino, tra i quali Hannibal Cagol (Bozen), Karl Haunold (Vienna), che ricopriva il ruolo di Judenreferent, Karl Mang (Vienna), Karl Schuster (Vienna), Anton Schuchter (Innsbruck). Non è escluso, quindi, che Schmidt abbia portato con se alcuni suoi ex collaboratori della polizia austriaca.
Genova
La struttura e il personale dell’AK Genua mantenevano le stesse caratteristiche degli altri comandi della zona Ober Italien West anche se la sua attività, come vedremo, fu abbastanza peculiare. Il comandante, da gennaio 1944, era Siegfried Engel (n.1909) nativo di Warnan Hawel, un paesino del Brandemburgo. Laureato in lettere, iscritto abbastanza giovane allo NSPAD (1934) anche se dopo la presa del potere da parte di Hitler. Dopo aver militato per un paio di anni nelle SA, nel 1936 entrò nelle SS. Allo scoppio della guerra aveva servito per pochi mesi in Norvegia per poi essere richiamato allo RSHA nel dicembre 1940, dove aveva lavorato nel reparto Ib1 (sorveglianza sulle scuole). Nel 1944, dopo alcuni soggiorni in altre zone d’Italia, era stato inviato a Genova a ricoprire l’incarico di capo dell’AK, dove aveva sostituito tale Guido Zimmer. <80 Questi, nato in provincia di Dortmund nel 1891, aveva perso il lavoro a causa della crisi economica degli anni Trenta, ed era successivamente entrato prima nel Partito (nel 1932) e poi nelle SS (nel 1936). <81
L’AK Genua era particolarmente sfornito di personale, i poliziotti tedeschi erano soltanto una dozzina, ai quali però si aggiungevano numerosi collaborazionisti italiani. Il reparto III era diretto da tale maggiore Neumann e poi dal tenente Kurt Vedel (da dicembre 1944). In questo reparto operavano il maresciallo Ernest Hertel (censura sulla stampa) e il tenente Max Bauer, che vigilava sugli impianti industriali. <82 I reparti IV e V erano alle dipendenze di Otto Kaess (nativo di Colonia), ed erano i più importanti, dato che si dovevano occupare dei “nemici ideologici” e dei partigiani. Nella lotta anti partigiana erano impegnati il tenente Otto Griser, i marescialli Giuseppe Frontul e Giuseppe Peters ed il tenente Kroner, coadiuvati da alcuni italiani: Ezio Radossi, De Romedis (conosciuto come “Gigi”), e da tal Capone. Il reparto IVb era diretto da Giovanni (Johann) Jannich, dal barone von Slazer e dall’interprete Tommaso Ungerer. <83 Alle dirette dipendenze di Kaess vi era anche un altro tedesco, Wolfgang Ableiter, che aveva vissuto a lungo a Genova e fungeva quindi da interprete. Era nato a Stoccarda nel 1902 ed era entrato nel Partito nel 1930. Negli anni Trenta faceva il commerciante a Genova, dove era stato incaricato dal partito di fare propaganda tra i marinai tedeschi. Dal 1941 al 1943 aveva lavorato nella polizia di frontiera, sempre a Genova, e quando Kaess si era installato aveva messo in piedi un gruppo di una decina di informatori per lo SD. <84
Il VI reparto, direttamente agli ordini di Wolff, con compiti di spionaggio, era diretto dal tenente Michelsen. Esisteva anche un ufficio distaccato della Gestapo, in via Assarotti, che aveva a sua disposizione un numero molto elevato di collaborazionisti e informatori italiani.
La sezione tedesca del carcere di Marassi, la IV, era diretta da Ernest Poikert, sostituito in seguito dal maresciallo Lassner. Nel carcere lavoravano due austriaci, Max Ablinger (n. Bogliaco, 1912) e Hans Janisch (vicinanze di Vienna, 1913). Entrambi questi funzionari avevano abbandonato gli studi a causa della crisi economica ed erano entrati nelle SS nel 1938.
Una visione d’insieme
Dalle poche notizie che si sono riuscite ad accumulare, si possono solo proporre delle ipotesi sul genere di personale e sul modo in cui era stato scelto. Innanzitutto bisogna sottolineare che, anche se i piani per l’invasione del paese erano pronti da tempo, la rete degli AK venne realizzata in poche settimane e molto probabilmente fu largamente improvvisata. Il fatto che Schmidt, secondo la sua testimonianza, fosse mandato a Milano il 9 settembre e il 25 dello stesso mese avesse stabilito il suo comando a Torino, permette di capire la fretta con la quale venivano prese le decisioni e con la quale venivano eseguiti gli ordini. Questa velocità probabilmente non permise una scelta del personale con metodi particolarmente ponderati. Schmidt dovette prendere ciò che aveva sottomano.
Per quanto riguarda i vertici, è evidente che si tratta di persone che erano state coinvolte direttamente e ai massimi livelli decisionali nella politica di distruzione degli ebrei. Wolff era nello staff personale di Himmler e aveva visto con i propri occhi l’esecuzione “dimostrativa” di Minsk. Harster era stato il responsabile delle deportazioni dall’Olanda. Rauff aveva ideato i camion a gas ed aveva lavorato nell’Einsatzkommando Afrika. Dannecker era stato il responsabile delle deportazioni dell’estate del 1942 dalla Francia. Boßhammer, ovviamente, anche se era stato fino a quel momento un “perpetratore da scrivania”, avendo lavorato soltanto nella sede centrale dello RSHA, aveva comunque approfondito la “questione ebraica”. Personale specializzato, sicuramente, ma che, anche se non si era sporcato le mani nei massacri di massa che avevano caratterizzato le operazioni mobili di sterminio in Urss, si trattava di personaggi paragonabili ai comandanti degli Einsatzgruppen all’inizio dell’operazione Barbarossa: “Qualunque fosse stata la posizione precedente, molti di questi ufficiali avevano fatto carriera attraverso lo SD di Heydrich. Tutti loro condividevano virtualmente la stessa visione ideologica relativamente agli ebrei, bolscevichi e slavi, e del futuro imperiale della Germania. Così come condividevano le stesse attitudini e la disposizione alla <<energica brutalità>>, spirito d’iniziativa e attivismo che erano le caratteristiche comuni dell’élite intellettuale delle SS.” <85
E’ molto probabile che i vari staff siano stati decisi dagli uomini sul campo, dato che si tratta di gente con una formazione piuttosto simile. Ad esempio Rauff scelse personalmente Alois Schmidt, o comunque fu lui a mandarlo a Torino. Schimdt, che era austriaco, si circondò a sua volta di tirolesi. Forse perché già li conosceva, o forse perché, essendo funzionari “di confine”, probabilmente parlavano, o almeno capivano, l’italiano. Lo stesso Rauff si era affidato in gran parte a tirolesi, probabilmente per gli stessi motivi di Schmidt.
Kappler, invece, semplicemente rimase al suo posto di lavoro, e si trovò a lavorare con suoi ex colleghi che avevano già lavorato all’ambasciata, come Priebke e Köhler, o persone che comunque già conoscevano l’Italia, come Hass e Schütz. Interessante notare come nessuno di questi avesse invece avuto una esperienza nell’Est europeo (Osterfahrung), così importante per la brutalizzazione e radicalizzazione del personale dell’SD. <86 Nello staff di Harster, invece, troviamo almeno quattro funzionari (Kranebitter, Schwinghammer, Eisenkolb e Bemmann), che avevano operato in Urss e negli Einsatzkommandos. Forse non fu un caso. Harster era l’unico, assieme a Dannecker, degli alti funzionari della SiPo-SD ad essere mandato in Italia dopo una lunga esperienza di deportazioni “sul campo”. Possiamo solo ipotizzare che, vagliando i vari curriculum, abbia voluto scegliere quei collaboratori che avevano già avuto delle esperienze “totalizzanti”. Lo stesso vale per Dannecker. Arrivato con pochissimi collaboratori con lo scopo preciso di deportare gli ebrei, si scelse personaggi come Eisenkolb e Haage che anche loro avevano avuto esperienze precedenti “sul campo” di persecuzione degli ebrei.
Per quanto riguarda invece lo staff di Saevecke anche qui si nota come all’interno degli uffici ci fosse una discreta percentuale di altoatesini. Per i collaboratori di Boßhammer, invece, le informazioni disponibili sono troppo poche per poter avanzare ipotesi.
Insomma i comandanti locali, Kappler, Saevecke, Schmidt ed Engel, con ogni probabilità, scelsero del personale che conosceva l’Italia o almeno parlava la lingua. I dirigenti a livello nazionale o regionale, invece, preferirono collaboratori che dessero garanzia di “radicalità” e di “fanatismo” a livello politico-ideologico. <87 Vedremo più avanti se e come queste caratteristiche influirono sulla persecuzione degli ebrei italiani.
Dal punto di vista ideologico, relativamente ai poliziotti tedeschi in Italia, è estremamente difficile poter dare delle risposte alla domanda centrale di ogni studio sulla Shoah: perché? E’ estremamente difficile in quanto nessuno di essi, durante i processi svolti nel dopoguerra, diede una sua spiegazione. I più alti ufficiali, ovviamente, negarono di aver saputo dei campi di sterminio, mentre i quadri minori negarono di aver mai avuto a che fare con gli arresti degli ebrei. Perfino Karl Wolff, negò di aver saputo nulla dello sterminio. Soltanto Kappler e Priebke, per motivi differenti, diedero delle spiegazioni “razionali” al loro antisemitismo.
[…] E’ ovvio che Kappler e Priebke non volevano né essere condannati né essere ricordati come complici di stermini di massa, mentre è altamente probabile, anzi sicuro, che fossero perfettamente a conoscenza della reale sorte degli ebrei che arrestavano e facevano deportare. Non tutti i nazisti erano come Otto Ohlendorf, il quale, subito dopo il suo arresto nel maggio del 1945, non solo ammise, ma anche giustificò il suo comportamento a capo dell’Einsatzkommando “D”, descrivendolo come “legale” ed “umano”. <90 I tempi erano cambiati dalla primavera/estate del 1945, e dopo il processo di Norimberga nessun nazista ebbe più il coraggio di definire “corretto” il modo in cui avevano collaborato alla soluzione della “Judenfrage”. Perfino Wilhelm Harster e Karl Wolff, durante i loro processi, tentarono di negare di essere stati a conoscenza dei campi di sterminio o delle operazioni mobili in Urss. <91 Ma le due testimonianze di Kappler e di Priebke dimostrano il profondo antisemitismo di due “poliziotti comuni”, due funzionari che non solo non avevano mai avuto a che fare con la persecuzione, fino all’autunno del 1943, e che comunque anche dopo, come vedremo, non dimostrarono particolare accanimento nei confronti degli ebrei. Due “normali” funzionari della polizia criminale tedesca, i cui giudizi sulla storia del loro paese dimostrano quanto diffuso fosse l’antisemitismo tra il popolo tedesco, e come questa diffusione abbia, permesso il genocidio. “The moderate anti-Semitism of a large part of the German population, or even the queasiness that many, if not most, German felt in connection with the Jews, was absolutely crucial. It prevented any effective opposition to the murder of an unpopular minority.” <92 [“Il moderato antisemitismo di una grande parte della popolazione tedesca, o almeno il disgusto provato da molti, se non dalla maggior parte, dei tedeschi in connessione con gli ebrei, fu assolutamente cruciale. Essa prevenne ogni effettiva opposizione all’omicidio di una minoranza impopolare.”]
Due antisemiti “moderati”, <93 quali Priebke e Kappler, messi in una posizione chiave, pur con alcuni dubbi sull’opportunità politica delle operazioni di deportazione, non ebbero alcuno scrupolo nell’eseguirle; quando arrivarono ordini chiari e precisi obbedirono senza esitazione, e successivamente non provarono nessun rimorso. Se questa era la posizione di due poliziotti normali, possiamo solo immaginare quale fosse il radicalismo che contraddistingueva invece i vertici della polizia tedesca in Italia i quali, come abbiamo visto, erano dei veri e propri “specialisti” della deportazione e del massacro.
[NOTE]
1 Dati di Liliana Picciotto, Statistical tables on the Holocaust in Italy with an insight on the mechanism of the deportation, “Yad Vashem Studies”, n.33 (2005), pp.307-346.
2 Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino, 1961.
3 Enzo Collotti, Documenti sull’attività del Sicherheitsdienst nell’Italia occupata, in “Il Movimento di liberazione in Italia”, n.83, 1966, pp.38-77.
4 Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria, Mursia, Milano, 1991.
5 Costantino Di Sante (a cura di), I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla deportazione, Franco Angeli, Milano, 2001.
6 L’occupazione tedesca in Italia con particolare riguardo ai compiti delle forze di polizia.
7 Le polizie nella Repubblica sociale italiana.
8 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia. 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
79 La cinica deposizione di Schmidt sulle sevizie all’albergo Nazionale, “L’Unità”, 1 aprile 1950. Qualche voce a difesa dell’aguzzino del Nazionale, “La Stampa”, 4 aprile 1950.
80 Paolo Battifora, Occupazione tedesca e fascismo repubblicano: repressione e sfruttamento dell’apparato produttivo, in M. Elisabetta Tonizzi – Paolo Battifora (a cura di), Genova 1943-1945. Occupazione tedesca fascismo repubblicano, Resistenza, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2015, p.35.
81 Giorgio Getto Viarengo, La deportazione degli ebrei dalla provincia di Genova. Sussidiario per la memoria, Piemme, Chiavari, 2008, pp.61-61.
82 Andrea Casazza, La beffa dei vinti, Il Melangolo, Genova, 2010, p.143
83 Paolo Battifora, Occupazione tedesca e fascismo repubblicano, cit., p.36, n.85.
84 Paolo Battifora, Occupazione tedesca e fascismo repubblicano, cit., p.32.
85 Christopher R. Browning, The Origins of the Final Solution. The Evolution of Nazi Jewish Policy, September 1939 – March 1942, University of Nebraska Press, Lincoln, Yad Vashem, Jerusalem, 2004, p.226.
86 Michael Wildt, Generation des Unbedingten. Führungskorps des Reichssicherheitshauptamtes, Hamburger Edition Amburgo, 2003, p.866. Anche Christian Ingrao, Credere, distruggere. Gli intellettuali delle SS, Einaudi, Torino, 2012, Robert Gerwarth, Hitler’s Hangman. The life of Heydrich, Yale University Press, New Haven and London, 2012. Per quanto riguarda la brutalizzazione della Wehrmacht nell’Est, Omer Bartov, The Eastern Front. German Troops and the Barbarisation of Warfare, Palgrave, New York, 2001.
87 Come scrivono Gentile e Klinkhammer: “Il personale dirigente sotto il controllo del BdS in Italia aveva una triplice provenienza: dagli Einsatzkommandos, dall’apparato della polizia tedesca, oppure – in quanto cittadini del Reich o individui considerati etnicamente tedeschi – reclutati sul posto quali esperti di faccende italiane.” Carlo Gentile e Lutz Klinkhammer, L’apparato centrale della Sicherheitspolizei in Italia, cit., p.46.
90 Hillary Camille Earl, Accidental Justice: the Trial of Otto Ohlendorf and the Einsatzgruppen Leaders in the American Zone of Occupation, Germany, 1943-1958, UMI Dissertations Service, s.l., 2003, p.98.
91 Anche Walter Rauff, quando fu posto davanti ai documenti da lui prodotti relativi ai Gaswagen, rispose: “I was never present when the death vans were operating with persons in them to be killed, however I did see a death van as a sample and was interested merely from a technical viewpoint.” [“Io non sono mai stato presente quando i gas wagen erano in azione con le persone dentro per essere uccise, comunque ho visto un camion mortale come modello ed era interessante soltanto dal punto di vista tecnico.”] YVA, 0.4/168.
92 Yehuda Bauer, Rethinking the Holocaust, Yale University Press, New Haven and London, 2002, p.36.
93 Sulle varie “gradazioni” dell’antisemitismo dei nazisti si veda Sarah Gordon, Hitler, Germans, and the “Jewish Question”, Princeton University Press, Princeton, 1984, p.58. Si vedano inoltre gli studi di David Bankier, tra i quali The Germans and the final solution. Public opinion under nazism, Blackwell, Oxford, 1992.
Amedeo Osti Guerrazzi, Tedeschi, Italiani ed Ebrei. Le polizie nazi-fasciste in Italia 1943-1945 in Pensare e insegnare la Shoah, attività e materiali, Assemblea legislativa. Regione Emilia-Romagna. Percorsi della memoria