Le circolari del CLNAI in materia di giustizia manifestavano tutta la loro inflessibilità nei riguardi dei fascisti

Tra lo Stato italiano retto da Bonomi, gli Alleati e i Comitati di Liberazione Nazionale (in particolare il CLNAI con sede a Milano) si inserisce l’opera di epurazione, più o meno sommaria, che intrapresero le frange della Resistenza; episodi di giustizia verificatisi sia in quei luoghi da poco liberati, in cui le autorità italiane ed angloamericane non si erano ancora imposte stabilmente, sia nei territori controllati, momentaneamente, dalle sole forze partigiane. Gli attori di questo paragrafo sono coloro che dopo l’8 settembre 1943 imbracciarono le armi e si nascosero tra i boschi, le campagne, le periferie <162, sacrificando le loro vite, e quelle dei loro familiari, per cacciare dalla patria il “tedesco invasore” e i “traditori” della RSI <163. E’ comprensibile che questi uomini <164, lottando e rischiando la vita quotidianamente, versando sangue per liberare le proprie terre, non volessero sentir ragione di leggi e procedure quando si trovarono faccia a faccia con i tedeschi o con i fascisti; per loro le flebili norme statali non avevano assunto in quei mesi un valore determinante e vincolante. L’epurazione spontanea della Resistenza rappresenta quindi una ritorsione per i delitti in precedenza commessi dai nazifascisti ed è il risultato di un sentimento collettivo, popolare e diffuso alimentato da rancori e spirito di vendetta. D’altra parte nell’estate del 1944 i partiti antifascisti non avevano ancora definito una posizione comune da tenere in tema di epurazione e i Comitati di liberazione regionali e provinciali erano troppo eterogenei e instabili. Prevalse quindi una condotta volta alla ritorsione violenta, rapida, per una radicale resa dei conti. Questo cambiava chiaramente da zona a zona in base a quanto cruenta era stata la lotta civile: il fenomeno non era omogeneo. In alcune aree accanto ai CLN si formarono dei comitati provvisori che agirono, nei giorni successivi all’armistizio, attraverso migliaia di licenziamenti nella pubblica amministrazione, prima ancora che le leggi dello Stato italiano entrassero in vigore, sostituendoli con una nuova classe di funzionari <165. In altre zone, soprattutto quelle del Nord dove la guerra civile era stata più cruenta, la voglia di rivalsa e il desiderio di vendetta contro i fascisti repubblicani fu talmente accesa che si verificarono migliaia di uccisioni: una vera e propria giustizia sommaria <166. Questa feroce ed illegale repressione rientra a pieno titolo nella cosiddetta “epurazione selvaggia” <167 verificatasi, prevalentemente, nella primavera del 1945 <168.
Se per il fascismo delle origini, che per quello repubblicano, la violenza rappresentò un tratto costitutivo <169, «un concentrato di sorda violenza», come lo ha definito Mirco Dondi <170, viceversa è stato osservato come per le formazioni partigiane il significato attribuito ad azioni cruente fu generalmente diverso, reattivo <171 ma non strutturale; la violenza che nel primo caso era esaltata e rappresentava un valore, nel secondo era una conseguenza delle provocazioni, una legittima difesa (anche nei casi di attacco). In alcune circostanze non è da escludere che potessero verificarsi “forme di contagio” da parte di una violenza più accanita tipica delle Brigate nere anche nei gruppi di partigiani <172, ma in linea generale la Resistenza fece un uso, se si può dire, più morale della violenza. Proprio per questo ogni banda partigiana varò dei regolamenti interni, delle linee di comportamento da mantenere sia nei confronti dei nemici che nei confronti, a maggior ragione, dei paesani e dei civili che li sostentavano <173. In aggiunta se agli albori della lotta partigiana il codice comportamentale era distante dalle norme del diritto, via via che l’esperienza resistenziale si faceva più matura diversi gruppi si avvicinarono alle direttive del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà che indicava alle file della Resistenza di rifarsi al Codice penale militare di guerra. Così dall’estate del ’44 ogni divisione partigiana si dotò di un tribunale composto da rappresentati di ciascuna brigata. Le deliberazioni si rifacevano agli articoli del Codice penale di guerra e in altri casi al semplice buonsenso <174. L’applicazione delle pene era differenziata generalmente tra prigionieri tedeschi e repubblicani: i primi erano nemici, appartenenti ad una nazione ostile e invasori del suolo patrio ma venivano considerati meno pericolosi dei fascisti i quali erano spesso vecchi amici, vecchi compagni ora traditori, che andavano puniti nei casi estremi con la pena di morte inflitta in particolare ai delatori, gli organizzatori del partito e i partecipanti armati ai rastrellamenti, o alle rappresaglie contro i civili. Anche contro questi ultimi però andavano raccolte prove prima di sottoporre l’imputato al processo del Tribunale partigiano ed eventualmente condannarlo; il tutto era volto a ridurre al minimo le esecuzioni sommarie <175, «per dettare un fermo criterio al quale ispirarsi in qualsiasi momento, [e per] porre un freno e non sancire quello stato d’animo che rompeva ogni controllo» <176. A volte le esecuzioni rispondevano invece solo alle contingenze: la mancanza di carceri dove imprigionare i nemici e l’impossibilità di convincerli ad abbandonare le armi portava all’ovvia necessità di eliminazione fisica del malcapitato <177.
Ogni azione della giustizia partigiana, anche la più cruenta e vendicativa, tendeva (anche se non sempre ci riusciva) ad essere moralmente superiore a quella nazifascista. Non tutti i catturati inoltre venivano condannati alla pena capitale: le donne collaborazioniste coi tedeschi, per esempio, erano colpite già dal 1944 con il taglio dei capelli, una pena che mirava a mortificare la femminilità della donna.
In conclusione, per quanto la guerriglia partigiana avesse cercato tra il ’43 e il ’45 di agire con più moralità rispetto alla cruda violenza repubblicana, la guerra civile sancì la necessità di intraprendere azioni altrettanto tragiche e con poche «alternative nel giudizio» <178. Se la Resistenza aveva cercato di circoscrivere i limiti della violenza, le ondate di giustizia sommaria post-Liberazione sconfessarono ampiamente questi intenti.
2. Le direttive del CLNAI
Per quanto i provvedimenti emanati dal governo avessero costituito una ormai credibile struttura legislativa orientata a punire severamente i collaborazionisti, il fronte resistenziale non volle rimanere in disparte. Le bande armate e gli organi esecutivi ciellenistici tutt’altro che convinti a delegare la defascistizzazione al governo angloamericano o a quello italiano, attendendo la lenta applicazione delle norme approvate in sede istituzionale, assunsero repentinamente un ruolo da coprotagonisti. Se nessuno aveva aspettato l’esercito Alleato per la liberazione della propria casa dai nazisti, ed era per questo sceso in campo, fucile in spalla, non si vedeva perché aspettare il governo Badoglio prima, e Bonomi poi, per vedere attuata l’epurazione dei fascisti. In tal senso il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia suggerì una variante epurativa, non solo tesa a sottolineare la propria autorità, ma anche indirizzata a contenere le spinte di giustizia sommaria partigiana sempre più frequenti e per convogliare così la resa dei conti entro uno schema legale <179.
I Comitati di liberazione nazionale ed in particolare il CLN di Milano (dal 7 febbraio 1944 CLNAI <180 per filiazione dallo stesso CLN di Milano su delega del Comitato Centrale di Liberazione Nazionale <181) sapevano bene quanto fosse necessario adottare una linea generale da seguire, e far seguire, per dare da una parte una risposta decisa alla domanda sempre più incombente di giustizia che giungeva dal popolo, ma dall’altra cercando, come specificato, di impedire il più possibile gli eccessi di giustizia sommaria e gli episodi di cruenta vendetta <182. I dibattiti tra i magistrati, che fiancheggiavano il movimento resistenziale, e i rappresentanti dei partiti antifascisti erano già accesi dalla primavera del 1944; l’obiettivo era quello di affidare l’epurazione ad organismi democratici rispondenti ad una legislazione, quindi da promulgare, che fosse efficace e funzionale. Il risultato dei lavori delle assemblee dei Comitati, ancora non riconosciuti esplicitamente e per questo clandestini, portò alla decisione di istituire, in ogni regione e città, dei tribunali popolari affiancati da commissioni per l’epurazione. Si fissava l’entrata in vigore di questi organi per il giorno della Liberazione, e si incitava affinché gli stessi organi fossero già in funzione al momento dell’arrivo degli Alleati. La giustizia era compito del popolo italiano. Certo è che il fronte antifascista nemmeno su tale questione era omogeneamente in accordo. I più rigidi sostenevano la necessità di affidare la giustizia a tribunali istituiti completamente dai Comitati, senza possibilità di Appello e soprattutto svincolati da giudici ordinari corrotti col regime <183; altri ancora sostenevano invece la necessità di affidare i criminali al giudizio della magistratura ordinaria e delle Corti d’Assise ordinarie. Infine l’ultimo schieramento proponeva una soluzione intermedia tra la giustizia del popolo e la giustizia ordinaria: consegnare i fascisti a tribunali di guerra istituiti da formazioni partigiane <184. Dopo intensi dibattiti all’interno dei CLN e di tutti gli organi resistenziali si rese forte la «consapevolezza che l’efficacia della repressione penale dei crimini fascisti fosse strettamente legata alla natura dell’organo giudiziario competente a svolgere tale funzione» <185. Entrando nello specifico, la prima circolare di una certa importanza ad essere inviata dal CLNAI a tutti i CLN regionali e provinciali risale al 2 giugno 1944 <186. Proprio in quel periodo il Comitato milanese aveva cominciato seriamente ad interessarsi della questione epurativa. Il buon umore era derivato dal fatto che il giorno della Liberazione pareva ormai una questione piuttosto vicina <187; gli Alleati infatti avevano sfondato, appena una decina di giorni prima, il fronte di Cassino facendo arretrare sensibilmente le divisioni tedesche. Per questo, il 2 giugno 1944 la circolare inviata a tutti i Comitati delegava quest’ultimi ad assumersi il compito dell’epurazione nelle molteplici circoscrizioni territoriali. La circolare, ancora approssimativa per i suoi caratteri troppo generali, venne ben presto sostituita dalla direttiva n. 54 del 16 agosto 1944 dal titolo «Norme per il funzionamento delle Corti d’Assise» <188. Tale disposizione, emessa ancora una volta dal CLNAI, si occupava in modo abbastanza puntuale dell’amministrazione della giustizia. La direttiva attribuiva ai singoli CLN il compito di organizzazione della fase insurrezionale e assegnava le competenze di giustizia agli organi ciellenistici, scongiurando l’intervento della magistratura ordinaria, ritenuta troppo invischiata col passato regime. In un primissimo momento i CLN si sarebbero presi in carico il compito di condannare istantaneamente a morte i vertici fascisti <189. Veniva sottolineato fin dall’incipit della circolare come gli Alleati, «al momento dell’occupazione», avrebbero dovuto trovarsi «in presenza di una giustizia politica già in pieno funzionamento», e per tali ragioni essi non avrebbero avuto «interesse a toccare» il sistema in funzione <190. Pertanto la parola d’ordine era fare presto <191: velocità per presentare agli Alleati una giustizia in piena regola e in pieno funzionamento e per trasmettere al popolo qualche sentenza esemplare e catartica. Per il passo successivo si stabilì l’istituzione, in ogni provincia, delle Commissioni di giustizia con poteri inquirenti e di istruzione sommaria, al fine di indagare sul reato di collaborazionismo. Le persone inquisite dalle Commissioni di giustizia dovevano essere deferite alle Corti d’Assiste provinciali, che erano presiedute da due magistrati designati dal Comitato di Liberazione Nazionale provinciale e composte da giudici popolari, scelti da elenchi predisposti dallo stesso Comitato <192. L’art. 5 della stessa direttiva manifestava l’inflessibilità del fronte resistenziale. Decretava infatti la non appellabilità delle sentenze e l’immediata esecutività delle stesse. Borghi a tal proposito segnala: ” L’obiettivo dichiarato consisteva nell’istituire una struttura giudiziaria di natura straordinaria interamente controllata dai CLN i quali si proponevano […] di agire nel principio di una “prevalenza dei criteri di opportunità politica su una valutazione puramente giuridica” “<193.
Come rammenta ancora Borghi, riprendendo un testo anonimo e non datato della primavera del 1945, le circolari del CLNAI in materia di giustizia manifestavano tutta la loro inflessibilità nei riguardi dei fascisti anche per l’insoddisfazione che giungeva dall’osservare i cauti progressi dell’epurazione al Sud. Se la defascistizzazione messa in piedi da Badoglio dopo l’8 settembre 1943 poteva comunque andare bene per i territori meridionali che non avevano conosciuto direttamente la RSI e la guerra civile, norme ben più rigorose e inappellabili erano necessarie al Nord <194 – un territorio martoriato dai rastrellamenti, dalle fucilazioni e dall’occupazione nazifascista – per la punizione dei criminali. Ma va menzionato un fattore importante: il provvedimento ciellenista n. 54 del 16 agosto 1944 arrivava circa tre settimane dopo il decreto legge luogotenenziale n. 159 del 27 luglio, promulgato dal governo Bonomi. Il CLNAI era ovviamente venuto a conoscenza di tale decreto, ma lo giudicava inadeguato in particolare sul versante dell’assegnazione alla magistratura ordinaria dei processi, che avrebbe ridotto il potenziale politico della defascistizzazione. Si premeva allora per la costituzione di un organo giudiziario nuovo che pur riprendendo il modello delle Corti d’Assise ordinarie le rinnovasse, con l’inserimento di giudici popolari (politicamente motivati). Ben sapendo che il decreto di luglio era tutt’altro che incline all’indulgenza, il fronte resistenziale dichiarava una posizione ancor più “giacobina” <195. In più il CLNAI intendeva attuare l’ordinanza n. 54 in contemporanea con l’insurrezione finale per costituire una giustizia politica in pieno funzionamento e mettere di fronte al fatto compiuto gli Alleati e il governo italiano <196. Come sottolinea Andrea Martini il provvedimento del CLNAI risultava troppo generico per poter essere applicato e risultava di gran lunga meno preciso del decreto luogotenenziale n. 159 <197. Per quanto con questa ordinanza il CLNAI sfidasse apertamente il governo Bonomi e di conseguenza anche gli Alleati, il progetto stilato dimostrava che nell’estate del 1944 il Comitato dell’Alta Italia “non [aveva] ancora raggiunto una maturità giuridica tale da poter pretendere di pronunciarsi su una questione così complessa quale quella dell’epurazione <198.
Ma è innegabile che la situazione venutasi a creare al Nord comportasse più di qualche vivo interesse sul tema della defascistizzazione; pertanto non è difficile comprendere il grado di coinvolgimento nella resa dei conti da parte dei resistenti. Questa guerra non era una semplice guerra tra due nazioni diverse, era una guerra civile ed «aveva irrimediabilmente aperto ferite destinate a sanguinare ancora per lungo tempo» <199. Non si poteva tornare a vivere accanto a colui che fino a pochi giorni prima aveva assassinato parte della tua famiglia, o aveva comandato le Brigate nere, o ancora aveva dissacrato i corpi dei partigiani caduti. La guerra civile aveva troncato l’Italia in due: chi era stato da una parte non poteva più tornare a convivere con chi era stato dall’altra <200. Per questi motivi, insieme straordinari e tragici, secondo l’opinione della Resistenza spettava al CLN diventare l’unico organismo titolare della liquidazione del neofascismo <201.
[NOTE]
162 Si rimanda a S. PELI, La Resistenza in Italia, op. cit.
163 Il termine “traditori” era chiaramente utilizzato dai partigiani per descrivere i repubblicani e, viceversa, dai saloini per descrivere le bande della Resistenza.
164 Non mancano ovviamente tra le file della Resistenza anche moltissime donne.
165 Cfr. H. WOLLER, I conti con il fascismo, op. cit., pp. 227-242.
166 Si veda sul tema M. DONDI, La lunga liberazione, op. cit.
167 Vedi infra.
168 In questa ondata di vendette solo una piccola cittadina, Montecatini Terme, istituì un tribunale popolare extralegale (in attività per pochissimo tempo) al fine di giudicare i criminali fascisti.
169 Si consulti M. MILLAN, Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista, Viella, Roma, 2004, pp. 11-17. Si vedano anche G. ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari, 2006, pp. 176-177 e T. ROVATTI, Leoni vegetariani. La violenza fascista durante la RSI, Clueb, Bologna, 2011, p. 101: «La violenza fascista assume modalità d’espressione tipiche della guerra civile, oltrepassando anche sotto l’aspetto formale ogni limite di legittimità. All’interno dello scontro armato fra connazionali il coinvolgimento indiscriminato degli inermi, l’uccisione sommaria di donne, la rappresaglia su ostaggi estranei ai fatti, l’uso della tortura, le ritorsioni sui congiunti e le azioni esplicitamente finalizzate alla vendetta acquisiscono a partire dagli ultimi mesi del 1944 il carattere di pratiche dominanti». Segnalo ancora di Rovatti un saggio: T. ROVATTI, La violenza dei fascisti repubblicani. Fra collaborazionismo e guerra civile, in G. FULVETTI, P. PEZZINO, (a cura di), Zone di guerra, geografie di sangue. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945), Il Mulino, Bologna, 2017, pp. 145-168.
170 M. DONDI, La lunga liberazione, op. cit., p. 14.
171 Cfr. G. SCHWARZ, Tu mi devi seppellir. Riti funebri e culto nazionale alle origini della Repubblica, UTET, Torino, 2010.
172 Cfr. C. PAVONE, Una guerra civile, op. cit., pp. 413-514. Inoltre si consulti S. PELI, La Resistenza in Italia, op. cit., pp. 161-169.
173 Cfr. R. BOTTA, Il senso del rigore. Il codice morale della giustizia partigiana, in M. LEGNANI, F. VENDRAMINI, (a cura di) Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, Franco Angeli, Milano, 1990, pp. 141-161. In aggiunta si segnala G. OLIVA, I vinti e i liberati, op. cit. Va rammentato che non pochi furono i casi di esecuzione di partigiani che avevano infranto il codice della brigata rubando per esempio del cibo o del vestiario da alcune case. I partigiani avevano l’assoluta necessità di essere appoggiati dalla popolazione civile e non potevano passare per banditi e ladri. Se così fosse stato nulla li avrebbe resi diversi dai nazifascisti e il vitale sostegno delle comunità sarebbe venuto meno condannando le stesse bande partigiane alla fine. «Nati come fuorilegge, tendevamo per istinto a ritornar nella legge, ossia a crear un nostro “codice”, di cui la responsabilità fosse comune, alle cui formule si potesse ricorrere nei momenti d’incertezza». R. BATTAGLIA, Un uomo, un partigiano, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 166.
174 Cfr. A. MARTINI, Dopo Mussolini, op. cit., pp. 44-58.
175 Cfr. R. BATTAGLIA, Un uomo, un partigiano, op. cit., pp. 165-174. Il Tribunale partigiano, specificava Battaglia, doveva dare un giudizio non vincolato ad alcun codice penale. Il giudizio era riconosciuto solo dal tribunale stesso e dai compagni d’armi.
176 Ivi, p. 167.
177 Cfr. A. MARTINI, Dopo Mussolini, op. cit., pp. 44-58.
178 G. SOLARO, La giustizia partigiana, in «Istituto milanese per la storia della resistenza e del movimento operaio», Annali 4, Franco Angeli, Minalo, 1995, p. 399.
179 Cfr. A. MARTINI, Dopo Mussolini, op. cit., pp. 66-70.
180 Il 31 gennaio 1944 il CLN di Milano ricevette l’incarico di dirigere i Comitati regionali e provinciali di liberazione nazionale ed assunse così la nomenclatura di CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia). Il CLNAI ebbe ben presto un ruolo fondamentale e di primo piano soprattutto al Nord nella lotta contro il nazifascismo. Si consulti su questo tema G. OLIVA, I vinti e i liberati, op. cit.
181 Il Comitato Centrale di Liberazione Nazionale (CCLN) aveva sede a Roma.
182 Cfr. D. R. PERETTI GRIVA, La magistratura italiana nella Resistenza e Documenti sull’organizzazione clandestina della Giustizia, in «Il Movimento di Liberazione in Italia», n. 6, 1950, pp. 3-39.
183 Cfr. G. GRASSI, Verso il governo del popolo. Atti e documenti del Clnai 1943/1946, (a cura di), Feltrinelli, Milano, 1977, pp. 157-159.
184 Cfr. H. WOLLER, I conti con il fascismo, op. cit., pp. 227-242. Il giurista Domenico Riccardo Peretti Griva, figura di grande spicco del CLN del Piemonte sosteneva un progetto di giustizia rapida e severa attraverso le Corti militari durante la Liberazione affinché la sete di vendetta presente nella popolazione venisse sedata. In seguito a ciò affermava la necessità di condurre una giustizia più in linea con i principi del diritto. Si veda in aggiunta il saggio di G. NEPPI MODONA, I problemi della continuità dell’amministrazione della giustizia dopo la caduta del fascismo, in L. BERNARDI, G. NEPPI MODONA, S. TESTORI, (a cura di), Giustizia penale e guerra di liberazione, Franco-Angeli, Milano, 1984, pp. 11-40.
185 G. NEPPI MODONA, I problemi della continuità dell’amministrazione della giustizia dopo la caduta del fascismo, op. cit., p. 16.
186 Cfr. G. GRASSI, Verso il governo del popolo, op. cit., pp. 127-131.
187 Non a caso lo stesso comunicato si apriva in questo modo: «Il corso degli eventi permette di prevedere che a scadenza non lontana si verificheranno probabilmente avvenimenti di grande importanza per la liberazione del nostro paese. Bisogna che noi ci prepariamo nell’azione a questi avvenimenti […]». Ivi, pp. 127-128.
188 Ivi, pp. 157-159.
189 «Organizzare con la necessaria rapidità l’opera di eliminazione e punizione dei fascisti repubblicani e loro complici, […] al fine, da un lato, di impedire agli avversari di svolgere ulteriormente opera nociva, e dall’latro di dare esempi di severa ed inflessibile giustizia punitiva, che valgano a restaurare l’ordine morale, impedendo altresì eccessi e giudizi sommari». Ivi, p. 157.
190 Ibidem.
191 Si consulti F. VERARDO, La Corte d’Assise Straordinaria di Udine, op. cit., pp. 17-21. Il testo della circolare infatti affermava, a tal proposito, che entro le prime ventiquattro ore la Corte sarebbe riuscita a emettere le prime sentenze.
192 Cfr. M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., p. 23-27. Inoltre si consulti G. GRASSI, Verso il governo del popolo, op. cit., pp. 157-159.
193 M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., p. 26 che riprende lo stesso G. GRASSI, Verso il governo del popolo, op. cit., p. 157.
194 M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., pp. 26-27 e, in particolare, la nota n. 15.
195 Ivi, pp. 26-29.
196 Cfr. A. MARTINI, Dopo Mussolini, op. cit., pp. 66-70. In aggiunta si consulti G. GRASSI, Verso il governo del popolo, op. cit.
197 La direttiva n. 54 risultava meno precisa anche nel tracciare il quadro dei punibili. In aggiunta anche il reato di collaborazionismo, che nel decreto legge luogotenenziale n. 159 era ben definito, era assai vago nella direttiva ciellenistica. In conclusione si taceva su quest’ultimo anche sul Codice penale da adottare.
198 Cfr. A. MARTINI, Dopo Mussolini, op. cit., p. 68.
Mauro Luciano Malo, La giustizia di transizione tra fascismo e democrazia. La Corte d’Assise straordinaria e l’amnistia Togliatti a Venezia (1945-1947), Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2019/2020