Le Langhe rappresentano l’ultima speranza per le formazioni partigiane di Mauri

La Val Casotto vista da Frassanea – Foto: Carlo Galli su Flickr
 
La crescita del ribellismo fu incentivata dall’arrivo di molti reparti della IV Armata in ritirata dalla Francia e in ripiegamento dalla Liguria verso i monti del Piemonte. Nonostante lo sbandamento dei militari, uno dei primi nuclei partigiani si costituì proprio in queste valli e precisamente nella Valle Casotto: fu la banda dei “repubblicani” guidati da Folco Lulli e provenienti da Torino. Proprio la valle Casotto diverrà nel 1944 il fulcro dell’organizzazione delle forze antifasciste, sia per la collaborazione della popolazione e delle autorità locali che per l’arrivo dalla Valle Maudagna di Enrico Martini “Mauri“, che vi costituirà il comando delle sue formazioni, a cui faranno capo circa un migliaio di persone, seppur male equipaggiate e con scarsa esperienza militare. Il gran numero di uomini nascosti fra le montagne monregalesi spingerà, però, nei giorni fra il 13 e il 17 marzo 1944 l’occupante tedesco a mettere in atto un grande rastrellamento intervallivo, al cui termine si conteranno 118 morti tra i partigiani e una trentina fra i civili. Lo sbandamento porterà gli uomini di Mauri a spostarsi nelle Langhe, per riprendere da lì la lotta di liberazione.
Redazione, Val Casotto, Istituto  Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo
 
Il 27 dicembre 1943 un colpo di mano studiato da Cosa, Dunchi e Aceto all’Aeroporto di Borgo Aragno in cerca di benzina fece tra i tedeschi cinque prigionieri e tre vittime sul ponte del Pesio, e scatenò l’ira nazista su Alma, Pradeboni e Bisalta, dov’erano gli uomini di Vian. Le rappresaglie continuarono a vasto raggio: il 9 gennaio a Trinità, con spari tra la gente uscita da messa grande (3 morti, 11 feriti), il giorno dopo a Peveragno sulla gente al mercato (una trentina gli uccisi, molti i feriti). In val Pesio, dopo l’uccisione di un anziano, la banda Cosa per evitare guai alla gente si ritirò sulla costa della Bisalta. Ed a Pradeboni s’incontrarono i capi della lotta dura ed amara: Cosa, Galimberti, Verzone, Testori, Vian, Dunchi, Aceto…
Il 14 gennaio ‘44, nuovi orrori al Pellone di Miroglio: undici vittime tra ribelli e montanari sorpresi da un tiro implacabile; e in fiamme la borgata dei Bergamini, dove da pochi giorni si era insediato Martini Mauri, deciso a entrare più nel vivo della lotta ma costretto a salire al Prel. Don Beppe Bruno, che si adoperò a seppellire i morti del Pellone e a far ricoverare di nascosto i feriti, fu denunciato da una spia e riuscì a salvarsi appena in tempo dall’arresto. Manifesti affissi ovunque presentarono quegli eccidi come avvertimento a consegnare tutte le armi e a non collaborare coi ribelli.
In quell’inizio di 1944 le bande “Autonome” di val Pesio e val Casotto furono tra le prime a stabilire contatti con gli Alleati e ad ottenere aviolanci di armi e materiali, e poi anche l’invio di missioni di collegamento, non senza suscitare invidie nelle bande più politicizzate. […]
Il CLN insisteva perché tutte la valli si tenessero tatticamente collegate: Vian tra Corsaglia e Maudagna, Domenico Franco in val Ellero, Cosa in val Pesio, Mauri a Casotto. In un incontro a Valloriate, Dante Livio Bianco aveva anche proposto per le bande un più deciso impegno politico a cominciare dal ripudio della monarchia; ma aveva raccolto scarse adesioni, specie dai capi di estrazione militare. C’era stato accordo almeno sulla necessità di aviolanci anche per le Formazioni Giustizia e Libertà del Cuneese.
Attive e vigili, le bande di val Pesio e val Ellero scendevano ora a sabotare ponti e ferrovie. E a fine febbraio accoglievano in val Pesio anche il gruppetto di Dino Giacosa e Aldo Sacchetti staccatosi dalle Formazioni GL per disparità di vedute sull’immediato. Tra Cosa e Giacosa, già confinato dai fascisti a Ventotene, l’intesa fu immediata: prioritaria la lotta agli occupanti e prematura l’adesione a partiti.
Unione Monregalese
 
Nella provincia di Cuneo, tra la fine del ’43 e l’inizio del ’44, le bande più organizzate sono quelle guidate da Ignazio Vian, l’eroe di Boves, Piero Cosa e Franco Ravinale, ufficiali dell’ex esercito. Questi, che occupano le valli Casotto, Corsaglia, Mongia, Tanaro, Ellero e Pesio, a partire dal febbraio decidono di affidare al maggiore “Mauri”, che dal dicembre guida una banda nella val Maudagna, il comando dell’area alpina […] Situazione ancora peggiore si presenta in val Casotto, che “Mauri” stesso si accorge fin da subito essere indifendibile, in quanto i nemici possono giungere da ogni dove. Ed è proprio qui che si consuma la tragedia più grande del gruppo di militari, che con più di 1000 uomini da armare e coordinare (giunti dopo la scadenza del bando di leva nel febbraio) non riescono a respingere l’attacco tedesco. Inoltre, non avendo predisposto un ripiegamento generale, organizzato su piccoli gruppi, la maggior parte dei partigiani viene chiusa in una morsa dai tedeschi senza avere via di scampo. Si conteranno più di 100 morti e lo sfaldamento completo delle bande. Circa un mese dopo, anche i partigiani della val  Pesio subiscono un rastrellamento della Wehrmacht, che li costringerà a passare in val Tanaro.
Giampaolo De Luca,
Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013
 
La val Casotto non è l’ideale per una banda di partigiani. E’ una valle che non finisce mai, che può essere attaccata con facilità da tutte le parti, che non presenta né strette né posizioni facilmente difendibili. Vi accedono ben tre rotabili: una da San Michele di Mondovì, per Monasterolo Casotto, a Pamparato; una seconda ancora da San Michele, per Roburent, a Pamparato; e una terza da Garessio, in val Tanaro, per la Colla di Casotto, sempre a Pamparato. Inoltre ottime mulattiere la collegano, attraverso Montaldo e il colle della Navonera, con la val Corsaglia e, attraverso il santuario di Viola, con la val Mongia. Solo per sbarrare tali comunicazioni occorrerebbero alcune centinaia di uomini. Alla testata si erge la ripida muraglia del monte Antoroto; sulla destra il Bric Mindino, dagli ampi fianchi tondeggianti; sulla sinistra l’Alpet, snello, boscoso. In compenso però la valle offre vaste possibilità di azione alla nostra smania di agire. Essa intercetta, al suo sbocco, la grande arteria fra Mondovì e Ceva e domina completamente la val Tanaro, che costituisce l’arroccamento dello schieramento nemico in difesa delle coste liguri.
A Casotto, la piccola borgata che dà il nome alla valle, contrariamente alle mie aspettative non trovo quasi nessuno. Quasi tutti i partigiani della banda sono scesi a Mondovì, in servizio di ordine pubblico, a seguito dell’accordo di non belligeranza o di tregua stipulato dal colonnello Rossi con i tedeschi. E’ rimasto solo Gaglietto, con una ventina di partigiani per i vari servizi e alcuni carabinieri.
Enrico Martini Mauri, Partigiani Penne Nere. Boves, Val Maudagna, Val Casotto, le Langhe, Edizioni del Capricorno, 2016
 
In un rapporto dell’ufficiale Ic dell’LXXXVII Armeekorps per il mese di gennaio 1944 si analizzava invece la composizione del movimento partigiano nella provincia di Cuneo. Le formazioni, composte generalmente da gruppi di 30 – 50 persone, si procuravano il proprio sostentamento in parte tramite acquisti e in parte grazie a prelievi in fattorie, mulini e magazzini. Si affermava anche che le unità erano ancora divise in piccoli gruppi, a volte in contrasto tra loro, unite dall’odio nei confronti del fascismo. Secondo l’autore, all’interno dei gruppi partigiani erano riconoscibili tre tendenze. La prima era quella delle formazioni di connotazione comunista composte da lavoratori delle industrie delle grandi città, ex soldati, ex prigionieri di guerra di diverse nazioni, “elementi avventurosi e insoddisfatti di ogni classe sociale”. Un secondo gruppo era rappresentato da cosiddetti “badogliani”, principalmente ex ufficiali e soldati, che si rifiutavano di continuare il servizio militare, ma anche ex prigionieri militari inglesi, tra i quali anche degli ufficiali. Una terza categoria individuata era quella composta da piccoli criminali in fuga, che si nascondevano con lo scopo di sfuggire alla cattura per i loro reati. Era inoltre lecito aspettarsi, continuava il rapporto, l’arrivo di sempre nuovi elementi, spinti dal malcontento per la situazione italiana, nonché di disertori delle formazioni dell’esercito repubblichino. Alti (venivano quantificati in 91 casi da inizio gennaio) erano anche gli episodi di diserzione o allontanamento non giustificato da parte di soldati italiani inseriti nelle unità tedesche dell’LXXXVII Armeekorps, causati dal rifiuto nei confronti della disciplina tedesca, dalla scarsa propensione a combattere all’interno delle formazioni tedesche e dal timore dei combattimenti con le unità partigiane. Nonostante le bande evitassero i confronti diretti con i reparti tedeschi, la crescita del movimento partigiano veniva considerata un pericolo sopratutto qualora i ribelli avessero collaborato con le truppe alleate una volta arrivate nel nord Italia, con compiti di rifornimento e di comunicazione.
Francesco Corniani, “Sarete accolti con il massimo rispetto”: disertori dell’esercito tedesco in Italia (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2016-2017
 
Il primo contatto della [Missione] OTTO con le formazioni piemontesi avvenne nel mese di novembre [1943], durante la fase organizzativa della banda della Val Pesio. Il capitano di complemento Piero Cosa incontrò a S. Bartolomeo di Chiusa Pesio Carlo Balestro, genovese, ex sergente degli alpini, che gli propose di mettersi in contatto con Balduzzi a Genova, per ottenere aiuti e collaborazione per la lotta  ai  nazifascisti. Nei primi di dicembre Cosa si recò a Genova e incontrò  Balduzzi nel salone dell’Hotel Columbia presso la stazione Principe. I due concordarono di inserire nelle rispettive organizzazioni ufficiali di collegamento per la determinazione delle coordinate geografiche nelle zone disposte per gli aviolanci. In seguito la OTTO avrebbe comunicato il testo del messaggio “positivo” e “negativo” da ascoltarsi attraverso Radio Londra e le modalità per le segnalazioni  da  terra  agli  aerei.  Costanzo  Repetto fu  nominato ufficiale  di collegamento della OTTO, il tenente Luigi Meineri per la banda di Val Pesio, che in seguito fu ucciso durante questa attività. Il primo lancio avvenne nella notte tra il 20 e il 21 gennaio [1944] al Pian del Creus in Val Pesio.
Antonio Martino, L’attività di intelligence dell’Organizzazione OTTO nella relazione del prof. Balduzzi, in Quaderni savonesi. Studi e ricerche sulla Resistenza e l’età contemporanea dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea della Provincia di Savona, n. 24, Savona, 2011
 
[ n.d.r.: a questo collegamento, relativo al Comune di Pamparato (CN), il testo degli appunti del Parroco dell’epoca, Don Emidio Ferraris, che registrarono gran parte degli eventi rievocati con questo articolo ]
 
Nei giorni a cavallo tra il 13 e il 17 marzo del 1944 si scrisse una delle pagine più importanti della storia resistenziale piemontese, con i partigiani del comandante Mauri assaliti dai tedeschi. Questa battaglia fu come uno spartiacque nella lotta al nazifascismo. Nonostante la pesante sconfitta subita dagli uomini al seguito di Enrico Martini detto “Mauri” si può affermare che tra queste montagne nacque quella Resistenza capace di contribuire al definitivo tracollo della Wehrmacht, basata fino ad allora su azioni isolate e figlie dell’improvvisazione. Nella trattoria “Croce Rossa” di Valcasotto si riunirono i capi partigiani provenienti dal basso Piemonte e della vicina Liguria, tra cui anche il celebre Duccio Galimberti. In quel freddo inverno, tra la neve come sempre copiosa, erano presenti in Valle Casotto quasi 1.500 uomini di cui solo la metà armata e ritenuta idonea allo scontro. La Wehrmacht, preannunciata dalla “cicogna”, nome con cui i tedeschi chiamavano gli aerei da ricognizione, poteva invece contare su circa 3.000 soldati e mezzi blindati che, dopo quattro giorni di duri scontri, ebbero la meglio. Tra le fila tedesche i caduti furono solamente 10, mentre tra i partigiani ben 118. A pagare a caro prezzo fu anche la popolazione civile con 33 morti e numerose borgate date alle fiamme. La gente comune non fece mai mancare sostegno e ospitalità alle truppe di liberazione.
L’Unione Monregalese
 
Le Langhe rappresentano l’ultima speranza per le formazioni che si erano formate e che si sono decimate o disperse nelle vallate alpine. E si riveleranno anche come la “terra promessa” per la guerra di guerriglia che si andrà a delineare. Per quanto queste colline non siano del tutto impenetrabili da parte del nemico, che vi giunge con mezzi corazzati – e il secondo inverno lo dimostrerà -, esse offrono per il periodo primaverile ed estivo un valido rifugio, un labirinto di boschi e sentieri dove il nemico, non pratico dei luoghi, è facile a perdersi nella folta nebbia langarola. Chi vi arriva però non è che una piccola parte di quelle centinaia di uomini che occupavano le valli. Dei quasi mille uomini che “Mauri” aveva in val Casotto e in val Tanaro, solo un centinaio ne rimangono ai primi di aprile del 1944. <392
Il numero di patrioti, che andrà a ingrossare le file maurine sarà diverso per provenienza e per cultura militare dagli uomini che il maggiore aveva a disposizione durante il primo inverno. La maggior parte dei «coadiutori [di “Mauri”] ha lasciato la vita sul campo o dinnanzi al plotone di esecuzione tedesco». <393
392 “Relazione sui fatti d’arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Langhe, 9.4.44- I della Liberazione, di “Mauri” in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, p. 342
393 Ibidem

Giampaolo De Luca, Op. cit.
 
 
HS 6/844del 31-5-45, Holland, Envelope Blue; [C. A. HOLLAND, La missione Toffee nella zona Est Cisa, in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, «il Comando tedesco fece giungere a Mauri […] una proposta che prevedeva la concessione di una sorta di lasciapassare […] in cambio dell’astensione di questo da atti di distruzione. Molto correttamente Mauri mi informò ed io, in considerazione dell’ormai inesistente capacità offensiva della Luftwaffe in Italia, anticipai un parere negativo, che fu poi ribadito della decisioni del Comando unico e del Comando alleato». Mireno Berrettini, Le Missioni dello Special Operations Executive e la Resistenza Italiana in QF Quaderni di Farestoria, 2007 – n°3 , Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Pistoia
 

Il secondo caso è più eclatante: quando nei primi giorni di agosto 1944 Mauri fu catturato nelle Langhe, immediatamente giunse dal comando di Verona un inviato di Harster, il capitano Adolf Wiessner, anch’egli un esperto in materia, il quale non per caso in precedenza aveva operato a Kiew contro il movimento partigiano nazionalista ucraino e che probabilmente fu tra gli artefici della politica di “assorbimento” attuata dai servizi tedeschi nei loro confronti. Wiessner elaborò un piano semplicissimo il cui contenuto lo possiamo ricavare da una serie di appunti vergati a mano su di un registro del comando generale SS di Karl Wolff che recita: “Il capobanda Mauri [è stato] arrestato [e si trova presso il comando] SD di Cuneo. Wiesner [sic] attualmente a Cuneo per le trattative […] Mauri ritorna [presso le sue formazioni partigiane]. Accordo: niente attacchi contro la Wm [ovvero la Wehrmacht]; informazioni sui gruppi comunisti; rastrellamento e presidio delle aree comuniste; prima i comunisti e poi Mauri” [101].
Con quali intenzioni il comandante autonomo, il cui anticomunismo è ben noto [102], abbia effettivamente condotto queste trattative è una domanda alla quale, in mancanza dei documenti del comandante partigiano, non possiamo rispondere. E nemmeno siamo in grado di dire se egli abbia intuito la parte del piano tedesco riassunta nell’espressione “prima i comunisti e poi Mauri”.
Probabilmente, da comandante abile e astuto quale egli era, lo fece. Appare tuttavia evidente che la versione ufficiale fornita da Mauri, fuga rocambolesca dalle mani naziste durante il trasferimento a Torino, sia da considerare una chiara falsificazione. Dobbiamo infine anche considerare il fatto che, al di là di come egli intendesse regolarsi al suo rientro presso le sue formazioni, la presenza di una missione inglese, giunta proprio durante la sua breve assenza, non poté non influire sulla sua decisione di continuare la lotta nel movimento di Liberazione.
[NOTE]
[101] BAB, R 70 Italien/3, p. 2a s. Il testo originale è: “Bandenführer Mauri festgenommen bei SD Cuneo. Wiesner z.Zt. in Cuneo […] betr. Verhandlungen […] Mauri zurück. Regelung: keine Angriffe auf Wm. Hinweise auf Kommunengruppen [sic]. Bekämpfung u. Nachsicherung von K[ommunistische]P[artei]-Räumen; erst K[ommunistische]P[artei], dann Mauri“ (la punteggiatura e le integrazioni sono mie).
[102] Mario Giovana, Guerriglia e mondo contadino. I garibaldini nelle Langhe 1943-1945, Bologna, Cappelli, 1988.
Carlo Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia, 1943-1945 in Aa.Vv., (a cura di) Paolo Ferrari e di Alessandro Massignani, Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Franco Angeli Edizioni, 2010

Con l’arrivo del colonnello John Stevens e del capitano Edward Ballard il 19 novembre, <815 il contesto non sembra cambiare. Il primo, in veste di capo delle missioni alleate in Piemonte, si sposta continuamente tra le Langhe e Torino, dove giunge una prima volta il 20 dicembre per esporre il suo progetto di organizzazione delle forze partigiane per la regione, lasciando Ballard quale capo missione presso la I divisione alpina comandata da Bogliolo. <816 A questo poi si aggiunge un altro capitano inglese, Patrick O’Regan “Chape”. I due ufficiali restano nelle Langhe in modo continuativo, stabilendo contatti con tutte le formazioni dell’area. <817
Per ripristinare gli accordi tra missione inglese e garibaldini, si deve attendere la riunione del 27 gennaio tra comandanti partigiani e ufficiali alleati. Le premesse di questo incontro, di cui “Andreis” racconta di essere venuto a conoscenza per puro caso, non sono delle migliori. L’ispettore garibaldino, diretto nelle Langhe per incontrare l’ex comandante dell’VIII divisione, “Mimmo”, nel frattempo passato ai “Mauri”, si trova di fronte a un grosso problema.
“A Vesime, a Cessole dove sono i garibaldini di Rocca venni informato del lavoro di disgregazione e di accaparramento che facevano uomini di Mimmo e di Balbo. Dicevano che gli inglesi facevano una unica formazione militare diretta da loro e con l’autorizzazione del CLN; che solo chi avrebbe partecipato a questa organizzazione sarebbe stato riconosciuto e avrebbe avuto lanci; che gli altri sarebbero stati rastrellati, inviati in campo di concentramento, eccetera” <818
In questa occasione “Andreis” scopre la convocazione della riunione di Cortemilia e decide di andarci. Durante l’incontro, a cui partecipano anche “Nanni” e “Remo” per le formazioni Garibaldi, il capitano O’Regan dichiara di aver ricevuto «l’autorizzazione verbale del CLN» per formare un’unica unità nella zona delle Langhe. I garibaldini però non danno credito alle affermazioni dell’ufficiale inglese, che viene inoltre accusato di aver fatto opera di «disgregazione» tra le formazioni politiche. I comandanti autonomi invece sembrano appoggiare – stando al racconto di “Andreis” – il progetto di unificazione proposto dagli inglesi. Il comando della XIV divisione è inoltre convinto che “Mauri” sia intenzionato a privilegiare un rapporto con la missione inglese anziché restare fedele in tutto e per tutto al CLN di Torino; dubbi che permangono anche dopo l’incontro di Cortemilia: nel citato documento del 23 gennaio, il comando garibaldino si augura che “il Mauri sia convinto della necessità politica per tutti gli italiani di fare il possibile per fare da noi, altrimenti la presenza della missione inglese complicherebbe molto il nostro lavoro” <819
Dunque, le diffidenze reciproche e l’impossibilità di conciliare le diverse posizioni fanno naufragare il convegno, tanto più che in mancanza di una conferma scritta da parte di Torino le Garibaldi non intendono sottoscrivere alcun accordo con la missione inglese. La delegazione garibaldina, nonostante la sua ferma opposizione alla proposta di “Chape”, tenta comunque un avvicinamento alla missione inglese, con lo scopo di allentare la tensione e di non precludersi ogni possibile futuro aiuto “dal cielo”. “Andreis” infatti, percependo i timori di O’Regan rispetto al ripetersi in Italia dei «dolorosi fatti di Grecia», assicura che «fatti simili in Italia non sarebbero arrivati in quanto abbiamo un governo che è riconosciuto e dagli Alleati e dai partigiani». Il comandante “Nanni”, alla fine, convince i due ufficiali inglesi a visitare le sue formazioni per dimostrarne l’affidabilità e la consistenza numerica. <820
[NOTE]
815 Il capitano Edward Ballard era giunto in Langa con il col. Stevens verso la fine di novembre, in sostituzione di Temple, morto in un incidente d’auto a metà novembre, “Relazione sugli avvenimenti che hanno accompagnato la morte del maggiore Temple”, AISRP, A LRT 1 a
816 M. Giovana, Guerriglia, p. 296
817 Edward Ballard resta nelle Langhe fino alla fase insurrezionale, mentre O’Regan verrà inviato da Stevens nel paese di None, in qualità di capo della missione alleata della IV zona – val Chisone, A. Young, “La missione Stevens e l’insurrezione di Torino”, cit., p. 99
818 Ivi, p. 332
819 C. Pavone (a cura di), Le Brigate Garibaldi, vol. III, cit., doc. 568 “Il Comando della 14ª divisione Capriolo ai ‘compagni responsabili””, 23.1.45, p. 275
820 Qualche settimana dopo questo incontro, il cap. Ballard ottiene «un lancio per il Raggruppamento [Garibaldi Langhe], dirottato però all’VIII e IX Divisione del Monferrato, e Stevens, invitato da Fiorina, si reca «a Monforte a passare in rassegna gli uomini del comando della XIV, complimentandosi con “Kin” per la compostezza militare dei reparti», Testimonianza di Marco Fiorina e Arturo Dattola, da M. Giovana, Guerriglia, cit., pp. 302-303
Giampaolo De Luca, Op. cit.

Tra il 13 marzo 1944 e il 5 aprile 1944 si consumò tutto il terribile rastrellamento contro i partigiani di “Mauri” in valle Casotto e dintorni (Bagnasco, Frabosa Soprana, Garessio, Lisio, Montaldo Mondovì, Ormea, Pamparato, Viola, Ceva, Roburent, Torre Mondovì, Battifollo, Monasterolo Casotto, Priola) che causò la morte di 26 civili e 98 partigiani, di cui molti catturati e fucilati a Ceva.
Roberto Rossetti, La provincia di Cuneo durante il periodo di occupazione nazista, Academia.edu, 2020
 
In arrivo – CHARTERHOUSE (LLL 2) *
Senza numero Anche i patrioti di Valle Casotto dispersi da forze tedesche superiori per numero et armamento alt Anche questa Valle Pesio bloccata da cinque giorni et attende attacco da un’ora all’altra alt Metà uomini disarmati mandate subito munizioni et armi pesanti automatiche et mortai alt Messaggio positivo di questa valle est “la pera est cotta” alt molti viveri a secco venite subito alt.
  Ricevuto il 18 marzo 1944.
In partenza (LLL 2)
(50977/C) Messaggio numero alt per capitano Cosa alt. Eroico comportamento banda est apprezzato da questo comando che nel fermo contegno dimostrato vede le possibilità per lo sviluppo di azioni future alt Abbiamo fiducia che bande Valli contigue momentaneamente disperse potranno ricostituirsi presto per assolvere compiti che preciseremo alt At lei et ai patrioti della Val Pesio ancora impegnati nella lotta giunga vivo plauso et cordiale fraterno saluto alt. Comando Supremo.
   Trasmesso il 31 marzo 1944.
copie di messaggi cifrati della missione in parola in Claudia Nasini, Una guerra di spie. Intelligence anglo-americana, Resistenza e badogliani nella sesta Zona operativa ligure partigiana (1943-1945), Tangram Edizioni Scientifiche, Trento, 2012
* Al posto di sbarco di Voltri arrivava nel febbraio del ’44 [il 1° febbraio] una prima missione capitanata da un certo Siro [Cavallino Italo, tenente del genio guastatori] con un istruttore di sabotaggio portante il nome di Annibale [Bellegrandi Nino, sottotenente di artiglieria] (che fu poi fucilato dalle S.S. [a Cravasco]) e dal R.T. Biagio [Balestri Secondo, sottocapo r.t.]. Siro e il R.T. furono avviati nella zona di Mondovì e messi a disposizione della organizzazioni partigiane del Basso Piemonte alle dipendenze dell’ufficiale di collegamento responsabile di zona Repetto; l’Annibale tenuto a disposizione ed utilizzato in vari settori (anche a Genova città) come istruttore di sabotaggio. La missione era denominata LLL2-CHARTERHOUSE, proveniva da Bastia [Corsica] con un MAS italiano e operò, fino all’arresto di “Siro” avvenuto il 13 marzo 1944, comunicando alla base informazioni per i lanci di rifornimenti alle formazioni operanti in Val Pesio, Val Ellero, Val Corsaglia e Val Casotto.
Antonio Martino, L’attività di intelligence dell’Organizzazione OTTO nella relazione del prof. Balduzzi, pubblicato su Quaderni savonesi. Studi e ricerche sulla Resistenza e l’età contemporanea dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea della Provincia di Savona, n. 24, Savona, 2011
 
A fine marzo 1944, la Gestapo aveva lasciato la zona; allora Pavolini inviò in provincia militi della “Muti” in appoggio a nuovi estesi rastrellamenti. Così la Pasqua del ‘44 portò tre giorni d’inferno agli uomini di Cosa in val Pesio. Ed essi, ricevuti nuovi aviolanci, si prepararono ad affrontare l’attacco con dura disciplina e tattica avveduta. Cominciarono col sabotare ponti e strade, e si appostarono sulle rocce a guardia dell’imbuto di Pian delle Gorre. Il venerdì santo, 7 aprile, giunsero i primi assalitori, seguìti il sabato da carri armati e autoblindo. Forse duemila uomini, pronti all’attacco, preceduti da pattuglie che rastrellavano borghi e cascine sui fianchi della valle. Ad attenderli, centosettanta partigiani ben armati, collegati con radio, pronti a una battaglia difensiva. Più volte gli assalti nella nebbia furono respinti, e la valanga che ostruiva l’ingresso alle Gorre fece la sua parte. Arginati anche tentativi di aggiramento alle spalle, da Limone e dal Vaccarile. A sera, diradatasi la nebbia, da Certosa salirono i carri armati. Ma l’attacco decisivo fu la domenica di Pasqua, con l’appoggio di due aerei “cicogna”. Le postazioni partigiane si difesero a oltranza; poi alle 17 l’ordine inevitabile di Cosa: ripiegare. Tra raffiche e boati nelle abetaie (saltavano il casotto delle Gorre e il rifugio del Creus), i protagonisti dell’impari ma esemplare battaglia salivano verso la ripida Porta Sestrera sprofondando nella neve. All’alba scendevano su Carnino e Upega. Diciotto di loro erano rimasti a chiazzare di sangue la neve della val Pesio. Assai di più furono i caduti tedeschi, e terribile la rabbia dei loro camerati. Furono 120 i civili arrestati, compresi tre padri della Certosa. Poi il 18 aprile, in nuovi rastrellamenti agli sbocchi verso la pianura, altri quattro civili restarono uccisi e 36 arrestati.
Unione Monregalese
[n.d.r.: le fucilazioni dei patrioti catturati con questi rastrellamenti proseguirono a Ceva (CN) fino al 5 aprile e alcune centinaia di loro subirono la deportazione]
 
Il movimento partigiano […] viene annientato nella Val Casotto ove tutto era stato predisposto per una difesa ad oltranza, una prima linea d’avvistamento, uno scaglione di sicurezza, una linea di resistenza rigida. I partigiani, inquadrati in gran parte da ufficiali effettivi, si battono accanitamente, contrastano palmo a palmo il terreno, ma vengono sospinti inesorabilmente verso la muraglia alpina che s’eleva alle loro spalle. Ogni passo indietro è un passo sicuro verso la morte. Di 600 uomini inquadrati nelle formazioni sopravvive all’offensiva nemica solo un esiguo gruppo comandato da Mauri che varca il Tanaro e si stabilisce nelle Langhe […] Il rastrellamento di Val Casotto nelle sue tragiche conseguenze è la dimostrazione dell’impossibilità di applicare le norme della guerra regolare a quella partigiana. Occorre rispondere ai tedeschi in modo diverso, contrapporre alla loro offensiva basata sulla schiacciante superiorità di uomini e d’armamento una difensiva d’altro tipo, che sia capace di frantumare tale superiorità, che possa attrarli in una serie di combattimenti singoli, evitando l’urto massiccio delle forze in campo.
Roberto Battaglia, Storia della Resistenza Italiana, Einaudi, 1964